Coi piedi per terra. 166



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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 166 del 18 marzo 2009

In questo numero:
1. La lezione dei fatti
2. Antonella Litta: Proposte di intervento dell'Associazione italiana medici
per l'ambiente, sezione di Viterbo, per il risanamento dell'ecosistema del
lago di Vico e per la qualita' e salubrita' delle sue acque destinate a
consumo umano
3. Abolire la caccia
4. Alcuni estratti da "Caccia all'uomo" di Filippo Schillaci
5. Per contattare il comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo

1. EDITORIALE. LA LEZIONE DEI FATTI

Chiunque abbia seguito sulla stampa le vicende del trasporto aereo
nell'ultimo anno sa che e' stato un susseguirsi di incidenti gravi e
gravissimi, di aeroporti costati mucchi di soldi pubblici e rivelatisi del
tutto inutili, di clamorosi disservizi, di compagnie in crisi e in
bancarotta.
Un'orgia di sperperi di pubblico denaro, di devastazioni ambientali, di
aggressioni alla salute e alla sicurezza: l'attuale incremento del trasporto
aereo e' un crimine e una follia.
E dire che gli scienziati ci avevano da tempo avvertito che essendo il
trasporto aereo anche fortemente corresponsabile dell'effetto serra che sta
provocando il disastro climatico planetario, occorre prendere provvedimenti.
Ed anche alcune agenzie internazionali ed alcuni statisti meno torpidi da
tempo sono arrivati alla stessa conclusione. E i provvedimenti necessari
sono che occorre smetterla di costruire aeroporti su aeroporti nel nord del
mondo, che occorre ridurre i voli a fini voluttuari, che occorre
immediatamente drasticamente ridurre il trasporto aereo privilegiando altre
forme di mobilita' meno inquinanti e meno energivore.
*
Unica notizia positiva: la crescente opposizione delle popolazioni al
dissennato e criminale incremento del trasporto aereo; opposizione che si
alimenta di una sempre maggiore informazione, documentazione,
coscientizzazione sulle disastrose conseguenze che l'incremento del
trasporto aereo provoca.
E valga il caso di Viterbo: sempre piu' cittadini esprimono una consapevole,
informata, esplicita ed energica opposizione alla realizzazione del nocivo e
distruttivo mega-aeroporto che devasterebbe irreversibilmente l'area termale
del Bulicame e preziose ed insostituibili risorse naturalistiche, culturali,
sociali ed economiche; che avvelenerebbe la popolazione viterbese; che
implicherebbe uno sperpero scandaloso di finanziamenti pubblici per un'opera
insensata e fuorilegge.

2. DOCUMENTAZIONE. ANTONELLA LITTA: PROPOSTE DI INTERVENTO DELL'ASSOCIAZIONE
ITALIANA MEDICI PER L'AMBIENTE, SEZIONE DI VITERBO, PER IL RISANAMENTO
DELL'ECOSISTEMA DEL LAGO DI VICO E PER LA QUALITA' E SALUBRITA' DELLE SUE
ACQUE DESTINATE A CONSUMO UMANO.
[Dall'Isde di Viterbo (pr contatti: isde.viterbo at libero.it) riceviamo e
diffondiamo.
Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla
realizzazione dell'aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di
medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in
Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica
presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione
di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani
sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato
sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11,
pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per
l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia).
Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale
ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni
medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi
africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di
programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato
"Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla
legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente]

Il lago di Vico rappresenta un patrimonio ed una risorsa per l'intera
provincia di Viterbo e  in particolare per i comuni di Ronciglione e
Caprarola che ne utilizzano le acque anche per uso potabile.
Il suo ecosistema presenta pero' delle criticita' ormai ben note da anni e
attualmente in fase di peggioramento che necessitano di soluzioni efficaci,
definitive e non piu' rimandabili.
Le acque di questo lago, a causa della sua origine vulcanica, sono ricche di
arsenico, un elemento classificato come cancerogeno dalla Agenzia
Internazionale di Ricerca sul Cancro (Iarc) e presentano da qualche anno
periodiche fioriture di un'alga denominata Plankthotrix rubescens,
produttrice di una microcistina dannosa per la salute delle persone ma anche
per la flora e la fauna ittica lacustre; questa microcistina e'
classificata, sempre dallo Iarc, come elemento cancerogeno di classe 2 b.
Lo sviluppo dell'alga Plankthotrix rubescens e' favorito dalla presenza di
composti azotati e fosfati che le fanno da nutrimento e che possono derivare
dalla presenza di scarichi civili abusivi come da pratiche agricole inidonee
che utilizzano eccessivi quantitativi di sostanze fertilizzanti e
fitofarmaci.
L'Associazione italiana medici per l'ambiente, sezione di Viterbo, anche in
relazione alle conclusioni del recente convegno promosso sul tema
"L'ecosistema del lago di Vico: problematiche generali in relazione alla
potabilita' e salubrita' delle sue acque", propone alcuni interventi sulle
criticita' individuate.
*
Proposte di intervento alle Amministrazioni comunali
- La garanzia della potabilita' e salubrita' delle acque
Le acque provenienti dal lago come tutte le acque destinate a consumo umano
devono subire un processo di trattamento in relazione alla loro
classificazione secondo quanto stabilito dal DPR 515/82.
Infatti  sono previsti per legge differenti tipi di trattamento a seconda
delle caratteristiche delle acque come riportato nella tabella sottostante:
Categoria - Trattamento
A1: Trattamento fisico semplice e disinfezione
A2: Trattamento fisico e chimico normale e disinfezione
A3: Trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione
Tutte le fasi del trattamento devono essere rispettate al fine di ottenere
acque pulite e salubri. Nei potabilizzatori comunali di Ronciglione e
Caprarola, oltre al trattamento previsto in relazione alla classificazione
delle acque del lago, devono essere utilizzati sistemi di  abbattimento e
filtraggio adatti ad impedire il passaggio, nelle acque destinate alla
popolazione, delle alghe e in particolare dell'alga tossica Plankthotrix
rubescens e della sua microcistina (attualmente solo nel potabilizzatore di
Caprarola sembrano essere in funzione filtri a carbone attivo per questa
funzione). I potabilizzatori dei comuni di Caprarola e Ronciglione dovranno
essere dotati inoltre di impianti di dearsenificazione cosi' come quelli di
tutti quei comuni della nostra Provincia che presentano analogo problema.
Deve essere  predisposta necessariamente  una regolare manutenzione di tutto
il sistema di potabilizzazione e periodiche verifiche ed ispezioni da parete
degli enti preposti.
La documentazione relativa alla gestione, manutenzione ed ispezione dei
potabilizzatori deve essere sempre resa disponibile, nei tempi e nei modi
prescritti dalle vigente leggi, alla consultazione dei cittadini e delle
associazioni che ne facciano richiesta; questo a garanzia del diritto
all'informazione e a riprova di una gestione corretta e sicura del sistema
di potabilizzazione, premessa indispensabile per la tutela della salute
pubblica.
- Controllo degli scarichi civili abusivi
Per il risanamento del lago e per ridurre anche l'apporto di nutrienti
all'alga Plankthotrix rubescens e' indispensabile che sia eliminato ogni
scarico civile abusivo e pertanto e' necessario un rapido censimento ed un
controllo obbligatorio di tutte le utenze civili presenti in prossimita' del
lago da parte delle amministrazioni comunali di Ronciglione e Caprarola.
- Individuazione di fonti alternative di approvvigionamento idrico
Poiche' il lago di Vico e' un sistema idrico aperto e quindi costantemente
vulnerabile ed aggredibile da molteplici ed eterogenei fattori
d'inquinamento sia esogeni che endogeni e' necessario  progettare, in tempi
brevi, la realizzazione di fonti alternative di approvvigionamento idrico:
pozzi che dotati di dearsenificatori possano fornire acqua di migliore
qualita' e maggiore sicurezza con un piu' facile e meno costoso processo di
potabilizzazione.
- Le pratiche agricole
Al fine di un complessivo risanamento dell'ecosistema del lago di Vico
andranno introdotte al piu' presto idonee pratiche agricole che prevedano la
riduzione sostanziale dell'uso di fertilizzanti e fitofarmaci anche
attraverso nuove ordinanza comunali, e nell'immediato futuro occorrera'
pensare ad un progetto di riconversione alla coltivazione biologica di tutta
l'area circostante il lago.
- L'informazione alla popolazione
Dovranno essere ricercate ed attuate, come previsto sempre dal D.L. 31/2001,
anche congiuntamente alla Asl di Viterbo, forme di informazione efficace
(manifesti, comunicati stampa, incontri etc.), rivolte alla popolazione
circa lo stato e la qualita' delle acque erogate dai pubblici acquedotti e
soprattutto in occasione di ordinanze comunali che ne vietano l'uso potabile
e quindi anche l'uso nei pubblici esercizi, nelle mense scolastiche e nelle
industrie alimentari locali.
*
Proposte di intervento alla Asl di Viterbo
Per assicurare acque pulite e salubri alle popolazioni, il monitoraggio
della potabilita' delle acque, dopo processo di potabilizzazione, dovrebbe
avere una frequenza piu' intensa e costante comprensiva ogni volta di tutti
i parametri previsti nel D.L. 31/2001 anche con ricerche supplementari; e in
particolare dovrebbe essere intensificato nei periodi di fioritura dell'alga
Plankthotrix rubescens anche con campionature settimanali. Il monitoraggio
dovra' sempre garantire la corretta e certa tipizzazione dell'eventuale
presenza dell'alga Plankthotrix rubescens e della concentrazione della sua
microcistina tossica, e questo  particolare monitoraggio dovra' continuare
ad essere affidato esclusivamente ad enti pubblici.
In considerazione poi degli elevati livelli di arsenico costantemente al di
sopra dei valori stabiliti dall'Organizzazione Mondiale della Sanita' che
indica con il valore 0 il valore auspicabile per l'arsenico nelle acque
potabili e come accettabile solo transitoriamente il valore di 10
microgrammi/litro, si propone un monitoraggio piu' frequente di questo
parametro  da parte della Asl di Viterbo.
Piu' fattori inquinanti e di tipo cancerogeno presenti nelle acque del lago
di Vico - l'arsenico, i fitofarmaci e fertilizzanti e la microcistina
prodotta dall'alga Plankthotrix rubescens - possono agire in sinergia: e'
quindi necessario che sia rispettato e applicato il principio di precauzione
che consiste nel caso specifico in un monitoraggio piu' frequente e costante
di queste sostanze nelle acque provenienti dal lago cosi' da evitare
l'esposizione  della popolazione e in particolare di bambini, donne in
gravidanza e malati a queste sostanze riconosciute come dannose per la
salute umana.
Molte specie ittiche, che vivono nel lago di Vico e che sono destinate a
consumo alimentare, accumulano le micriocistina prodotta dall'alga
Plankthotrix rubescens nelle strutture muscolari e nei visceri. La
microcistina non e' termolabile e quindi nelle fasi di cottura non viene
distrutta. Al fine della tutela della salute pubblica il Servizio
veterinario della Asl di Viterbo dovra' garantire un piu' frequente
monitoraggio dell'eventuale accumulo della microcistina nei pesci, indicare
le specie ittiche studiate e fornire una costante e diretta comunicazione
dei risultati delle analisi agli enti preposti, alla popolazione, agli
esercizi pubblici e commerciali.
*
A margine di queste brevi indicazioni di intervento, l'Associazione italiana
medici per l'ambiente, sezione di Viterbo, ritiene che le azioni per il
risanamento delle condizioni del lago di Vico e per la tutela della salute
pubblica debbano esercitarsi attraverso diversi livelli di intervento e
soprattutto con una piu' forte sinergia di azione e collaborazione tra i
diversi enti coinvolti: le Amministrazioni dei Comuni di Caprarola e
Ronciglione, della Provincia di Viterbo, della Regione Lazio, l'Universita'
della Tuscia, l'Istituto Superiore di Sanita', la Riserva del lago di Vico,
l'Arpa Lazio, l'Asl di Viterbo con il suo Dipartimento di Igiene e
Prevenzione e Servizio Veterinario, il Corpo Forestale dello Stato, le
associazioni scientifiche, le associazioni dei coltivatori e dei cittadini.
In tal senso di sicura importanza e utilita' e' stata l'istituzione di un
tavolo tecnico da parte dell'Assessorato all'ambiente della Provincia di
Viterbo e pertanto si auspica un calendario di incontri piu' frequente di
questo organismo tecnico, in modo da valutare ogni volta i programmi
d'intervento congiunti, i risultati raggiunti e gli obiettivi da conseguire
cosi' da fornire un'ampia e corretta informazione anche alle associazioni e
ai cittadini.
*
dottoressa Antonella Litta, referente per la provincia di Viterbo
dell'Associazione italiana medici per l'ambiente - Isde (International
Society of Doctors for the Environment - Italia)
Viterbo, 16 marzo 2009

3. RIFLESSIONE. ABOLIRE LA CACCIA

Non crediamo ci sia necessita' di minuziosi sillogismi per argomentare che
la caccia e' una pratica in relazione alla quale in Italia c'e' un solo
provvedimento da prendere: abolirla.
Abolendo la caccia si risparmiano moltissime vite di animali e non poche
vite umane; abolendo la caccia si tolgono di torno molte armi assassine;
abolendo la caccia si contrasta una vera e propria perversa "educazione
all'uccidere"; abolendo la caccia si rende piu' civile e sostenibile la vita
di tutte le persone e si protegge almeno un po' la natura dalla distruzione.

4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "CACCIA ALL'UOMO" DI FILIPPO SCHILLACI
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Filippo Schillaci, Caccia all'uomo. Quello che e' indispensabile sapere sui
cacciatori, Nuovi Equilibri, Viterbo 2005]

Indice del volume
Prefazione; Capitolo 1. Di cosa stiamo parlando? Capitolo 2. Cosa accade
nelle campagne italiane? Capitolo 3. Le giustificazioni dei cacciatori;
Capitolo 4. Caccia contro agricoltura; Capitolo 5. O vacanze o fucilate;
Capitolo 6. Se la caccia fosse un lavoro; Capitolo 7. Il nostro futuro:
servi della gleba dei cacciatori? Capitolo 8. Brandelli di psicologia del
cacciatore; Capitolo 9. Un po' di storia, ovvero come siamo giunti a questo;
Capitolo 10. Manuale di autodifesa del cittadino; Appendice.
*
Pagina 5
Di cosa stiamo parlando?
Sappiamo veramente cos'e' la caccia oggi? Pensiamo che sia qualcosa di
lontano da noi, che non fa parte della nostra vita? Un'attivita' quasi
romantica, retaggio dell'istinto primordiale di sopravvivenza dell'uomo e le
cui vittime sono solamente gli animali?
Ci siamo resi veramente conto di cosa e' la caccia oggi?
Forse e' il caso di ripartire da zero. La caccia consiste nel libero uso di
armi da fuoco da parte di dilettanti in luoghi non protetti. Luoghi in cui
mentre il "cacciatore" spara, nulla vieta che qualcun altro stia transitando
o sostando. Perche' e' nel giardino di casa sua, perche' e' un agricoltore
che sta lavorando nel suo campo, perche' ha deciso che e' una giornata cosi'
bella da meritare una passeggiata in un bosco, o per mille altre legittime,
indiscutibili ragioni. Egli e' li', dove ha il diritto di essere, e li', a
poca distanza da lui, c'e' il cacciatore, col suo fucile puntato e il suo
diritto, sancito per legge, a farne uso. Che questi due diritti siano
incompatibili, che si escludano a vicenda, e' la piu' intuitiva delle cose.
Non sembra pero' esserlo per i legislatori i quali, da decenni, da sempre,
in tutto cio' non trovano che ci sia nulla di strano.
Questo libro nasce in un luogo e in un momento precisi: nasce la mattina del
3 dicembre 2001 alle ore 8 nel giardino di casa mia. In quel momento un
individuo armato con la licenza di caccia in tasca, penetrato attraverso un
varco abusivo in un podere vicino, esplose una fucilata contro la siepe che
separa il mio giardino da quello accanto, a due soli metri dal punto in cui
ci trovavamo io e un'altra persona e a due sole ore dal momento in cui,
nell'altro giardino, ai piedi di quella siepe, sarebbero giunte a giocare
tre bambine.
La sparatoria di quella mattina non era un fatto isolato, il singolo gesto
irresponsabile di un pazzo criminale. La zona in cui abito infatti e'
percorsa in lungo e in largo da individui armati i quali fanno generoso uso
delle armi di cui sono "legalmente" in possesso, incuranti della presenza di
numerose abitazioni e dei relativi abitanti. E la stessa cosa si ripete con
tetra puntualita' in molti altri luoghi d'Italia in cui la caccia e'
consentita.
E' stato questo dunque l'inizio del mio viaggio nel tunnel della caccia:
poiche' la caccia si occupava di me, non avevo altra scelta che cominciare a
occuparmi di essa.
Vediamo innanzi tutto di comprendere le dimensioni del fenomeno. Nel 2002 in
Italia i cacciatori erano circa 800.000. Ma questo numero, da solo, non dice
molto. Dice di piu' se si pensa che l'esercito angloamericano che ha invaso
l'Iraq durante la guerra del 2003 era composto da 270.000 uomini: dunque
appena un terzo del numero di cacciatori presenti un anno prima in Italia.
La prima domanda che mi posi fu la piu' ovvia: possibile che lo scorrazzare
di 800.000 individui armati, liberi di sparare a volonta' nelle campagne,
rimanga senza conseguenze per la sicurezza di coloro che vi abitano o
transitano?
Non sapevo ancora che l'associazione Uomo Natura Animali (Una) aveva
pubblicato appena un anno prima Di caccia si muore, una impressionante
rassegna stampa che riassumeva undici anni di tragedie provocate
dall'attivita' venatoria.
Contattai la Lega per l'Abolizione della Caccia (Lac), dalla quale ebbi
conferma che gli "incidenti di caccia" (cosi' vengono chiamati e cosi' per
ora li chiameremo anche noi) c'erano davvero. L'associazione ecologista ne
stava effettuando il censimento e subito dopo la chiusura della stagione
venatoria 2001/2002 rese noti alla stampa i risultati in un comunicato nel
quale si legge fra l'altro: "A fianco della guerra condotta agli animali
un'altra guerra di proporzioni enormi viene condotta dai cacciatori: e'
quella ai propri simili. Ogni anno le cronache dei giornali segnalano
raccoglitori di funghi scambiati per fagiani, escursionisti e gitanti
impallinati, cacciatori che si sparano tra loro, agricoltori uccisi mentre
lavorano nei campi, bambini sparati sulla porta di casa mentre giocano
(...)".
"Tra i principali fattori che concorrono a una simile tragedia", afferma
Roberto Piana, segretario nazionale, "vi sono il territorio densamente
abitato e in gran parte urbanizzato, la mancanza di grandi superfici
naturali, il reticolo viario grandemente diffuso, l'incoscienza e la
stupidita' di molti cacciatori. A questi si aggiungono gli esami-caccia non
seri e non sufficientemente selettivi, la mancanza di adeguati accertamenti
psicofisici, il fanatismo venatorio e soprattutto le armi di molti
cacciatori, che rendono questa attivita' pericolosissima anche per la specie
umana".
*
Da pagina 35
Le giustificazioni dei cacciatori
Come si giustificano i cacciatori e i loro sostenitori quelle poche volte
che si sentono in dovere di farlo? Vediamolo.
1. Umbria, novembre 2001
La prima settimana di quel mese in Umbria fu tragica: 3 morti nella caccia
al cinghiale in appena due giorni.
Su tali fatti Sauro Presenzini, a quel tempo coordinatore delle Guardie
Venatorie del Wwf umbro, fu chiaro: "Smettiamola di definirli incidenti di
caccia, considerandoli semplici fatalita'. Questi sono veri e propri omicidi
colposi, causati dall'assurda imprudenza con la quale si maneggiano le armi.
Nella maggior parte dei casi siamo davanti ad omicidi colposi. Non si puo'
scambiare un uomo per un cinghiale, non si puo' sparare all'impazzata ogni
volta che si muove una fronda. Queste morti nascono da imperizia, negligenza
e colpa. La caccia, ormai, e' un problema di ordine pubblico. Nei boschi non
ci sono solo i cacciatori, ma anche cercatori di funghi, appassionati di
trekking o persone che vogliono semplicemente trascorrere qualche ora
all'aria aperta".
Fu cosi' che per una volta sui giornali si parlo' degli "incidenti" di
caccia con grande rilievo. E se ne parlo' perche' la dichiarazione di
Presenzini genero', da parte dei cacciatori e dei loro sostenitori politici
locali, forti reazioni.
Ecco qualche esempio delle loro risposte.
Fausto Prosperini, presidente nazionale della Federazione Italiana Caccia:
"E' la stessa conformazione della regione, oltre che il tipo di cartucce
utilizzate, a rendere a piu' alto rischio la caccia al cinghiale rispetto ad
altri animali".
Questo significa ammettere che l'ambiente (selvatico e dunque
incontrollabile) e' un elemento cruciale e ineliminabile nel determinare i
livelli di rischio della caccia. Ne riparleremo nel capitolo 6.
"Ma l'idea di proibire questa particolare attivita' venatoria", continua
Prosperini, "e' assurda. Sarebbe come metter fuori legge le autostrade
perche' vi si verificano incidenti".
Il paragone con gli incidenti d'auto e' molto caro ai cacciatori e lo
ritroveremo nel corso di questo capitolo: ricorre con tale frequenza da
essere ormai quasi un luogo comune.
Il piu' elementare buonsenso ci dice che e' impossibile chiudere le
autostrade in quanto viene da esse un beneficio sociale ineliminabile.
Nonostante cio' il costo sociale causato dagli incidenti stradali e'
giustamente rinenuto eccessivo e si legifera allo scopo di ridurlo. Possiamo
dire altrettanto della caccia? Il discorso - qualunque discorso - va posto
in termini di rapporto costi/benefici, e poiche' il beneficio sociale della
caccia e' nullo, altrettanto nullo e' il costo sociale accettabile. Questa
logica e' del tutto estranea al modo di pensare del cacciatore, il quale non
trova nulla di esagerato nell'attribuire al suo "hobby" la stessa rilevanza
della circolazione automobilistica. Sulla visione assurdamente amplificata
che i cacciatori hanno della caccia tornero' nel capitolo 8.
Proseguiamo. Gianni Zaganelli, avvocato, membro dell'esecutivo nazionale di
"Libera Caccia": "Parlare di 'omicidi colposi' equivale a parlare di
incidenti, in quanto le morti di questi giorni sono fatalita' dovute a
negligenza, imperizia e imprudenza, fattori che si possono verificare in
qualsiasi momento della vita di una persona e non solo sul terreno di
caccia".
Questa dichiarazione e' totalmente incoerente: parlare di "fatalita' dovute
a negligenza, imperizia e imprudenza" e' una contraddizione in termini. Una
fatalita' e' qualcosa che avviene senza colpa umana; negligenza, imperizia,
imprudenza sono colpe umane, dunque l'esatta negazione di una fatalita'.
Ma Zaganelli non si ferma qui: prosegue in una sfrenata agiografia della
figura del cacciatore: "I tesserini per la caccia vengono rilasciati
soltanto a chi possiede una fedina penale pulita anche per quanto riguarda
il certificato dei carichi pendenti. I cacciatori sono dunque per
definizione le persone piu' limpide e trasparenti che esistano". Una
affermazione offensiva nei confronti di tutti noi che cacciatori non siamo e
che, chissa' come, ci ritroviamo ad avere la fedina penale ugualmente
pulita. Anche noi possiamo ritenerci sotto questo aspetto "limpidi e
trasparenti", e in piu' non abbiamo l'inaudita pretesa di aggirarci armati
per le campagne. Non si capisce perche' colui che invece ha questa pretesa
debba essere piu' "limpido e trasparente" di noi. "Sostenere che i
cacciatori sparano all'impazzata", continua Zaganelli, "e' una notizia falsa
e tendenziosa, per il fatto che, se le cose stessero davvero cosi', ogni
giorno dovremmo contare centinaia di morti e di feriti". Centinaia no, ma un
numero proporzionalmente piu' alto che in numerosi altri contesti si'. E
cosi' difatti e'. Anche questo punto sara' approfondito nel capitolo 6.
"Invece", conclude Zaganelli, "e' in vigore nella categoria una severa
autodisciplina". Un'autodisciplina che include spari alla cieca verso
cespugli dietro cui si e' intravista una sagoma, famiglie che vivono in
stato di assedio asserragliate nelle proprie abitazioni, insomma tutto
quello che e' gia' emerso nelle pagine precedenti e con cui possiamo
confrontare il valore di queste affermazioni.
*
Da pagina 47
Caccia contro agricoltura
"Gestione del territorio agro-silvo-pastorale": questo e' l'insieme di
attivita' nel cui ambito viene fatta rientrare la caccia. Naturalmente fra
le parti in causa vi sono gli agricoltori, e i cacciatori ne sono
consapevoli. Da sempre essi infatti attuano nei loro confronti una attivita'
di propaganda che non ha mancato di dare i suoi pessimi frutti. Nel 1980,
anno del primo tentativo referendario contro la caccia, su una pubblicazione
del Partito Radicale si leggeva: "Non si comprende la logica difensiva delle
associazioni venatorie, che affermano contemporaneamente: 1) che gli animali
selvatici spariscono non per effetto della caccia, ma per l'uso di pesticidi
e anticrittogamici in agricoltura, per l'inquinamento industriale delle
acque ecc.; 2) che senza la caccia le specie si moltiplicherebbero in tali
proporzioni da compromettere seriamente la nostra agricoltura. Delle due
l'una!".
Senza dubbio. Ma le due affermazioni non solo si escludono a vicenda;
ciascuna di esse e' in se' discutibile. Qui mi occupero' brevemente della
prima, lungamente della seconda. Perche' e' proprio su quest'ultima che i
cacciatori hanno costruito un gigantesca mistificazione ai danni dei
coltivatori riuscendo molto spesso a farsi passare per difensori
dell'agricoltura, ovvero per l'esatto opposto di cio' che sono.
1. Il cacciatore "ambientalista"
La prima affermazione rientra nel quadro di una immagine che il cacciatore
da sempre tenta di dare di se': quella di "strenuo difensore dell'ambiente".
In una indagine Ispes del 1987 e' scritto: "Si sfoglino le pagine di 'Diana'
agli inizi del secolo, quando l'opinione pubblica era tutta centrata sui
problemi del macchinismo industriale: ebbene si vedranno espresse ripetute
preoccupazioni a riguardo del degrado ambientale e manifestate non poche
attenzioni nei confronti degli animali domestici e selvatici".
Fin qui si puo' non meravigliarsi, perche' e' chiaro che il cacciatore ha
interesse al mantenimento dell'integrita' degli habitat: senza habitat sani
niente animali selvatici da uccidere, senza animali selvatici niente caccia.
Ma basta questo a qualificare il cacciatore come un ambientalista?
La stessa indagine Ispes notava una diversita' di atteggiamento fra il
cacciatore e l'ambientalista nell'approccio al mondo selvatico:
"pratico-manipolatorio per il cacciatore, estetico-conoscitivo per
l'ambientalista". Da notare l'eufemismo contenuto nella parola
"manipolatorio": un po' pesante se si considera che la "manipolazione"
consiste nel prendere a fucilate degli esseri viventi. Sarebbe stato piu'
corretto utilizzare un altro termine: "predatorio".
Il sito internet del Wwf di Caserta forniva qualche tempo fa una illuminante
stima degli effetti di un anno di caccia: 100 milioni di animali uccisi,
3.000 tonnellate di piombo (i pallini) e oltre 900 di plastica (i bossoli)
disperse nell'ambiente. Uno strano modo di "preoccuparsi" del degrado
ambientale.
Concentriamoci ora sulle posizioni espresse dai cacciatori "difensori
dell'ambiente" nei confronti dell'agricoltura. Da un manuale di tecnica
venatoria del 1979: "Una causa determinante della trasformazione degli
ambienti naturali originari e' indubbiamente lo sfruttamento agricolo dei
terreni. Lo sviluppo dell'agricoltura nelle sue forme tradizionali, pur
determinando la distruzione delle condizioni naturali preesistenti,
permetteva il ristabilirsi di un nuovo equilibrio tra fauna ed ambiente. Con
l'avvento delle moderne tecniche agricole la fauna delle zone coltivate ha
subito profondi cambiamenti. Le continue operazioni colturali tendenti ad
abbreviare il ciclo di produzione delle piante coltivate, l'impiego di mezzi
meccanici che causano molte vittime fra gli uccelli da cova sul terreno,
l'uso generalizzato e incontrollato di anticrittogamici, insetticidi,
diserbanti e fertilizzanti, in parte legato al diffondersi delle
monocolture, sono le cause piu' importanti che rendono sempre piu' difficili
la vita della fauna selvatica in queste zone".
Riassumendo: no all'agricoltura convenzionale perche' distrugge l'ambiente
naturale, si' all'agricoltura che oggi chiamiamo biologica perche'
compatibile con esso. Difficile non essere d'accordo. E sembrerebbe dunque
che almeno con quest'ultimo settore del mondo agricolo il mondo venatorio
possa considerarsi in qualche modo in sinergia. Ma una sinergia implica un
rapporto di reciproco beneficio e non e' questo il caso. Perche' se si
valuta attentamente quel discorso ci si accorge che esso dice quali vantaggi
la caccia puo' trarre dall'agricoltura biologica, ma non quali vantaggi
possono venire a quest'ultima dalla caccia.
*
Da pagina 80
Sicurezza e prevenzione nella disciplina della caccia
L'attivita' venatoria e' regolamentata in Italia dalla Legge 157/92, nel cui
art. 1 si legge: "L'esercizio dell'attivita' venatoria e' consentito purche'
non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non
arrechi danno effettivo alle produzioni agricole".
Una omissione colpisce subito: che questo "esercizio" non costituisca
pericolo per l'incolumita' pubblica: un particolare cui il legislatore
mostra fin dal principio di attribuire scarso peso, nonostante il fatto che
"e' chiaro che l'attivita' venatoria puo' porre in pericolo la tranquilla
convivenza dei cittadini, la loro incolumita', particolari attivita' da
questi svolte, ecc. ecc.". Da dove ho tratto questa affermazione? Non da una
pubblicazione animalista o ambientalista bensi' dal gia' citato manuale di
tecnica venatoria della Federazione Italiana della Caccia. Nuovamente, una
fonte "al di sopra di ogni sospetto", che sara' la nostra guida lungo gran
parte di questo capitolo.
Il tema della sicurezza trova spazio nella Legge 157/92 in tre articoli: 12,
21 e 25.
L'art. 12 prevede per il cacciatore l'obbligo di stipulare una "polizza
assicurativa per la responsabilita' civile verso terzi derivante dall'uso
delle armi o degli arnesi utili all'attivita' venatoria". Egli ha anche
1'obbligo di stipulare una polizza assicurativa "per infortuni correlata
all'esercizio dell'attivita' venatoria". Viene citata l'eventualita' di
"morte o invalidita' permanente". Il legislatore dunque riconosce che la
caccia e' un'attivita' ad alto rischio e riconosce come soggetti esposti a
esso non solo coloro che la praticano ma anche altre persone. La tutela che
egli garantisce e' pero' limitata al risarcimento dei danni subiti.
Lo stesso principio guida l'art. 25, il quale istituisce un "Fondo di
garanzia per le vittime della caccia" nei casi in cui il responsabile dei
danni non sia identificato o risulti privo di assicurazione per
responsabilita' civile verso terzi. Il risarcimento e' pero' limitato ai
"soli danni alla persona che abbiano comportato la morte o un'invalidita'
permanente superiore al 20 per cento".
Nell'imporre questo, peraltro discutibile, limite il legislatore conferma
che l'esposizione al rischio, anche per chi non e' cacciatore, puo'
risultare grave o perfino letale.
E la prevenzione? Non e' trattata esplicitamente bensi' unita ad altre
disposizioni, sotto la comune dicitura "Divieti", nell'art. 21, il quale
esaurisce tutto cio' che il legislatore nazionale ha ritenuto di dover dire
sull'argomento.
L'art. 21 prevede il divieto di esercizio venatorio in alcuni luoghi, fra
cui: giardini, parchi, terreni adibiti ad attivita' sportive, aie, corti o
altre pertinenze di fabbricati rurali. Prevede inoltre delle distanze minime
da rispettare dai fabbricati, dalle macchine agricole in funzione e dalle
vie di comunicazione. Esclude pero' da queste ultime le strade poderali e
interpoderali. Queste distanze sono di 100 m per fabbricati e macchine
agricole, di 50 m per le strade. Diventano di 150 m se si spara in direzione
di essi.
Molto interessante e' un passo del citato manuale della Federazione Italiana
della Caccia, in cui si discute su cosa debba intendersi per "vie di
comunicazione" e in particolare "strade".
Ma prima una piccola osservazione: questo manuale risale al 1979 e dunque
commenta in realta' la preesistente Legge 968/77 e non l'attuale Legge
157/92 che l'ha sostituita. La seconda, tuttavia, in tema di prevenzione e
sicurezza ha "fotocopiato" quasi letteralmente la prima, e questo fa si' che
considerazioni vecchie di un quarto di secolo rimangano oggi di piena
attualita'.
Ecco ora il passo che qui ci interessa:
"per strada deve intendersi quella via di comunicazione che e' percorribile
(salvo fatti eccezionali) in ogni stagione dai veicoli ordinari. Esistono
tracciati in terra battuta che sono percorribili da questi, ma soltanto in
alcune stagioni dell'anno; appena piove il tracciato diviene intransitabile;
non siamo percio' dinanzi ad una strada. Egualmente con motociclette o auto
fuoristrada si possono percorrere sentieri o carrarecce transitabili
soltanto con carri agricoli, da trattori, o a piedi; anche in questo caso
non siamo dinanzi a una 'strada' come la legge intende, perche' transitabile
soltanto con mezzi particolari e non con veicoli ordinari.
La legge poi non impone il rispetto della fascia di m. 50 di distanza da
quelle strade, che pur avendo i requisiti di transitabilita' sopra detti
(...) siano poderali o interpoderali; per poderale si intende quella strada
che pur partendo da una strada pubblica, porta ad una unita' poderale,
servendo normalmente ad un numero limitato di persone addette a quel podere
(anche se ivi possono passare altre persone per recarsi alla relativa casa),
e li' si fermi senza proseguire; per interpoderale si intende quella strada
che pur partendo da una strada pubblica, serve piu' unita' poderali,
congiungendo un immobile ad altri, ma poi sempre terminando senza sfondo
alcuno.
Se al contrario questa strada, pur partendo da una strada pubblica e
congiungendo diverse unita' poderali, prosegue riallacciandosi ad altra
strada pubblica, ecco che questa serve ad un numero indeterminato di persone
e come tale rientra nel raggio del rispetto di m. 50 per l'esercizio
venatorio.
In altre parole le strade senza sfondo non sono tutelate dalla legge, in
quanto assai meno frequentate".
Interpretiamo: il singolo cittadino non e' tutelato preventivamente come
individuo bensi' solo in quanto "immerso" in una collettivita'. Abbiamo
visto che se egli e' un turista il "fenomeno turistico" di cui fa parte deve
(mi correggo: doveva) essere intenso affinche' egli potesse essere al sicuro
dalle fucilate. Allo stesso modo la strada su cui si transita deve essere
"molto" frequentata. Dal momento in cui si lascia una via pubblica per
incamminarsi lungo il viottolo che conduce alla propria casa di campagna si
e' al di fuori di qualsiasi tutela preventiva. Da quel momento nulla vieta
che la persona sia esposta al tiro di colpi d'arma da fuoco. "Per sbaglio",
s'intende, ma si converra' che dal punto di vista di chi riceve una fucilata
questo e' un dettaglio trascurabile.
*
Da pagina 133
Manuale di autodifesa del cittadino
Siamo alla conclusione. Al punto in cui si impone una risposta
all'inevitabile domanda: cosa si puo' fare? Come difendersi dall'individuo
armato denominato "cacciatore"?
Diciamo innanzi tutto che, in ogni campo, abbiamo due modi per difendere i
nostri diritti: individualmente e collettivamente. Individualmente possiamo
farlo conoscendo le leggi dello Stato ed esigendo che esse siano fatte
rispettare. Il che e' gia' molto. Tuttavia, quando le leggi sono carenti,
quando consentono cio' che non andrebbe consentito, l'autodifesa individuale
non basta perche' essa ha efficacia, appunto, entro i confini delle leggi
esistenti ma nulla puo' affinche' siano cambiate. Allora l'autodifesa deve
compiere un salto di qualita', deve diventare collettiva affinche' abbia il
potere di mutare le leggi. E' cio' che si chiama lobby quando ad attuarla
sono i potentati economici, e' cio' che si chiama democrazia diretta quando
ad attuarla siamo noi cittadini qualsiasi.
Per tale motivo questo piccolo "manuale di autodifesa" sara' diviso in due
parti: cosa ciascuno puo' fare individualmente e cosa noi possiamo fare
tutti insieme.
1. Autodifesa individuale
La prima cosa da fare e' conoscere le regole che l'individuo armato
denominato "cacciatore" e' obbligato a rispettare. Riassumiamo dunque i
principali divieti, a cominciare da quelli contenuti nell'art. 21 della
Legge 157 dell'11 febbraio 1992.
1.1 I divieti
Luoghi in cui la caccia e' vietata: giardini, parchi, terreni adibiti ad
attivita' sportive, aie, corti o altre pertinenze di fabbricati rurali.
Distanze dalle case. La caccia e' vietata a distanza inferiore a 100 metri
da case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro, anche se al momento
disabitati. Qualora il cacciatore spari in direzione di essi tale distanza
sale a 150 metri.
Distanze da strade e ferrovie. La caccia e' vietata a distanza inferiore a
50 metri dalle strade, comprese quelle comunali non asfaltate, e dalle
ferrovie. E' vietato sparare in direzione di esse da distanza inferiore a
150 metri. Sono escluse da questo divieto le strade poderali e interpoderali
che risultano pertanto prive di qualsiasi tutela relativa all'incolumita'
pubblica.
Distanze da mezzi agricoli. La caccia e' vietata a una distanza inferiore a
100 metri da macchine agricole in funzione.
Distanze da animali domestici. E' vietato sparare a distanza inferiore a 150
metri in direzione di stabbi, stazzi, recinti ed altre aree delimitate
destinate al ricovero e all'alimentazione del bestiame nel periodo di
utilizzo agro-silvo-pastorale.
Mezzi vietati di caccia. Reti, trappole, tagliole, vischio, esche e bocconi
avvelenati, lacci, archetti, balestre, gabbie trappola.
Giorni vietati. La caccia e' sempre vietata nei giorni di martedi' e
venerdi' anche se festivi (silenzio venatorio).
Diritto di entrare nelle altrui proprieta'. L'art. 842 del codice civile,
risalente al regime fascista, consente al cacciatore di penetrare nei fondi
altrui ed esercitarvi la caccia a prescindere dal consenso del proprietario.
Per impedirglielo e' necessario trasformare il proprio fondo in un
cosiddetto "fondo chiuso". A tale scopo e' necessario dotarlo di una
recinzione alta almeno m. 1.20, o notificare l'intenzione di istituire un
"fondo chiuso" all'Amministrazione Provinciale con richiesta formulata entro
i 30 giorni successivi all'approvazione del piano faunistico venatorio
provinciale. Un fondo chiuso, richiesto senza che poi la Provincia si
opponga, non necessita di recinzione ma solo di tabellazione obbligatoria
esente da tasse.
La recinzione puo' essere fatta in qualunque tempo e poi notificata alla
Provincia, mentre il fondo chiuso di cui ottenere il riconoscimento e' una
possibilita' che si apre in un arco temporale di soli 30 giorni abitualmente
ogni 5 anni, ossia al rinnovo del piano faunistico venatorio.
Terreni in attualita' di coltivazione. La caccia e' vietata in forma vagante
sui terreni in attualita' di coltivazione. Si considerano tali "i terreni
con coltivazioni erbacee da seme; i frutteti specializzati; i vigneti e gli
uliveti specializzati fino alla data del raccolto; i terreni coltivati a
soia, a riso, a mais per la produzione di seme, anch'essi fino alla data del
raccolto". Il divieto vale anche "sui terreni in attualita' di coltivazione
individuati dalle Regioni, sentite le organizzazioni professionali agricole
maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro strutture
regionali, in relazione all'esigenza di protezione di altre colture
specializzate o intensive" (L. 157/92, art.15).

5. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE ALL'AEROPORTO DI
VITERBO

Per informazioni e contatti: Comitato contro l'aeroporto di Viterbo e per la
riduzione del trasporto aereo: e-mail: info at coipiediperterra.org , sito:
www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa
Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it
Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it

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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 166 del 18 marzo 2009

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