Minime. 812



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 812 del 6 maggio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Statistiche e sondaggi
2. Poiche' il razzismo, la guerra, il riarmo
3. Marina Forti: Donne in cammino col cappio al collo
4. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto
5. Farid Adly: Una iniziativa di solidarieta' ad Acquedolci
6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
7. Andrea Colombo ricorda James Graham Ballard
8. Federico Ercole ricorda James Graham Ballard
9. Nicola Lagioia ricorda James Graham Ballard
10. Tommaso Pincio ricorda James Graham Ballard
11. Francesco Vietti presenta "Le prigioni invisibili" di Carlo Capello e
"Romeni d'Italia" di Pietro Cingolani
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: STATISTICHE E SONDAGGI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

Non so a che percentuale di gradimento stia il nostrano capo di governo dopo
le passerelle abruzzesi, ne' mi interessa. Neppure voglio sapere quanti
italiani sono favorevoli alla castrazione chimica per gli stupratori
(purche' esteri). Voglio invece parlarvi di Object. Si tratta di
un'organizzazione per i diritti umani che lotta contro la "cultura
dell'oggettificazione sessuale". Lo fa ispirandosi alla Cedaw, la
Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti
della donna (Onu, 1979), il cui articolo 5 chiama gli Stati firmatari ad
intraprendere azioni decisive per contrastare l'oggettificazione e ne
riconosce i collegamenti ai pregiudizi ed agli stereotipi basati sul genere.
Object ha collezionato un po' di statistiche e sondaggi negli ultimi quattro
anni, facendo praticamente il giro del globo. Eccovi alcuni interessanti
risultati.
Piu' di meta' delle donne del pianeta (il 54%) attesta di essere divenuta
conscia della necessita' di essere fisicamente attraente fra i 6 e i 17 anni
d'eta'.
Il 66% delle ragazze fra i 13 e i 19 anni considera possibile sottoporsi ad
interventi di chirurgia plastica in futuro ed il 20% lo farebbe subito.
Il 63% delle stesse ragazze aspira a diventare "glamour model": e cioe'
velina, indossatrice, cubista, eccetera.
Una persona su tre, in tutto il mondo, crede che le donne siano responsabili
della violenza che subiscono se vestite in modo da "rivelare" il loro corpo.
Il 66% dei giovani, maschi e femmine, apprende cosa sia il sesso e cosa
siano le relazioni fra i sessi dai media.
L'Italia la Cedaw l'ha firmata da un pezzo. Vorrei sapere se le "azioni
decisive" di cui al citato articolo 5 sono le candidature delle "glamour
model de noantri" alle elezioni europee.

2. LE ULTIME COSE. POICHE' IL RAZZISMO, LA GUERRA, IL RIARMO

Poiche' il razzismo
noi tutti ci minaccia
e tu il razzismo lo devi contrastare.

Poiche' la guerra
noi tutti ci minaccia
e tu la guerra la devi contrastare.

Poiche' il riarmo
noi tutti ci minaccia
e tu il riarmo lo devi contrastare.

Una soltanto e' l'umanita'
di tutti e' responsabile ciascuno.
Quella giustizia che vorresti al mondo
tu falla nascere, siila gia' tu.

3. NON UCCIDERE. MARINA FORTI: DONNE IN CAMMINO COL CAPPIO AL COLLO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 maggio 2009 col titolo "Donne in
cammino col cappio al collo" e il sommario "Pena di morte. La giovane
ventiduenne era stata condannata per un omicidio che avrebbe commesso quando
era minorenne. Un giudice aveva ordinato la revisione del caso. Ma un altro
ha dato il via al patibolo. Senza nemmeno chiamare l'avvocato. I genitori
informati da una telefonata della figlia pochi minuti prima dell'esecuzione.
Le detenute del braccio della morte di Tehran si raccontano in un
documentario. Parla la regista"]

Tutto ruota attorno alla storia di una giovane donna condannata a morte. E
di altre come lei, detenute in attesa dell'esecuzione della sentenza. Niente
fiction, e' un documentario quello che Mahvas Sheikholeslami, regista
iraniana, ha girato nel carcere di Evin a Tehran. E' il carcere noto per
aver "ospitato" generazioni di detenuti politici fin dai tempi dello shah,
dissidenti, giornalisti, piu' di recente blogger - in queste settimane anche
la giornalista american-iraniana Roxane Saberi.
Ma poi ci sono i detenuti e detenute "comuni", e molto meno si sa e si parla
di loro: chi, perche', quanto sia tutelato il loro "comune" diritto alla
difesa (un'organizzazione per la tutela del detenuti comuni, fondata un paio
d'anni fa dal giornalista e dissidente Emadeddin Baghi, ha vita perfino piu'
difficile della nota organizzazione per i diritti umani di Shirin Ebadi -
lui stesso, Baghi, e' stato a lungo incarcerato negli ultimi due anni).
"Insomma: un giorno - era circa nove anni fa - ho letto su un giornale il
caso di una donna, Fakhteh, che era stata condannata per aver ucciso un
uomo, un agente della polizia segreta", racconta Mahvaz Sheikholeslami, che
abbiamo incontrato di recente in Italia (era ospite della rassegna
Calendidonna di Udine, dedicata all'Iran). "Da quello che diceva il giornale
sembrava chiaro che aveva ucciso per difendersi, e mi sembrava assurdo che
l'avessero condannata a morte". Cosi' e' scattato qualcosa per
Sheikholeslami: "Sono andata a cercare la sua avvocata, ho cercato di capire
megio le circostanze e la storia di Fakhteh. Era un gruppo di avvocate, e
piu' mi rendevo conto del loro lavoro piu' ero entusiasta di loro. Dopo
cinque anni che seguivo il caso ho avuto il permesso di entrare nei
tribunale ad assistere a un processo. E' allora che ho pensato al
documentario. Dovevo entrare in quel carcere, volevo conoscere la storia di
quella donna".
Al documentario come "genere" Sheikholeslami e' approdata relativamente
tardi, la sua carriera era gia' consolidata nel cinema: aveva fatto la
scuola di belle arti appena prima della Rivoluzione islamica, ha continuato
a studiare alla London Film School, dal 1975 e' stata una producer con
alcuni dei migliori registi. Poi a meta' degli anni '90 ha deciso di
lavorare da sola: "volevo indagare la realta'", fare documentari.
Riuscire a entrare a Evin ha richiesto ben sei mesi di burocrazia, spiega,
ma poi ha ottenuto tutti i permessi. "Alla fine sono entrata, con la mia
telecamera. Il primo giorno e' stato forse il piu' importante. E' stato uno
shock. In trent'anni di cinema pensavo di saper come fare, di aver visto
tutto, ma non era vero". Come intervistare delle condannate a morte?
"All'inizio non mi volevano neppure parlare. Molte avevano sentito promesse
di aiuto che poi non erano state mantenute, e nella loro diffidenza c'era un
implicito 'perche' vuoi sapere?'. Insomma, il primo giorno non ho neppure
acceso la telecamera, abbiamo solo parlato. Di lei, di me, di tutto. Il
secondo giorno erano in parecchie a voler parlare con me. Avevo detto chiaro
che non avevo nulla da promettere, non ero la' per fare interrogatori ne'
per giudicare nessuno: solo sapere la loro storia, perche' erano la' in
attesa di quella sentenza. E alla fine si sono fidate".
Cosi' e' nato il documentario che Sheikholeslami ha terminato nel 2005 dopo
averci messo tutti i risparmi. L'ha intitolato "Articolo 61": e' un
riferimento all'articolo 61 del codice penale della Repubblica islamica
dell'Iran, che recita cosi': "Se, nel difendere la propria vita, onore,
castita', proprieta' o liberta' da una aggressione immediata o imminente,
uno commette un'azione che e' reato... non sara' perseguito ne' punito". La
legittima difesa sarebbe stato il caso di Fakhteh, che davanti alla
telecamera racconta come si e' trovata imprigionata da quell'uomo che ha
abusato di lei, come l'abbia colpito per scappare - un colpo alla testa con
tutta la sua forza, cosi' lui e' morto, ma lei voleva solo scappare da una
prolungata violenza. Non solo lei: "In quel gruppo erano 26 donne, tute
imprigionate per omicidio: 7 erano state condannate a morte e le altre a
detenzioni molto lunghe, 25 o 30 anni, per aver agito in concorso con
altri". Storie straordinariamente normali. "Chiedevo loro dell'infanzia, di
come erano cresciute, cosa facevano, fino al giorno del'omicidio. Avevo
cinque giorni di tempo per filmare, dalla mattina alla sera, poi il mio
permesso sarebbe scaduto. Ero entrata in sintonia con loro al punto che chi
ha visto il documentario dice che la telecamera non si percepisce neppure".
E' vero: la telecamera chiaramente e' ferma; sullo schermo lo spettatore
vede volti assorti, donne sedute in una stanza che raccontano: chi col tono
di chi ripercore i fatti per l'ennesima volta, chi col tono di volersi
ancora spiegare come andarono le cose, compagne di cella che parlano l'una
all'altra, a proprio agio. E forse proprio la normalita' del racconto fa
accapponare la pelle. Anche perche' poco a poco si scopre come tutto abbia
congiurato contro quelle donne - e chissa' quante altre come loro. Le
pretese di un uomo verso di se' o verso le proprie figlie, le aggressioni
subite, l'impossibilita' di rivoltarsi o chiedere aiuto, le norme di una
vecchia cultura che ritiene la donna responsabile di non aver "difeso il
proprio onore". Insomma: tutti omicidi per legittima difesa, o almeno con
tante possibili attenuanti, a volte neppure davvero provati. E pero'
condannate senza grande possibilita' di appello: un po' pesa la mancanza di
aiuto legale, un po' la cultura di magistrati e legali pronti a considerare
una donna aggredita colpevole a priori.
Le storie raccontate con candore davanti alla telecamera di Sheikholeslami
ricordano molto quella di Delara Darabi, "giustiziata" all'eta' di 22 anni
per un omicidio commesso (se l'ha commesso) quando ne aveva 17. Neppure il
finale ha molte varianti. "Sono rimasta amica di molte di quelle donne,
alcune mi telefonano dal carcere, qualcuna mi ha chiesto di aiutare i figli
che vano a scuola. Una e' uscita ed e' riuscita a trovare lavoro. La madre
che ha ucciso il marito che voleva violentare le figlie e' stata alla fine
impiccata pochi mesi fa". Storie fin troppo ordinarie che si ripetono.

4. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO

Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo
particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il
sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili
informazioni e proposte.

5. INIZIATIVE. FARID ADLY: UNA INIZIATIVA DI SOLIDARIETA' AD ACQUEDOLCI
[Dall'Associazione culturale Mediterraneo di Acquedolci (per contatti:
ass.cult.mediterraneo at katamail.com) riceviamo e diffondiamo]

Carissimi,
vi segnalo questo sito del Campo della solidarieta' 2009 di Acquedolci
(Messina), un progetto di turismo responsabile in difesa dell'ambiente e al
servizio della solidarieta' internazionale. Con le quote si finanzieranno le
adozioni a distanza di bambini e bambine palestinesi:
www.camposolidarieta.it
Vi prego di diffondere la notizia.
Ringrazio tutte e tutti anticipatamente per l'attenzione e la
collaborazione.
Farid Adly, presidente del circolo Arci Associazione culturale
Mediterraneo - Casa delle culture di Acquedolci

6. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

7. LUTTI. ANDREA COLOMBO RICORDA JAMES GRAHAM BALLARD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 aprile 2009 col titolo "Incubi d'oggi.
Sotto il bersaglio di un dissidente per vocazione"]

Il trauma originario, quello destinato a innescare una delle piu' brillanti
e geniali avventure letterarie (e non solo) a cavallo tra due secoli, non fu
l'internamento in un campo di prigionia giapponese, dopo lo scoppio della
guerra mondiale. Quello, l'allora tredicenne James Graham Ballard, lo resse
alla perfezione. Nel campo riusci' a essere felice, raccontava, e che non lo
dicesse tanto per dire e' provato dal romanzo autobiografico che a
quell'esperienza dedico' una quarantina d'anni piu' tardi, L'impero del
sole.
Il colpo basso, e del tutto imprevisto, arrivo' poco dopo, nel '46, quando
Ballard, inglese ma nato e cresciuto a Shangai, mise piede per la prima
volta sul suolo patrio. E scopri' che l'Inghilterra aveva pochissimo a che
spartire con il mitico paese di cui aveva sentito da sempre favoleggiare:
"Mi chiesi se gli inglesi non pagavano un prezzo salatissimo per il sistema
di autoillusione che era alla base della loro vita, e la risposta (positiva)
che diedi a questa domanda mi incoraggio' a ritenermi per il resto della mia
esistenza un estraneo e un dissidente".
Il prezzo per la serenita' posticcia e il perbenismo ostentato delle
societa' occidentali era una prevalente, pur se nascosta, pulsione
distruttiva e autodistruttiva generalizzata, un "lato oscuro" che non si
contrapponeva a quello apparentemente chiaro ma ne costituiva la verita'
intima. La follia generalizzata non era un resolubile "guasto" della
societa' occidentale: costituiva le sue radici profonde.
In oltre quarant'anni, dal primo romanzo del '61, all'ultimo, del 2006,
Ballard non ha scritto d'altro, ma giocando su registri completamente
diversi. Prima la fantascienza apocalittico-ecologica dei romanzi d'esordio.
Poi la messa in scena pittorica, delirante e satirica degli incubi su cui
riposavano le societa' occidentali degli anni Settanta e Ottanta, fino a
quella ineguagliata metafora della guerra civile permanente, endemica e
insensata che e' Il condominio. Infine, lo slittamento verso un taglio molto
piu' sociologico e apertamente politico degli ultimi grandi romanzi, scritti
nell'arco di un decennio, tra il 1996 e il 2006.
Ma in questa ultima fase alla modifica dello stile corrisponde un
cambiamento anche piu' sostanziale. Quella che negli anni Sessanta era
ancora solo una, pur gia' vastissima, middle class e' uscita allo stesso
tempo ampliata e profondamente trasformata dal terremoto degli anni Ottanta:
e' diventata una sorta di nuova "classe generale", una sorta di nuovo
proletariato che e' sfruttato anche quando crede di godere di una posizione
privilegiata, che e' messo in produzione sempre, persino nelle sempre piu'
vaste porzioni di vita apparentemente liberate dal lavoro, che agli antichi
incubi somma ora, nelle sue enclaves superprotette e cinte di muri, nuove
frustrazioni. Una classe media che cova una rabbia crescente, invisibile,
indirizzata oggi verso i dannati della terra, i poveri che circondano le
loro cittadelle apparentemente dorate, ma perennemente sull'orlo di
un'esplosione di opposta natura. Una classe potenzialmente "rivoluzionaria".
Ci sono scrittori la cui valenza sovversiva si esercita quasi
inconsapevolmente. Ballard non era uno di questi. Sapeva qual era il suo
bersaglio, scriveva prendendo bene la mira. Dopo la sua resa, ieri, al
cancro al pancreas con cui combatteva da mesi, molti hanno ricordato le sue
parole sul cambiamento come base della sua ispirazione: "Ho sempre scritto
sul cambiamento, a partire dagli anni Cinquanta, quando vennero introdotti
tutti questi elementi della modernizzazione". Ma e' una definizione troppo
modesta, e riduttiva. Molto piu' preciso quel che lo stesso autore ammette
nell'autobiografia I miracoli della vita (uscita quest'anno per
Feltrinelli), dove si definisce "un narratore specializzato nel prevedere e,
se possibile, nel provocare il cambiamento". Il primo obiettivo lo ha sempre
centrato in pieno. Non e' escluso che, a suo tempo, non gli verra'
riconosciuto anche il merito di aver raggiunto il secondo.

8. LUTTI. FEDERICO ERCOLE RICORDA JAMES GRAHAM BALLARD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 aprile 2009 col titolo "L'astronauta
degli spazi interni e esterni" e il sottotitolo "J. G. Ballard e il cinema,
da Spielberg a Cronenberg"]

I luoghi di James Graham Ballard, i panorami dipinti dalle sue parole e le
superfici di natura diversissima dove si muovono i suoi personaggi hanno
sempre avuto una pittoricita' spinta, mai statica, perche' nei suoi libri
gli elementi che compongono uno spazio sembrano veri e sentiamo il vento
soffiare, lo sgocciolio dell'acqua, il crepitio del fuoco. Era dunque
inevitabile che la natura chimica, biologica e cinetica della sua
letteratura ispirasse e condizionasse il cinema e sebbene solo poche
pellicole (L'Impero del Sole di Spielberg '87, 10 monologhi dalle vite dei
serial killers di Aryan Kaganov '94, Crash di Cronemberg '96, The Atrocyty
Exibition di Jonathan Weiss 2000; L'aereo vola a quota bassa della
portoghese Solveig Nordlund, 2002) siano direttamente ispirate alla sua
opera, le sue visioni cartacee hanno svolto un ruolo importante come quelle
di Dick, Bradbury e Matheson nello stimolare e mutare i sogni di celluloide.
Il suo immaginario catastrofico ha trasformato la maniera di percepire una
superficie devastata, che sia una metropoli invasa dalle acque e
drasticamente mutata nella sua architettura come in Deserto d'acqua o la
piccola porzione di pelle squassata da un incidente, dove la cicatrice
diventa un elemento di un micropanorama di epidermide, in cui ci puo' essere
la bellezza e la poesia di cio' che "non" e' deturpato, ma soltanto mutato.
Lo splendore dell'informe ballardiano e dello stravolgimento di "cio' che
era" ha favorito la nascita di una nuova estetica in cui il bello e il
brutto, la vita e la morte si confondono e trovano nuovi significati, nuove
ragioni di essere: si evolvono tramite un fecondo rapporto parassitario
basato su opposti concetti. Non c'e' film moderno sulla catastrofe (Crash e'
un film sulla catastrofe orribile ma sensualissima di carne e lamiera) che
non debba qualcosa alle pagine di Ballard: da Mad Max di George Miller a
Akira di Otomo, da The Day After Tomorrow di Emmerich a The Happening di
Shyamalan. In quest'ultimo riusciamo davvero a vedere il vento e c'e' una
qualita' elementale nella sua rappresentazione, proprio come nella
tetralogia che lo scrittore scomparso ha, aristotelicamente, dedicato a
fuoco, acqua, terra e aria. Spielberg ha amplificato l'elemento epico e
avventuroso dell'infanzia taiwanese di Ballard (interpretato da Christian
Bale molto giovane), esaltando soprattutto la tensione al volo e
all'elevazione aerea che e' sempre quella dello sguardo, che vuole vedere
ancora di piu'. Il volo come metro di visione, come panoramica assoluta: un
dolly che si alza fino alla fine dell'atmosfera per notare e raccontare
sempre di piu'.
La vertigine dell'altezza e' anche vertigine del "vicinissimo". Nell'opera
di Ballard vi e' uno sguardo-microscopio che accarezza e frusta insieme il
corpo umano, andando oltre le cellule per arrivare a scoprire la galassia
inesplorata dei mondi che ci sono all'interno e raccontarli con la perizia
aeronautico-letteraria di un grande pilota, o meglio di un astronauta
definitivo di spazi esterni e interni.

9. LUTTI. NICOLA LAGIOIA RICORDA JAMES GRAHAM BALLARD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 aprile 2009 col titolo
"Presente/futuro. Uno sciamano per l'apocalisse contemporanea"]

Nel corso della sua piu' che quarantennale carriera, James Ballard e' stato
tra i principali codificatori di un genere letterario che solo chi ha
abitato consapevolmente il Novecento poteva praticare: la fantascienza del
presente. Piu' vicino a Kafka che a H. G. Wells, lo scrittore britannico
nato a Shangai nel 1930 ha rivoltato genialmente il nostro orizzonte
quotidiano fatto di prodotti seriali e teleschermi pulsanti per illustrare
il traumatico, allucinante salto nel futuro compiuto dalla specie umana
nell'ultimo mezzo secolo. Cosi' come all'autore della Metamorfosi fu
sufficiente un comunissimo interno praghese degli anni Dieci per dare una
terrificante anteprima sul totalitarismo concentrazionario che da li' a poco
avrebbe sconvolto l'Europa, a Ballard sono bastati una riproduzione
serigrafica di Marilyn Monroe e l'oggetto simbolo del progresso
secondo-novecentesco (l'automobile) per dimostrare come - proprio attraverso
i nostri presunti strumenti di emancipazione - l'idea stessa di uomo
concepita a partire dal Rinascimento, semplicemente, non esisteva piu'. Al
suo posto, un essere oscuro, deviato, schizoide, molto lontano dal prototipo
immaginato dagli speranzosi chierici di progressismo e umanesimo.
Senza ricorrere alle polverose macchine del tempo di Wells, ne' agli Imperi
galattici di Isaac Asimov oggi gia' vecchi per eccesso di razionalismo, e
nemmeno alle ben piu' attuali parabole distopiche di Philip Dick ambientate
su scenari spaziali e temporali a noi remoti, la grande scommessa di Ballard
e' stata quella di descrivere al contrario il nostro mondo (il nostro mondo
qui e ora) dimostrando come avesse poco a che fare con la promettente
versione spacciata in via ufficiale da istituzioni politiche, scuole
dell'obbligo e organi di informazione. Ecco allora che un presunto
ricettacolo di civilta' organizzata al meglio delle sue possibilita' (il
grattacielo londinese de Il condominio) si trasforma in un barbarico bagno
di sangue tra vicini di casa regrediti a uomini dell'eta' della pietra. Ecco
che un ospedale psichiatrico (dove e' ambientato La mostra delle atrocita',
forse il capolavoro di Ballard) diventa il luogo ideale per raccontare la
schizofrenia da bombardamento massmediatico da cui in realta' sarebbero
affetti tutti gli uomini contemporanei ufficialmente sani di mente, per i
quali il diaframma tra interiorita' e immaginario collettivo e' ormai andato
in frantumi. Ecco che negli incidenti automobilistici di Crash il feticismo,
la tecnologia e la perversione diventano l'ultimo rifugio delle pulsioni
sessuali. Ed ecco infine che il supremo non luogo dei nostri giorni (il
centro commerciale di Regno a venire) si rivela il luccicante, coloratissimo
catalizzatore di tutta la violenza repressa dagli abitanti dei quartieri
residenziali.
Il primo grande romanzo a gettare totalmente in farsa le conquiste della
modernita' fu Bouvard e Pecuchet di Flaubert, dove si raccontava come
l'oggetto intellettuale simbolo del secolo dei lumi (l'Enciclopedia) fosse
in grado di generare stupidita' allo stato puro. Nella Dialettica
dell'illuminismo, Adorno e Horkheimer si sforzano di dimostrare come la
strada del progresso razionale preveda in se' il ribaltamento nella
barbarie. Pasolini parlava di un nuovo Medioevo e perfino un personaggio
compassato come Harold Bloom nel suo Canone occidentale paventa l'arrivo di
una teocrazia audiovisiva dove la tecnologia e' il veicolo su cui viaggiamo
verso inedite forme di subumanita'.
James Ballard tutto questo ha avuto il merito di metterlo in scena. Ma l'ha
fatto da romanziere, vale a dire piu' con curiosita' (anche morbosa) e senso
della scoperta che non stracciandosi le vesti. Raccontando si' di apocalissi
contemporanee, ma alternando le vesti dello scienziato e dello sciamano
senza mai indossare quelle di Cassandra, e riportando l'apocalisse al suo
significato letterale: rivelazione di senso. Ed e' stato questo, il merito
che lo consegnera' alla storia della letteratura: aver svelato, libro dopo
libro, di che sostanza sono fatti i sogni, le speranze e le pulsioni
dell'uomo contemporaneo.

10. LUTTI. TOMMASO PINCIO RICORDA JAMES GRAHAM BALLARD
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 aprile 2009 col titolo "Aveva un'idea
catastrofica del progresso"]

Secondo Martin Amis nessuno puo' essere paragonato a Ballard. A renderlo
unico era il modo di rivolgersi al lettore, tutto teso a solleticare zone
inesplorate o dimenticate del cervello. Pensare a lui come a un narratore di
fantascienza e' riduttivo e improprio. Lo stesso Ballard, del resto, ha
specificato piu' volte che il cuore della sua opera non e' tanto il futuro
in se', quanto la rappresentazione della psicologia del futuro. Non per
nulla in gioventu' meditava di diventare psichiatra.
Le sue raggelate distopie orwelliane hanno di fatto reso superflua la
fantascienza. L'hanno trasformata in un'esplorazione dell'idea di futuro che
l'uomo cova dentro di se'. E' un avvenire al contrario, quello che Ballard
ci ha raccontato. Un futuro dove progresso, tecnologia e organizzazione
sociale si risolvono fatalmente in catastrofe, dove il regredire diventa la
via maestra per la sopravvivenza, dove il migliore dei mondi possibili e'
quello che abbiamo gia' perso e distrutto.

11. LIBRI. FRANCESCO VIETTI PRESENTA "LE PRIGIONI INVISIBILI" DI CARLO
CAPELLO E "ROMENI D'ITALIA" DI PIETRO CINGOLANI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 aprile 2009 col titolo "Migrazioni
precarie" e il sommario "Grazie alla diffusione delle tecnologie per le
comunicazioni e ai collegamenti veloci su lunghe distanze, i migranti di
oggi instaurano, assai piu' di quanto accadesse un tempo, una serie di
pratiche che, sviluppandosi tra le frontiere, uniscono i contesti di arrivo
e di partenza. Due libri recenti, Le prigioni invisibili di Carlo Capello e
Romeni d'Italia di Pietro Cingolani, indagano appunto lo sviluppo di una
cultura della migrazione in Marocco e in Romania nel segno di un doppio
movimento"]

"Ho bisogno di una casa, come tutti, ho bisogno dei soldi per vivere.
L'unica soluzione, la conosci, e' el ghorba, l'emigrazione, l'esilio...
quando penso di partire so gia' che trovero' molti problemi, anche in Italia
trovero' la disoccupazione e finiro' a lavorare in un brutto posto, ma
secondo me e' meglio che vivere questa vita cosi'. Devo cambiare la mia vita
futura, perche' ho quasi ventisei anni".
"Durante il socialismo tutto era stabilito: studiavi, lavoravi in fabbrica e
poi andavi in pensione. Io sapevo a che ora iniziava il lavoro, a che ora
finiva, quale era il mio stipendio. Adesso posso andare a Torino e
ritornare, rimanere li' tre mesi o quattro anni, posso portare il mio
bambino la' oppure tenerlo qua... Ma alla fine mi sembra di avere meno
scelte".
Abdelghani, giovane marocchino di Hay Lalla Meriem, quartiere popolare di
Casablanca, e Florica, madre romena di Marginea, piccolo paese della
Bucovina, paiono dialogare tra le pagine di due importanti libri pubblicati
di recente sul tema della migrazione transnazionale. Le prigioni invisibili
di Carlo Capello (Franco Angeli, pp. 232, euro 19) e Romeni d'Italia di
Pietro Cingolani (Il Mulino, pp. 305, euro 26) raccontano l'aspetto
distintivo dei flussi migratori nell'epoca della globalizzazione: i migranti
non recidono i legami con i paesi d'origine, ma al contrario instaurano
complesse pratiche che uniscono i contesti di partenza e di arrivo e si
sviluppano tra le frontiere. Da sempre la migrazione non e' un movimento
unidirezionale, ma un flusso bidirezionale di persone, beni e capitali, oggi
rafforzato dalla diffusione di tecnologie per le comunicazioni e i
collegamenti veloci su lunghe distanze, come internet e le compagnie aeree
low cost, che permettono ai migranti di essere contemporaneamente "qui e
la'".
Gli autori dei due libri non cadono tuttavia nella tentazione postmoderna di
inserire i migranti nella retorica dei "nomadi del villaggio globale", ma
hanno al contrario ben presente il peso dei ruoli di potere e delle classi
sociali nel mondo liberista. I migranti transnazionali si trovano spesso a
vivere una condizione di doppia assenza, essendo contemporaneamente esclusi
dal sistema economico e politico del paese d'origine e marginalizzati come
lavoratori subalterni e dequalificati in Italia. Le ricerche di Capello e
Cingolani condividono la medesima impostazione: sono entrambe etnografie che
si muovono tra Torino e i paesi di provenienza degli immigrati seguendoli
durante i viaggi di ritorno a casa, ed entrambe si pongono l'obiettivo di
raccontare la migrazione come emigrazione, piu' che come immigrazione. Il
decentramento del punto di vista e' un elemento indispensabile per
comprendere le traiettorie individuali dei migranti e lo sviluppo collettivo
di una "cultura della migrazione" in paesi come il Marocco e la Romania, che
hanno visto nella mobilita' della popolazione una tendenza gia' presente nel
corso dei decenni scorsi e oggi giunta a manifestarsi in modo evidente a
livello internazionale.
Dominato dalla destrutturazione dell'economia locale e dall'aumento delle
diseguaglianze sociali, il mondo post-coloniale e post-socialista si situa
tragicamente nella periferia di quello che Wallerstein ha definito "il
sistema-mondo".
*
La via centrale della citta' e' popolarmente chiamata shari' shufuni, ovvero
"Viale Guardatemi". E' la strada dove gli abitanti vanno a passeggio la sera
per guardare e per farsi guardare, il palcoscenico dove gli emigranti che
ritornano a casa per le vacanze possono mettere in scena la rappresentazione
del successo e della ricchezza raggiunta all'estero.
Khouribga e' un tipico esempio di citta' coloniale, sorta durante il
protettorato francese come "villaggio minerario" per l'estrazione dei
fosfati che abbondano nella piana di Chaouia Ouardigha. Per lungo tempo polo
di immigrazione interna meta di operai da tutto il Marocco, a fine degli
anni Ottanta la citta' si trasformo' in fucina di emigrazione. Dopo che i
primi pionieri aprirono la strada verso l'estero e l'Italia in particolare,
gli zmagria, gli emigranti, grazie al loro accesso ai beni e alla cultura
occidentale sono diventati rapidamente il gruppo di riferimento per gli
altri gruppi sociali, attivando catene migratorie e atteggiamenti emulativi
che in meno di vent'anni hanno portato circa trentamila concittadini a
provare la via dell'emigrazione.
Oggi i discorsi attorno all'emigrazione rappresentano l'elemento centrale
della vita quotidiana a Khouribga cosi' come a Hay Lalla Meriem, periferia
di Casablanca che per i giovani del quartiere, a causa della disoccupazione,
dell'emarginazione e della poverta', e' diventata il simbolo di un vero e
proprio "esilio in patria" dal quale cercano di agire il loro "diritto alla
fuga". Abdelghani, Kader e tanti altri sono chumur, disoccupati, che
nell'impossibilita' di realizzare i propri progetti di vita e rinchiusi
nella prigione invisibile che li circonda e li esclude, hanno di fronte a
se' una scelta esistenziale: el mut el bati, "morire di morte lenta", oppure
provare la via dell'esilio, quello vero, in Italia.
L'Italia e' per loro una terra immaginata, un ideorama della societa' dei
consumi globale, come direbbe l'antropologo Appadurai. Le trasmissioni
televisive captate dalle onnipresenti antenne paraboliche, i racconti degli
"eroi del quartiere", coloro che sono emigrati e ce l'hanno fatta, e ancor
piu' gli status symbol che essi ostentano, introducono i giovani agli stili
di vita e agli standard di consumo europei. L'emigrazione non ha pero' solo
bisogno di un immaginario condiviso sull'Altrove e dell'approvazione
sociale, ma anche di saperi pratici per attuare le strategie di fuga. C'e'
chi cerca di emigrare "con le carte", ossia ottenendo in qualche modo un
visto turistico per l'estero, e chi e' costretto allo hrigue, l'emigrazione
irregolare. Gli harraga, i clandestini, sono letteralmente gli "incendiari",
coloro che bruciano i loro documenti, la loro vita passata e spesso il loro
futuro per passare le frontiere della Fortezza Europa, come un cerchio di
fuoco. L'obiettivo di tutti e' una possibilita' di riscatto, personale,
familiare, di classe. E la ricerca del prestigio. Ogni ritorno a casa e'
l'occasione per convertire in capitale simbolico e sociale i capitali
economici guadagnati con il lavoro all'estero. Per questo si costruiscono
nuove case e si comprano macchine lussuose. Il successo in patria e' il modo
migliore per dimenticare la fatica, le privazioni e la nostalgia vissuta nei
mesi dell'esilio, in una soffitta di Torino.
*
Dal Marocco alla Romania. Il nome del villaggio significa "zona di confine",
e in effetti Marginea si trova dal 2007 proprio a pochi chilometri dal nuovo
confine dell'Unione Europea, dopo l'ultimo allargamento a est. Qui gli echi
della campagna di stampa italiana scatenata da qualche mese contro
"l'invasione romena" arrivano puntuali ogni settimana, a bordo delle
macchine, dei pulmini e degli autobus che collegano questo angolo di mondo
con Torino.
I giovani di Marginea sono da lungo tempo abituati a muoversi e a spostarsi
in cerca di lavoro. Ai tempi di Ceausescu e del socialismo i margineani
lasciavano i loro campi per lavorare nei cantieri edili del distretto di
Suceava e delle altre citta' del paese. Dopo il 1989 scoprirono l'estero
vicino, attivando una serie di contatti e commerci transfrontalieri. Da
qualche tempo hanno infine raggiunto l'Italia, eleggendo Torino a meta
privilegiata del loro migrare e diventando "italieni". In romeno tutto cio'
ha un nome ben preciso: harnic, vale a dire "operosita'".
L'emigrazione di massa ha innescato una serie di cambiamenti nella vita
sociale, culturale ed economica del villaggio, e una continua ridefinizione
dei confini tra gli elementi di continuita' e di rottura rispetto al
passato. Il principale veicolo del cambiamento e' rappresentato dalle
rimesse che i migranti spediscono a casa. Denaro e beni materiali che
entrano come un fiume nella quotidianita' di Marginea, trasformando non solo
le case e le strade, ma anche i legami tra le persone e i rapporti sociali.
Cosi', il paese e' un enorme cantiere. I tetti di legno vengono sostituiti
con le tegole rosse, si innalzano recinzioni e cancelli, sorgono nuove
abitazioni in stili eclettici, che uniscono sulle loro facciate gli elementi
della tradizione contadina locale con quelli di una modernita'
internazionale sui generis. Insieme al paesaggio fisico muta anche la
percezione degli spazi da parte degli abitanti e le modalita' di fruizione
degli ambienti. I giovani costruiscono le loro case lontane da quelle dei
genitori alla ricerca dell'indipendenza e dell'autonomia dai vincoli
parentali; cucina e salotto vengono divisi per poter porre al centro della
stanza di rappresentanza non piu' una tavola imbandita ma il nuovo
televisore comprato in Italia; in giardino si estirpano i vecchi orti, ormai
inutili, per far spazio al garage dell'auto.
Nel passaparola quotidiano si sviluppano discorsi pubblici sulla migrazione
che oscillano tra gli estremi del migrante "buono", che mette a disposizione
della famiglia e della comunita' le sue risorse, e quello "cattivo", che
tradisce i rapporti di solidarieta' e sfoggia la sua ricchezza per suscitare
invidia e conflittualita' sociale. Tutti paiono in realta' oscillare in una
difficile gestione dell'instabilita', impegnati nel negoziare attivita',
relazioni e appartenenze identitarie multiple. Per Marcel, Florica, Iuliu e
molti altri, il confine che passa tra il dominare la trasformazione e
l'esserne dominati e' molto sottile e si concretizza, come ben dimostra
Cingolani con un ampio repertorio di testimonianze e storie di vita, in
diverse pratiche di transnazionalismo e in opposti destini individuali.
*
Torino appartiene di diritto alla categoria delle "citta' globali" di Saskia
Sassen. La crescente segmentazione del mercato del lavoro e la generale
flessibilizzazione e precarizzazione dei rapporti lavorativi richiede un
numero sempre maggiore di lavoratori immigrati che permettano una sorta di
"delocalizzazione sul posto" fornendo lavoro flessibile, temporaneo,
sottopagato, precario.
Gli immigrati romeni a Torino sono oggi oltre quarantamila (erano
venticinquemila soltanto un anno fa); da parte loro, i marocchini superano
attualmente le sedicimila presenze. L'integrazione subalterna nelle fasce
piu' basse del mercato del lavoro e' il destino della maggior parte di
loro - una marginalita' che per i marocchini prima, e per i romeni poi, ha
significato anche esclusione sociale e simbolica. Le tattiche di resistenza
messe in atto dai migranti promuovono allora "pratiche spaziali" per
appropriarsi della citta' e fare comunita': gli edifici di culto, i negozi,
i ristoranti "etnici" e le abitazioni private diventano quindi "case lontane
da casa", mentre l'avvio di piccole e grandi attivita' imprenditoriali si
presenta come il simbolo di un nuovo protagonismo professionale e
identitario.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 812 del 6 maggio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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