Minime. 798



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 798 del 22 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Francesca Pilla: Castelvolturno, venerdi'
2. Francesca Pilla: Castelvolturno, sabato
3. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto
4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
5. Claudio Marazzini presenta le "Prose della volgar lingua" di Pietro Bembo
6. Giovanna Providenti presenta due libri di Aminata Traore' e Rita El
Khayat
7. Enrico Pugliese presenta "Mannaggia la miseria" di Anselmo Botte
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. UNA SOLA UMANITA'. FRANCESCA PILLA: CASTELVOLTURNO, VENERDI'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 aprile 2009 col titolo
"Castelvolturno. Dove l'antirazzismo e' anticamorra" e il sommario "Sei mesi
fa la strage degli immigrati. In piazza Cgil, Rdb, Cobas, associazioni e
centri sociali Oggi manifestazione dall'American palace dei senegalesi. Con
Dario Fo e Gad Lerner"]

Sono passati sette mesi esatti da quella notte tra il 18 e il 19 settembre,
quando il gruppo di fuoco guidato da Giuseppe Setola massacro' a
Castelvolturno sette persone innocenti, sei africani e un italiano. L'ala
stragista dei casalesi, che aveva compiuto la mattanza per seminare terrore
nella zona e' stata messa in prigione, compreso il suo capo conosciuto da
tutti per la sua ferocia che rasentava la follia, ma nonostante cio' non
molto e' cambiato sul territorio. Gli africani continuano a vivere nella
paura, a svegliarsi alle cinque del mattino per aspettare sul litorale
domizio che i caporali li portino nei campi o nei cantieri a nero, a vivere
in palazzi fatiscenti, a essere clandestini e quindi schiavi senza nessun
diritto. Non solo. Dopo la strage di settembre, in un maldestro tentativo
delle istituzioni di "ripulire" il territorio e' partita la caccia agli
irregolari. Lo scorso 10 novembre 200 agenti si sono presentati all'American
Palace, un palazzone abbandonato dagli americani dove tuttora vivono molte
famiglie, portando via 90 persone, sfasciando porte e finestre.
Oggi gli africani tornano in piazza a Castelvolturno per una manifestazione
nazionale contro il pacchetto sicurezza e la legge Bossi-Fini, ma
soprattutto per denunciare lo stato di abbandono e le discriminazioni che
sono costretti a subire quotidianamente. "E' la logica spietata di chi vuole
braccia ma non persone - scrivono in una nota - e che usa la discriminazione
degli immigrati per peggiorare le condizioni e i livelli di garanzia di
tutti i lavoratori. La crisi colpisce duro, italiani e immigrati, eppure per
rispondere alla crisi il governo produce differenze".
A loro fianco sfileranno in un corteo, che partira' alle 10,30 proprio
dall'American Palace, decine di associazioni antirazziste, i sindacati Cgil,
Rdb e Cobas, i movimenti e i centri sociali. Un'iniziativa importante in
un'area ancora dominata dalla camorra, alla quale parteciperanno anche Dario
Fo, Franca Rame, Gad Lerner, il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino,
quello di Castelvolturno Francesco Nuzzo. E ancora padre Alex Zanotelli, i
parlamentari Andrea Sarubbi, Pina Picierno, Jean Leonard Touadi', Rosa
Calipari e Maria Fortuna Incostante. "La manifestazione - spiega Mimma del
centro sociale ex-Canapificio - arriva dopo un percorso che ha creato un
movimento dal basso proprio dei migranti. Hanno voglia finalmente di uscire
allo scoperto e di attirare l'attenzione sulle loro condizioni di vita. In
questa provincia infatti si e' creato un vero e proprio laboratorio dello
sfruttamento, ci sono uomini e donne che vivono nel territorio da quattro o
cinque anni, ma non riescono a ottenere un permesso di soggiorno, eppure
sono gli stessi che permettono alla nostra economia di funzionare,
all'Italia di mangiare patate, mandarini o pomodori. Noi vogliamo sia
chiaro - continua - che non essere razzisti non vuol dire sedere o parlare a
un migrante, ma dargli la possibilita' di avere dei diritti e uscire dal
ghetto in cui l'abbiamo confinato".
Ieri e' stata presentata in una conferenza stampa, nell'aula consiliare del
Comune, anche la campagna "Non aver paura", fortemente sostenuta dalla Cgil
e dalle comunita' delle chiese evangeliche. Si tratta di una raccolta di
firme, partita a Roma il 18 marzo, che verranno consegnate al presidente
Napolitano per sostenere i diritti e la dignita' di ognuno. La campagna
coinvolge anche le pubbliche amministrazioni, e si avvale di un sito web e
di uno spot realizzato dal regista Mimmo Calopresti, con la presenza di
Lello Arena e Francesca Reggiani. All'iniziativa erano presenti i promotori,
Laura Boldrini e Filippo Miraglia, ma anche il sindaco di Castelvolturno,
che ha preso impegni seri per l'integrazione degli stranieri. "E' stato un
momento importante - spiega ancora Mimma - perche' almeno ci da' il sentore
che qualcosa si muove. Il governo si e' impegnato sul territorio ed e'
arrivato all'arresto dei killer e dei mandanti della strage di settembre, ma
ancora non sono venute fuori le vere ragioni di quel massacro. D'altra parte
pero' in questi mesi, da queste stesse istituzioni, e' partita una caccia
all'immigrato di cui non capiamo il senso, visto che oltre a essere
inefficace e' stato anche uno sperpero di denaro pubblico in tempi di crisi.
Con la manifestazione nazionale intendiamo mandare un messaggio chiaro
contro questo tipo di politiche, affinche' inizi seriamente un percorso di
integrazione solidale".

2. UNA SOLA UMANITA'. FRANCESCA PILLA: CASTELVOLTURNO, SABATO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 aprile 2009 col titolo "Little Miami
ora e' al nero" e il sommario "A Castelvolturno tornano in piazza gli
immigrati. Che a sette mesi dalle strage, vivono da abusivi nelle case
costruite per i villeggianti degli 'aurei' anni '80"]

Teresa e' molto bella, ha una pelle olivastra, labbra carnose truccate alla
meno peggio, ha anche dei rimasugli di smalto viola sulle unghie che
abbinati con una giacca a vento che nonostante sia nera non riesce piu' a
nascondere lo sporco, sono il segno di una vita di stenti. "Prima vivevo in
un appartamento - racconta -, avevo un lavoro come colf, una vita
tranquilla, poi improvvisamente mi sono trovata in mezzo a una strada,
disoccupata, e vivo in una costruzione abbandonata". A Castelvolturno di
palazzi fatiscenti ce ne sono a dozzine, resti di un'epoca a suo modo
gloriosa, legata alla famiglia Coppola. Anni, quelli tra i '60 e gli '80, in
cui i napoletani facevano a gara per comprare un appartamento in cemento per
andare a villeggiare nella "little Miami" sul litorale domizio. Ora pero'
che tutto e' andato in malora, che ovunque ci si gira si vedono solo rovine
e degrado, quelle stesse case vengono affittate dai migranti per 100 euro
alla settimana. E' infatti qui che si concentra la manodopera a nero che
arriva fino a Napoli e a Caserta, uomini e donna che arrivano da paesi
lontani lavorano nei campi, nei cantieri edili a nero, puliscono case,
accudiscono anziani o bambini. "Sono disposta a fare qualsiasi lavoro,
raccolgo volentieri le patate o faccio la baby sitter, per me e' lo stesso".
Teresa e' somala, si trova da 26 anni in Campania, ma da cinque e'
inchiodata in questa "Dogville" di periferia. Oggi pero' sorride e balla, il
suo viso e' rivolto verso il cielo, oggi c'e' il sole.
Dopo sette mesi esatti dalla strage di settembre, quando un gruppo di sicari
guidati dall'allora boss emergente Giuseppe Setola massacrarono a colpi di
pistola sette persone, sei ghanesi e un italiano, i migranti sono tornati a
sfilare sul litorale domizio. Sono in tanti, centinaia di volti, braccia,
mani, sorrisi. Qualche italiano scherza: "Sembra di essere all'estero". Ma
arriva diritto al punto. Per reggere l'economia locale i migranti sono
fondamentali, nessun italiano andrebbe a zappare la terra o a sgobbare in un
cantiere per 20 euro al giorno, al nero e senza fiatare. "Ci dicono che sono
piu' di duemila gli irregolari - spiega Michele Colamonici, segretario della
Cgil casertana - ma e' chiaro che dipende dal periodo, io ritengo che siano
molti di piu', e per merito della legge Bossi-Fini senza nessuna
possibilita' di essere regolarizzati".
Sono le dieci e al concentramento davanti all'American Palace, il palazzo
sgomberato e semidistrutto da 200 agenti lo scorso 10 novembre, la folla
cresce di minuto in minuto. La manifestazione nazionale antirazzista e'
stata indetta da 26 sigle tra associazioni, sindacati, movimenti, centri
sociali, ma anche dall'Alto commissariato per i rifugiati. In prima fila
c'e' il vescovo di Capua Bruno Schettini, al suo fianco lo striscione di
apertura della manifestazione: "La primavera antirazzista comincia". Un
gruppo con le magliette arancioni spicca tra la folla e porta stampata una
strana operazione matematica: 5+2=5000. "Significa che Gesu' con cinque
pesci e due pani ha sfamato cinquemila persone". Pito viene dall'arcidiocesi
di Lodi ed e' qui con un progetto ambizioso di scambio culturale promosso
dalla Caritas, in cui 50 famiglie di immigrati vengono ospitati per un
periodo di vacanza dagli italiani e viceversa. "Noi siamo stati a
Castelvolturno il mese scorso e abbiamo vissuto con una famiglia per una
settimana - continua -, oggi siamo tornati perche' era importante sfilare al
loro fianco". Piu' indietro c'e' padre Alex Zanotelli, attorniato dai suoi,
nel serpentone che si snoda sulla domiziana cammina a passo svelto anche
l'assessore provinciale napoletano all'immigrazione Isadora d'Aimmo, si
confondono i parlamentari del Pd Rosa Suppa, Pina Picerno e Andrea Sarrubbi,
il neocommissario del Prc in Campania Giusto Catania, il direttore del
Consiglio italiano per i rifugiati Christopher Hein, il sindaco di
Castelvolturno Francesco Nuzzo. Ma questo corteo e' soprattutto per loro, i
migranti che chiedono un permesso di soggiorno, una casa, dignita' e
diritti.
"A questa manifestazione hanno aderito e sono presenti diversi
rappresentanti istituzionali - incalzano dai centri sociali -. Noi chiediamo
loro di prendere posizioni concrete, in primo luogo per una delibera del
Consiglio regionale contro il Cie che il ministero avrebbe intenzione di
aprire in Campania, quindi di adoperarsi nei confronti della Commissione
territoriale asilo che sta avendo un comportamento estremamente chiuso verso
le migliaia di richiedenti, infine di impegnarsi in un calendario reale per
metter su strutture di vera accoglienza, visto che in termini di rapporto
tra presenza di immigrati e strutture di accoglienza restiamo agli ultimi
posti in Italia". Zaccaria guarda con occhi lucidi l'attivista del centro
sociale, viene dal Bangladesh, non parla bene l'italiano ma comprende che
quelle persone sono li' per aiutare lui e tutti quelli che si trovano nelle
sue condizioni: "Vivo da un anno a Grumo Nevano - racconta in inglese -,
cambio spesso lavoro, ora sono in una fabbrica, cucio vestiti, ma sono a
nero. Non ho il permesso di soggiorno e non posso far venire in Italia mia
moglie e mia figlia di 6 anni, mi chiedo il motivo visto che vado tutti i
giorni a lavorare". Sono tante le storie, tutte simili, di chi nel nostro
paese si spacca la schiena ma non puo' vivere da cittadino. Oggi l'hanno
detto a voce alta con una bella manifestazione, il prossimo appuntamento e'
la mobilitazione promossa da "Da che parte stare", a Milano il 23 maggio in
casa della Lega Nord.

3. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO

Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo
particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il
sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili
informazioni e proposte.

4. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

5. LIBRI. CLAUDIO MARAZZINI PRESENTA LE "PROSE DELLA VOLGAR LINGUA" DI
PIETRO BEMBO
[Dal mensile "Letture", n. 583, gennaio 2002, col titolo "Leggi il Bembo e
impara la grammatica" e il sommario "Nell'editio princeps delle Prose della
volgar lingua del 1525 abbiamo, in ordine cronologico, la terza grammatica
italiana. In realta' pero' quel testo e' il primo in ordine di importanza,
cosa di cui l'autore era ben conscio"]

Se mi si chiedesse quali sono i libri piu' importanti per la lingua
italiana, non esiterei a rispondere citando due titoli, il De vulgari
eloquentia di Dante e le Prose della volgar lingua di Bembo. Se
continuassimo in questo gioco, elencando altre grandi opere della
"biblioteca dell'italiano", allora menzionerei alla rinfusa il Vocabolario
della Crusca, l'Hercolano di Varchi, gli scritti di Manzoni, il Proemio di
Ascoli, il Saggio sulla filosofia delle lingue di Cesarotti e magari la
prima grammatica in assoluto dell'italiano, scritta da un artista quale
l'Alberti, o la prima grammatica a stampa, di Giovanni Francesco Fortunio.
Sono certo che molti lettori si saranno trovati poco a loro agio: avranno
riconosciuto alcune delle opere elencate, ma di fronte ad altre saranno
rimasti sconcertati, come alla presenza di erudizione peregrina. La scarsa
cura con cui si impartisce la formazione storico-linguistica fa si' che
molti laureati in lettere ignorino tutto o quasi della storia del nostro
idioma, pronti magari a bere la favola che l'italiano si sia imposto con
violenza sui dialetti, o sia il frutto del colonialismo di chissa' quale
potere statale.
Lasciamo da parte queste lamentele, per prendere atto della pubblicazione di
due strumenti utilissimi per la miglior conoscenza di uno degli autori
citati, il cinquecentesco cardinale Pietro Bembo, artefice delle Prose della
volgar lingua. Questi strumenti sono: a) l'edizione critica dell'editio
princeps delle Prose medesime (ed. 1525); b) gli atti di un magnifico
convegno, tutto dedicato alle Prose, svoltosi il 4-7 ottobre 2000, promosso
dalla professoressa Silvia Morgana. Come si vede, si tratta di due strumenti
altamente specialistici. Prima di parlarne, dunque, richiamero' alcune
nozioni elementari relative al Bembo e alle sue Prose della volgar lingua.
Le Prose della volgar lingua sono importanti perche' rappresentano il primo
tentativo pienamente riuscito di stabilire le norme dell'italiano,
definendone in maniera precisa le regole grammaticali, sulla base di una
teoria complessa e completa, esposta dall'autore in un dialogo, come si
usava fare nel Cinquecento.
*
I tre libri originali
Nel 1525 Bembo pubblico' dunque la prima edizione del suo capolavoro,
composto di tre libri: i primi due erano destinati a trattare questioni
teoriche (l'origine del volgare, quale fosse il miglior volgare, quale
giudizio si dovesse dare delle altre teorie linguistiche, perche' si dovesse
scegliere il volgare anziche' il latino ecc.), il terzo era destinato a
contenere una vera e propria grammatica, pur diversa da quelle a cui la
scuola ci ha abituati. Infatti anche questa parte, piu' tecnica, era svolta
nella forma dialogica: dunque una grammatica senza schemi, senza tabelle,
raccontata attraverso il botta e risposta tra gli amabili e coltissimi
partecipanti alla bella conversazione.
Era questa la prima grammatica italiana? No. Prima di essa ce ne sono altre
due, una attribuita a Leon Battista Alberti, rimasta manoscritta; l'altra,
pubblicata da un letterato molto meno famoso di Bembo, ma anch'egli
proveniente dal nord-est, il Fortunio, il quale nel 1516 aveva dato alle
stampe ad Ancona (dove svolgeva la funzione di podesta') le Regole
grammaticali della volgar lingua. Quella di Bembo fu dunque la terza
grammatica italiana, in ordine cronologico; ma fu la prima per importanza,
cosa di cui l'autore era ben conscio. Essa sancisce il trionfo di una teoria
che si usa definire "toscanista arcaicizzante", perche' prende a modello,
per fissare la norma, i grandi autori toscani del Trecento. Si tratta di una
teoria linguistica intrisa di classicismo, maturata attraverso un'analoga
elaborazione relativa alla lingua latina, una teoria destinata a far
giustizia della varieta' scrittoria che aveva caratterizzato il
Quattrocento, quando erano vitali i latinismi spinti e quando affioravano
frequenti localismi. La grammatica di Bembo significa ordine, regola,
eliminazione di plebeismi, eliminazione di latinismi lessicali, ma costrutto
sintattico latineggiante. Dopo Bembo l'italiano fu diverso, piu' stabile,
meglio regolato, piu' elegante. Oltre al resto, Bembo introdusse nella
nostra lingua l'apostrofo, traendolo dal greco.
*
Il lavoro di Carlo Dionisotti
Dopo l'edizione delle Prose del 1525, l'autore ne curo' una seconda, nel
1538, sempre a Venezia, presso il tipografo Marcolini. In seguito preparo'
una nuova edizione, ma mori' prima di portarla a termine. Essa usci'
postuma, nel 1549, non piu' a Venezia ma a Firenze, curata da Benedetto
Varchi, un fiorentino la cui opera e' stata molto importante per i destini
dell'italiano. L'edizione delle Prose che siamo soliti leggere, a cura di
Carlo Dionisotti, e' appunto questa del 1549, considerata (non a torto)
espressione dell'ultima volonta' dell'autore.
Ora, come ho detto in apertura, e' stata pubblicata l'edizione critica non
dell'edizione del 1549, ma dell'edizione del 1525, la princeps.
Nell'apparato di questa edizione critica si trovano le varianti che
permettono di seguire passo passo l'evoluzione dal manoscritto Vaticano
latino 3210, autografo. Vediamo dunque come Bembo arrivo' alla prima stampa,
attraverso le modifiche, le correzioni e i pentimenti presenti nello stesso
manoscritto vaticano, e attraverso le sue differenze rispetto alla princeps.
Si tratta percio' di un'edizione "genetica", nel senso che attraverso di
essa si assiste alla "genesi" di questo capolavoro.
Non vi nascondo che si tratta di un'edizione raffinatissima ma difficile da
usare. Alle pp. CII-CV il benemerito curatore, Claudio Vela, ha pensato bene
di introdurre persino un piccolo corso che insegna a usare l'apparato
critico: l'autore aveva il sospetto che anche lo specialista avrebbe finito
per trovarsi in difficolta'. Il libro e' infine dotato di un prezioso
segnalibro in cartoncino. Guai se lo si perde! In esso sono riprodotti tutti
i segni speciali usati dall'editore, segni il cui significato non e' certo
intuibile con facilita' senza la chiave apposita.
Per quanto macchinosa, questa edizione critica mi sembra di grande utilita'
e di notevole rilievo, in considerazione dell'importanza dell'opera. Certo,
se ci si mettesse a produrre edizioni critiche cosi' complesse per libri di
minor peso, sarei tentato di reagire con un moto di stizza; ma trattandosi
di Bembo, sia benvenuta anche la complessita'...

6. LIBRI. GIOVANNA PROVIDENTI PRESENTA DUE LIBRI DI AMINATA TRAORE' E RITA
EL KHAYAT
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Non piu' schiave,
non piu' 'senza storia'" e il sommario "L'Africa dei Nip (Non Important
Person) e non quella dei dittatori alleati coi colonizzatori e' un
continente in trasformazione e graduale liberazione. Un focus attraverso i
libri di Aminata Traore' e Rita El Khayat"]

All'indomani del discorso inaugurale del presidente degli Stati Uniti
d'America, che si pone con "umilta'" di fronte alla "nuova era di
responsabilita'", ad un mondo in crisi e bisognoso di speranza piu' che di
paura, di alleanze piu' che di missili e carri armati, viene voglia di aver
fiducia che il mondo davvero stia cambiando. Di fronte a un presidente
americano che nomina le proprie origini africane, "il piccolo villaggio dove
e' nato mio padre", e non dimentica di rivolgersi anche agli abitanti di
questo continente espropriato, brutalizzato e schiavizzato, viene voglia di
lasciarsi alle spalle il discorso tenuto dal presidente francese Nicolas
Sarkozy nel luglio 2007 a Dakar, capitale del Senegal, quando, molto lontano
dall'umilta' e responsabilita' evocate da Obama, dichiarava che il problema
degli africani e' dovuto al loro "non essere entrati abbastanza nella
storia".
Il rapporto tra l'Africa e la sua storia, che Sarkozy non riesce a vedere,
viene ben chiarito da due recenti libri, entrambi pubblicati dall'editore
Avagliano e scritti da donne africane. Il primo di Aminata Traore', ex
ministra della cultura in Mali ed esponente di spicco del movimento
altromondista, si intitola L'Africa umiliata. Il secondo e' una "Lettera
aperta all'Occidente" dall'antropologa, psichiatra e scrittrice Rita El
Khayat, recentemente candidata al premio Nobel per la pace. Mi sono
ritrovata a leggerli mentre viaggiavo per il Senegal, che ho potuto
visitare, grazie a loro, con meno pregiudizi "occidentali" e uno sguardo
piu' lucido.
A Dakar la cosa piu' visibile non e' la poverta', semmai le molte strade,
ponti e case in costruzione. Soprattutto si nota la presenza di molte
bambine e bambini e una popolazione davvero giovane. Osservando le persone
piu' che la miseria e' la loro dignita' a colpire. Le donne sono tutte ben
vestite e pettinate, ovunque, anche al mercato, e camminano dritte e fiere,
sempre: anche portando un bambino sulle spalle, avvolto in un fazzoletto ben
legato al petto e perfettamente abbinato ai colori del vestito. Tutte le
donne africane che ho avuto modo di conoscere e intervistare, tra cui la
stessa Rita El Khayat, mi hanno trasmesso la grande forza della loro
dignita' ed anche una certa orgogliosa liberta' di pensiero, che contrasta
sia con l'immagine di vittime e oppresse diffusa da noi, sia con la storia
di secolare dominazione delle popolazioni africane. Viene da pensare, anche
alla luce dei recenti eventi americani, che e' alle porte una nuova era in
cui i rapporti attuali tra dominatori e dominati muteranno in una direzione
imprevedibile, a cui forse non siamo pronti.
L'Africa e' il continente da cui per quasi cinque secoli milioni di esseri
umani sono stati "tratti" a forza da un continente all'altro per essere
schiavizzati ed e' il continente da cui, oggi, partono la maggioranza di
migranti che le nuove leggi europee contro l'immigrazione tendono a impedire
di partire, a selezionare, ad espellere. Anche gli schiavi venivano
selezionati, e, tra chi partiva, molti morivano prima di arrivare, come oggi
succede nel canale di Sicilia o nelle carceri libiche o in insalubri
container o, gia' arrivati, perseguitati dal razzismo.
"Non dovrebbe essere possibile - scrive Aminata Traore' - al termine di una
storia cosi' lunga di violenze, certo, ma anche di incontri veri e di
mescolanze, essere maliani, senegalesi o camerunensi e passeggiare per le
strade di Parigi, Londra, Bruxelles, senza dover giustificare la propria
presenza e la propria differenza? L'Occidente si rifiuta di ammettere che e'
andato alla conquista del mondo e degli altri, e che nessuno esce indenne
dall'esperienza dell'incontro, anche se si e' nella posizione del dominante.
Il colonizzatore ha voluto un'Africa francese ed eccolo con una Francia
africana come componente di un'identita' plurale".
Gli schiavi africani non sono stati resi tali solo dai colonizzatori
portoghesi, inglesi, francesi e americani: ancora prima di loro gli arabi
traevano grandi profitti dal mercato degli schiavi che provenivano sia
dall'Africa nera che dall'Europa, come informa Rita El Khayat, aggiungendo:
"le ospiti degli harem non erano che schiave: le nere, considerate come
riscaldaossa per i vecchi, le circasse, molto ricercate per la loro
bellezza, e per essere bianche e bionde, le caucasiche, berbere, slave,
turche e bianche di tutta Europa, a seconda delle tratte... Una delle grandi
particolarita' della schiavitu' arabo-islamica e' la mutilazione sessuale
quasi sistematica degli schiavi maschi, gli eunuchi, e l'abitudine di usare
le schiave femmine come oggetto sessuale. Conseguenza di queste pratiche fu
che le popolazioni deportate si estinsero". Invece i discendenti dei
deportati nel continente americano sono sopravvissuti ai molti cambiamenti
storici e dopo un lungo e accidentato cammino si sentono oggi ben
rappresentati da una di loro: Michelle Obama, la first lady della nazione
piu' potente del mondo.
Un'altra conseguenza della cultura della schiavitu' e' la giustificazione
della repressione delle donne, non legata a motivi religiosi ne' culturali,
ma strumentali. In questa luce anche il tema della mutilazione genitale e
della repressione misogina si svincola dal suo rapporto causale con la
religione islamica e assume una dimensione storica e politica. Non a caso in
paesi a maggioranza islamica ma laici e democratici, come il Senegal e il
Marocco, vige la parita' di genere e la mutilazione genitale e' vietata per
legge.
La storia dell'Africa, che Sarkosky non riesce a vedere, e' la storia della
graduale e difficile liberazione dalle varie forme di schiavitu' di popoli
diversi tra loro, che oggi fanno fatica a perseguire l'idea di "sviluppo"
imposta dalla globalizzazione senza ritrovarsi, ancora una volta, a perdere
qualcosa che abbia a che fare con l'autonomia e ricchezza propri di questo
continente. Lo sviluppo non risolve il disfacimento dovuto a secoli di
colonialismo, che sostituendo le originarie colture di sussistenza con
coltivazioni industriali ha impoverito il terreno e, imponendo la propria
lingua e cultura, ha trasformato il rapporto tra la persona africana e la
sua terra, il modo di regolarsi nel tempo, di interpretare i segni della
natura. Ne ha modificato, forse impoverito, non annullato, la storia, che ha
bisogno di essere recuperata in maniera autonoma dagli africani stessi.
Anche se la carenza di risorse alimentari, di acqua e di beni materiali e'
davvero tanta l'uomo e la donna africani non e' di "aiuti" che hanno
bisogno, ma di potere liberamente sia circolare sia produrre sulla base dei
bisogni interni e non delle esportazioni verso l'estero. Le regole dello
sviluppo industriale e della globalizzazione non possono piu' condizionarne
l'economia.
Non c'e' nessun motivo per ritenere che la "ricchezza" occidentale,
responsabile della grave crisi economica internazionale, sia migliore di
quella africana. Chi sta meglio? Chi ha denaro o chi ha la capacita' di
affrontare la vita con "spirito tenace"? Per usare ancora le parole di
Obama, che ha detto anche: "sono stati coloro che hanno saputo osare, che
hanno agito, coloro che hanno creato cose, alcuni celebrati, ma piu' spesso
uomini e donne rimasti oscuri nel loro lavoro, che hanno portato avanti il
lungo, accidentato cammino verso la prosperita' e la liberta'. Per noi hanno
messo in valigia quel poco che possedevano e hanno attraversato gli oceani
in cerca di una nuova vita".
Obama non ha dimenticato di rivolgersi alla "gente delle nazioni povere",
dopo avere affermato che chi arriva al potere attraverso la corruzione e la
disonesta' sta "dalla parte sbagliata della Storia.... perche' il mondo e'
cambiato e noi dobbiamo cambiare con esso".
Sia gli africani e le africane che scelgono di restare che quelli che
partono, affrontando molti "accidenti" per mare e per terra, mostrano di
possedere spirito tenace e capacita' di camminare lungo difficili percorsi.
Alla faccia di leggi che volendo limitare la circolazione di persone libere
si illudono di determinare la Storia: di attribuirla a una parte del mondo e
negarla all'altra. Nel grosso cambiamento in atto, l'Africa, non quella dei
dittatori alleati coi colonizzatori, ma quella dei Nip (Non Important
Person) a cui Rita El Khayat dedica il suo libro, i poveri, le donne e tutti
coloro "rimasti oscuri nel loro lavoro", hanno una parte importante,
imprevedibile. Speriamo che da loro possa arrivare un significato della vita
umana piu' dignitoso e piu' lento.
Il senso della lentezza e' il dono piu' bello che mi sono portata
dall'Africa.
Il tempo africano e' senza fretta, senza ansia, talmente tanto da apparire a
un uomo come Sarkozy "senza storia". Ma forse il segreto e' nel fatto che,
mentre gli europei possiedono molti strumenti per misurarlo, gli africani
hanno, invece, tutto... il tempo!

7. LIBRI. ENRICO PUGLIESE PRESENTA "MANNAGGIA LA MISERIA" DI ANSELMO BOTTO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 aprile 2009 col titolo "Pomodori e
Skype" e il sommario "Un'inchiesta sociale sugli immigrati di San Nicola
Varco, Piana del Sele. Sfruttati e allo stesso tempo ultramoderni"]

Il libro di Anselmo Botte, Mannaggia la miseria (Eddiesse 2009) racconta con
la voce dei protagonisti la vita dei braccianti agricoli in un'area del
Mezzogiorno d'Italia. Si tratta della frazione di San Nicola Varco nel
comune di Eboli (Salerno), dove e' nato un ghetto particolare abitato
soprattutto da lavoratori marocchini insediati nelle strutture di un grande
mercato ortofrutticolo, costruito e mai utilizzato per la sua funzione, dove
essi vivono in condizioni che e' facile immaginare data la miseria dei loro
salari dovuta al supersfruttamento da parte dei padroni e dei caporali.
"Mannaggia la miseria, con l'accento sulla seconda i, e' un'imprecazione
ricorrente tra gli immigrati marocchini che vivono nel ghetto di San Nicola
Varco. In quel mercato non si comprano ne' si vendono i prodotti della
terra. C'e' altra merce. Ci sono braccia, tante braccia". Cosi' si legge
nella presentazione del volume.
L'io narrante nella prima parte del libro e' un bracciante marocchino,
Bouchaib Hassan, che parla della vita quotidiana a San Nicola Varco
attraverso una sorta di diario. Si comincia con la descrizione della
giornata di lavoro durissima per il sole cocente che fa venire il mal di
testa e, insieme alla fame e alla stanchezza, annebbia la vista. C'e'
l'analisi del modo in cui funziona il mercato del lavoro nella Piana del
Sele con il mercato delle braccia. C'e' la descrizione dettagliata dei
salari e del taglieggiamento operato su di essi dal caporale che, nel caso
specifico, e' anch'egli marocchino. Con lui devi contrattare - giacche' i
lavoratori contrattano sempre anche nelle situazioni piu' difficili - ma te
lo devi anche tenere buono. Merita disprezzo ma anche lui e' visto come un
essere umano. L'io narrante afferma "odio tutti i caporali, anche quelli dei
quali si racconta che sono buoni o comunque meglio degli altri. Non solo
perche' ci sfruttano, ci fanno buttare il sangue, non ci pagano quanto e
quando dovrebbero, ma perche', in questo modo, hanno tradito la nostra
storia, la nostra cultura, la nostra natura. Badano ormai solo ai soldi, ad
arricchirsi". E aggiunge: "E' difficile comprendere che tutto questo e'
opera di un tuo fratello che ha perfino le tue stesse origini. I nostri
sguardi non si incrociano mai, quando cerchi i loro occhi per scrutare e
vedere in fondo alla loro anima, senti che si sottraggono. Non riescono a
mascherare ne' a giustificare la scelta di snaturarsi per i soldi a scapito
nostro". Dunque si guadagna troppo poco sia per i salari infimi che per il
numero limitato di giornate di lavoro che si riesca a realizzare nel corso
del mese. Eppure il magro guadagno realizzato permette una sopravvivenza che
altrove (magari con salari piu' alti) non sarebbe garantita per chi si trova
in condizione di irregolarita' (come si trovano appunto i braccianti di San
Nicola). E cosi' il loro numero nel ghetto aumenta.
Gia', il ghetto. E' inutile dire come deplorevoli siano le condizioni
abitative e igieniche. Manca tutto e questo lo sanno e lo dicono tutti. Il
libro invece e' interessante perche' mostra come i lavoratori rendono piu'
umano e civile l'ambiente nel quale sono costretti a vivere. Nello
stabilimento-ghetto non c'e' l'acqua. Ma i braccianti provvedono, attraverso
un'implicita organizzazione solidale, a riempire i bidoni ogni volta che ne
fanno uso, andandola a prendere alla fonte, magari in bicicletta. Alla fine
del libro Botte fornisce informazioni sulla struttura, la vita e
l'organizzazione del ghetto attraverso l'analisi effettuata in tutto
silenzio da uno dei suoi abitanti, Toufik Brimila, il quale, arrivato a San
Nicola Varco nel 2002, se ne era andato dopo circa tre anni lasciando un
quadernone rilegato dove in prima pagina si poteva leggere a caratteri
cubitali: San Nicola Varco Eboli 2004. Nel quaderno e' innanzitutto
disegnata la pianta del ghetto: "Il campo e' diviso in otto settori, che
rispecchiano la sua conformazione strutturale". Segue l'elenco di tutta la
popolazione e la sua distribuzione nei singoli settori. Brimila, bracciante
precario, veniva da Setat e aveva interrotto gli studi universitari. Nessun
"mercante di carne" - topos classico dell'immaginario razzista e
progressista - lo aveva portato a San Nicola dal Marocco. Anzi: "Gli avevano
parlato di questo posto, glielo avevano descritto e lui sapeva a cosa andava
incontro". Semmai "quello che nessuno gli aveva fatto capire era lo
svolgimento e l'articolazione interna di quella vita, che aveva i tratti e
le caratteristiche di una originale comunita'". A partire dal contatto di
tutti con tutti. E questa dimensione umana del ghetto e' uno degli elementi
di forza del racconto.
Ma non e' l'unico aspetto interessante. C'e' una immagine sorprendente del
Mezzogiorno, dove ai margini dei campi di pomodoro si trovano gli
internet-point, dai quali i braccianti marocchini telefonano magari usando
Skype. Sentiamo a proposito Buchabib: "Sono approdato sano e salvo
all'internet-point, tiro un sospiro di sollievo. Il locale e' vicino alla
stazione dei carabinieri. Di fronte, separato solo dalla strada, si estende
per molti ettari un fondo dove spesso ho lavorato. E' piantato a pomodori,
ma quest'inverno c'era la scarola. Sul marciapiede, davanti all'ingresso, e'
stato sistemato un gazebo di plastica, sotto il quale ci sono una ventina di
marocchini seduti disordinatamente, su sedie di plastica. Guardando la tv
satellitare collegata ai programmi di Al Jazeera". Insomma un misto di
ultramodernita' e di primitivita' osservabile in molte parti del mondo.
Le inchieste sociali di questo tipo scarseggiano nel nostro paese. Comunque
grazie al "censimento generale di Brumila" (e al lavoro di Botte) sappiamo
come stanno le cose a San Nicola, a partire da quanti sono i braccianti nel
ghetto (piu' o meno 700) e dal fatto che questo enorme numero e' il
risultato di un continuo flusso in entrata significativo e di uno in uscita
piu' modesto. Essi aumentano perche' il lavoro c'e'. Il problema sono le
condizioni. Attraverso i racconti di Buchabib e di Mahfud Aziz (seconda voce
narrante), Botte ci fa conoscere un pezzo di nuova classe operaia
multinazionale presente nel nostro paese - vivace, intelligente, a volte
ironica - che mostra le sofferenze, ma anche le solidarieta' e le amicizie,
i legami con il paese di provenienza e la famiglia, le stesse lotte e
l'incontro con il sindacato.
*
Postilla
Il libro: Mannaggia la miseria e' il titolo del libro di Anselmo Botte
(edizioni Ediesse), che racconta la vita degli immigrati di San Nicola
Varco, Eboli. Una condizione, quella di stagionali di solito al nero nei
campi della Piana del Sele, che li accomuna a quelli di Rosarno, in
Calabria, e a quelli pugliesi (tutte raccontate dal "Manifesto" in diverse
occasioni).
L'autore: Anselmo Botte, 55 anni, e' membro della segreteria confederale
della Cgil di Salerno. Di origini potentine, un passato nella Flai e nel
dipartimento immigrati, ha seguito la vicenda degli immigrati di San Nicola
Varco dall'inizio e si e' battuto perche' le loro condizioni di vita fossero
rese piu' umane.
Gli immigrati di San Nicola: "Al km 79 della Strada Statale n. 18, nel cuore
della piana del Sele, poco distante da Eboli, in provincia di Salerno, c'e'
una localita' che si chiama San Nicola Varco". Questo l'incipit del libro. A
San Nicola Varco, in capannoni che avrebbero dovuto ospitare il mercato
ortofrutticolo voluto dalla Regione Campania, vivono da anni 700 immigrati,
ma il flusso in entrata e in uscita e' costante. Un pezzo d'Africa nel cuore
dell'Italia del sud.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 798 del 22 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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