Voci e volti della nonviolenza. 315



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 315 del 21 marzo 2009

In questo numero:
1. Adriana Pollice: Castelvolturno
2. Adriana Pollice intervista Renato Natale
3. Pasquale Di Palmo: Iosif Brodskij

1. UNA SOLA UMANITA'. ADRIANA POLLICE: CASTELVOLTURNO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 marzo 2009 col titolo "Guerra a
Castelvolturno" e il sommario "Altra Italia. La strage e' passata. Via alla
caccia. Dopo la strage degli immigrati sul litorale domitiano e l'arresto
dei responsabili sono cominciati, uno dopo l'altro, i blitz contro i
lavoratori stranieri. Uno dei quali e' costato 200.000 euro. Mentre il
ministro Maroni vigila sulle retate ora arriva anche il Cie, a due passi
dalla reggia di Caserta"]

Pattuglie miste esercito-polizia girano in assetto da guerra per le vie di
Castelvolturno. Camionette e blindati fanno avanti e indietro lungo la
Domitiana, una lingua di asfalto che segue la linea di costa da Lago Patria
fino al Lazio. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, dopo la strage dei
sei migranti del 18 settembre scorso, ha fatto del litorale casertano il
banco di prova della politica di repressione del governo. Tra settembre e
gennaio sono finiti in galera i responsabili dell'eccidio, il braccio armato
del clan Bidognetti capeggiato da Giuseppe Setola, che tentava la scalata
nell'organigramma dei casalesi a suon di kalashnikov. Il perche' della
spedizione di sangue pero' l'intelligence non l'ha fornito. Una prova di
forza per dimostrare chi comanda o un messaggio agli africani: stanno
arrivando i fondi dell'accordo di programma per la riqualificazione del
territorio cosi' non servite piu'. Sei cadaveri a terra e una vita
quotidiana d'inferno, ma per molti in paese "i neri" sono un problema,
nonostante Castelvolturno di fatto funzioni come il Sudafrica
dell'apartheid: gli africani chiusi in ghetti a offrire manodopera a basso
costo e i bianchi a occupare gli spazi del centro storico.
In circa 30.000 nel 2008 sono sbarcati a Lampedusa, di solito vengono
smistati nei diversi centri di accoglienza in Italia, dopo alcune settimane
escono per far posto ad altri. Buttati in mezzo alla strada senza alcun
programma di inserimento, liberiani, ghanesi, nigeriani, togolesi non avendo
altri riferimenti se non quello dei propri compaesani, arrivano a
Castelvolturno. Gli uomini lavorano nell'edilizia e nelle campagne, le donne
come badanti oppure forniscono servizi alla comunita', come mense etniche in
casa, negozi di abiti, cibo o parrucchieri. "Vivono da noi per anni e non
imparano mai la lingua, non serve, non vengono mai a contatto con gli
italiani, e' sufficiente capire quei due, tre ordini che ricevono dal
caporale" racconta Mimma, del centro sociale ex Canapificio, che lavora allo
sportello per l'assistenza legale ai migranti: "Parliamo con loro in inglese
o in francese, alla fine siamo noi che abbiamo assimilato un po' dei loro
dialetti. I loro figli vanno a scuola, imparano l'italiano e vivono a
cavallo di due culture, spesso non riconoscendosi in nessuna".
Castelvolturno conta circa 20.000 abitanti, di cui 18.000 italiani e duemila
stranieri regolarmente iscritti all'anagrafe. Di fatto la popolazione dei
migranti ammonta in tutto a circa 6.500, di cui piu' della meta' e' senza
permesso di soggiorno. Si tratta soprattutto di africani, alcuni giunti in
Italia sbarcando sulle coste siciliane, altri in volo dai loro paesi. Di
quelli arrivati via mare la maggior parte sono richiedenti asilo, o in
attesa di audizione o hanno ricevuto un diniego dalla Commissione. Tra
quelli giunti in Italia in volo la maggioranza e' entrata con regolare visto
di ingresso, che dopo qualche mese scade. Pagano dai 50 ai 100 euro a testa
per vivere in appartamenti abusivi, spesso senza fogne e servizi, alle
quattro di mattina sono gia' negli autobus di linea, tra i piu' frequentati
l'M1, per raggiungere le rotonde dove vengono caricati per lavorare a
giornata, la paga varia da 10 a 25 euro se sono fortunati, perche' puo'
capitare di faticare per niente, vivere senza documenti significa sopportare
un ricatto continuo. "Nella rotonda di Ischitella c'e' la caserma dei
carabinieri - racconta Mimma -. Il mese scorso un ragazzo e' stato
minacciato con la pistola sotto lo sguardo delle forze dell'ordine, voleva
solo la sua paga. C'erano 23 testimoni ma non conta, quando sei di colore e'
come se non ti vedessero". Lavorano per nulla, vengono rapinati per strada
dai ragazzi del luogo, anche i loro risparmi a casa non sono al sicuro, si
tratta di furti facili, nessuno denuncia, finirebbero in un Centro di
identificazione. Anche le nigeriane che vogliono smettere di prostituirsi
non vanno alla polizia, sono le associazioni sul territorio che le avviano
in un percorso che le porta fuori dallo sfruttamento: La denuncia
significherebbe espulsione, per finire di nuovo per strada con il debito da
pagare raddoppiato.
Lavorano, comprano, pagano l'affitto al nero, ma sono troppi, se ne devono
andare, dice la gente al bar. Maroni, lo sceriffo, veglia sullo stillicidio
di retate che si sono susseguite da settembre. L'operazione piu'
spettacolare si e' svolta presso il Condominio Colella, un ecomostro figlio
della politica del mattone facile anni '60/'70, che il governo vuole
riportare in auge. Nella zona lo chiamano American Palace perche' ci
vivevano i militari americani di stanza a Pozzuoli. Andati via loro, sono
arrivati gli africani: circa 250 residenti distribuiti in 25 appartamenti,
stanze grandi da stipare fino all'inverosimile. Il 20 novembre alle cinque
del mattino e' arrivata la cavalleria: esercito, forze dell'ordine e
pompieri per sfondare porte e rastrellare extracomunitari. Obiettivo:
latitanti, armi e droga. Risultato dell'operazione: sessantanove lavoratori
africani trasferiti nei Cie di Modena, Bologna, Lamezia e Ponte Galeria.
Scortati singolarmente in auto con tre uomini a bordo, come pericolosi
criminali. A Bologna sono stati subito liberati, perche' il giudice ha
riscontrato numerose irregolarita', negli altri casi e' stata fatta solo una
ricognizione amministrativa, cosi' sono rimasti chiusi da una settimana a
sessanta giorni, in tre sono stati rimpatriati, in sessantasei sono tornati
a Castelvolturno con l'ennesimo foglio d'espulsione in tasca. Latitanti,
armi e droga non pervenuti. L'operazione pero' e' costata alla collettivita'
complessivamente circa 200.000 euro.
Iniziative analoghe sono seguite: a gennaio agenti del locale commissariato
piu' cinquanta poliziotti e sei camionette dei militari, stipate di soldati
in assetto antisommossa, si sono mossi alla conquista di Parco Lagani,
proprio di fronte al Villaggio Coppola. Un blitz durato quattro ore per
arrestare cinquanta lavoratori migranti finiti nel Cie di Ponte Galeria.
Stessa sorte per gli africani della zona tra via Messina e via Palermo,
scortati nel Cie di Bari. Altri vengono rastrellati direttamente alle
rotonde: "Ci hanno presi a Califfo ground", ci dicono. Califfo e' il nome
che danno al caporale, un termine che hanno imparato in Libia, una delle
tappe obbligate per arrivare da noi. Strano, pero', che l'intelligence
continui a sparare nel mucchio e non riesca a individuare le basi dei
narcotrafficanti, intatte. Un mistero solo per loro perche' in zona le
conoscono tutti. "Anche quelli che trovano un datore di lavoro che li
vorrebbe assumere regolarmente - spiega Mimma - si trovano di fronte a una
legge che impedisce di regolarizzare gli irregolari. E' cosi' che il
migrante e' costretto a nascondersi per sfuggire ai controlli di polizia e
spesso a mischiarsi con veri criminali (spacciatori e sfruttatori) che
invece non hanno difficolta' a procurarsi un permesso di soggiorno. Lo sanno
tutti, incluso il governo, che il decreto flussi e' una presa in giro".
Vengono da Castelvolturno la maggior parte dei braccianti di colore delle
campagne italiane: in autunno raccolgono arance e mandarini a Rosarno, poi a
maggio si spostano in Puglia e Basilicata (soprattutto nel foggiano e nel
potentino) per la raccolta dei pomodori, dopo l'estate arrivano fino in
Sicilia, a Cassibile, per le patate. Un'intera economia funziona grazie a
loro ma l'unico modo per finire sui giornali e' in forma di emergenza
criminalita'. Cosi' il ministero dell'Interno ha deciso che anche in
Campania dovra' essere istituito un Cie, il luogo scelto una caserma
dell'esercito dismessa a San Nicola alla Strada, a due passi dalla reggia di
Caserta: "Siamo contrari a tutti i Centri di identificazione, figuriamoci se
ne vogliamo uno qui - ribatte Jamal Quaddora, responsabile regionale
immigrati della Cigl - e non lo vogliono nemmeno i sindaci di Caserta e San
Nicola, che hanno scritto al ministro. I migranti sono una risorsa
multietnica per il territorio, la polizia deve servire per il contrasto alla
camorra". Mentre sui giornali si discute in modo isterico di sicurezza, le
associazioni non si lasciano distrarre e continuano a chiedere come saranno
utilizzati i fondi per la riqualificazione del territorio, "per i campi da
golf a 18 buche o per ripulire uno dei litorali piu' inquinati d'Italia -
conclude Mimma -, per far arricchire l'industria del cemento o per fornite
servizi a una collettivita' deprivata di tutto, a prescindere dal colore
della pelle?". Qui, a partire dagli anni Sessanta, e' stato realizzato il
piu' grande abuso edilizio d'Italia, il Villaggio Coppola-Pinetamare, ma
anche una galassia di ristoranti, bar, villette, grattacieli, alberghi,
persino una chiesa, una scuola, un ambulatorio e una caserma dei
carabinieri, tutto abusivo. Una colata di cemento che ha ricoperto terreni
del demanio statale e comunale, accanto ai suoli privati. Sullo sfondo il
sogno, finito presto, della villeggiatura di massa, con la camorra che
governava il processo fornendo prima cemento, ferro, legno e manodopera.
Rifiuti da interrare illegalmente poi. Il 18 aprile la comunita' migrante
tornera' in piazza per una manifestazione nazionale (appuntamento alle 9,30
proprio all'American Palace), con loro il Centro sociale ex-canapificio,
Caritas, Comboniani di Castelvolturno, l'associazione Jerry Masslo, Cgil,
Arci, Agesci per promuovere il Patto sociale di solidarieta' per i diritti
di cittadinanza, cioe' percorsi di emersione dalla clandestinita',
accoglienza e inclusione.

2. UNA SOLA UMANITA'. ADRIANA POLLICE INTERVISTA RENATO NATALE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 marzo 2009 col titolo "Il medico di
base: Per paura della segnalazione si nascondono"]

Il 118 lo chiama a casa, vogliono che vada a visitare una donna a
Castelvolturno. Renato Natale fa il medico di base a Casal di Principe, due
giorni alla settimana tiene un ambulatorio per i migranti sul litorale
domizio, presso il centro Fernandez della Caritas. E' un volontario
dell'associazione Jerry Masslo, non lavora al pronto intervento. "Quando
sono rincasato - racconta - ho telefonato al 118 e ho chiesto perche'
chiamavano me invece di mandare un'ambulanza, che poi e' il loro lavoro. Mi
hanno risposto che io esercito da quelle parti e allora hanno pensato che
potevo risolvere io la cosa, tanto non era urgente. Si trattava di una
extracomunitaria senza documenti, mi hanno detto. Di una paziente semmai, ho
risposto, gli aggettivi non c'entrano". E' dovuto andare di persona,
verificare la serieta' della cosa e chiamare i carabinieri perche'
l'ambulanza arrivasse a prelevarla. Storie di ordinario razzismo.
*
- Adriana Pollice: Dottore, da quanti anni lavora a Castelvolturno?
- Renato Natale: Da venti, da quando dei rapinatori uccisero a Villa Literno
Jerry Masslo, un sudafricano che si batteva per i diritti dei lavoratori
migranti. Il nostro ambulatorio nel 2008 ha effettuato circa seimila
prestazioni, per una platea di 800 pazienti, ma stanno aumentando da quando
il governo ha presentato in aula la legge che chiede ai medici di denunciare
i clandestini. Siamo arrivati a 40, 50 visite al giorno. Cerchiamo di
rassicurarli, non e' ancora legge diciamo, ma hanno gia' cominciato a non
andare piu' nelle strutte pubbliche. Il rischio e' che si torni alla stessa
situazione che c'era in Italia prima della legalizzazione dell'aborto, con
medici senza scrupoli e malavita a speculare sulla salute dei piu' deboli.
Noi abbiamo affisso un manifesto multilingue "Non siamo spie".
*
- Adriana Pollice: Quali sono le patologie piu' frequenti?
- Renato Natale: Soprattutto stress muscolari dovuti al lavoro e alla
condizioni di vita pessimi, per il freddo e l'umidita' a cui sono esposti.
Ma anche difficolta' allo stomaco per il cambio di alimentazione oppure per
la tensione continua a cui sono sottoposti. Poi ci sono le malattie sessuali
per categorie ad alto rischio, come le prostitute, l'anno scorso abbiamo
avuto circa 500 casi di hiv e sifilide. Sempre piu' diffuse le patologie
dovute all'ansia, ci sono poi dei casi particolari, come i lavoratori
indiani impiegati nell'allevamento delle bufale, che contraggono la scabbia.
Nei casi piu' acuti, come per la tubercolosi o l'aids, chiamiamo il 118.
*
- Adriana Pollice: Come si svolge il vostro lavoro?
- Renato Natale: Abbiamo un protocollo d'intesa con l'Asl Ce2, loro ci
forniscono i medicinali e i kit per le analisi, che vengono elaborate
all'ospedale di Aversa. Facciamo da tramite con l'Azienda per i servizi
socio-sanitari, fornendo anche i mediatori culturali. Per esempio, quando si
presenta da noi una donna incinta, e' Gianni Grasso che se ne occupa:
diventa il loro medico di famiglia, le accompagna ai controlli e le segue
fino al parto, disponibile 24 ore su 24. Spesso sono donne sole, lui diventa
una figura familiare che fornisce anche le informazioni necessarie per i
primi mesi del bambino fino allo svezzamento.
*
- Adriana Pollice: Come sono i rapporti tra pazienti del luogo e migranti?
- Renato Natale: A Castelvolturno non ce ne sono, le comunita' vivono in un
rigido isolamento. A Casal di Principe, invece, e' diverso. Nonostante sia
una delle roccaforti dei Casalesi, la popolazione si sente parte di una
comunita' e ha accettato la presenza degli extracomunitari. Fanno tutti
insieme la fila per entrare, al massimo si lamentano per l'attesa. Del resto
e' diversa la struttura urbanistica. Casale e' un paese piccolo, dove i
migranti vivono con i locali, sono soprattutto donne dell'est, fanno le
badanti ma anche le bariste, le commesse. Castelvolturno si sviluppa su 27
km di costa, con enormi palazzoni, ognuno e' un mondo a se', della
popolazione di colore si occupano solo le associazioni come Medici senza
frontiere, anche loro hanno un dispensario.

3. PROFILI. PASQUALE DI PALMO: IOSIF BRODSKIJ
[Da "Letture" n. 655 del marzo 2009 col titolo "Iosif Brodskij" e il
sommario "A tredici anni dalla prematura scomparsa la figura e l'opera del
poeta russo acquistano una rilevanza sempre maggiore e si configurano come
una delle esperienze letterarie piu' significative del XX secolo"]

Basterebbe affrontare una manciata di pagine mirate per rendersi conto dello
spessore intellettuale e della personalita' inimitabile di Iosif Brodskij.
Le pagine sono quelle di Un volto non comune preparate in occasione del
discorso per il Premio Nobel conferitogli nel 1987, dove si puo' apprezzare,
tra l'altro, il recupero del concetto di estetica in un periodo che non
aveva ancora del tutto smaltito l'ubriacatura nei confronti del dogmatismo
ideologico ereditato dai decenni precedenti: "Ogni nuova realta' estetica
ridefinisce la realta' etica dell'uomo. Giacche' l'estetica e' la madre
dell'etica. Le categorie di 'buono' e 'cattivo' sono, in primo luogo e
soprattutto, categorie estetiche che precedono le categorie del 'bene' e del
'male'. In etica 'non tutto e' permesso' proprio perche' 'non tutto e'
permesso' in estetica, perche' il numero dei colori nello spettro solare e'
limitato".
Ebbene, quanti dei poeti di casa nostra avrebbero sottoscritto all'epoca una
simile dichiarazione d'intenti senza venir tacciati di passatismo e messi
alla gogna del pubblico ludibrio? Ma Brodskij aveva alle spalle una sorta di
distacco nei confronti della sua stessa esistenza che gli derivava sia dalle
sofferenze patite a causa dell'ostracismo che il regime sovietico ("l'unico
al mondo dove si uccide per una poesia", aveva sentenziato Nadezda
Mandel'stam) gli aveva imposto fino alla definitiva scelta dell'esilio
avvenuta nel 1972, sia dalle successive precarie condizioni di salute che
l'avevano a piu' riprese portato a un passo dalla morte. E, in fondo,
proprio questo suo distacco gli faceva assumere posizioni spesso sgradite
all'intellighenzia che ragiona per partito preso, distacco che fa da pendant
con il totale coinvolgimento che l'autore russo aveva nei confronti dei suoi
autori prediletti. Ancora adesso se qualche lettore autolesionista come il
sottoscritto vuole rammaricarsi per non conoscere la lingua russa, vada a
rileggersi gli incantevoli saggi che Brodskij ha dedicato a Osip
Mandel'stam, ad Anna Achmatova, a Marina Cvetaeva in quello straordinario
libro intitolato Less Than One, apparso dalla statunitense Farrar, Straus &
Giroux nel 1986, e riproposto in italiano nei due volumi Fuga da Bisanzio e
Il canto del pendolo, entrambi pubblicati da Adelphi nel 1987.
La prosa di Brodskij (speculare per molti aspetti alla sua poesia in virtu'
della scelta di esprimersi in inglese, quale sorta di ideale omaggio sia al
suo grande modello, Wystan Hugh Auden, sia alla lingua degli Stati Uniti,
Paese che l'aveva ospitato) riesce a trasmettere al lettore l'amore che il
poeta russo nutriva nei confronti di queste voci indimenticabili attraverso
uno stile lineare e sorvegliatissimo. Non e' un caso che Pietro Citati
osservasse come "nessuno, in Occidente, compone saggi che abbiano
l'intensita' e l'eleganza di quelli di Brodskij". Dopo aver letto Il figlio
della civilta', La Musa in lutto o Nota in calce a una poesia ci si affligge
per non essere in grado di affrontare nella lingua originale l'afflato
visionario di Mandel'stam, le cadenze appassionate dell'Achmatova, i ritmi
convulsi della Cvetaeva ma di apprezzarne solo l'eco che qualche slavista
illuminato riesce in parte a tramandarci.
*
Poesia dall'esilio
Brodskij emigro' dalla Russia ("per il suo bene", secondo le autorita'
sovietiche) con pochi oggetti al seguito: un libro di John Donne, una
macchina per scrivere e due bottiglie di liquore, una delle quali riservata
al suo mito poetico, Wystan Hugh Auden, considerato "la piu' grande mente
del XX secolo". Sembra che il destino di Brodskij si incarnasse in quel
pugno di oggetti sottratti alla miopia di un regime che "negli anni Trenta e
Quaranta sfornava vedove di scrittori con una tale efficienza che verso la
meta' dei Sessanta ce n'era in circolazione un numero sufficiente per
organizzare un sindacato". Non bisogna stupirsi quindi se Donne e Auden
rappresentano i due poli estremi di un universo dove si rincorrono le voci
dei poeti che hanno segnato, in maniera inequivocabile, la stessa avventura
esistenziale e letteraria di Brodskij.
La sua poesia, avallata da un mentore d'eccezione come l'Achmatova, si
sviluppa all'insegna del recupero di forme prosodiche tradizionali,
rivisitando in maniera del tutto originale metro e rima. Non per niente si
e' parlato, a proposito della singolare commistione tra regolarita' strofica
e spiccata ascendenza figurativa, di una sorta di "classicismo
allucinatorio". Uno dei suoi primi traduttori italiani, Giovanni Buttafava,
osserva al riguardo: "Anche dopo l'esilio, quando sembra per un momento
aprirsi a toni quasi pubblicistici (rari peraltro), la sua linea e'
individuale, ferma, implacabilmente coerente con l'esercizio letterario fino
a quel punto condotto. Il poeta e' un 'viaggiatore solitario', confessa. La
battaglia con i materiali biografici e' la piu' intransigente e la piu'
vittoriosa di Brodskij".
Fin dagli esordi la linea poetica di Brodskij si orienta in direzione
antitetica rispetto ai canoni della cultura ufficiale, modellandosi sulla
falsariga di esempi anglosassoni e di qualche voce isolata come quella del
poeta ottocentesco Evgenij Baratynskij, con un rigore e una sobrieta' ancora
piu' sorprendenti se si considera che l'autore russo aveva una formazione da
autodidatta (abbandono' gli studi regolari ad appena quindici anni).
Brodskij, accusato di "parassitismo doloso", subira' due processi dai toni
kafkiani e ogni sorta di soprusi, conoscendo l'esperienza del confino e del
manicomio criminale. Osserva ancora Buttafava: "Brodskij si scava dentro la
selva delle proposte liriche una sua via di singolare, caparbio rilievo,
prendendo le distanze anche da consacratissime linee evolutive o da poetiche
ricchissime. Ecco il rifiuto (motivato fino allo spasimo, illuminato da
amorevoli o dolorosi attraversamenti e provvisorie consonanze) dello
sperimentalismo neoavanguardistico e del patetismo esibizionistico
cantabile, dell'accademia pasternakiana o puskiniana della 'limpidezza ad
ogni costo', dell'assoluto estetico dell''arte per l'arte' o di Blok,
persino della diletta Achmatova".
D'altro canto lo stesso poeta dichiarava di essere "affetto da classicismo
normale", anche se le influenze al riguardo sono numerose e quanto mai
eterogenee: si passa infatti dalla metafisica di Donne, autore con il quale
Brodskij si misuro' anche sul piano della traduzione e a cui dedico' la
Grande elegia di John Donne, alle vertiginose accensioni visionarie di
Mandel'stam e della Cvetaeva, dal magistero lirico di Auden ai modelli
costituiti dagli americani Frost e Lowell, dal greco Kavafis, dal nostro
Montale. Come si vede dunque un coacervo magmatico di voci, spesso in aperta
contrapposizione tra loro, ma dalle quali Brodskij riesce a ricavare,
soprattutto in chiave esegetica, la quintessenza delle loro diverse
peculiarita'.
*
Sprezzatura e classicismo
Il poeta russo fa ricorso a forme canoniche come quelle del sonetto o
dell'elegia senza mai scadere in un mero compiacimento stilistico, bensi'
sviluppando alcune grandi tematiche universali: l'amore, il dolore, la
morte, il passare inesorabile del tempo. In tale contesto e' di fondamentale
importanza la funzione attribuita al linguaggio. Non e' il poeta che si
esprime attraverso il linguaggio ma il linguaggio che paradossalmente si
esprime attraverso il poeta. "E' sciocco dire che 'il poeta sente la voce
della Musa' se non si chiarisce qual e' la natura della Musa. Ma se si
guarda piu' da vicino, ci si accorge che la voce della Musa e' la voce della
lingua", osserva lo stesso autore in un'intervista.
In una recensione Pasolini sosteneva che la poesia di Brodskij "si fonda
sull'idea dell'inutilizzabilita' della poesia". E, in effetti, e' evidente
il tentativo di svincolarsi da soggetti troppo incandescenti, come se al
poeta fosse riconosciuta, al di la' delle stesse vicissitudini di carattere
biografico, la liberta' di espressione piu' assoluta. La poesia e la
letteratura in genere rappresentano dunque lo strumento privilegiato per
tentare di interpretare e comprendere una realta' dai tratti sempre piu'
poliedrici e complessi. Le divagazioni metaletterarie di Brodskij non sono
mai gratuite, bensi' conservano un impianto di chiara ascendenza ontologica
del tutto moderno e originale.
Non e' un caso che alcuni modelli classici rappresentino l'ideale
piattaforma poetica per intraprendere viaggi che conservano un'astrattezza
di tipo metafisico. Si pensi, per esempio, alle Elegie romane, sorta di
riscrittura del capolavoro goethiano pervasa da una "sprezzatura"
tipicamente novecentesca. O alle liriche in cui piu' marcati sono i
riferimenti al mondo mitologico e i richiami all'opera di Orazio, Ovidio e
Properzio. "Brodskij uso' costantemente modelli e mitologemi classici,
trasformandoli e infrangendoli, sottoponendoli a rielaborazione ironica e a
commento filosofico", asserisce Solomon Volkov.
Con il tempo serpeggia qua e la' il tentativo di aderire a quella Parte del
discorso, come suona il titolo di una raccolta di versi del 1977, in cui
piu' evidente appare la lezione della Cvetaeva (modello riconosciuto
inarrivabile dallo stesso poeta), disancorata da una struttura metrica
troppo rigida e impostata su un linguaggio di ascendenza colloquiale e
prosastica, anche se, nel caso di Brodskij, caratterizzato da tonalita' meno
frammentarie e piu' lineari. "I versi si alternano seguendo una necessita'
interna, accendendosi in fondo di singolari rime imperfette, enjambements
vertiginosi a volte, assonanze/dissonanze. E il lessico e' imbevuto di
idiotismi, spingendosi fino a certo turpiloquio febbrile, a modi di dire
popolareschi violentati e ricomposti in metafore talora misteriose", osserva
ancora Buttafava.
E, nonostante sia evidente un atteggiamento di distacco nei confronti della
poesia cosiddetta civile, non e' raro ritrovare affondi di tipo politico,
mai disgiunti pero' da una tensione di carattere esistenziale sempre
presente (si pensi, ad esempio, ai Versi sulla campagna d'inverno del 1980,
ispirati all'invasione sovietica dell'Afghanistan, o alla stessa Fermata nel
deserto, in cui si descrive la distruzione di una chiesa greca di
Leningrado). "Se mai un poeta ha un obbligo verso la societa', e' quello di
scrivere bene", asseriva.
*
Venezia e Pietroburgo
Brodskij aveva una particolare predilezione per Venezia, sfociata nella
composizione di quell'incantevole volumetto intitolato Fondamenta degli
Incurabili, in cui ricostruisce la storia dei suoi soggiorni nella citta'
lagunare. Nella Serenissima Brodskij riconosceva le atmosfere magiche della
sua citta' natale San Pietroburgo (all'epoca della sua nascita la citta',
non a caso soprannominata "la Venezia del Nord", si chiamava ancora
Leningrado, nome ufficiale che si scontrava con quello coniato ironicamente
dal poeta e dalla sua cerchia di amici: Piter) e nell'isola di San Michele
il poeta scelse di essere sepolto, vicino alle spoglie di Pound,
Strawinskij, Diagilev. Venezia rappresenta la sua "personale forma del
Paradiso", la citta' ideale legata alla riscoperta di un certo umanesimo
che, nell'opera di Brodskij, si tinge spesso di connotati eccentrici e
suggestivi tesi a rivelare una personalita' tra le piu' rilevanti del
secondo Novecento.
Ma Venezia incarna anche il pericolo sempre incombente di cadere nel
tranello dell'ovvieta' e dei luoghi comuni, anche se tali ostacoli vengono
aggirati in virtu' di uno sguardo sempre vigile, pronto a catturare i
particolari di una realta' indefinibile e nascosta e ricamare metafore con
l'eleganza di una chiave di violino, come risulta da questa descrizione: "E'
una conseguenza naturale della topografia veneziana, dei vicoli tortuosi e
sguscianti come anguille che alla fine ti portano a una grande sogliola, a
una piazza con una chiesa al centro, incrostata di santi, che ostenta nel
cielo le sue cupole simili a meduse".
Come nel cinema di Andrej Tarkovskij l'acqua e' uno degli elementi
prediletti. In essa Brodskij ritrova quella dimensione di "fluidita'"
espressa in una delle liriche piu' pregnanti, San Pietro, ispirata alla
visione della chiesa veneziana di San Pietro di Castello: "Ricordati bene: /
l'acqua, soltanto l'acqua, sempre e ovunque / resta fedele a se stessa,
insensibile / ad ogni metamorfosi, liscia, distesa / la' dove non e' piu'
terraferma". Si noti come in questo testo sia presente, attraverso il nome
della basilica veneziana, il riferimento a Pietroburgo, la creazione di
Pietro il Grande. Tuttavia Lev Losev osserva: "Ad un poeta cosi' sensibile
alle immagini della cultura altrui, quale e' Brodskij, era chiaro gia' a
priori che Venezia e Pietroburgo sono sostanzialmente diverse".
Venezia, Roma e Firenze sono il tema di alcune tra le piu' intriganti Poesie
italiane, raccolte da Adelphi in volume nel 1996. Si pensi infatti a
Dicembre a Firenze, Laguna o alle due sequenze di Strofe veneziane, con
esiti davvero rimarchevoli: "Scrivo questi versi, seduto all'aperto su una
sedia bianca, / d'inverno, con la sola giacca addosso, / dopo molti
bicchieri, allargando gli zigomi / con frasi in madrelingua. / Nella tazza
si raffredda il caffe'. / Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi
sprazzi / la torbida pupilla per l'ansia di fissare nel ricordo / questo
paesaggio, capace di fare a meno di me".
*
Da Brodskij a Brodsky
La produzione poetica in inglese di Brodskij, se si eccettuano i saggi e le
innumerevoli auto-traduzioni in cui l'elemento creativo occupa un ruolo non
secondario, si limita a una cinquantina di titoli. Brodskij aveva
l'abitudine, spesso insoddisfatto dalla resa offerta dai traduttori
americani, di volgere in inglese i suoi stessi testi, sia per quel che
concerne la poesia che la prosa. Si consideri, per esempio, che alcuni saggi
sono stati originariamente composti nella sua madrelingua e, solo in un
secondo momento, tradotti dall'autore. L'elemento filologico acquista
percio' particolare rilievo alla luce del fatto che l'aspetto creativo o
relativo alle varianti era quanto mai presente nella lezione inglese delle
poesie composte originariamente in russo. Un esempio riguarda la poesia
intitolata Quintetto che, nella traduzione dello stesso autore, acquista
un'ulteriore appendice, divenendo cosi' un Sestetto (Sextet sara' appunto
ribattezzata in inglese). Una delle poesie tradotte e' Baltico del Nord, di
cui riportiamo lo splendido incipit: "Quando la bufera incipria il porto,
quando i pini, frusciando, / lasciano nell'aria una scia che delle lamine di
una slitta e' piu' fonda, / quale grado di azzurrita' puo' raggiungere un
occhio? Quale segno / il linguaggio puo' far germogliare da un cauto
contegno?".
L'Elegia (per W. H. Auden) risulta essere la prima poesia stilata in inglese
da Brodskij e risale al 1973, qualche mese dopo il suo approdo negli Stati
Uniti, e anticipa la successiva, composta nel 1977, dedicata a Robert
Lowell. Il ricorso a questa sorta di omaggio a due tra le figure che
maggiormente hanno contribuito a condizionare la sua poetica non puo' essere
casuale (si potrebbe costituire un'ideale triade chiamando in causa anche
Robert Frost, alla cui figura Brodskij dedico' il saggio On Grief and
Reason, che emblematicamente dara' il titolo alla raccolta del 1995,
smembrata da Adelphi nei due volumi Dolore e ragione del 1998 e Profilo di
Clio del 2003).
Nell'Elegia (per W. H. Auden), in cui sono richiamati metri e toni tipici
della poesia di Auden, sono presenti esiti particolarmente toccanti:
"L'albero e' buio, l'albero e' enorme, / a guardarlo non ci si diverte. /
Tra i frutti di questo settembre / il piu' amaro e' la tua morte / [...] /
La tua croce sara' lo stelo non scosso / tra quelli del prossimo aprile". E'
risaputo che la scelta stessa di soggiornare negli Stati Uniti dopo l'esilio
fu dettata dalla sua incondizionata ammirazione per l'opera di Auden che,
del pari, si era trasferito in quel Paese. Non si puo' non ricordare quella
suggestiva descrizione di una fotografia di Auden proposta nella prosa
intitolata Per compiacere un'ombra: "Cio' che mi fissava dalla pagina era
l'equivalente facciale di un distico, di una verita' che e' meglio conoscere
a memoria. I lineamenti erano regolari, perfino comuni. Non c'era niente di
specificamente poetico in quella faccia, nulla di byroniano, demonico,
ironico, grifagno, aquilino, romantico, ferito, eccetera. Piuttosto, era la
faccia di un medico che s'interessa al tuo racconto pur sapendo che sei
malato. Una faccia ben preparata a tutto, la somma totale di una faccia".
Tutta la vicenda letteraria brodskiana e' permeata da tale aspetto
speculare, da questa condizione di "doppio" che contrappone un elemento a un
altro, con implicazioni non di rado fuorvianti come se si trattasse di
un'immagine riflessa. Lo stesso suo nome conoscera' la versione anglicizzata
di Joseph Brodsky, la sua citta' natale specchiera' nelle acque della Neva'
molteplici identita' (San Pietroburgo, Pietrogrado, Leningrado, di nuovo San
Pietroburgo) per capovolgersi infine nelle acque cangianti della laguna
veneziana, i versi in cirillico si riverbereranno nelle prose scritte in una
lingua ereditata dal trasporto per l'opera dell'amatissimo Auden, lo stesso
versante critico sara' teso a sostenere, in maniera coinvolgente e mai
accademica, poeti internazionali in seguito impostisi all'attenzione
pubblica come Seamus Heaney, Derek Walcott, Czeslaw Milosz, Wislawa
Szymborska, Zbigniew Herbert.
*
Ovidio come Paul Newman
Il rapporto con i numi tutelari si evidenzia in Grief and Reason, dove
l'autore russo conferma la versatilita' della sua ispirazione, toccando le
tematiche piu' disparate: si passa dai discorsi tenuti in occasione del
conferimento di vari premi all'omaggio nei confronti di poeti amati come
Hardy e Rilke, dai ricordi relativi all'incontro con intellettuali del
calibro di Stephen Spender e Auden alle elucubrazioni sulla condizione
dell'esule, dai consigli su come leggere un libro alla ricostruzione della
vicenda di spionaggio di Kim Philby, scaturita dalla vista della sua effigie
riprodotta in un francobollo. Ma la vena antiaccademica di Brodskij si
palesa soprattutto nella descrizione dei poeti latini amati presente nella
Lettera a Orazio: Properzio e' un incrocio tra William Powell e Zbygniew
Cybulski, Orazio somiglia a Eugenio Montale o al Charlie Chaplin di Un re a
New York, Virgilio ricorda il nevrotico Anthony Perkins, Ovidio si pone tra
James Mason e "lo sguardo grigio, invernale, di Paul Newman".
Tutta l'opera di Brodskij sembra un'ininterrotta, appassionante variazione
intorno ai temi della dissoluzione e della doppiezza, della trasformazione e
della decadenza. A noi non resta che rammaricarci non solo per non aver
scritto i versi indimenticabili di Quasi un'elegia ma anche per non poterne
apprezzare la lezione originale, ricca di implicazioni, non solo di tipo
linguistico, derivate da una gamma infinita di suggestioni, come quelle che
prendono spunto dalle scritture sacre: "Un tempo anch'io aspettavo che
cessasse / la pioggia fredda, sotto il colonnato della Borsa. / E immaginavo
che fosse un dono di Dio. / Non mi sbagliavo, forse. / Un giorno anch'io /
sono stato felice. Prigioniero / degli angeli vivevo. Andavo a caccia di
vampiri. / Una donna bellissima di corsa / scendeva la scalinata. Io
l'attendevo al varco, / come Giacobbe, nel portone. / Chissa' dove / tutto
questo e' svanito, se n'e' andato. Tuttavia / guardo dalla finestra e scrivo
"dove" / senza mettere l'interrogativo. / E' settembre. Di fronte a me c'e'
un parco. / Lontano un tuono mi occlude gli orecchi. / Nel fitto del
fogliame le pere mature / pendono come testicoli. Oggi / l'udito nella mente
sonnacchiosa / lascia passare solo l'acquazzone, / come il pitocco che
accoglie in cucina / i parenti lontani: / non piu' rumore, non ancora
musica".
Non piu' rumore, non ancora musica: come nel limbo in cui, per combattere
l'arroganza e la volgarita' derivanti, per usare una felice definizione
dello stesso Brodskij, dall'"idiotismo televisivo", sia ancora possibile
credere all'estetica come "madre dell'etica".
*
Un autore diviso tra prosa e poesia
Opere
Ci limitiamo, considerata la complessita' della vicenda bibliografica
brodskiana, a riportare in questa sede le traduzioni italiane delle sue
opere. Per quel che concerne la poesia bisogna ricordare l'essenziale
antologia curata da Giovanni Buttafava, Fermata nel deserto, Mondadori,
1979, seguita dalla pubblicazione, a cura dello stesso Buttafava, delle
Poesie (1972-1985), Adelphi, 1986, delle Poesie italiane, a cura di Serena
Vitale, Adelphi, 1996, e delle Poesie di Natale, traduzione di Anna
Raffetto, Adelphi, 2004. Da rammentare anche la favola in versi intitolata
Discovery, curata da Andrea Molesini e illustrata da Vladimir Radunskij,
Mondadori, 1999, e i frammenti del poema Gorbunov e Gorciakov, a cura di
Giovanni Buttafava, in L'anno di poesia 1988-1989, Jaca Book, 1989.
Sul versante della prosa nel 1987 Adelphi manda in libreria Fuga da Bisanzio
e Il canto del pendolo, entrambi curati da Gilberto Forti, che propongono le
traduzioni di Less Than One, uscito presso Farrar, Straus & Giroux nel 1986.
Nel 1988 sempre Adelphi stampa Dall'esilio, contenente due discorsi del
poeta russo, tra cui quello tenuto in occasione del conferimento del Premio
Nobel nel 1987.
Nel 1989 esce, come strenna realizzata per conto del Consorzio Venezia
Nuova, la raccolta di prose veneziane Fondamenta degli Incurabili, tradotta
da Gilberto Forti e riproposta in edizione ampliata da Adelphi nel 1991. La
raccolta di saggi On Grief and Reason, apparsa a New York nel 1995, viene
suddivisa in due volumi: Dolore e ragione, traduzione di Gilberto Forti,
Adelphi, 1998, e Profilo di Clio, a cura di Arturo Cattaneo, Adelphi, 2003.
Adelphi ha pubblicato inoltre nel 1995 la piece teatrale Marmi, tradotta da
Fausto Malcovati, mentre Utet ha licenziato, nel 1989, l'antologia Poesie
(1972-1985). Prose scelte.
Bompiani ha stampato nel 1989 il catalogo della mostra L'altra Ego dei poeti
da Baudelaire a Pasolini. La fotografia vista da Iosif Brodskij, a cura di
Daniela Palazzoli. Da ricordare anche le interviste che figurano nei
seguenti volumetti: Intervista con Iosif Brodskij di Sven Birkerts, Minimum
fax, 1996, ed Esuli. Dieci scrittori fra diaspora, dissenso e letteratura,
di Paolo Mattei, Minimum fax, 1997.
*
Critica
Sul versante critico rammentiamo gli studi di Stefania Pavan, Lezioni di
poesia. Iosif Brodskij e la cultura classica: il mito, la letteratura, la
filosofia, Firenze University Press, 2006, e di Alessandro Niero, Iosif
Brodskij poeta-traduttore di Quasimodo, Bassani, Govoni, Fortini, De Libero
e Saba, Cafoscarina, 2008, oltre a Iosif Brodskij: un crocevia fra culture,
a cura di Alessandro Niero e Sergio Pescatori, Editori Mg, 2002. Il saggio
La Venezia di Iosif Brodskij di Lev Losev figura in I russi e l'Italia, a
cura di Vittorio Strada, Libri Scheiwiller, 1995. Da consultare anche San
Pietroburgo. Da Puskin a Brodskij, storia di una capitale culturale di
Solomon Volkov, Mondadori, 1998.
Numerosi sono i contributi, sia di carattere esegetico sia contenenti nuove
versioni, apparsi in antologie e sui periodici. Ci limitiamo a segnalare il
n. 3 del 1996 di "Micromega", intitolato La verita' della poesia, che
accoglie una sintesi della lunga conversazione per Radio tre condotta da
Gabriella Caramore con il titolo La mia vita e' un'astronave; il n. 55 di
gennaio/marzo 1998 di "Lettera internazionale" contenente Brodskij: un poeta
tra due mondi; e il n. XXVIII del 2003 di "Semicerchio", in cui sono accolti
vari contributi sotto il titolo Il cambio del vento: Brodskij, Firenze e la
poesia dell'Europa orientale. Ricordiamo inoltre il n. 93 di marzo 1996 e il
n. 185 di luglio-agosto 2004 della rivista "Poesia", dove compaiono
rispettivamente i servizi Omaggio a Joseph Brodsky e Dal russo con amore.
Joseph Brodsky e la lingua inglese, curato da Matteo Campagnoli.
*
Un'esistenza culminata con il Nobel
Iosif Brodskij nasce il 24 maggio 1940 a Leningrado (l'attuale San
Pietroburgo) da una famiglia di origini ebraiche. A quindici anni interrompe
gli studi e si dedica ai piu' svariati lavori. Studia da autodidatta e
comincia a scrivere le prime poesie. Frequenta giovani intellettuali, tra
cui il poeta Evgenij Rejn, e collabora alla rivista clandestina "Sintaksis".
La sua opera, diffusa attraverso letture pubbliche e samizdat, trova
numerosi estimatori, tra cui Anna Achmatova, che lo incoraggia e lo
sostiene. Si adatta a fare qualsiasi lavoro: da addetto alle caldaie in un
bagno pubblico ad assistente in un obitorio a operaio in una spedizione di
geologi spintasi fino a Irkutsk, ai confini con la Cina.
Nel 1963 viene arrestato in seguito a una campagna diffamatoria della stampa
nei suoi confronti. Processato sotto l'accusa di "fannullaggine" e'
condannato a cinque anni di lavori forzati, dopo un periodo di detenzione
trascorso dapprima nel carcere "Le Croci", poi in un ospedale psichiatrico.
Il resoconto stenografato del processo arriva in Occidente, suscitando
sdegno e proteste tra gli intellettuali, tra cui Sartre. Alla domanda
provocatoria del giudice che voleva sapere chi l'avesse investito
dell'autorita' di sentirsi un poeta senza essere iscritto all'Unione degli
scrittori, Brodskij risponde: "Non so, forse da Dio". La condanna viene
revocata e il poeta rimesso in liberta' dopo aver conosciuto l'esperienza
del confino in varie sperdute localita' dell'estremo Nord, tra cui un sito
nei pressi di Archangel'sk. Traduce dal polacco e dall'inglese (i poeti
metafisici John Donne e Andrew Marvell).
Nel 1972 e' invitato dalle autorita' ad espatriare e deve abbandonare la
moglie, Marina Basmanova, e il figlioletto di quattro anni, Andrej. Parte
con pochi oggetti: un libro di John Donne, una macchina per scrivere e un
paio di bottiglie di liquore, di cui una destinata a Wystan Hugh Auden che
incontra a Kirchstetten, un paesino austriaco, prima di approdare negli
Stati Uniti, dove si dedica all'insegnamento e ricevera' la cittadinanza
americana. Qui appaiono le sue raccolte: Poesie e poemi (1965), Fermata nel
deserto (1970), Fine della Belle Epoque (1977), Parte del discorso (1977),
Elegie romane (1982), Nuove stanze ad Augusta (1983). Intensifica
l'attivita' pubblicistica e comincia a scrivere in inglese, lingua nella
quale pubblichera' la raccolta di saggi Less Than One (1986), firmandosi
Joseph Brodsky.
Nel 1987 ottiene il Premio Nobel per la letteratura. Si aggravano le sue
condizioni di salute, a causa di una cardiopatia. Dagli anni Settanta
intensifica i soggiorni in Italia, soprattutto a Venezia, citta' alla quale
dedica le prose di Fondamenta degli Incurabili nel 1989. Si risposa con
l'italiana Maria Sozzani, dalla quale ha una figlia, chiamata Anna. Escono
nel 1995 la raccolta di saggi On Grief and Reason e nel 1996 So Forth, che
accorpa sia le poesie scritte direttamente in inglese sia quelle tradotte
dall'autore dal russo. Muore nel suo appartamento di New York il 28 gennaio
1996 e viene sepolto, per sua espressa volonta', nell'isola veneziana di San
Michele.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 315 del 21 marzo 2009

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