Minime. 792



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 792 del 16 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Mutande rosa
2. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto
3. Una strage dopo l'altra
4. Annamaria Rivera: La costruzione delle emergenze e il lessico della forca
5. Alessandro Braga: A Conegliano
6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
7. Libri
8. Silvia Calamandrei presenta "Au zenith" di Duong Thu Huong
9. Marco Dotti presenta "Ecolalie" di Daniel Heller-Roazen
10. Emilio Franzina presenta "Lavoro in movimento" di Michele Colucci
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: MUTANDE ROSA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

Negli ultimi tre mesi, un gruppo politico che si fa chiamare Sri Ram Sene
(l'Esercito del Signore Ram) ha deciso di moralizzare l'India. Questo grande
e nobile compito viene perseguito aggredendo le donne che frequentano locali
pubblici e che indossano jeans, e le coppie di innamorati che festeggiano S.
Valentino (una "minaccia alla cultura indiana"). Dopo l'ultimo incidente
accaduto a Mangalore, dove una ragazza e' stata schiaffeggiata e insultata
su un autobus perche' parlava con un coetaneo musulmano, le attiviste
indiane hanno lanciato la campagna "Pink Chaddi" (chaddi significa
"biancheria intima" in Hindi). Stanno spedendo da tutto il paese, alla sede
ufficiale dello Sri Ram Sene, mutande rosa da donna. Fino ad ora, 59.000
persone hanno raccolto l'invito.
"Abbiamo usato tutto quel che abbiamo per condannare le aggressioni", spiega
Annie Zaidi, giornalista e membro del Blank Noise Project, un gruppo che
contrasta la violenza contro le donne negli spazi pubblici, "Su internet la
notizia della nostra campagna si e' propagata in modo velocissimo. La chiave
e' lavorare su un'azione o un gesto che sia semplice, fattibile, e abbia
valore simbolico. Gli uomini di questo esercito 'moralizzatore' hanno
bisogno di provare vergogna e di chiedere scusa. Vogliamo mostrargli che il
resto del paese ride di loro, invece di sostenerli o di averne paura". Annie
ha aggiunto che le attiviste sono ben consce del pericolo di una
"talebanizzazione dell'India": "La minaccia e' reale per molte donne,
soprattutto per quelle che vivono nelle zone rurali o nelle piccole citta'.
Il governo ha praticamente ignorato la questione, ma cosa succederebbe se
domani lo Sri Ram Sene decidesse che l'istruzione non e' necessaria per le
donne, o non e' 'cultura indiana'? Chi ha il diritto di decidere per tutti
cos'e' 'indiano' e cosa no?".
Nisha Susan, altra fondatrice della campagna "Pink Chaddi", conclude: "Ci
opporremo a chiunque metta in questione i diritti umani fondamentali. E per
quel che mi riguarda, la nostra cultura indiana e' infusa da idee di
rispetto e tolleranza".

2. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO

Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo
particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il
sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili
informazioni e proposte.

3. AFGHANISTAN. UNA STRAGE DOPO L'ALTRA

Dall'Afghanistan continuano a giungere notizie di stragi di civili compiute
dai bombardamenti della coalizione militare internazionale di cui l'Italia
fa parte.
Una guerra terrorista e stragista.
Una guerra cui l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e
della legalita' costituzionale.
Un orrore infinito.
*
Cessino le stragi. Cessi la guerra.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

4. UNA SOLA UMANITA'. ANNAMARIA RIVERA: LA COSTRUZIONE DELLE EMERGENZE E IL
LESSICO DELLA FORCA
[Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per
averci messo a disposizione il seguente stralcio dal suo libro di prossima
pubblicazione Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Dedalo, Bari, che
uscira' nel giugno 2009; stralcio apparso sul settimanale "Carta" di questa
settimana monografico sulla solidarieta' con i migranti]

La tendenza a subordinare il dibattito pubblico, anche politico, ai fatti di
cronaca -selezionati, gerarchizzati, drammatizzati - ed a costruire
artificiosamente emergenze per conquistare il consenso popolare non e' un
fenomeno che riguarda solo l'Italia ne' solo il tempo presente. In Francia,
Gerard Noiriel lo fa risalire alla III Repubblica, alle riforme democratiche
adottate dai suoi fondatori, alla conseguente ristrutturazione dello spazio
pubblico, che esige il coinvolgimento dei cittadini, soprattutto in quanto
elettori. Da quel momento (...) una figura centrale della cronaca diventa lo
straniero, messo in scena sempre in situazioni negative. L'osservazione
dello studioso francese e' generalizzabile a tal punto che si potrebbe dire
che la propaganda sicuritaria - o razzista, per chiamarla con l'aggettivo
piu' appropriato - e' una sorta di patologia della democrazia
rappresentativa, che tocca il culmine con la mediatizzazione dello spazio
pubblico. Si puo' aggiungere che in Italia il sistema mediatico oggi si
configura ormai come un nuovo sistema istituzionale informale, che ingloba
la politica nello spettacolo (...); parte del quale e' la manipolazione di
fatti di cronaca ai quali ancorare le campagne allarmistiche e la propaganda
razzista.
Il loro dispositivo principale e' l'uso articolato di due espedienti
retorici che hanno facile presa: la drammatizzazione e la reiterazione
ossessiva di uno stesso genere di fatti e personaggi, a partire da un primo
evento-matrice considerato d'impatto, cioe' capace di colpire l'opinione
pubblica in quanto legato ad ansie e preoccupazioni sociali. In tal modo e'
il genere stesso che viene costruito, selezionando dalla cronaca e
deformando accadimenti, anche minori o minimi, che possano presentarsi come
una catena di fatti analoghi, dunque come un fenomeno, una piaga,
un'emergenza: in Italia, si va da crimini gravi come l'omicidio e lo stupro
a fatti meno gravi come gli incidenti stradali, dagli arrivi "irregolari" di
migranti e profughi fino a comportamenti sociali non conformi come la
mendicita' o i mestieri di strada, tutti aventi come "colpevoli" figure
variabili di "estranei". In tal modo si induce nel pubblico l'idea che si
sia in presenza di un'emergenza che minaccia la nostra sicurezza.
Il carattere martellante della propaganda sicuritaria o razzista finisce per
condizionare non solo l'opinione pubblica, ma anche le istituzioni piu'
varie e lo stesso potere giudiziario, con effetti quale lo stravolgimento
del sistema dei delitti e delle pene, in particolare per cio' che riguarda
il principio della proporzionalita' fra reati e sanzioni e dell'indifferenza
verso le categorie sociali cui appartengono i colpevoli presunti. Anche la
giustizia, infatti, sembra essere talvolta condizionata dalle tendenze
umorali che percorrono la societa' e quindi dall'inclinazione a compiacerle
per non rischiare la perdita di popolarita' o di consenso. Cosi' puo'
accadere che i responsabili di eguali comportamenti criminosi come, per
esempio, eccesso di difesa o incidenti stradali con esiti mortali siano
condannati per omicidio volontario aggravato se stranieri, per omicidio
colposo, con attenuanti, se italiani. Per non parlare della gogna mediatica
inflitta abitualmente ai migranti e ai rom, per i quali sembra non valgano
il principio della presunzione d'innocenza e il diritto alla tutela della
propria immagine: allorche' sono fermati, indagati o arrestati, se ne
divulgano la nazionalita', i nomi e le sembianze o addirittura, come e'
accaduto, la registrazione audiovisiva di interrogatori cruciali, che dunque
resteranno in eterno nel web, anche dopo che l'innocenza del "mostro" sara'
stata provata (...).
Solitamente i mass media si attribuiscono il compito di indurre,
interpretare e legittimare i sentimenti collettivi, in genere i piu'
ignobili; la politica, istituzionale e non, demagogicamente adatta il
proprio discorso e operato all'opinione pubblica interpretata dai mass
media; nell'opinione pubblica, a sua volta influenzata e in qualche misura
modellata in peggio dagli uni e dall'altra, si accentuano gli orientamenti
intolleranti e sicuritari e le richieste di ordine, che talvolta sfociano in
aggressioni e spedizioni punitive contro lavoratori immigrati e rom.
Corollario - e nel contempo agente - di questo processo d'imbarbarimento e'
il progressivo scadimento del linguaggio pubblico, ormai privo di freni
inibitori (...). Non vi e' solo il consueto e grossolano fraseggio leghista
o quello da avanspettacolo di alte cariche governative, ne' solo il lessico
usuale del disprezzo che nomina il migrante con appellativi stigmatizzanti,
inferiorizzanti e deumanizzanti ("clandestino", "extracomunitario"...). Si
tratta di una tendenza che investe sempre di piu' gli esponenti di
istituzioni, nazionali e locali, e i mezzi d'informazione, anche i meno
sguaiati: termini come "piaga", per nominare le false emergenze, costruite
di volta in volta dalle campagne politico-mediatiche (la "piaga" dei
clandestini, dei pirati della strada stranieri, dei lavavetri, degli
stupratori...); parole come "caccia", per definire le operazioni d'indagine
volte a individuare gli autori di un crimine, o "branco", per dire i
responsabili di un'aggressione di gruppo, sono ormai entrati nel lessico
giornalistico normale, perdendo la loro connotazione metaforica e
presentandosi come neutri.
Oltre a questo processo di neutralizzazione (...) di quel linguaggio
forcaiolo che predilige le metafore naturalistiche, si va affermando una
specie di gergo del senso comune razzista che si avvale di vocaboli
fortemente connotati ideologicamente, anch'essi impiegati come se fossero
neutri. Per tutti si puÚo' citare una parola-chiave della retorica
dell'intolleranza: "buonismo" (e "buonista"), neologismo con il quale si e'
soliti bollare le politiche inclusive ed egualitarie e i discorsi solidali e
umanitari nei confronti dei migranti e delle minoranze. E' un neologismo che
appartiene allo stesso genere di operazione che durante il fascismo
risemantizzo' il termine "pietista", gettato in faccia come un'accusa a
quegli italiani che, dopo l'approvazione delle leggi antiebraiche, cercarono
di difendere, proteggere, aiutare i loro concittadini ebrei. Del resto, non
ha una bella storia neppure il ricorso sempre piu' frequente all'eufemismo:
per esempio "sicurezza", usato per minimizzare la portata di norme
emergenziali, anticostituzionali o apertamente razziste quali i  vari
"pacchetti sicurezza", varati da governi di centrosinistra e di
centrodestra.

5. UNA SOLA UMANITA'. ALESSANDRO BRAGA: A CONEGLIANO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 aprile 2009 col titolo "Conegliano. Il
medico dell'ospedale ha denunciato l'immigrata" e il sottotitolo "Si fa
visitare in ospedale. Processata e espulsa"]

Nella specialissima gara alla delazione da parte dei medici, che la norma
contenuta nel pacchetto sicurezza attualmente all'esame del parlamento
vorrebbe istituzionalizzare, non poteva certo mancare il Veneto. Nella
fattispecie Treviso. Per essere ancora piu' precisi, Conegliano Veneto. La
terra d'origine del sindaco sceriffo per antonomasia, Giancarlo Gentilini,
mica poteva deludere il suo illustre compaesano... Allora, anche se un po'
in ritardo rispetto ad altre parti d'Italia piu' celeri nel recepire le
"belle novita'" legislative del governo, ecco apparire in classifica anche
il Veneto, con il suo caso. Quello di una ragazza nigeriana che, arrivata al
pronto soccorso per farsi curare, si e' vista recapitare una bella lettera
di espulsione dal territorio italiano.
La legge fortemente voluta dalla Lega Nord non e' ancora in vigore, ma le
sue prime vittime le ha gia' fatte. Prima e' arrivata Napoli, con la vicenda
di K., la giovane ivoriana denunciata mentre era all'ospedale
Fatebenefratelli del capoluogo campano per partorire. Poi, la "doppietta"
lombarda, Brescia e Pavia. Nella "Leonessa d'Italia" B., un ragazzo
senegalese di 32 anni, ha aspettato quattro giorni prima di andare
all'ospedale per un mal di denti che gli faceva patire le pene dell'inferno
per paura di essere espulso. Quando si e' convinto a farsi curare, una
zelante guardia giurata lo ha portato al commissariato. Si e' dovuto tenere
il mal di denti e, in aggiunta, si e' beccato un foglio di via. Nella patria
dei "bata lavar" (i tipici agnolotti in brodo dell'Oltrepo') C., ventunenne
boliviano, irregolare, ha passato dieci giorni con dolori lancinanti
all'addome prima che i suoi amici lo convincessero a farsi ricoverare in un
ospedale della citta' lombarda. E' gia' stato operato cinque volte ed e'
ancora in sala di rianimazione, gravissimo. Non si sa se sopravvivera'.
Fosse andato subito a farsi curare, se la sarebbe cavata con un'operazione
di routine e qualche giorno di degenza. A chiudere la lista degli episodi,
almeno per ora, Conegliano Veneto.
La ragazza, vent'anni, nigeriana, viveva un po' dove le capitava. Spesso nei
pressi della stazione della cittadina veneta. Se era fortunata, la ospitava
qualche amico. Qualche sera fa si e' sentita male mentre era a casa di
connazionali e ha pensato che, se fosse andata all'ospedale, l'avrebbero
curata. Del resto, per definizione un ospedale serve proprio a quello.
Allora, intorno all'una di notte, si e' recata al pronto soccorso
dell'ospedale Santa Maria dei Battuti di Conegliano. Visitata dal medico di
turno, la ragazza e' stata tenuta sotto osservazione per un paio d'ore. Per
tutto il tempo, alle pressanti richieste del personale ospedaliero, che
voleva sapere le sue generalita', ha risposto picche. E allora lo zelante
medico non ha trovato di meglio da fare che chiamare il 113, per avvisare
gli agenti che nell'unita' operativa era stata presa in carico una "paziente
ignota". Per giustificarsi, il dottore ha dichiarato che le generalita'
servivano per "fugare il rischio di eventuali problemi sanitari",
riscontrabili attraverso un controllo dei database in possesso
dell'ospedale. Il primario del pronto soccorso dell'ospedale ha
immediatamente preso le distanze dal collega: "Non ne sapevo nulla - ha
detto - approfondiro' il caso. Ma se e' vero che un collega del mio reparto
ha denunciato una paziente perche' 'clandestina', ha avuto un comportamento
scorretto, al di fuori delle regole che disciplinano il rapporto tra medici
e ammalati".
Trasportata al commissariato, la ragazza ha ceduto, e ha detto come si
chiamava. Cosi' i poliziotti hanno scoperto che la giovane aveva gia'
ricevuto un ordine di espulsione emesso dalla questura di Agrigento. Dopo
essersi sottoposta all'esame delle impronte digitali, la fanciulla ha dovuto
passare una notte al fresco. Il mattino successivo, il processo per
direttissima. A nulla sono servite le spiegazioni, tra le lacrime, della
giovane, che ha dichiarato davanti al giudice di essere scappata dalla
Nigeria per sfuggire alla morte. Al termine dell'udienza si e' ritrovata con
in mano un nuovo foglio di espulsione. Dovra' lasciare il territorio
italiano entro pochi giorni, senza accompagnamento.

6. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

7. IL DIZIONARIETTO DI GRACCO BABBEFFO. LIBRI

Dice chi se ne intende che in Italia si pubblicano 180 libri al giorno.
La quasi totalita' dei quali non e' altro che prova materiale del crimine
della distruzione delle foreste.
Scrivi di meno. Ascolta di piu'.

8. LIBRI. SILVIA CALAMANDREI PRESENTA "AU ZENITH" DI DUONG THU HUONG
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2009 col titolo "Un affresco
controverso sulla recente storia vietnamita" e il sommario "Casi. Uscito in
Francia Au zenith, di Duong Thu Huong]

Nella disillusione seguita al crollo del socialismo reale nelle sue varie
versioni, l'epopea vietnamita e' rimasta salda, nella sua versione "mitica"
che vede un piccolo popolo in lotta contro il gigante imperialista
americano. Ma a scuotere queste ultime certezze viene ora il nuovo romanzo
di Duong Thu Huong, scrittrice pluripremiata ed esule dal 2006 in Francia,
tradotta in Italia da Garzanti. Appena uscito per le edizioni Sabine
Wespieser, Au Zenith presenta un gruppo dirigente comunista che fa
prigioniero il suo stesso leader, "padre della patria", e - una volta preso
il potere nel Nord Vietnam - si trasforma in un regime autoritario e
corrotto, che si nutre della guerra come ragione della sua sopravvivenza.
L'autrice dichiara nella prefazione che tutto cio' che scrive si fonda su
storie vere, ma al tempo stesso mette in guardia ricordando che si tratta di
un romanzo, non di un'autobiografia, ne' di un assemblaggio di varie
biografie. C'e' pero' un personaggio di cui indica nome e cognome, alla cui
storia si e' ispirata, ed e' l'ex direttore del museo Ho Chi Minh, Vu Ki,
esemplare per dirittura morale; e' il modello per l'amico fedele del
Presidente, che cerca di proteggerlo nella tragedia personale.
Nel romanzo c'e' un Comitato centrale che, chiamato a votare sulla
possibilita' del Presidente di sposare la sua giovane compagna, gliela nega
quasi all'unanimita' (anche Giap non puo' sottrarsi e solo un membro si
astiene), e una polizia segreta che poi uccide la donna, mentre i figli del
Presidente vengono affidati a famiglie amiche per essere allevati
nell'anonimato: sposo della patria, il Presidente deve mantenere la sua
immagine ascetica per galvanizzare il paese. E c'e' un Presidente tenuto in
custodia sulle montagne, mentre ferve la guerra contro gli americani, che
osserva la vita del villaggio piu' prossimo e della sua gente minuta e si
intrattiene con le guardie del corpo e le monache del vicino tempio
buddista. Il suo grande vicino del Nord, il presidente Mao, lo visita in
sogno o nel dormiveglia, irridendolo e rimproverandogli di non riuscire ad
essere un imperatore spietato come lui, e di non avere saputo eliminare gli
avversari, che ora lo tengono in pugno. Sensibile e gentile, il Presidente
ricorda i suoi anni di formazione in Francia e le peregrinazioni nel mondo
inquadrato nell'Internazionale comunista, fino all'epopea eroica della
guerra antifrancese dei Vietminh, in cui i combattenti erano ancora uniti
dalle medesime speranze di riscatto. E' la vittoria a Dien Bienphu a
vanificare paradossalmente il sogno di liberazione, instaurando un regime
burocratico-militare corrotto che diviene una pedina nello scacchiere delle
grandi potenze e nello scontro tra i blocchi.
Il romanzo fiume - quasi ottocento pagine - si articola in quattro parti,
alternando alle vicende del Presidente esule in patria quelle del suo amico
piu' devoto, che ne ha adottato uno dei figli e resta nella cerchia del
potere osservandola criticamente, quelle del villaggio di montagna vicino
alla prigione del Presidente, e quelle del fratello della giovane promessa
sposa assassinata, che sogna di vendicarsi. Nella narrazione si avvicendano
cosi' l'eroe sconfitto, l'intellettuale critico, l'oppositore in cerca di
giustizia e il popolo minuto, in un affresco della storia del paese che
comprende lunghe descrizioni di paesaggi e di atmosfere e assume talvolta i
toni del feuilleton, sconfinando nel grottesco dei dialoghi immaginari con
Mao.
Quanto c'e' di verosimile? Duong Thu Huong sembra sapere di cosa parla. Nata
nel '47 nel Vietnam del Nord, la scrittrice ha avuto esperienza diretta
della guerra di resistenza antiamericana come membro di una troupe che si
esibiva al fronte per i soldati. Al termine del conflitto e dopo la
riunificazione del paese, Duong Thu Huong si e' iscritta al Partito
comunista e ha cominciato a scrivere, ma per le sue dure prese di posizione
nei confronti del governo, nel 1989 e' stata espulsa dal partito e le e'
stato negato il diritto di recarsi all'estero. E nonostante il suo primo
romanzo (Storia d'amore raccontata prima dell'alba) l'avesse gia' fatta
conoscere in patria e all'estero, nel '91 ha passato otto mesi in carcere e
le e' stato ritirato il passaporto. Da allora la scrittrice non ha piu'
potuto pubblicare in Vietnam, ma i suoi manoscritti, editi all'estero, sono
tornati a circolare clandestinamente anche all'interno del paese. In Italia,
dove nel 2005 ha ricevuto il premio Grinzane, sono stati tradotti per
Garzanti Oltre ogni illusione, Dalla terra di nessuno e La valle dei sette
innocenti.
Dal 2006 Duong Thu Huong vive a Parigi, dove a gennaio e' stato pubblicato
questo nuovo romanzo, che ha l'ambizione di offrire un affresco della storia
contemporanea del Vietnam articolato su una pluralita' di punti di vista. E
sebbene Au Zenith non abbia certo le qualita' di altri affreschi letterari
che mettono in scena protagonisti storici e personaggi di fantasia (non ci
si aspetti, insomma, un Vita e destino vietnamita) ne' la forza documentaria
di una ricostruzione d'epoca, il romanzo ha il pregio di sollevare alcuni
interrogativi sulle vicende di un paese che emerge ora all'attenzione degli
osservatori occidentali per la sua "modernizzazione" soft.

9. LIBRI. MARCO DOTTI PRESENTA "ECOLALIE" DI DANIEL HELLER-ROAZEN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2008, col titolo "Una amnesia
per dare rifugio a cio' che e' indimenticabile" e il sommario "Forse
qualcosa del balbettio neonatale rimane anche nel linguaggio dell'adulto? Se
cosi' fosse non potrebbe che presentarsi nella forma dell'eco: di una altra
lingua o di qualcosa di diverso dal linguaggio. Questa la tesi di Daniel
Heller-Roazen nel suo Ecolalie, per Quodlibet"]

In un certo senso, i bambini non perdono mai i suoni di cui dimenticano
l'articolazione. E questo nonostante smarriscano, nel corso del processo di
apprendimento che dall'inarticolato e dall'indistinto li conduce verso la
lingua specifica che sara' poi la loro lingua madre, tutte quelle capacita'
fonatorie che neppure il piu' dotato e abile fra i poliglotti adulti
potrebbe immaginarsi di emulare. Sulla questione aperta dalla cosiddetta
"lallazione infantile", Roman Jakobson ha scritto pagine fondamentali, in
particolare nel suo lavoro - redatto tra il 1939 e il '41, durante gli anni
d'esilio in Svezia e Novergia - dedicato al Linguaggio infantile, afasia e
leggi generali della struttura fonetica. Per lo studioso russo, un bambino
puo' facilmente accumulare un gran numero di articolazioni che non e'
possibile ritrovare in nessuna lingua particolare o addirittura in nessun
gruppo di lingue. Che si tratti di vocali complesse, di consonanti
arrotondate o sibilanti, di dittonghi o di quant'altro, una volta giunto a
quello che Jakobson propone di chiamare "apice del balbettio", al bambino
non si puo' porre alcun limite.
Le capacita' fonatorie di questo borbottio sono incomparabili e su un
terreno del genere gli infanti appaio capaci di tutto. Senza il minimo
sforzo, possono produrre un suono qualsiasi di una qualsiasi lingua del
consesso umano. Ma l'apprendimento di una lingua particolare che, a prima
vista, potrebbe sembrare facile e immediato, a uno sguardo piu' attento si
rivela uno scoglio arduo da superare. Soprattutto per le rinunce a cui il
bambino sara' costretto: "Come tutti gli osservatori riconoscono con grande
sorpresa", osservava ancora Jakobson, "nel passaggio dallo stadio
prelinguistico all'acquisizione delle prime parole, cioe' al primo stadio
propriamente linguistico, il bambino perde interamente la sua capacita' di
produrre suoni". A commento delle considerazioni di Jakobson, proprio in
apertura del suo Ecolalie. Saggio sull'oblio del linguaggio (pp. 258, euro
24), recentemente tradotto da Andrea Cavazzini per Quodlibet, il
comparatista Daniel Heller-Roazen nota come tra il balbettio dell'infante e
le prime parole di un bambino non vi sia pero' un "passaggio evidente"
quanto, almeno in apparenza, la prova di una cesura e una "interruzione
decisiva". Eppure e' proprio la constatazione quasi definitiva di tale
"interruzione" ad aprire, anziche' restringere il campo a una serie di
questioni e problemi di non poco conto. Questioni e problemi attorno ai
quali Heller-Roazen struttura i ventotto capitoletti di un libro che, grazie
a spunti linguistici e storico-culturali spesso imprevedibili e a una
scrittura raffinata e non gergale, spazia con abilita' ma senza superficiale
eclettismo e soprattutto senza annoiare, da Ovidio a Canetti, dalla teologia
islamica alla mistica ebraica, dalla psicoanalisi alla fonologia,
raccogliendosi attorno al problema, e al paradosso, di una amnesia che puo'
non solo "custodire l'indimenticabile", ma rappresentarne il rifugio piu'
sicuro, esattamente come avviene per gli attacchi epilettici responsabili
dei vuoti di memoria dell'Idiota.
Come e' possibile, si chiede Daniel Heller-Roazen, che il bambino resti a
tal punto affascinato dalla realta' di una sola ed esclusiva lingua madre da
abbandonare l'illimitato "regno che contiene le possibilita' di tutte le
altre"?
Due fatti sembrano a prima vista sorgere nella "voce svuotata di suoni" che
il bambino non sa piu' emettere: in parallelo alla scomparsa dell'infinita
congerie di suoni che l'infante riusciva a produrre "all'apice del
balbettio", infatti, emergono sia una lingua, sia un essere parlante. Forse,
si chiede ancora l'autore, la perdita di quell'illimitato armamentario
fonetico e' il pegno che il bambino deve pagare "per ottenere i documenti
che gli garantiscono piena cittadinanza nella comunita' di una singola
lingua". O forse - e questa e' la tesi forte del libro - qualcosa di quel
balbettio sottotraccia permane anche nei linguaggi dell'adulto? Se cosi'
fosse, questo frammento, questa permanenza non potrebbe che presentarsi
nella forma dell'eco, l'eco di un'altra lingua, o di qualcosa di "altro" dal
linguaggio: una "ecoloalia", appunto. Ecolalia che Daniel Heller-Roazen non
tarda a definire come "custode della memoria di quel balbettio indistinto e
immemoriale che, perdendosi, ha permesso a tutte le lingue di esistere". Nel
terzo capitolo del libro, Heller-Roazen fa appello al Compendium grammatices
linguae hebraeae di Baruch Spinoza per evidenziare l'assoluta e, anche in
questo caso, paradossale impronunciabilita' della lettera "aleph", che
dell'ecolalia cosi' come e' intesa nel libro sembra la pietra angolare. La
lettera non puo' essere pronunciata non per la sua complessita' bensi'
perche' troppo semplice e nessun uomo riuscirebbe ad articolarla, non
rappresentando in se' alcun suono. Per Spinoza, il carattere fonetico
dell'"aleph" non poteva essere "spiegato da nessuna altra lingua europea" e,
in qualche modo, si limiterebbe a ricordare "l'inizio del suono nella gola,
udibile quando essa si chiude".
Eppure, proprio la delucidazione offerta da Spinoza potrebbe nascondere una
certa verita' sulla natura della lettera che, osserva Heller-Roazen, e'
forse molto piu' modesta di quanto i grammatici non siano disposti a
credere. Se, da un lato, questo e' un caso di impronunciabilita' per
difetto, molto diverso quindi dall'eccesso di difficolta' che rappresentano
la dentale enfatica dell'arabo classico o la sibiliante liquida del ceco
(che lo stesso Jakobson confessava di non riuscire sempre a pronunciare),
dall'altro e' come se il suono stesso di "aleph" fosse stato dimenticato dal
popolo stesso che in origine la emetteva.
Al di la' delle dispute e delle ricostruzioni filologiche sulla sua
probabilissima derivazione dall'arabo "hamza", l'autore ricorda il fatto che
tra le numerose pronunce odierne dell'ebraico, nessuna assegna un suono
specifico alla lettera, ma tutte la considerano "alla stregua del supporto
silenzioso delle vocali che essa regge". Essa si trova, cosi', privata anche
del "non-suono, dell'interruzione nell'articolazione" che si ritiene
esprimesse in un passato mai ben definito. Ma non e' un caso che, a dispetto
della sua assoluta e radicale poverta' fonetica, questa lettera goda di un
posto di privilegio nella tradizione ebraica e i grammatici la considerino
la prima, fra le lettere dell'alfabeto, o il piu' antico fra tutti i segni.
Antico a tal punto che, in alcune letture, essa viene indicata come
precedente a tutto, persino alla Torah. Quasi il silenzio fosse "non solo il
segno, ma anche il motivo della sua distinzione", quasi Dio avesse inteso
manifestarsi agli uomini in una singola lettera di cui nessuno poteva
ricordare il suono, una lettera da sempre dimenticata.
Forse per questo, alla fine Heller-Roazen suggerisce che all'"aleph" competa
la dimensione del "luogo vuoto", della lettera muta capace di custodire
"l'oblio che inaugura ogni alfabeto". L'eco, in altri termini, della memoria
cancellata di quella babele infantile che nell'attimo in cui scompare, rende
possibile la presa di parola.

10. LIBRI. EMILIO FRANZINA PRESENTA "LAVORO IN MOVIMENTO" DI MICHELE COLUCCI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2008 col titolo "Migranti
italiani nel dopoguerra" e il sommario "Le politiche migratorie fra il '45 e
il '57 sono il tema del saggio di Michele Colucci Lavoro in movimento, per
Donzelli. Una indagine documentata e avvincente su uno dei fenomeni fondanti
della nostra societa'"]

Passata a lungo sotto silenzio anche da parte degli studi specialistici su
migrazioni e migranti, la ripresa a tratti tumultuosa, dopo la fine del
secondo conflitto mondiale, degli espatri dall'Italia per motivi economici e
di lavoro costituisce un capitolo affascinante e sin qui poco conosciuto
della nostra storia politica e sociale. Mentre imperversano i dibattiti
innescati dall'ansia securitaria che sembra pervadere l'opinione pubblica di
fronte all'arrivo di stranieri e d'immigranti percepiti tutti, in maniera
sommaria e sbagliata, come soggetti a rischio o, nella migliore delle
ipotesi, come pericolosi clandestini, e' andato pressoche' perduto il
ricordo dei caratteri assunti, subito dopo l'ultima guerra, dalle massicce
partenze, spontanee o pilotate, degli italiani per l'estero. In particolare,
si direbbe, per quelle parti del vecchio continente in cui l'opera di
ricostruzione postbellica scelse di avvalersi di lavoratori provenienti da
quasi ogni regione della penisola spesso varcando in modo palesemente
"illegale" i confini nazionali.
Se infatti le peripezie dei nostri emigranti della seconda meta' del '900 si
associano nella memoria collettiva alla disoccupazione dilagante sino alle
soglie del boom e - complici sciagure sul genere di Marcinelle o i grandi
numeri di alcuni esodi di massa - a destinazioni particolari come il Belgio
carbonifero e presto maggioritarie come, dalla fine degli anni '50, la
Germania federale (e industriale) di Bonn, una sorta di rimozione avvolge le
vicende di quella manodopera a basso costo che ebbe inizialmente per meta la
Francia e la Svizzera, ma persino la Cecoslovacchia e la stessa Gran
Bretagna.
Gia' buon conoscitore delle esperienze fatte proprio nel Regno Unito dalle
avanguardie di questi flussi che avrebbero finito, soprattutto altrove, per
assumere proporzioni gigantesche, ne da' conto oggi Michele Colucci con
un'indagine esaustiva ed esemplare che prende in esame l'emigrazione
italiana in Europa dal 1945 al 1957, Lavoro in movimento (Donzelli, pp. 257,
euro 23,50). L'autore appartiene alla schiera di giovani e bravi ricercatori
cui il nostro sistema universitario, sempre piu' impoverito, stenta a fare
spazio, incoraggiando per necessita' i loro progetti all'espatrio verso lidi
scientifici lontani. C'e', insomma, dell'ironia in questa vicenda che
nondimeno ruota attorno a un argomento di grande rilevanza.
Benche' l'oggetto principale del libro rimangano le politiche migratorie
dell'Italia repubblicana e quelle di richiamo e di "accoglienza" degli Stati
coinvolti nell'immane tourbillon (nel senso stretto di gabbia rotante) di
partenze e di arrivi, Colucci fornisce - sulla scia delle analisi di Romero,
di Pugliese e piu' recentemente di Rinauro, ma molto approfondendo - una
ricostruzione convincente e avvincente degli avvenimenti. Essa e' insieme un
affresco delle storie di migliaia di uomini e di donne espatriati in cerca
di miglior fortuna, e una acuta riflessione sulle dinamiche delle migrazioni
internazionali in eta' contemporanea. Le scelte compiute dai primi e quelle
fatte dalle forze politiche e di governo aiutano a comprendere meglio gli
sviluppi successivi e persino alcune configurazioni attuali di un fenomeno
troppo tardi riconosciuto come fondante dei destini (non solo economici) del
mondo occidentale.
Il volgere all'apparenza breve dei dodici anni in cui si racchiude la
materia del racconto non deve trarre in inganno perche' dopo la stasi
determinata non tanto dalla guerra quanto dalla prolungata chiusura degli
sbocchi emigratori dopo la crisi del '29, essi rappresentano statu nascenti
la cornice esatta di una molto relativa "restaurazione liberista"
postbellica dei mercati: qui, ovviamente, di un mercato del lavoro in cui
tuttavia la persistenza delle pratiche stataliste gia' proprie del tardo
fascismo interagirono costantemente, a conti fatti, con le spinte
provenienti dal basso ossia dalle autonome decisioni prese dai migranti in
ambito familiare e locale.
Che la "restaurazione liberista" avvenisse, come suggeriva molti anni fa
Ester Fano Damascelli, dentro un quadro ideologico condizionato
dall'antifascismo e dalle avvisaglie della guerra fredda dipendeva anche dal
fatto che tutte le aperture liberoscambiste della nostra politica
governativa, al pari di quelle degli altri paesi del vecchio continente,
puntavano si' all'inserzione dell'Italia in spazi mercantili piu' ampi e
alla sua partecipazione al processo appena avviato dell'integrazione
europea, ma anche al mantenimento (o alla sagace manutenzione), come ha ben
spiegato Rolf Petri, di un notevole controllo statale sull'economia e di
conseguenza sull'andamento dei flussi rimasti a lungo, per il nostro paese,
la moneta di scambio privilegiata onde agevolarne l'ingresso nella nuova
area geopolitica occidentale in fieri dopo la guerra ed auspicata,
all'epoca, dagli stessi Stati Uniti.
Facendo ricorso a un imponente lavoro di scavo archivistico e a una
invidiabile padronanza sia della produzione pubblicistica e giornalistica
del tempo sia della letteratura storiografica esistente, Colucci propone
gia' in apertura del suo lavoro l'interessante profilo interpretativo entro
cui calare ogni riflessione riguardante un tale insieme di circostanze. Alla
descrizione del ruolo ricoperto fra ricostruzione e miracolo economico
dall'emigrazione europea degli italiani definita (e obiettivamente
risultata) di tipo temporaneo, l'autore fa seguire una attenta rassegna dei
dibattiti che dal periodo finale del conflitto e dai lavori della
Costituente cercarono di prendere le misure d'una realta' sul serio "in
movimento".
Con una facile battuta ispirata al titolo del libro si potrebbe anzi dire
che Colucci ci parla cosi' di un lavoro che, dopo la Liberazione,
rapidamente mobilita l'uomo, ma sempre in mezzo a grovigli di esperienze
pagate a caro prezzo e a coacervi stratificati di provvedimenti normativi di
cui diventano emblema, in Italia, gli apparati pubblici di direzione e di
controllo (Uffici del Lavoro e della "massima occupazione", centri
d'emigrazione e di smistamento o d'inoltro, burocrazia diplomatica e dei
passaporti). Ad essi fanno riscontro, in relativa discontinuita' rispetto al
passato (si pensi solo all'emigrazione nella Francia
dell'entre-deux-guerres), le stagioni degli accordi bilaterali dove peraltro
all'Italia tocco' sempre il posto del convitato piu' debole: a riprova del
fatto che la stessa condizione di "ospiti" piu' e meno provvisori,
socialmente penalizzati, quando non discriminati e maltrattati, consegue
senz'altro da paure incontrollate dei "nativi" gia' ben note alla storia
degli italiani all'estero, ma in grande misura dipende anche dal modo in cui
se ne piloto' la scomoda inserzione nei contesti lavorativi e sociali di
arrivo.
Qui la xenofobia e l'intolleranza, all'insegna di una non infrequente
razzializzazione e di un'altrettanto diffusa criminalizzazione, aumentarono
a dismisura il prezzo di un sacrificio di cui alla fine in Italia, si
avvantaggiarono soprattutto i rimasti e, nel suo insieme, l'organismo
economico nazionale. Rivista col senno di poi e con lo sguardo che in un
libro di 250 pagine puo' essere dedicato solo ad alcune delle infinite
vicissitudini private delle persone in carne ed ossa, la situazione
affrontata da Colucci dovrebbe quindi venir buona per capir meglio il
presente in cui, a parti rovesciate, ci troviamo a vivere (anche se di
questi tempi fra Bossi e Fini e Maroni c'e' molto da dubitarne); in ogni
caso conferma l'idea che quella decina d'anni dei quali egli ci regala, per
l'emigrazione in Europa, una lettura partecipe e documentata costituiscono,
come ennesimo laboratorio del dopoguerra, un punto d'osservazione meritevole
d'essere da tutti ripensato.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 792 del 16 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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