Coi piedi per terra. 268



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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 268 del 20 giugno 2010
 
In questo numero:
1. Danilo Dolci: Rivoluzione e subito
2. Alcuni estratti da “Il nucleare impossibile” a cura di Virginio Bettini e Giorgio Nebbia (parte prima)
3. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
 
1. MAESTRI. DANILO DOLCI: RIVOLUZIONE E SUBITO
[Da Danilo Dolci, Banditi a Partinico, Laterza, Bari 1955, Sellerio, Palermo 2009, p. 296. E' una nota di diario datata "Treviso, 13 febbraio" (1954).
Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Recentissimo e' il volume che pubblica il rilevante carteggio Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005; Raffaello Saffioti, Democrazia e comunicazione. Per una filosofia politica della rivoluzione nonviolenta, Palmi (Rc) 2007. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. i dvd di Alberto Castiglione: Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004, e Verso un mondo nuovo, 2006. Tra i vari siti che contengono molti utili materiali di e su Danilo Dolci segnaliamo almeno www.danilodolci.it, danilo1970.interfree.it, www.danilodolci.toscana.it, www.inventareilfuturo.com, www.cesie.org, www.nonviolenti.org, www.fondodanilodolci.it]
 
Non mi meraviglio se mi capita di incontrare chi mi contesta i dati che in questi giorni sto esponendo. Non solo a Treviso ed a Firenze ho incontrato chi e' convinto che tutti si viva e "normalmente su per giu'", ma a Trappeto, a 10, 15 metri dalla miseria piu' dolorosa, "chi non lavora e' sempre perche' lazzarone": tanto vuol dire partecipare o no. Solo se si partecipa veramente si riesce a sapere e ad avere la forza per rimediare. Alcuni altri, all'opposto, giudicano opportuna la nostra attivita' di informazione, ma deleteria la cura intima per il nostro prossimo piu' ferito in quanto ritarda con palliativi il rinnovamento della struttura. Rivoluzione: d'accordo. Non si puo' rimandare a domani il disoccupato che cerca lavoro perche' ha i figli alla fame. Rivoluzione e subito. Ma il modo della rivoluzione e' essenziale. Se seminiamo piselli non nascono pesci. Se seminiamo morte e inesattezze non nasce vita.
 

2. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA “IL NUCLEARE IMPOSSIBILE” A CURA DI VIRGINIO BETTINI E GIORGIO NEBBIA (PARTE PRIMA)

[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Virginio Bettini, Giorgio Nebbia (a cura di), Il nucleare impossibile. Perche’ non conviene tornare al nucleare, Utet Libreria, Torino 2009]

 

Indice del volume

Introduzione. Le ragioni di questo libro, di Virginio Bettini; 1. La storia del nucleare non depone a suo favore, di Giorgio Nebbia; 2. Alla ricerca del sito, di Virginio Bettini e Chiara Rosati; 3. Il nucleare impossibile, di Angelo Baracca e Giorgio Ferrari; 4. L'eredita’ nucleare: Sogin, un'esperienza allarmante, di Daniele Rovai; 5. Verso una societa’ solare, di Giorgio Nebbia; Appendice. Lo stato dell'industria nucleare mondiale, di Mycle Schneider e Antony Froggatt; Note; Bibliografia.

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Da pagina IX

Introduzione. Le ragioni di questo libro, di Virginio Bettini

Questo libro non e' un instant book. Gli autori lavorano da molto tempo sull'argomento, alcuni da oltre trent'anni, un lasso di tempo, nel corso del quale "le giuste ragioni del ritorno all'energia nucleare", sono venute meno, sulla base di nuovi dati e specifiche riflessioni-argomentazioni.

Una delle ultime riflessioni risale a cinque anni or sono, al 2003, quando l'allora ministro Carlo Giovanardi si reco' al meeting di Erice sulle emergenze nucleari per dichiararsi "personalmente favorevole" al nucleare, lanciando l'idea di un "federalismo delle scorie" da stoccare in siti regionali. Eravamo in uno dei momenti piu' caldi della discussione relativa al sito di Scanzano Jonico.

L'allora Ministro per i rapporti con il Parlamento non solo sostenne che, per stoccare le scorie nucleari, ogni regione avrebbe avuto a disposizione un proprio sito, ma anche che, se un giorno si fosse dovuto nuovamente parlare di nucleare come fonte d'energia in Italia, da parte sua non vi sarebbe stata alcuna posizione contraria: l'idea lo trovava favorevole (Menafra, 2003).

Ora il problema di una nuova stagione nucleare in Italia, dopo il fallimento di quella degli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, e' stato rilanciato dal Governo di centro-destra, dopo un approccio piuttosto equivoco da parte del precedente governo Prodi.

Vorremmo fare riflettere i lettori su questa scelta che riteniamo impossibile.

In primo luogo, con l'aiuto di Sergio Carra, professore di ingegneria chimica al Politecnico di Milano, per nulla oppositore per ragioni ideologiche e di principio del nucleare, vorremmo chiarire come, facendo un semplice calcolo sui costi della produzione di energia elettrica attraverso la tecnologia nucleare, si potrebbe spiegare come l'atomo non sia una soluzione.

I numeri sono numeri.

Per il nucleare, di cui si dovrebbero realizzare almeno una ventina di centrali per poter produrre il 10% del fabbisogno italiano di energia, occorrono grossi capitali d'investimento il cui ritorno non avverrebbe prima di 10 anni, anche non tenendo conto del costo dello smantellamento futuro delle centrali e dello stoccaggio delle scorie.

Ovviamente nessuno di noi e' contrario alla ricerca in merito alle nuove tecnologie. Da una vita ribadiamo il ruolo e la funzione della ricerca, tenendo pero' conto che la prospettiva, in termini di realizzazione di impianti nucleari della quarta generazione, si collocherebbe ben oltre la meta' del XXI secolo.

Se vogliamo, come dice Sergio Carra, non tener conto dei risultati del referendum italiano sul nucleare (ma sarebbe sbagliato in quanto prima di avviare un nuovo programma si dovrebbe verificare il parere dei cittadini), dobbiamo ricordare che negli Stati Uniti non si costruisce un impianto nucleare dal 1973.

In America la decisione non e' stata la conseguenza d'alcun referendum.

Una ragione esiste ed e' unicamente, squisitamente, di ordine economico.

In questo gli Stati Uniti sono un esempio, ma da noi le ragioni economiche sono prese in considerazione solo quando hanno un significato giustificativo nei confronti di una scelta.

In Europa si propone sempre il caso francese, non tenendo conto che la Francia ha compiuto una scelta decisiva e radicale a favore del nucleare, ai tempi di De Gaulle, mezzo secolo fa, per ragioni legate alla force de frappe, quindi per ragioni di ordine militare.

Ora gli impianti nucleari francesi sono quasi tutti in scadenza, in termini temporali, per quanto attiene alla sicurezza e dovranno presto essere posti in decomissioning, come segnalato dagli incidenti del luglio 2008 nelle centrali di Tricastin e Romans-sur-Isere.

Sono ben 131 le installazioni nucleari di base (reattori in servizio, reattori declassati, impianti per la produzione del combustibile, impianti di ritrattamento, aree di stoccaggio delle scorie) che dovrebbero essere seriamente verificate in termini di sicurezza (Kempf, Mejean, 2008).

La Francia sta puntando sul nucleare, per ora con la sola complicita' finlandese, detto di terza generazione, che sarebbe forse piu' corretto definire di seconda generazione plus.

La Francia dovra' comunque, molto presto, rinnovare i propri impianti nucleari, tenendo conto che bonificare il terreno di una centrale costa quanto costruirne una nuova.

Le cifre sono da capogiro e non vanno ignorate (De Ponte, 2006).

Come da capogiro restano anche le previsioni relative ai costi della pura e semplice costruzione.

I promotori del nucleare italiano parlano di 20-40 miliardi di euro per 5-10 centrali da 2000 MWe, ma l'agenzia di rating Moody's, come vedremo in seguito, parla di 3200-3800 euro per kW, contro le ipotesi di 2000 euro di Edison.

L'Italia che torna al nucleare, in questa prima fase, avrebbe un costo compreso tra i 30 ed i 70 miliardi di euro.

Al momento, nel nostro paese, i capofila del ritorno al nucleare sono, oltre al ministro Scajola, i rappresentanti della Edison, il secondo gruppo elettrico italiano, e, naturalmente, l'Enel.

Una certa responsabilita' e' anche da attribuirsi all'ex ministro Bersani.

La Edison, in accordo con il nuovo Ministro dello Sviluppo Economico Scajola, propone l'immediata progettazione e localizzazione di 5-10 centrali nucleari, al costo di 20-40 miliardi di euro.

Si tratterebbe di cominciare subito, onde disporre della prima centrale nel 2019 ed ipotizzare un nucleare in grado di generare il 20-25% del fabbisogno elettrico nazionale.

Per capire questo amore di Edison per il nucleare basta ricordare che la societa' Edison e' controllata al 50% da Edf, la societa' elettrica francese che nel nucleare sguazza (Ricci, 2008).

La Electricite' de France e la Edison sostengono che il passaggio al nucleare resta fondamentale per combattere il riscaldamento del pianeta, con il conseguente cambiamento climatico, ma, in questo libro, vedremo quanto cio' sia falso.

La Edison ha idee molto chiare, come del resto l'Enel, e cosi' definisce, operativamente, il proprio piano:

- un anno di dibattito generale;

- un anno per scegliere il sito;

- due anni per disporre delle necessarie autorizzazioni;

- due anni per la preparazione del sito;

- cinque anni per costruire la centrale.

Ci si consenta un qualche dubbio sulla credibilita' di questo modello temporale, in quanto non e' chiaro, in primis, quale possa essere il significato e l'obbiettivo del dibattito se si punta direttamente al nucleare e non si discute della prospettiva dei modelli energetici possibili nei prossimi 25-30 anni, come ci e' stato piu' volte suggerito anche da Rubbia.

In secondo luogo si e' da tempo dimostrato come, sulla base dei parametri della sicurezza, della valutazione del rischio e del rispetto ambientale, i siti nucleari, in Italia, siano "impossibili" (Bettini, 1981).

In terzo luogo non sappiamo chi possa essere in grado di assicurare la costruzione di una centrale in 5 anni, considerato che il reattore nucleare finlandese Epr di Olkiluoto, la cui costruzione e' stata avviata nel 2005, si trova gia' in ritardo di due anni.

Infine vorremmo ricordare, ai signori della Edison, in particolare ad Umberto Quadrino, amministratore delegato della societa', che non si puo' avviare la costruzione di nuove centrali prima di aver risolto il problema dello stoccaggio delle scorie.

La Edison valuta che 5-6 reattori, nell'arco di vita di 60 anni, possano produrre 21.000 metri cubi di residui. Quale sarebbe il sito che potra' stoccare queste scorie?

Con il decreto 25 febbraio 2008, il Ministero dello Sviluppo Economico costituiva il gruppo di lavoro per l'individuazione della tipologia, delle procedure e delle metodologie di selezione dirette alla realizzazione, in un sito del territorio nazionale, di un centro di servizi tecnologici e di ricerca ad alto livello nel settore dei rifiuti radioattivi (GU n. 57 del 7-3-2008).

Sappiamo che nel nostro paese non esistono siti geologicamente sicuri, come dovrebbe essere quello individuato in Finlandia ed anche in questo caso sarebbe bene una decente considerazione circa il dibattito che ha interessato il sito di Scanzano Jonico ed una valutazione attenta delle ragioni del naufragio del sito di Yucca Mountain (Buccolo, Stigliani, 2008; Bettini, 2006).

L'amministratore delegato di Edison, in un'intervista a "La Repubblica" del marzo 2008, ha sostenuto la necessita' di affrontare il problema del nucleare in termini "non ideologici", correggendo la rotta e parlando di centrali realizzabili in 10 anni.

Quadrino non ha mezzi termini e dice: mettiamoci al lavoro subito e la prima centrale di terza generazione (che, ribadiamo, sarebbe bene chiamare di seconda generazione plus in quanto di nuovo dal punto di vista tecnologico c'e' ben poco) sarebbe pronta tra 10 anni.

Quadrino vorrebbe che si parlasse di pro e contro per la definizione e la scelta dei siti nucleari che pero', come gia' abbiamo dimostrato nei primi anni Ottanta, nel nostro paese sono impossibili, definendo un rapporto corretto con il territorio, che, per lui, significa "investimenti per la comunita' ed elettricita' a prezzi piu' bassi".

La classe politica, secondo Quadrino, avrebbe una specifica funzione: "La classe politica deve saper spiegare al Paese che bisogna scegliere tra i rischi dell'effetto serra, che sono ingestibili, ed i rischi del nucleare, che sono gestibili".

Anche le scorie nucleari, per Quadrino, sono assolutamente gestibili: "Ci sono, nel mondo, siti geologicamente sicuri e probabilmente anche in Italia. Discutiamone tenendo presenti due cose: leadership politica e rapporto con il territorio" (Ricci, 2008).

In altre parole: i politici facciano quello che suggeriamo noi industriali e nessun problema per la popolazione: la compriamo con investimenti ed infrastrutture.

Un concetto che Quadrino ha sostenuto anche nel corso della tavola rotonda "Nucleare, speranza o tabu'?" tenutasi a Milano, il 7 giugno 2008, nell'ambito del Festival Internazionale dell'Ambiente. Quadrino ha ribadito: "Non chiediamo incentivi pubblici, le nuove centrali potrebbero essere, per lo Stato, a costo zero, perche' saranno le aziende a fare i loro conti ed a costruire adeguati business plan per sostenere l'investimento" (Crivelli, 2008).

Al manager Umberto Quadrino ha indirettamente risposto il premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia in maniera sintetica, direi efficace e lapidaria: "Non esiste un nucleare sicuro o a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilita' per cui, ogni 100 anni, un incidente nucleare e' possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali" (Valentini, 2008).

Il professor Rubbia sarebbe per un nucleare innovativo, per l'uso del torio, elemento largamente disponibile in natura, che potrebbe alimentare un amplificatore nucleare, un acceleratore, un reattore non critico, che non provochi reazioni a catena, non produca plutonio. Dal torio non si tira fuori una bomba, quindi si taglia il legame tra nucleare civile e nucleare militare.

La tecnologia suggerita da Rubbia e' gia' stata sperimentata su piccola scala ed un prototipo del costo di 500 milioni di euro potrebbe anche servire a bruciare le scorie ad alta attivita' nel nostro paese, producendo, al tempo stesso, una discreta quantita' di energia.

La posizione di Rubbia, se completamente accolta ed implementata, potrebbe fare definitivamente chiarezza su quello che altri due fisici, Gianni Mattioli e Massimo Scalia, dell'Universita' di Roma, definiscono "favola atomica", quella che racconta: dal nucleare potremmo trarre energia abbondante, in grado di liberarci dalla schiavitu' del petrolio e del gas, energia pulita in grado di contrastare l'incubo del cambiamento climatico, energia a prezzi piu' limitati.

Una favola, appunto, senza fondamento scientifico e razionale. A questa favola pero' credono sia il Governo sia Confindustria.

Il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ritiene che, sul nucleare, la svolta sia ormai decisa.

L'impegno nucleare italiano avrebbe, come primo obiettivo, la riduzione, in maniera strutturale, dei costi dell'energia.

Il Consiglio dei Ministri, su sua proposta, entro il 30 giugno 2009, dovra' definire la strategia energetica nazionale, ma, prima ancora, entro il 31 dicembre 2008, il Governo avrebbe dovuto emanare i decreti legislativi nei quali sarebbero stati indicati i criteri per la localizzazione degli impianti, per i sistemi di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, per la definizione delle misure minime di compensazione nei confronti delle popolazioni interessate (per ora, la sola compensazione individuata e' lo sconto sulla bolletta elettrica).

Scajola ha poi dichiarato, l'8 luglio 2008, che alcune Regioni ed Amministrazioni Locali sarebbero interessate ad ospitare le nuove centrali nucleari che il governo ha annunciato di voler costruire entro la fine della legislatura.

Non ha chiarito quali siano le Amministrazioni interessate, ma ha ribadito che i síti, i quali ospiteranno le centrali e lo stoccaggio delle scorie nucleari, potranno essere dichiarati aree di interesse strategico nazionale. Cosi', dopo la militarizzazione delle aree urbane, avviata il 4 agosto 2008, avremmo, in questo sempre meno democratico paese, anche la militarizzazione dei siti energetici, ovviamente non tenendo per nulla conto di un segnale che ci giunge anche da attenti osservatori europei.

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Da pagina 39

Capitolo 3. Il nucleare impossibile, di Angelo Baracca e Giorgio Ferrari

I presupposti del "rinascimento nucleare" (nuclear renaissance) si basano principalmente su tre aspetti che vengono comunemente assunti a riferimento nell'ambito delle politiche energetiche proposte in molte nazioni sviluppate e come tali presentati al grande pubblico, senza nessuna discussione di merito, come fossero verita' assolute: il primo aspetto riguarda le emissioni di CO2 e gas serra per le quali il nucleare e' considerato ad apporto zero (carbon free); il secondo attiene al problema della sicurezza degli approvvigionamenti energetici, cioe' all'affermazione che le forniture di uranio - a differenza di quelle dei combustibili fossili - non sarebbero soggette a limitazioni quantitative, ne' a condizionamenti politici; il terzo riguarda la competitivita' economica del kWh nucleare.

In questo capitolo esamineremo in dettaglio questi aspetti, cercando di tenere conto debitamente di tutti i fattori che di solito vengono trascurati, o peggio occultati; in sintesi, dimostreremo che:

- Se e' vero che il processo di fissione che avviene nel nocciolo dei reattori e' a emissioni zero, tutte le altre fasi del ciclo nucleare - dall'estrazione e lavorazione del minerale, al trattamento dei residui e allo smantellamento delle centrali - produce CO2 e gas serra in abbondanza: un punto essenziale e' che l'entita' di tali emissioni, soprattutto nelle fasi di estrazione e lavorazione del minerale, dipende in modo drammatico (come dovrebbe apparire abbastanza ovvio anche per un profano, purche' gli venga fatto notare) dalla concentrazione di uranio nel minerale e, con l'esaurimento prossimo dei depositi piu' ricchi e facili da estrarre, puo' arrivare anche ad uguagliare, o addirittura a superare, le emissioni delle centrali a gas;

- un'analisi circostanziata e non preconcetta della consistenza e distribuzione dei giacimenti minerari accertati e di quelli "stimati" mostra che la disponibilita' di uranio nel mondo non e' affatto quella che si vorrebbe far credere, ne' e' esente da condizionamenti geopolitici: in ultima analisi, questo problema e' strettamente legato a quello precedente, perche' la presenza di uranio sulla crosta terrestre e' certamente ingente in termini assoluti, ma una volta esauriti i giacimenti in cui esso e' piu' concentrato, la possibilita' di sfruttare i minerali piu' poveri e' assai dubbia, non solo dal punto di vista economico, ma dallo stesso punto di vista energetico, poiche' puo' richiedere piu' energia di quanta l'uranio estratto possa fornirne;

- il problema dei costi di un programma nucleare, infine, e' molto piu' complesso di come viene di solito presentato. In primo luogo, infatti, i costi non si riducono solo a quelli di costruzione dell'impianto (sul quale pure gravano molti piu' interrogativi di quanto si vorrebbe far credere, come dimostrano gli impianti in costruzione) e del combustibile, ma devono tenere conto di quelli legati ai problemi teste' citati (per esempio, alla bonifica dei siti minerari), ed alla gestione della "coda" del ciclo, cioe' al trattamento e condizionamento dei residui nucleari ed allo smantellamento finale dell'impianto (decommissioning). In secondo luogo, gli stessi costi, e tempi, di costruzione di un impianto nucleare non possono venire semplicemente trasferiti da un paese ad un altro, poiche' dipendono in modo determinante dal livello tecnologico e dall'esperienza pregressa, dallo stato e dalle condizioni dell'industria nazionale (fra le altre cose, pubblica o privata), nonche' dall'esistenza o meno nel paese di programmi nucleari militari.

Riteniamo opportuno, e corretto, anteporre ancora una considerazione generale alla discussione di questi punti.

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Una premessa doverosa, di metodo, e di sostanza

Poiche' si discute delle possibili soluzioni dei problemi energetici - dei loro costi e delle loro ricadute, oltre che degli aspetti della sicurezza - e' giocoforza esaminare la tecnologia nucleare in rapporto alle altre tecnologie esistenti: carbone, gas, solare, eolico, idroelettrico (precisiamo subito che non includeremo il petrolio, in quanto esso ha ormai un ruolo residuale nella produzione di energia, in quanto la sua progressiva scarsita' impone di destinarlo principalmente agli usi piu' importanti, e difficilmente sostituibili, dell'industria chimica di cui e' alla base). Ma nel fare questo dobbiamo prendere nettamente le distanze dalla logica con la quale tali confronti vengono impostati e discussi. La tecnologia nucleare presenta infatti delle caratteristiche intrinseche che non sono in alcun modo rapportabili, tanto meno paragonabili, a quelle delle altre tecnologie: esse risiedono nell'assoluta unicita' dei processi nucleari.

Tutta la biosfera si fonda su processi chimici, dovuti alle proprieta' degli elettroni che costituiscono la parte esterna degli atomi, mentre il nucleo dell'atomo gioca un ruolo assolutamente marginale nei processi naturali sulla superficie terrestre (al contrario il processo di fusione dei nuclei leggeri e' fondamentale all'interno delle stelle, e quindi su scala astronomica); inoltre i processi di trasmutazione nucleare comportano singolarmente energie dell'ordine di un milione di volte di quelle sviluppate dai processi elettronici, e pertanto quando vengono prodotti artificialmente risultano incompatibili con la presenza di esseri viventi.

Il problema noto come la "sicurezza" degli impianti nucleari (ma esso si presenta, sia pure in termini diversi, per tutti gli usi delle tecniche nucleari: sanitari, agricoli, industriali) non puo' venire affrontato, come ci viene sempre proposto, paragonando le probabilita' di incidenti gravi in una centrale nucleare ad un impianto termoelettrico tradizionale, per vari motivi, che qui ci limitiamo ad accennare. In primo luogo, l'eventuale esplosione di una centrale a gas puo' avere conseguenze drammatiche e letali in una zona abbastanza circoscritta, le quali si esauriscono comunque dopo l'incidente: un incidente grave in una centrale nucleare, anche qualora fosse sulla carta molto meno probabile, puo' avere, per quanto ora detto, conseguenze sanitarie ed ambientali che possono estendersi anche a territori lontani ed alle generazioni future, come si e' ben visto (ma forse il peggio si deve ancora vedere) per l'incidente di Chernobyl del 1986 (per quanto gli organi ufficiali si sforzino di sdrammatizzarne e ridurne l'impatto!). In secondo luogo, appare ridicolo e irresponsabile il modo in cui, nei casi di incidenti a centrali nucleari che si stanno ripetendo con una frequenza preoccupante, le autorita' si precipitano ad assicurare che "non vi sono state conseguenze all'esterno" (quando addirittura non cercano maldestramente di tenere nascosto lo stesso incidente all'opinione pubblica): il motivo risiede nel fatto che la tecnologia nucleare e' estremamente piu' complessa e incontrollabile delle altre piu' comuni tecnologie, e le analisi degli incidenti che sono avvenuti mostrano che molto spesso le misure prese quando un malfunzionamento si e' innescato hanno provocato nel reattore risposte inattese, diverse od opposte a quelle previste. Per questi motivi e' completamente giustificata la reazione dell'opinione pubblica di fronte a qualsiasi incidente che si verifica in una centrale nucleare (oltre che per la superficialita' e l'inaffidabilita' dimostrata dai tecnici e dalle autorita').

Nell'analisi dei punti che abbiamo anticipato prescinderemo da questa premessa: ma in base ad essa il lettore e' autorizzato a fare la tara sulle nostre stesse considerazioni.

Ma vogliamo aggiungere ancora una considerazione, che non possiamo riprendere nel seguito. Se la sequenza degli incidenti a centrali nucleari nell'ultimo anno e', a nostro parere, un indice dell'invecchiamento degli impianti esistenti, essa mostra anche la complessita' crescente di applicare controlli di sicurezza adeguati. Alla fine di agosto 2008 il Governo regionale della Catalogna ha esplicitamente criticato le compagnie elettriche Endesa (di cui l'Enel detiene il 67% del pacchetto azionario) e Iberdrola, dopo la serie di incidenti alle loro tre centrali nucleari, per avere tagliato i costi e ridotto gli investimenti sulla sicurezza.

La situazione non e' certo destinata a migliorare visto l'ulteriore invecchiamento del parco reattori esistente, ne' se verranno promossi programmi di costruzione di nuove centrali. Per il primo aspetto, "nel parco nucleare francese esistente, il numero di eventi rilevanti per la sicurezza (safety) e' cresciuto costantemente da 7,1 per reattore nel 2000 a 10,8 nel 2007, anche se Edf (Electricite' de France) sottolinea che gli eventi seri sono diminuiti (l'articolo e' precedente agli incidenti del luglio 2008). Questa e' una tendenza preoccupante considerando che il parco impianti invecchia ed e' pensabile che questi eventi potranno solo aumentare con l'eta'". Quanto al secondo aspetto, "ci sono anche gli errori edili commessi da Areva nella costruzione di nuovi impianti, che sono basati sul progetto Epr che la ditta sta cercando di vendere ovunque. Nel dicembre 2007 la ditta avvio' un progetto Epr a Flamanville, in Francia, dove le autorita' di sicurezza nucleare francesi hanno osservato che non sono state seguite specifiche e procedure tecniche fondamentali, come la corretta gettata del cemento, fino all'ordine senza precedenti di maggio di fermare a tempo indeterminato la gettata di cemento". Per quanto riguarda poi altri paesi, "il capo dell'Autorita' Francese di Sicurezza Nucleare ha valutato che ci vorrebbero almeno 15 anni per costruire il sistema di regolazione necessario in paesi che stanno partendo da zero". Forse ancora piu' paradossale e' che nemmeno la Francia del tutto-nucleare piu' che trentennale su questo piano puo' dormire sonni tranquilli: "Circa il 40% degli operatori e del personale della manutenzione di Edf si pensionera' entro il 2015. Di conseguenza la Francia si trovera' una formidabile carenza di lavoratori specializzati".

Si deve sottolineare che lo scenario prospettato dai sostenitori del nucleare per la costruzione di nuovi 700 GW di potenza comporterebbe il raddoppio della produzione di scorie e la riduzione del margine di sicurezza per quel che concerne la possibilita' di un incidente severo su un impianto, che e' funzione del numero di reattori: si puo' prevedere un aumento dall'attuale tasso di un potenziale incidente grave ogni 200 anni (in base alla sommatoria sul numero dei reattori esistenti della stima della probabilita' annua 1/10000 che avvenga un evento catastrofico su un singolo reattore) a uno ogni 100 circa, nel caso il raddoppio della potenza avvenga raddoppiando il numero dei reattori.

Per non parlare poi dell'aumento dei rischi di proliferazione nucleare: per un lato questi di fatto preoccupano i governanti mondiali, per cui si vagheggia di accentrare i processi di arricchimento in pochi impianti sotto l'autorita' e il controllo della Iaea; ma dagli incontri preparatori della conferenza di revisione del Tnp del 2010 appare chiaro che molti paesi sono disposti a sottomettersi a restrizioni solo a fronte di concessioni da parte delle potenze nucleari (Corea del Nord docet). In ogni caso, gli interessi economici e politici sono cosi' forti da lasciare molti dubbi sull'effettiva volonta' e capacita' di risolvere e controllare questi pericoli (e d'altronde, come si penserebbe di gestire la situazione nel lungo periodo nelle crescenti condizioni di instabilita' e incontrollabilita' degli equilibri mondiali?).

D'altronde, la Francia che promuove cosi' attivamente il nucleare nel mondo "sulla proliferazione ha un passato rovinosamente insoddisfacente, avendo fornito assistenza nucleare alla maggior parte degli stati che hanno in modo ufficiale o non ufficiale armi nucleari nel mondo. Il programma militare israeliano si baso' su tecnologia francese, cosi' come gli sforzi nucleari dell'Iraq e i programmi nucleari del Sudafrica. Compagnie francesi continuano ad assistere il Pakistan e l'India, che hanno entrambi utilizzato impianti e materiali nucleari civili per scopi militari".

Si deve aggiungere anche che i controlli sull'uso pacifico della tecnologia nucleare spettano all'Agenzia delle Nazioni Unite, la Iaea, la quale non naviga certo nell'oro, poiche' alle preoccupazioni per la proliferazione non corrisponde un'adeguata disponibilita' dei Governi a mettere le mani al portafogli: ma, come ha osservato l'autorevole rivista "Nature", un aumento considerevole del numero di reattori nucleari in funzione richiedera' necessariamente spese ulteriori, che dovranno aggiungersi al calcolo dei costi.
(parte prima - segue)
 
3. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO
 
Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti: e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
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COI PIEDI PER TERRA
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Numero 268 del 20 giugno 2010
 
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