Voci e volti della nonviolenza. 312



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 312 dell'11 marzo 2009

In questo numero:
1. Una proposta di ordine del giorno ai Comuni, le Province e le Regioni
fedeli allo stato di diritto e all'umanita'
2. Alcune cose che occorre fare subito contro il razzismo
3. Per la messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord
4. Alcuni estratti da "Gli italiani sono bianchi?" a cura di Jennifer
Guglielmo e Salvatore Salerno (parte prima)

1. INIZIATIVE. UNA PROPOSTA DI ORDINE DEL GIORNO AI COMUNI, LE PROVINCE E LE
REGIONI FEDELI ALLO STATO DI DIRITTO E ALL'UMANITA'

Egregi Sindaci ed egregi Presidenti delle Province e delle Regioni,
egregi consiglieri comunali, provinciali e regionali,
vi proponiamo di porre all'ordine del giorno di sedute straordinarie
convocate ad hoc delle assemblee deliberative delle istituzioni di cui fate
parte la seguente proposta di ordine del giorno.
A nessuno sfugge la gravita' dell'ora.
Un cordiale saluto,
il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 11 marzo 2009
*
Proposta di ordine del giorno
Premesso che alcune disposizioni del cosiddetto "pacchetto sicurezza"
promosso dal governo con successivi decreti e disegni di legge tuttora
all'esame del Parlamento sono in flagrante contrasto con principi
fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, dello stato di
diritto, dell'ordinamento democratico, della civilta' giuridica, della
Dichiarazione universale dei diritti umani;
Il consiglio comunale (provinciale, regionale) di ...
invita il Parlamento a respingere le proposte di provvedimento palesemente
razziste ed incostituzionali.

2. INIZIATIVE. ALCUNE COSE CHE OCCORRE FARE SUBITO CONTRO IL RAZZISMO
[Riproponiamo il seguente appello]

Proponiamo che non solo le persone di volonta' buona, non solo i movimenti
democratici della societa' civile, ma anche e in primo luogo tutte le
istituzioni fedeli allo stato di diritto, alla legalita' costituzionale,
all'ordinamento giuridico democratico, si impegnino ora, ciascun soggetto
nell'ambito delle sue peculiari competenze cosi' come stabilite dalla legge,
al fine di contrastare l'eversione razzista che sta aggredendo il nostro
paese.
Ed indichiamo alle persone, ai movimenti ed alle istituzioni democratiche
alcune iniziative necessarie ed urgenti.
*
1. Respingere le proposte palesemente razziste, eversive ed incostituzionali
del cosiddetto "pacchetto sicurezza".
*
2. Adottare un programma costruttivo per la difesa e la promozione dei
diritti umani di tutti gli esseri umani:
a) provvidenze di accoglienza a livello locale, costruendo sicurezza per
tutte le persone nell'unico modo in cui sicurezza si costruisce: nella
solidarieta', nella legalita', nella responsabilita', nell'incontro,
nell'assistenza pubblica erogata erga omnes;
b) cooperazione internazionale: poiche' il fenomeno migratorio evidentemente
dipende dalla plurisecolare e tuttora persistente rapina delle risorse dei
paesi e dei popoli del sud del mondo da parte del nord, occorre restituire
il maltolto e cooperare per fare in modo che in nessuna parte del mondo si
muoia di fame e di stenti, che in nessuna parte del mondo vigano regimi
dittatoriali, che in nessuna parte del mondo la guerra devasti l'umanita',
che in nessuna parte del mondo i diritti umani siano flagrantemente,
massivamente, impunemente violati;
c) regolarizzazione di tutti i presenti nel territorio nazionale ed
interventi normativi ed operativi che favoriscano l'accesso legale nel
paese;
d) riconoscimento immediato del diritto di voto (elettorato attivo e
passivo) per tutti i residenti;
e) lotta alla schiavitu' ed ai poteri criminali locali e transnazionali che
la gestiscono e favoreggiano.
*
3. Aprire un secondo fronte di lotta per la legalita' e contro il razzismo,
con due obiettivi specifici:
a) dimissioni del governo golpista e nuove elezioni parlamentari;
b) messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord.

3. INIZIATIVE. PER LA MESSA FUORILEGGE DELL'ORGANIZZAZIONE RAZZISTA
DENOMINATA LEGA NORD
[Riproponiamo il seguente appello]

Al Presidente della Repubblica Italiana
Al Presidente del Senato della Repubblica
Al Presidente della Camera dei Deputati
Oggetto: Richiesta di iniziativa per la messa fuorilegge dell'organizzazione
razzista denominata Lega Nord
Egregi Presidenti,
ci rivolgiamo a voi come massime autorita' dello Stato per richiedere un
vostro intervento al fine della messa fuorilegge dell'organizzazione
razzista denominata Lega Nord.
Tale organizzazione, che pur essendo assolutamente minoritaria nel Paese e'
riuscita ad ottenere nel governo nazionale l'affidamento di decisivi
ministeri a suoi rappresentanti, persegue e proclama una politica razzista
incompatibile con la Costituzione della Repubblica Italiana, con uno stato
di diritto, con un ordinamento giuridico democratico, con un paese civile.
Ritenendo che vi siano i presupposti per un'azione delle competenti
magistrature che persegua penalmente sia i singoli atti e fatti di razzismo,
sia l'azione organizzata e continuata e quindi l'associazione a delinquere
che ne e' responsabile, con la presente chiediamo un vostro intervento
affinche' si avviino le procedure previste dalla vigente normativa al fine
della messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord e
della punizione ai sensi di legge di tutti gli atti delittuosi di razzismo
da suoi esponenti promossi, commessi, istigati o apologizzati.
Con osservanza,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 27 febbraio 2009

4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "GLI ITALIANI SONO BIANCHI?" A CURA DI JENNIFER
GUGLIELMO E SALVATORE SALERNO (PARTE PRIMA)
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Jennifer Guglielmo, Salvatore Salerno (a cura di), Gli italiani sono
bianchi? Come l'America ha costruito la razza, il Saggiatore, Milano 2006
(ed. orig.: Are Italians White?, 2003)]

Indice del volume
Introduzione all'edizione italiana, di Gian Antonio Stella; Introduzione.
Bugie bianche, verita' scure, di Jennifer Guglielmo; Parte prima. Imparare
la linea del colore negli Stati Uniti. 1. Colore: bianco / carnagione:
scura, di Louise DeSalvo; 2. "Nessuna barriera del colore". Italiani, razza
e potere negli Stati Uniti, di Thomas A. Guglielmo; 3. Razza, nazione,
trattino. Italiani-americani e multiculturalismo americano: una prospettiva
comparata, di Donna R. Gabaccia; 4. In equilibrio sulla linea del colore.
Immigrati italiani nella Louisiana rurale 1880-1910, di Vincenza Scarpaci;
Seconda parte. Radicalismo e razza. 5. L'italiano come "altro". Neri,
bianchi e "medianita'" negli scontri razziali del 1895 a Spring Valley,
Illinois, di Caroline Waldron Merithew; 6. "E' una fortuna che ci siano gli
stranieri qui". Bianchezza e mascolinita' nella creazione dell'identita'
sindacale italiana americana, di Michael Miller Topp; 7. I delitti della
razza bianca. Il discorso razziale degli anarchici italiani come reato, di
Salvatore Salerno; 8. Surrealista, anarchico, afrocentrico. Philip Lamantia
prima e dopo la beat generation, di Franklin Rosemont; 9. In prima linea.
L'hip-hop, la vita e la morte del razzismo, di Manifest; Terza parte.
Bianchezza, violenza e crisi urbana. 10. Quando Frank Sinatra venne a
Italian Harlem. I "tumulti razziali" del 1945 alla scuola Benjamin Franklin,
di Gerald Meyer; 11. Frank L. Rizzo e la scoperta dell'identita' bianca
degli italiani americani di Philadelphia, di Stefano Luconi; 12. "Italiani
contro il razzismo". L'assassinio di Yusuf Hawkins (R.I.P.) e la mia marcia
su Bensonhurst, di Joseph Sciorra; Quarta parte. Verso un immaginario nero
italiano. 13. Sangu du sangu meu. Crescere nera e italiana nell'epoca
dell'esodo bianco, di Kym Ragusa; 14. Immaginare la razza, di Edvige Giunta;
15. Giancarlo Giuseppe Alessandro Esposito. Vita sul confine, di John
Gennari; 16. Italiani/africani, di Ronnie Mae Painter e Rosette Capotorto;
Postfazione. Du Bois, la razza e gli italiani americani, di David R.
Roediger; Note; Gli autori; Indice analitico.
*
Da pagina 17
Jennifer Guglielmo: Introduzione. Bugie bianche, verita' scure
"Gli italiani sono negri con la memoria corta". Nel 2002, alla fine di
giugno, il deejay africano americano Chuck Nice, della stazione radio
Waxq-fm di New York, lascio' cadere in modo casuale questa osservazione
durante una trasmissione del mattino. Nel giro di pochi giorni arrivo' la
risposta. L'Order of the Sons of Italy in America (Osia), la piu' grande e
piu' antica organizzazione degli italiani americani negli Stati Uniti,
annuncio' che era "sconcertata da una simile affermazione e dal rifiuto
della stazione radio di trasmettere le proprie scuse. Sappiamo che il signor
Nice e' africano americano, ma non riusciamo a capire perche' sia sbagliato
che una persona bianca chiami un africano americano in quel modo, mentre
invece non ci sia nulla da obiettare se lo stesso termine viene usato da un
africano americano per descrivere i bianchi". Cio' che il portavoce
dell'organizzazione considerava tanto offensivo non era l'intera frase, solo
l'epiteto, cosa priva di senso dato che veniva usato da un africano
americano per descrivere dei bianchi. Quello che apparentemente non venne
compreso, pero', era che il conduttore radiofonico stava chiamando in causa
gli italiani a proposito della particolarita' della loro bianchezza: gli
italiani non sono sempre stati bianchi, e la perdita di questa memoria e'
una delle tragedie del razzismo in America.
L'osservazione di Chuck Nice non e' un caso isolato. Nel corso del XX
secolo, molte persone di colore hanno criticato il modo in cui gli italiani
americani hanno affermato e rivendicato l'identita' di bianchi. W.E.B. Du
Bois, Bernardo Vega, James Baldwin, Malcolm X, Ann Petry, Ana Castillo, Piri
Thomas e altri scrittori e attivisti influenti hanno anche osservato i modi
complessi e contraddittori in cui gli italiani hanno aderito e contravvenuto
alle pratiche della supremazia bianca. In effetti, le parole di Chuck Nice
riecheggiano quelle di Malcolm X, che trent'anni prima aveva ricordato agli
italiani americani l'invasione dell'Italia da parte di Annibale: "Nessun
italiano puo' saltare su e cominciare a insultarmi, perche' io conosco la
sua storia. Gli dico: quando parli con me, stai parlando con papa', con tuo
padre. Lui conosce la sua storia e sa dove ha preso quel colore". James
Baldwin si e' concentrato sui modi specifici in cui gli italiani americani
si relazionavano con la linea del colore nel suo quartiere, Greenwich
Village, negli anni Quaranta e Cinquanta. Osservo', per esempio, che i
proprietari italiani del ristorante locale San Remo lo buttavano fuori ogni
volta che entrava, ma che lo lasciarono restare quando arrivo' con il
presidente della casa editrice Harper & Row. Anzi, da quel giorno in poi,
ne' loro ne' la maggior parte degli italiani del quartiere lo infastidirono
piu'. Ricordava che una sera, quando una banda di bianchi ostili l'aveva
minacciato, i proprietari del San Remo avevano chiuso il locale, spento le
luci e si erano seduti con lui nel retrobottega fino al momento in cui era
sembrato prudente accompagnarlo a casa. "Una volta che ero dentro il San
Remo", scrisse, "ero 'dentro', e tutti quelli che mi davano fastidio erano
'fuori': questo e' tutto, ed e' successo piu' di una volta. E nessuno
sembrava ricordarsi di un tempo in cui non ero li'. Non riuscivo a farmi
un'idea precisa, ma mi sembrava di non essere piu' nero per loro e loro
avevano smesso di essere bianchi per me, perche' a volte mi presentavano ai
loro parenti dando tutta l'impressione di provare affetto e orgoglio e non
mostravano nemmeno il piu' remoto interesse per quelle che potessero essere
le mie inclinazioni sessuali. Mi avevano combattuto con molta forza per
allontanare questo momento, ma forse eravamo tutti molto sollevati dal fatto
di esserci lasciati alle spalle la vergogna del colore".
Il racconto di Baldwin sul modo complesso in cui gli italiani del suo
quartiere lo trattavano, in quanto scrittore africano americano gay, rende
l'idea di come essi rispettassero, fino a un certo punto, la linea del
colore, ma anche di come applicassero il sistema di valori della propria
cultura nell'attraversarla e nel metterla in discussione. Il "prezzo del
biglietto" per la piena ammissione nella societa' statunitense, aveva
compreso Baldwin, era "diventare 'bianchi'" e gli immigrati europei si
trovavano davanti a questa "scelta morale" non appena arrivati.
Gli Stati Uniti che gli immigrati italiani conobbero erano una nazione
fondata su un processo di colonizzazione, espropriazione e schiavitu' e
pertanto percorsa da profonde fratture causate da gerarchie di
disuguaglianza basate sulla razza. Ancora oggi, il persistere della
privazione dei diritti civili, della segregazione, della ghettizzazione, del
profiling e di altre forme di razzismo strutturale continua a ribadire i
sostanziali benefici della bianchezza. Democrazia, liberta' e altri ideali
che gli americani considerano sacri non sono un dato di fatto ma il
risultato di una lotta condotta dal basso, spesso da quelli maggiormente
esclusi. Praticamente tutti gli immigrati italiani sono arrivati negli Stati
Uniti senza essere consapevoli dell'esistenza della linea del colore. Ma
impararono in fretta che essere bianchi significava riuscire a evitare molte
forme di violenza e di umiliazione, assicurarsi, tra gli altri privilegi,
l'accesso preferenziale alla cittadinanza, al diritto di proprieta', a
un'occupazione soddisfacente, a un salario con cui si poteva vivere, ad
abitazioni decorose, al potere politico, allo status sociale e a
un'istruzione di buon livello. "Bianco" era sia la categoria nella quale
erano piu' frequentemente collocati, sia una consapevolezza che adottarono e
respinsero allo stesso tempo.
Lo storico David Roediger ha osservato che Baldwin fu uno dei molti
scrittori africani americani ad analizzare in modo articolato come la
condivisione della menzogna della supremazia bianca abbia "contribuito a
derubare della loro vitalita' le comunita' degli immigrati irlandesi,
italiani, ebrei, polacchi e altri ancora", poiche' richiedeva la disperata
speranza che valesse la pena condividere tutta la paura, l'esclusione,
l'odio, la violenza e il terrore sui quali si basava la bianchezza. Come ha
indicato Chuck Nice, richiedeva che gli italiani distorcessero le loro
storie per condannare e rinnegare quelle parti di loro stessi che piu'
assomigliavano all'"altro" scuro. "L'America e' diventata bianca", ha
affermato Baldwin, "a causa della necessita' di negare la presenza nera e di
giustificare la sottomissione nera. Nessuna comunita' puo' basarsi su un
simile principio - o, in altre parole, nessuna comunita' puo' essere fondata
su una menzogna cosi' genocida". Il prezzo d'ingresso era imparare a
demonizzare e a rifiutare, "e nell'umiliare e diffamare il popolo nero, essi
hanno umiliato e diffamato se stessiª".
L'analisi articolata e incisiva della bianchezza da parte delle persone di
colore ha molto da insegnare sui costi di un tale sistema distruttivo per
tutta l'umanita'. Ma, come ha scritto la poetessa e attivista Audre Lorde,
insegnare ai bianchi i loro errori non e' responsabilita' delle persone di
colore. Al contrario, e' responsabilita' di ciascuno creare una societa' in
cui tutti possiamo prosperare. Il cambiamento rivoluzionario, come ha
indicato molto eloquentemente Lorde, "non e' mai costituito soltanto dalle
situazioni di oppressione da cui cerchiamo di fuggire, ma da quel pezzo
dell'oppressore che e' profondamente radicato dentro ciascuno di noi". E'
fondamentale che ognuno di noi scavi in se stesso per "toccare con mano il
terrore e l'odio di qualsiasi differenza che lo abita. Per vedere che faccia
ha".
Il libro e' nato con questo scopo - scavare nelle nostre vite e nelle nostre
storie per esaminare in modo critico come gli italiani hanno costruito la
razza in America. Con questo lavoro tentiamo di rispondere a una domanda
posta, tra gli altri, dalla critica culturale bell hooks: in quale modo la
razza e' collegata alle pratiche materiali e culturali che rafforzano e
perpetuano il razzismo? I saggi di questo volume rispondono alla domanda
mettendo in evidenza come questo specifico gruppo di immigrati europei e i
loro discendenti hanno imparato, riprodotto e a volte messo in discussione
la supremazia dei bianchi, in modi che sono radicati in una particolare
storia della migrazione, dell'insediamento e dell'incorporazione negli Stati
Uniti.
Dato che la maggior parte di essi e' rimasta povera e proletaria piu' a
lungo della maggior parte degli altri immigrati europei, gli italiani hanno
spesso vissuto nei quartieri operai della nazione, fra le persone di colore.
Come incisivamente documentato dallo storico Robert Orsi, questa
prossimita' - in termini di classe, colore e geografia - ha dato agli
italiani una particolare ansia di affermare un'identita' bianca, per
prendere le distanze concretamente dai loro vicini neri e bruni e per
ricevere i cospicui benefici associati all'essere bianchi. La ricerca del
sociologo Jonathan Rieder sugli anni Settanta e Ottanta del Novecento a
Canarsie, Brooklyn, ha dimostrato che gli italiani hanno spesso preso le
distanze attraverso un resoconto moralista delle lotte affrontate negli
Stati Uniti. Il risultato e' che poverta', disoccupazione, omicidio e altri
problemi socioeconomici vengono addebitati alla presunta natura deficitaria
degli africani americani, dei portoricani e delle altre popolazioni di
colore, anziche' essere imputati alle istituzioni politiche e ai metodi di
produzione economica che preservano il potere dell'alta borghesia bianca.
Questo atteggiamento di condanna e demonizzazione verso coloro che hanno uno
status politico ed economico relativamente basso, sostiene Rieder,
"danneggia l'ordine sociale superiore, dividendo cittadini che sarebbero
dipendenti l'uno dall'altro, senza plasmare alcuna concezione del bene
pubblico". L'etnografia degli italiani americani di San Francisco durante
gli anni Settanta del Novecento, curata dall'antropologa Micaela di
Leonardo, ha confermato molte delle scoperte di Rieder. Inoltre, studiosi
come Alexander Saxton, Robin D. G. Kelley, Tera Hunter, Dana Frank, George
Lipsitz, Dolores Janiewski e altri hanno anche dimostrato che, sebbene abbia
svolto una funzione di enorme sussidio per i bianchi della classe operaia,
la bianchezza ha anche fortemente limitato la loro capacita' di smantellare
in modo efficace i sistemi di disuguaglianza che mettono in pericolo le loro
stesse vite.
Gli italiani americani si sono sempre comportati cosi'? I saggi contenuti in
questa raccolta delineano una storia molto complessa di collaborazione,
intimita', ostilita' e presa di distanze tra gli italiani americani e le
persone di colore, nonche' l'importanza tanto della scelta quanto della
coercizione, come sostenuto da Baldwin, nella crescita in loro di una
"consapevolezza bianca". Attualmente, gli italiani americani incarnano
l'immagine del conservatorismo della destra popolare dei "bianchi etnici". I
saggi qui contenuti spiegano come e perche' tale identita' abbia avuto la
forza di mobilitare cosi' tante persone e individuano le sue profonde radici
nel disperato desiderio degli italiani di sfuggire all'oppressione di classe
e di razza negli Stati Uniti. Dimostrano anche che non era affatto
inevitabile maturare questa identita'. Nel corso del XX secolo, gli italiani
americani hanno elaborato una cultura di opposizione creativa, visionaria e
capace di farsi sentire, per contestare la bianchezza e costruire alleanze
con le persone di colore. Nel delineare tale storia, questa raccolta ci
insegna quanta forza abbiamo, come individui, per reagire all'oppressione in
tutte le sue forme.
Il libro ha preso forma negli anni, nel corso di conversazioni settimanali
tra Salvatore Salerno e me. Tutto comincio' con il nostro incontro, sette
anni fa, a Minneapolis. Ero li' per un dottorato in storia, mentre Sal
insegnava sociologia all'universita' locale e le nostre strade si
incrociavano spesso. Essendo tra i pochi italiani americani che studiavano
le storie del radicalismo italiano, dell'attivismo sindacale e di altre
forme di cultura politica degli immigrati, in un luogo che sembrava cosi'
distante da quei mondi, ci siamo trovati naturalmente a gravitare uno verso
l'altra. La razza era sempre al centro delle nostre conversazioni e presto
ci accorgemmo di condividere lo stesso interesse nel mettere in discussione
la bianchezza degli italiani americani. Tuttavia, le nostre origini erano
molto distanti. Sal era cresciuto in una delle poche famiglie di immigrati
siciliani nella East Los Angeles operaia, durante gli anni Cinquanta e
Sessanta, e spesso lo prendevano per latino, a causa della carnagione scura.
Io, invece, figlia dalla pelle chiara di famiglie operaie, irlandese e
italiana, ero cresciuta poco a nord del Bronx, in un quartiere residenziale
abitato prevalentemente da famiglie borghesi italiane, irlandesi ed ebree
durante gli anni Settanta e Ottanta.
Ci univa una storia di attivismo di base progressista e le esperienze
mortificanti ed esaltanti di partecipazione a diversi movimenti - che si
trattasse di combattere il razzismo a livello locale nelle attivita'
commerciali e nelle scuole, opporsi alla brutalita' della polizia, difendere
i diritti degli immigrati o battersi per maggiori diritti delle donne sulla
riproduzione - ci avevano insegnato che la solidarieta' politica e' il
frutto di un impegno comune a porre fine a tutti i sistemi di oppressione.
Per questo c'era bisogno di affrontare i nostri assunti riguardo alla razza,
al genere, alla sessualita', alla classe e ad altri sistemi che creano
divisioni. Tutti e due eravamo cresciuti ascoltando frasi tipo: "per gli
americani eravamo soltanto una massa di mangiaspaghetti" e "ma perche'
questi immigrati non si integrano come abbiamo fatto noi?". Moralismo e
riprovazione erano il modo con cui gli italiani intorno a noi si
distinguevano costantemente dalle persone di colore. La memoria collettiva
dell'oppressione, apparentemente, veniva di rado utilizzata per combattere
il razzismo, sfidare l'ineguaglianza del sistema. Per noi era chiaro che
avevamo un disperato bisogno di ricordare che noi siamo bianchi, che la
nostra bianchezza ci ha garantito l'accesso a un sistema esclusivo di
vantaggi non conquistati, non riconosciuti e, spesso, invisibili di cui non
hanno goduto africani americani, latinos, asiatici e altre persone di
colore. Le nostre conversazioni ci hanno rivelato i molti modi in cui
colore, classe, genere, regione, generazione e molti altri fattori sono di
fondamentale importanza nel determinare come gli italiani sentono e vivono
la razza in America e ci hanno spinti a dedicarci alla creazione di un forum
piu' vasto per la discussione e l'azione collettive.
Ci siamo impegnati nel progetto di curare questa antologia dopo aver appreso
che Leonard Clark, un tredicenne africano americano, era stato picchiato
quasi a morte nel quartiere operaio di Bridgeport, a Chicago, nel 1997. Gli
aggressori avevano cognomi italiani, spagnoli e polacchi. Indignati e
profondamente rattristati, abbiamo deciso di diffondere un messaggio
sull'area discussioni della American Italian Historical Association, per
esprimere il nostro desiderio di intraprendere un qualche genere di azione.
Dopo avere informato i membri dell'aggressione, abbiamo posto la domanda:
"Cosa abbiamo intenzione di fare per combattere il razzismo all'interno
della nostra comunita'?". Da mesi sembrava che lo spazio degli interventi
fosse stato dominato dalle discussioni sulla diffamazione degli italiani sui
mass media, che proponevano ritratti di mafiosi e festeggiamenti
tradizionali del Natale italiano. Volevamo intervenire per stimolare il
confronto sul ruolo che gli italiani americani devono svolgere per stroncare
la violenza razzista. Rimanemmo turbati dagli interventi che vennero
proposti. A fronte di un elenco di quasi cinquecento iscritti, soltanto tre
risposero. Ci fu chiaro che come comunita' non disponevamo del linguaggio o
dello spazio con cui affrontare pienamente questi problemi e che questo
costituiva una necessita' immediata.
A distanza di pochi anni l'una dall'altra, sembrava che si dovessero
ripresentare storie di italiani americani che picchiavano e/o assassinavano
una persona di colore. Nel 1986 avevo finito la scuola superiore soltanto da
un anno quando Michael Griffith, un ventitreenne africano americano, venne
picchiato e inseguito da un gruppo di adolescenti maschi bianchi (due dei
quali italiani americani) e poi ucciso da un'automobile sulla Belt Parkway,
nel quartiere prevalentemente italiano americano di Howard Beach nel Queens
a New York. Tre anni dopo, nel quartiere italiano americano di Bensonhurst,
a Brooklyn, trenta giovani in maggioranza italiani americani aggredirono
brutalmente e uccisero Yusuf Hawkins, un giovane africano americano che si
era avventurato nel quartiere insieme ad alcuni amici per andare a comprare
un'auto usata. In entrambi i casi, i membri della comunita' italiana
americana giustificarono la violenza con un coro di "Innanzitutto, che ci
facevano da queste parti?". A Howard Beach, per esempio, Michelle Napolitano
disse ai cronisti: "Questo e' un quartiere esclusivamente bianco. Quelli [le
vittime] devono essere venuti in cerca di guai". Oggettificando tutti gli
africani americani e proiettando su di essi lo stigma della criminalita',
gli italiani americani del posto non solo legittimavano la violenza
razzista, ma prendevano anche le distanze dal reato concentrandosi sulle
proprie paure.
Dopo l'uccisione di Hawkins e di Griffith, alcuni italiani americani
espressero individualmente la loro indignazione, ma quasi nessuno si
organizzo' per protestare contro la violenza. Il saggio di Joseph Sciorra
contenuto in questa raccolta documenta la marcia "a due" condotta
dall'autore e da Stephanie Romeo, nativa di Bensonhurst, a fianco dei
dimostranti africani americani nel 1989. La loro azione, come scrive
l'autore, si scontro' con l'odio feroce della folla di spettatori italiani
americani che urlavano insulti razzisti ai dimostranti africani americani e
stigmatizzavano i traditori della razza. La scena venne immortalata dai
media, che catalogarono gli italiani americani della classe operaia come i
piu' razzisti fra i bianchi. Alcune organizzazioni di italiani americani
reagirono, ma lo fecero attraverso articoli di giornale difensivi, che
spostavano la discussione dal razzismo degli italiani americani alla
diffamazione mediatica degli italiani tramite la rappresentazione della
criminalita'. La preoccupazione immediata per l'opera di diffamazione non
metteva in evidenza come l'attenzione dei media verso il razzismo "incivile"
degli operai bianchi rendeva di fatto invisibili le strutture di razzismo e
supremazia bianca su vasta scala che davano origine e sostegno a tali atti
violenti. Al contrario, imponeva un silenzio pubblico collettivo sul ruolo
degli italiani nella gerarchia razziale degli Stati Uniti, e la retorica
della vittimizzazione degli italiani americani prese il posto del dialogo e
degli interventi antirazzisti critici.
Le tragedie di Chicago, Bensonhurst e Howard Beach e, piu' di recente, la
tortura di Abner Louima da parte di Justin Volpe, nel 1997, cosi' come molti
altri episodi spaventosi tra cui le innumerevoli azioni di polarizzazione
dell'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, il ruolo dell'ex sindaco di
Philadelphia Frank Rizzo nel terrorizzare gli attivisti impegnati per i
diritti civili (come documentato da Stefano Luconi nel saggio qui
pubblicato), le croci bruciate dal Ku Klux Klan a Long Island, sotto la
guida di Frank DeStefano, autoproclamatosi gran dragone degli American
Knights, ci obbligano a fare i conti con la capacita' degli italiani
americani di rappresentare la bianchezza, malgrado siano stati oggetto di
denigrazione razziale.
Durante le nostre conversazioni settimanali, Sal e io ci appoggiavamo alle
solide critiche della bianchezza formulate da scrittori/attivisti di colore,
come Frederick Douglass, Harriet Jacobs, Alce Nero, Ida B. Wells, Americo
Paredes, Haile Selassie, Langston Hughes, Jesus Colon, Assata Shakur, Angela
Davis, Mary Brave Bird, Bob Marley, Public Enemy e molti altri, per aiutarci
a chiarire quali consuetudini sociali, privilegi materiali e decisioni
morali abbiano portato alla violenza e al terrore bianchi. Abbiamo anche
preso in considerazione l'ampio corpus critico che si e' sviluppato a
partire da questa letteratura, a opera di Toni Morrison, Cherrie Moraga,
Cheryl Harris, Patricia Williams, George Lipsitz, David Roediger, Ronald
Takaki, Noel Ignatiev, Ian Haney Lopez, Matthew Jacobson, Tomas Almaguer,
Grace Elizabeth Hale, Arnoldo De Leon, Michael Rogin, Karen Brodkin e molti
altri, per aiutarci a capire in quale modo l'identita' bianca sia stata
appresa, vissuta e perpetuata nel corso del tempo. Speriamo che questa
raccolta possa arricchire tale opera di critica sull'argomento e che ci
aiuti a capire meglio il ruolo svolto dagli immigrati e dai loro discendenti
nel creare la razza, cioe' nel mettere in discussione e nell'avallare il
sistema razziale degli Stati Uniti.
(parte prima - segue)

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 312 dell'11 marzo 2009

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