Minime. 753



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 753 dell'8 marzo 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Anna Bravo: Introduzione a "La bella politica" di Marisa Ombra
2. Giovanna Capelli: Un esecutivo populista, razzista e contro le donne
3. Lucia Codurelli: Violenza e razzismo
4. Elena Liotta: 8 marzo, la paura e le alleanze
5. Helene Paraskeva: Le "ragazze gorilla" e la Medusa
6. Rosangela Pesenti: Un mondo comune
7. Antonia Sani: Mimose
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. ANTICIPAZIONI. ANNA BRAVO: INTRODUZIONE A "LA BELLA POLITICA" DI MARISA
OMBRA
[Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per averci messo a
disposizione come anticipazione la sua introduzione al libro di imminente
uscita di Marisa Ombra, La bella politica, Seb, Torino 2009]

Per chi assegna il copyright della "bella politica" ai movimenti degli anni
Sessanta-Settanta, questo libro importante rappresenta una documentata e
serena smentita. Non solo: oggi che quell'espressione e' usata come un
mantra tuttofare, la riporta alla concretezza della storia. E cosi' facendo,
mostra la sua capacita' di durata: se la bella politica ha un posto d'onore
nella memoria di oggi, e' perche' ha saputo resistere nella realta' di
allora, a dispetto delle gerarchie e della routine, tenendo vivo il legame
con idee, ideologie, organizzazioni - nel caso di Marisa Ombra il Pci, i
Gruppi di difesa della donna, l'Udi; il femminismo, anche. Questa non e' una
storia di Resistenza, sebbene la racconti; e' l'escursione su un'intera
biografia, dall'infanzia agli anni Novanta: tempo lungo, ritmo serrato e
essenziale.
Bella politica e' l'esperienza del partigianato, che l'autrice vive come
staffetta, macinando in solitudine continaia di chilometri fra le colline
dell'astigiano e delle Langhe. Sono le discussioni con alcuni compagni e
compagne, i giri elettorali, il lavoro con le contadine, l'impegno in "Noi
donne", il primo giornale politico femminile del dopoguerra e la prima
impresa cooperativa editoriale, di cui Marisa sara' presidente.
Bella politica e' il femminismo, punto di svolta, nuovo sguardo sul mondo.
Nell'Udi, molte diffidano del modo in cui le ragazze degli anni Settanta
irrompono sulla scena pubblica, degli obiettivi radicali, dei cortei
separati fragorosi e variopinti, degli slogan. Marisa ha le sue perplessita'
e le conserva, ma sente che tutto questo la riguarda, che e' una risorsa di
liberta'. In quegli anni trova nuove amiche - "alcune incontrano alcune",
scrive, fotografando in tre parole una via maestra della politica
femminista - e inizia un rapporto profondo con la mai dimenticata Annarita
Buttafuoco. Partecipa alle campagne per il divorzio, per la depenalizazione
dell'aborto e contro la violenza sessuale.
Allora come oggi, si interroga sull'amicizia fra donne, dubita del primato
attribuito alla madre, reale e simbolica, dal pensiero della Libreria delle
donne di Milano - e sono riflessioni profonde. Oggi piu' di allora, apprezza
le lotte per la pace, ma non si riconosce nel pacifismo "senza se e senza
ma", nella sensibilita' diffusa che ha trasformato in luogo comune (a volte
rinnegato nei fatti) la tesi secondo cui non c'e' progetto, non c'e' ideale
personale o collettivo che giustifichi lo spargimento di sangue.
Scrive: sull'8 marzo, con Tilde Capomazza, mostrando come quella data nasca
da una gloriosa leggenda, non da un evento; sulla Resistenza, e fra le
riviste dove pubblica c'e' la prima in Italia di studi delle donne, "Dwf";
sulle immagini dell'Udi; sull'attualita'. Scopre come il femminismo - "un
periodo bellissimo" - cambi il rapporto con il suo compagno, che comincia a
guardarla come si guarda una sconosciuta, misteriosa e piu' autorevole di
prima. E' in prima fila nel processo tumultuoso al cui termine la
iperstrutturata Udi azzera i vecchi organigrammi, autosciogliendosi in una
miriade di gruppi locali. Con Luciana Viviani e Maria Michetti, comincia e
porta a termine il lavoro smisurato di raccolta e ordinamento dei materiale
dell'organizzazione, creando un Archivio di importanza primaria per la
storia delle donne, del Pci e dellíItalia repubblicana.
E' una vita cosi' ricca che viene spontaneo pensare a Marisa come a una
donna fortunata. Gia' alle origini. Ha un padre dirigente del Pci e
comandante partigiano, una madre dolcissima che ha avuto il coraggio di
concepirla prima del matrimonio, una nonna cosi' aperta da accogliere con
naturalezza la futura nuora incinta (negli anni '20!). Intorno, il clima
caldo di un borgo meta' operaio meta' campagnolo. Presto arrivano la
passione politica, la Resistenza, la militanza, in cui porta le sue
timidezze, la salute a volte fragile, il piacere dell'eleganza, non ultimo
il dono di una bellezza delicata, raffinata, duratura.
E porta il gusto della liberta', che le costa anche amarezze piccole e
grandi. Nella sua cura per l'abbigliamento, nella sua predilezione per i
tacchi a spillo, c'e' chi vede una spia dell'esecratissima "mentalita'
piccolo-borghese" - lei continua a metterli. La sua storia d'amore, che
sara' lunga e felice, con un compagno sposato e separato, fa scandalo, le
frutta convocazioni da parte dei dirigenti, critiche dei militanti, il
licenziamento dal lavoro al partito - lei ne soffre ma resta con lui. Sono
alcuni fra i punti bui della sua vita, insieme alle difficolta' di relazione
fra donne, alla impersonalita' programmatica dei rapporti nel Pci. Su tutti
spiccano il grande trauma dell'Ungheria, scambiata per una controrivoluzione
borghese e solo in seguito riconosciuta nella sua verita'. E il dolore
legato al nuovo corso del Pci dopo l'89, che giudica tardivo politicamente,
e, appunto per questo, frettoloso nel disperdere un patrimonio grande di
solidarieta', dedizione, competenze. Non e' tutta all'insegna della buona
fortuna, la vita di Marisa.
Di queste e altre delusioni e dissensi, il libro racconta con coraggio e
senza carita' di patria. Scelta non ovvia, anche mettendo in conto che negli
ultimi anni gli storici, e soprattutto le storiche, hanno dato al concetti
di memoria della politica una fisionomia molto piu' sfaccenttata e mossa che
nella tradizione comunista - penso, fra gli altri, ai lavori di Lucia Motti,
Fiamma Lussana, Patrizia Gabrielli, Anna Rossi-Doria.
Ma qui e' singolare il registro narrativo. La "cattiva politica", che esiste
e spesso e' quella che si pretende generale e complessiva, quella che si
ammanta di blasoni ideologici e morali, scorre nel testo senza mai
prevalere, senza mai dargli il suo timbro. Non monopolizza lo sfondo, non
stinge sul resto, gli fa piuttosto da contrappunto, quasi da contorno. Anzi,
si potrebbe definirla "contorno" proprio in senso letterale, complemento
amaro o attossicato di una pietanza meravigliosa; se non si puo' lasciarlo
nel piatto, gli si puo' pero' impedire di rovinare il pasto. Di qui la
lontananza siderale dal registro della protesta e della recriminazione
presente in altre narrazioni, in cui la bella politica viene ridotta a
residuo che compensa e umanizza la "cattiva", ma non abbastanza da evitare
di sentirsene vittime. Interpretazione altrettanto netta e non meno
realistica di quella di Marisa Ombra.
Ma la sua e' la scelta consapevole di sottrarsi all'imperialismo
retrospettivo della cosiddetta grande storia. La scelta di una donna
complessa che ci regala un libro complesso, pieno di idee e nello stesso
tempo di colori, profumi, suoni, rumori - come quanto ricorda che la sua
Resistenza e' stata scandita dall'abbaiare dei cani e dall'incertezza su chi
lo provocasse, amici, nemici, un altro animale, un viandante.
Di tutto questo viene spontaneo esserle grate. Ma non solo di questo.
Nell'esplosione attuale dei modelli culturali, l'area di maggiore tensione
e' probabilmente quella che riguarda le forme del diventare adulti e
dell'invecchiare. E Marisa, la sua persona, la sua scrritura, sono la prova
vivente (e rara) del fatto che dare fiducia al nuovo e' un talento
indipendente dall'eta'; che giovane non e' necessariamente l'opposto di
vecchio, mentre vecchio non e' necessariamente l'opposto di seducente. Il
che non vuole dire, e' ovvio, confondere le fasi della vita, vuol dire
aiutare se stessi a scoprire i propri tempi, e se non coincidono con quelli
canonici, pazienza.
Per come appare, per come si racconta, Marisa e' una bellissima vecchia
ragazza, cui spetta un posto speciale nella memorialistica della politica, e
uno altrettanto speciale nella riflessione sull'eta' e gli anni.

2. UNA SOLA UMANITA'. GIOVANNA CAPELLI: UN ESECUTIVO POPULISTA, RAZZISTA E
CONTRO LE DONNE
[Ringraziamo Giovanna Capelli (per contatti: preside.giovanna at tin.it) per
questo intervento]

Questo esecutivo si e' accanito contro le donne.
Nella campagna contro gli stupri invece di mettere a tema la violenza di
genere e il carattere patriarcale delle relazioni economiche e sociali ha
imposto a un parlamento espropriato dalla propria funzione e privo di
opposizione provvedimenti di tipo razzista e populista, ha diffuso odio e
risentimento verso migranti e rom. Per la prima volta in Italia tramite
esponenti della Lega vengono evocati il linciaggio e la pena di morte come
strumenti di "giustizia" possibile. Molte donne hanno preso parola e hanno
detto "non in nostro nome".
Ma il disegno delle destre e' articolato... Berlusconi opera per una
trasformazione della costituzione materiale, che invece che lavoro, diritti
e uguaglianza abbia come elementi fondativi il mercato e la famiglia, che,
guarda caso, e' il luogo della massima violenza contro le donne.

3. UNA SOLA UMANITA'. LUCIA CODURELLI: VIOLENZA E RAZZISMO
[Ringraziamo l'on. Lucia Codurelli (per contatti: lucia at luciacodurelli.it)
per questo intervento]

La crisi economica e sociale che stiamo vivendo sta segnando in profondita'
la tenuta civile delle nostre comunita'. E' una situazione dove e'
immaginabile prevedere, e temere, che la pancia del Paese, in preda alla
paura e in fuga dalla razionalita', generi sempre di piu' violenza, razzismo
e un volgare conformismo.
Ma l'aspetto piu' intollerabile e preoccupante e' che tutto questo viene
alimentato tutti i giorni da una buona parte di chi ci governa. Quando le
tensioni raggiungono il punto di rottura si passa alla fase successiva:
approvare leggi, come il "pacchetto sicurezza", che danno una veste
normativa e istituzionale a questo clima di intolleranza, che e' contraria
allo spirito (e in molti casi alla lettera) della nostra Costituzione,
nonche' ad ogni sensato progetto di accoglienza e di integrazione.
Come chiamare altrimenti l'invito ai medici a denunciare i "clandestini"
malati, le trappole burocratiche per rendere difficoltoso il
ricongiungimento familiare e la cittadinanza ai migranti regolari e onesti,
la discriminazione nei confronti dei provvedimenti sociali di contrasto alla
poverta', l'istituzione di vigilantes, la persecuzione dei Rom e Sinti
(anche italiani), ed altro ancora.
Pochi sanno che nel "pacchetto sicurezza", per mettere in difficolta'
quanti - come noi - lo contrastano fermamente, e' stato inserito anche il
provvedimento contro lo stalking, la persecuzione e la violenza contro le
donne, che la sottoscritta e il proprio gruppo parlamentare hanno voluto con
caparbieta' e fatto condividere alla maggioranza dei parlamentari. E'
deprimente constatare come anche le poche norme buone che si riescono a
condividere, siano usate strumentalmente e per fini che avviliscono il senso
della politica.

4. OTTOMARZOTUTTOLANNO. ELENA LIOTTA: 8 MARZO, LA PAURA E LE ALLEANZE
[Ringraziamo Elena Liotta (per contatti: e_liotta at yahoo.it) per questo
intervento]

Sono molti anni ormai che l'8 marzo ha perso ai miei occhi la qualita' di
"festa". Anche intenderlo come ricorrenza, quale in realta' sarebbe, cioe'
memoria e richiamo, proietta un alone tra il luttuoso, il rituale, il
formale.
Le/gli ottimisti valutano quanto e' stato fatto nel secolo trascorso a
favore delle donne e dalle donne, gli/le pessimiste invece notano i peggiora
menti e tutto quello che c'e' ancora da fare. Le/gli equilibrati vedono
l'uno e l'altro e di fatto sembra ormai che sui rapporti tra uomini e donne
l'attenzione della cronaca, della giurisprudenza, della cultura, dei mass
media, sia  alta tutto l'anno.
Intendo dire che parlare se ne parla e scrivere pure. Molte donne,
femministe dichiarate e non, lo fanno con specifica competenza e sentite
emozioni. Nei media e nella politica, invece, l'uso che viene fatto delle
notizie e l'indirizzo che viene dato ai temi di discussione del momento
(stupro, violenze, disocccupazione, maternita', usi e costumi di altre
culture, madri figlicide, Eluana...) da parte degli uomini e purtroppo anche
di varie donne, fa emergere la frammentazione che ancora esiste
dell'universo femminile: troppe donne sono ancora lontanissime dal rispetto
verso se stesse, come individui e come genere.
La speranza di riservare alle figlie, alle nipoti, alle generazioni future,
una vita piu' serena e meno dominata dalla paura, di offrire opportunita'
veramente pari a quelle degli uomini, di garantire le tutele dovute e poi,
chissa' quando, di vedere la fine di uno sfruttamento capillare che alcuni
vorrebbero anche prolungare invece che arginare e diminuire, questa speranza
non e' di tutte le donne.
Troppe coltivano ben altre idealizzazioni dalle quali emerge l'assoluta
acquiescenza verso i modelli e le induzioni mediatiche, nessuna critica allo
stile di vita che ha determinato l'attuale crisi economica, ne' fantasie di
cambiamento: l'importante e' continuare a consumare. Chi puo' cerca
l'automobile di grido, lo shopping, l'outlet, la bellezza, la chirurgia
estetica, l'uomo da sedurre, il bel matrimonio e altro; chi non puo'... lo
sogna. So di un gruppo di donne, di mezz'eta', che faranno un viaggio per
andare a celebrare l'8 marzo da McDonald e si lamentano di non averne uno
nella loro citta'. Ad eventuali commenti ci si sente dare della "moralista,
pesante, basta con tutte queste storie... basta con il '68, ormai il mondo
e' cambiato!". E' vero, il mondo e' cambiato, ma fa tristezza vedere donne
che incuranti si lasciano portare e basta.
Dov'e' finito quell'acquisire coscienza di se', delle proprie potenzialita'
e della forza che tutte insieme le donne potrebbero raggiungere, come si
diceva all'affacciarsi del primo femminismo italiano? Vanno riprese le basi
elementari, i fondamenti, perche' si sono persi per strada. Possibile che le
donne, a parte eccezioni, siano davvero "stupide", nel senso di lente a
capire oppure poco perspicaci, nonostante vengano considerate intuitive?
Forse si adattano troppo facilmente all'esistente? O forse, che altro? Una
cara amica, che stimo per intelligenza e sensibilita', prima che il discorso
dell'aeroporto di Viterbo entrasse nel vivo, mi disse tutta contenta: "Visto
che bello! Fanno l'aeroporto a Viterbo! Cosi' non dobbiamo andare piu' a
Roma...". Un tuffo al cuore, e giu' con le informazioni e spiegazioni.
Non sara' la paura che inibisce l'intelligenza, come accade a volte ai
bambini e alle bambine, agli animali, a chiunque sia in uno stato di ansia,
stress, coercizione?
Io guardo direttamente la realta' della vita delle donne, una per una e a
piccoli gruppi, cio' che e' a portata di parola, di incontro dal vivo.
Non mi riferisco solo a situazioni di psicoterapia e consulenze affini, che
fanno parte del mio lavoro.
Guardo e vedo crescere questa strana paura, lenta, sorda, che toglie vigore,
precipita nella rassegnazione a tutte le violenze, anche quelle sottili e
inavvertibili, quelle persistenti, da lavaggio del cervello, che intaccano
la capacita' di pensare e quella di allontanarsi dai contesti di abuso, come
se tutto diventasse, fosse normale, in quel dire: "Ma gli uomini sono fatti
cosi'...", "Ma tanto dove vuoi andare...", "E poi ci sono i figli...", "La
crisi economica...": tutto vero, ma il vissuto di delusione e disillusione
precoce non permette piu' alle donne di mettere in moto reazioni salutari e
salvifiche, dirette non soltanto all'eventuale uomo in questione, ma al
sistema generale che le sta incastrando in una vita che dal punto di vista
psicologico e morale non e' molto cambiata rispetto a quella delle madri e
delle nonne. Sempre tutta dentro, nel silenzio, nella rimozione piu' o meno
consapevole ("meglio non pensarci"), nella sofferenza sorda del
disconoscimento di se', nell'asservimento a tempi e orari altrui, nella cura
sempre piu' faticosa di tutto e tutti, donne affannate, a volte disperate. A
consolarsi con l'abitino nuovo, il trucco, il bijoux, quando non il bere,
l'eccessivo mangiare, le pasticche...
Mi sto convincendo che la paura non riconosciuta come tale - dovuta
all'eterna debolezza "contrattuale" della donna "assogettata" su tutti i
versanti di una societa' ancora maschilista e patriarcale - sta inquinando
l'universo femminile. Il coraggio di poche non riesce a compensare la
fragilita' di molte donne anche giovani, a parole "liberate" e sicure di se'
e dei propri diritti, ma nei fatti succubi di situazioni di coppia nefaste
nelle quali si riattivano gli stereotipi piu' vecchi del rapporto
uomo-donna, o di situazioni di lavoro malpagato, non riconosciuto,
permeabile a ricatti di ogni genere, ugualmente mortificante.
Ma quale paura esattamente? Quella primaria, dell'uomo violento, quella che
va dalla supremazia del suo corpo e della sua forza, dal "mi potrebbe
ammazzare" oltre che stuprare, al "ci vuole un uomo accanto", a tutti i
costi.  Quella per cui "le vedove, le divorziale e separate sono deboli,
possono essere attaccate", e quindi l'uomo accanto serve per difendersi
dagli altri uomini, una sorta di garanzia preventiva. Piu' forte e
rassicurante e' (il "buon partito" che tutte le madri vorrebbero) meglio e'.
Questa mentalita' e' ancora vivissima e inconsciamente attiva nella vita
delle donne, non solo quelle piu' inconsapevoli. Mescolata al senso di
inadeguatezza, vergogna, colpa verso se stesse e verso gli altri.
L'individuazione di fronte alla pressione collettiva cede.
D'altra parte cosa vediamo accadere nelle guerre e in varie realta'
contemporanee di conflitto sociale? Appena le condizioni glielo permettono,
il maschio, guerriero, stuprera', possibilmente ingravidandola, la donna del
nemico. E' una questione fra loro, tra maschi, una questione di potere e di
controllo della vita e della terra. Da cui le donne finiscono per essere
escluse (e si vede nella politica) oltre che vittimizzate. D'altra parte si
sa, sono gli ormoni maschili, no? Ma una volta non erano le donne che
ragionavano con l'utero, sinonimo di irrazionalita'?
Mi pare chiaro che mentre le donne continuano la loro difficile strada, il
cambiamento decisivo per la societa' e per il futuro, non solo per le
singolarita', sia oggi nelle mani degli uomini. Sono loro a governare, sono
loro a dirigere, sono rimasti solo loro a poter dialogare con i propri
simili, a dover cercare e trovare le parole per una trasformazione maschile
collettiva. E saranno le alleanze di donne e uomini che hanno a cuore la
pace, la salute di questo pianeta e le sue future generazioni a poter
condividere la nuova coscienza di genere per entrambi.

5. OTTOMARZOTUTTOLANNO. HELENE PARASKEVA: LE "RAGAZZE GORILLA" E LA MEDUSA
[Ringraziamo Helene Paraskeva (per contatti: helenep at tiscali.it) per questo
intervento]

Uno dei movimenti artistici attuali piu' creativi e innovativi e' quello
delle Gorilla Girls, le Ragazze Gorilla, un gruppo di artiste statunitensi
impegnate nell'ambito delle arti figurative. Loro si firmano solo cosi',
"Gorilla Girls", i nomi veri delle partecipanti non vengono pubblicati, e
neanche le foto, perche' tutte, giovani e vecchie, belle e brutte, si
presentano con la maschera di un gorilla e usano come pseudonimo i nomi di
donne artiste non piu' in vita.
Hanno scelto l'anonimato per una citazione degli anonimi di Sherwood Forest
ma anche perche' la maschera del gorilla le protegge dagli stereotipi
femminili ai quali ogni faccia di donna e' destinata ad essere abbinata a
vista e senza scampo, dalla "donna-oca" alla "femme fatale", dalla "casta
diva" all'"angelo del focolare", dalla Befana alla strega, dalla velina alla
Pasionaria, da Madre Coraggio all'"arida zitella", da Mary Poppins alla
Medusa.
A proposito della Medusa, ricordiamoci il mito: l'eroe Perseo taglia la
testa della Medusa, la donna-mostro che pietrificava con lo sguardo. Era una
ex-bella la Medusa, ma con gli anni i capelli cominciavano ad ospitare
serpenti ed il viso diventava sempre piu' corrucciato. Ed era anche mortale.
La decapitazione della Medusa e' un mito che colpisce sempre e ha ispirato
grandi artisti in tutte le epoche, come Cellini, Caravaggio, Donatello e
Canova, tanto per nominare pochi esempi.
I miti hanno il potere di tornare, perpetuarsi e confermare il messaggio,
indipendentemente dalle epoche. Nel mese di agosto 2008, a Santorini, isola
dell'Egeo e meta turistica internazionale, un cittadino greco, dopo
l'ennesimo litigio con la moglie, cittadina greca, si avventa su di lei e le
infligge piu' di sessanta coltellate. Ma l'orrore e' appena iniziato
nell'afoso pomeriggio mediterraneo. Dopo le coltellate, l'uomo decapita la
moglie, prende la sua testa grondante di sangue, esce di casa e cammina per
strada tenendo l'orribile trofeo dai capelli. Alla fine, braccato, getta la
testa della moglie dentro un'auto della polizia. "Ero troppo innamorato", si
e' giustificato.
Cosa significa tagliare la testa di una donna? Vuol dire privarla del
diritto e delle facolta' di capire, pensare, comunicare e guardare la
realta'. Significa ridurre una donna in schiavitu', in un corpo obbediente e
remissivo. Questa pensiero ossessivo sembra sia stato una costante sin dai
tempi antichi. La testa della donna e' irritante se funziona.
Ma torniamo alle Ragazze Gorilla. Il nome si presta anche al gioco di parole
perche' in inglese "guerriglia" e "gorilla" si pronunciano nello stesso
modo. Infatti, si chiamano anche "guerrilla girls". Pacifiste ma per nulla
pacifiche le Ragazze Gorilla hanno aderito a movimenti pacifisti, ad Amnesty
International e Greenpeace.
La loro denuncia e' rivolta prevalentemente nei confronti dell'establishment
artistico. Ecco un esempio: una domenica mattina le Gorilla-Guerilla Girls
hanno condotto una ricerca al Moma (Museum of Modern Art) di New York e
hanno confrontato il numero di nudi maschili con quelli femminili nelle
opere esposte. I risultati hanno rivelato che l'83% dei nudi e' femminile ma
che solo il 3% sono opere di donne artiste.
Partendo da questa osservazione le Gorilla Girls hanno fatto girare per gli
autobus di New York un manifesto con l'immagine di un nudo femminile disteso
con la maschera di un gorilla sulle spalle e sotto lo slogan provocatorio:
"Ma le donne devono essere nude per entrare nei musei?".

6. OTTOMARZOTUTTOLANNO. ROSANGELA PESENTI: UN MONDO COMUNE
[Ringraziamo Rosangela Pesenti (per contatti: rosangela_pesenti at libero.it)
per questo intervento]

Cos'e' accaduto a quel mondo comune delle donne in cui la molteplicita' dei
pensieri delle vite delle storie delle appartenenze navigava sul mare della
solidarieta' e del rispetto, sulla base dei diritti conquistati?
Dove sono finiti i vent'anni di straordinaria sperimentazione politica
dell'Udi tra l'XI e il XIV congresso, 1982-2003, il dibattito sul rapporto
tra rappresentanza e rappresentazione, l'appartenenza non come dichiarazione
ma come storia, biografia individuale che s'intreccia nella collettivita'
tra convergenze e divergenze, le responsabilita' condivise e mai
individualmente affidate, il criterio della rotazione delle funzioni, la
trasparenza dei bilanci, mai semplicemente economici?
Com'e' accaduto che le uniche donne sulla scena politica siano quelle
omologate ai modelli femminili funzionali al patriarcato o, nei casi
migliori, persone cresciute politicamente nei partiti, nel sindacato o
nell'universita'?
Eravamo giovani e abbiamo fatto anche errori: l'indifferenza verso la
possibile costruzione di un patto tra soggetti diversi per un accesso a
finanziamenti che garantissero spazi, ad esempio; la chiusura aristocratica
di alcuni centri con accessi privilegiati alle risorse che non hanno capito
in tempo quanto anche il privilegio possa essere fragile se non e' fondato
su un allargamento democratico del diritto.
Non abbiamo capito che la concretezza degli spazi politici puo' essere
abitata e sperimentata dalle generazioni successive perche' la democrazia e'
un modo di muoversi nel mondo prima di diventare quel deposito legislativo
che definisce lo stato di diritto.
Non abbiamo capito o siamo state sconfitte in una lotta impari contro poteri
consolidati che hanno usato tutte le tecniche e gli strumenti della
modernita' per interrompere la memoria della nostra giovane esperienza
politica.
E poi ci sono state (lo ricordiamo?) certe incaute dichiarazioni di
principio sull'avvenuta liberta' femminile, quando nei fatti si trattava del
compimento di quell'emancipazione che consentiva l'accesso ai diritti cosi'
come la politica dal '700 ad oggi li aveva costruiti.
Diritti fragili se non sono davvero per tutte, se definiscono la
cittadinanza per esclusione, se non ne viene insegnata la storia, se non
costruiscono dialogo politico, e infatti sono stati piano piano disattesi e
poi velocemente aggrediti con arroganza nelle strutture sanitarie, nei posti
di lavoro, a scuola, nell'immaginario di quell'interazione quotidiana in cui
si costruisce l'idea di mondo comune.
In fondo sapevamo, quando, all'inizio, la parola d'ordine era per tutte
"liberazione", che non di un fatto o solo di qualche legge si trattava, ma
di un processo che avrebbe potuto coinvolgere tutte e tutti.
Diffidavamo, e oggi penso anche giustamente, della sola emancipazione e
colgo meglio ora, con i miei cinquant'anni passati, quanto ci fosse di
borghese in quell'avere semplicemente accesso a tutti i diritti. Non la
rinnego perche' e' certamente il punto di partenza ed e' grazie a
quell'uguaglianza dei diritti che io oggi scrivo, ma non abbiamo fatto i
conti con quanto l'accesso all'eredita' dei patrimoni familiari e sociali
avrebbe inciso sul tessuto di quella giovane solidarieta' cresciuta sulla
percezione di uno stereotipo identitario che solo insieme potevamo
modificare.
Non ci sono eredita' innocenti, neanche per le donne.
Oggi di fronte alla violenza che minaccia le nostre vite, e ci impone -
neppure troppo subdolamente - vecchi stereotipi del femminile a ingabbiare i
nostri sogni e mortificare la realta', dovremmo avere il coraggio di fare
una moratoria sulle differenze e ricominciare a tessere il tessuto della
vicinanza.
Quando le donne rinunciano a pensare alla propria esistenza libera come
luogo di costruzione di un processo pacifico di giustizia sociale, di pari
opportunita' per le generazioni successive (e non solo per i propri bambini
e bambine), quando si chiudono dentro le piccole strategie di conquista del
proprio microterritorio, (che sia una casa o una carriera) il patriarcato
vince su tutte e i diritti vengono corrosi ad ogni livello.
Assistiamo indignate e offese all'erosione dei diritti come alla volgarita'
delle dichiarazioni pubbliche, gli uomini si esibiscono tra arroganza,
ignoranza e paternalismo, ma noi sappiamo che il patriarcato non vince senza
le nostre piccole e grandi quotidiane complicita', senza i nostri silenzi,
le nostre omissioni, la nostra accondiscendenza, il nostro rinchiuderci nel
piccolo orizzonte delle sopravvivenze personali, delle necessita' di
accudimento familiare, dei piccoli privilegi faticosamente raggiunti, dello
smarrimento di fronte alle troppe cose da fare, del perbenismo, della
rassegnazione, della stanchezza.
La piu' potente delle donne e' comunque assoggettata ai giudizi di
un'immaginario collettivo sempre piu' immeschinito cosi' come l'ultima delle
ragazzine che si prostituisce sulla strada.
Oggi nessuna donna e' esente dalla paura della violenza, e non e' certo un
privilegio che amplia la liberta' quello di potersi pagare magari qualche
guardia del corpo.
La sicurezza e' inscindibile dalla liberta', perche' e' prima di tutto
quella certezza felice che abbiamo dichiarato gridando "io sono mia".
Non abbiamo mai lottato per avere la proprieta' del mondo, ma solo la
certezza di poterlo agire senza divieti senza guerre senza paure, vivere in
pacifica liberta'.
Scrivo noi perche' ho ancora memoria di quel mondo comune delle donne che
non e' stato solo un sogno, ma la pratica generosa e coraggiosa di un modo
d'essere che ha reso le nostre vite migliori e di questo "meglio" ha saputo
contagiare tante e tanti che non possono aver dimenticato.
Scrivo noi perche' resta in ogni dialogo, in ogni scambio della mia vita,
quella straordinaria eredita'.
La nostra forza piu' grande e' sempre stata la capacita' di pensare in
piccolo e agire in tempo.  Possiamo fare che il tempo sia ora?
Ognuna sa di quali e quante risorse dispone davvero, noi siamo abili
amministratrici, possiamo metterne un pezzetto a disposizione di luoghi e
tempi in cui costruire possibilita'?

7. OTTOMARZOTUTTOLANNO. ANTONIA SANI: MIMOSE
[Ringraziamo Antonia Sani (per contatti: antonia.sani at alice.it) per questo
intervento]

Mimose

Ciuffi di tenero giallo
luminoso sul rayon precoce
delle bluse rosse nel vento di marzo
cinquant'anni fa

Brillano le mimose sui seni tracagnotti
delle donne venute dalle campagne
a sfilare per le citta' padane
con cipiglio

Le figlie slanciate della societa' benpensante
lanciano occhiate furtive, ignare:
la mimosa liberty dei giardini di casa
e' piu' verde, piu' umbratile...

Corrono i compagni per gli uffici, allegri
coi mazzi di mimosa tra le mani
per le compagne, di buon mattino
E' l'otto marzo di trent'anni fa

Sciamano le ragazze a migliaia nei cortei
mimose, nastri, girotondi, zoccoli
Con le madri di tante battaglie "Tremate tremate
le streghe son tornate..."

Mimose vere, mimose finte, mimose nei bar
mimose nella metro, mimose sui dolci,
mimose ai maschi teneramente donate con un bacetto
E' il grande business di due anni fa

Braccia di extracomunitari esterrefatti, disperati, annoiati
agitano mazzi argentei di mimose invendute
Giacche di donne, marron, nere, grigie, cerniere senza luce
Caparbio, un rametto sporge da una spalla impettita
E' l'otto marzo di poche ore fa

Roma, 8 marzo 1997

*
Quell'anno, il 1997, ci fu una crisi delle mimose. Una crisi anche di un
modo di celebrare  quella giornata. Nelle scuole le iniziative andavano
spesso deserte, si faticava a suscitare interesse con mostre, filmati,
racconti, rievocazioni... L'8 marzo era percepito come un giorno di festa,
come San Valentino. A Roma le studentesse si davano appuntamento al Luna
Park dell'Eur. Gli studenti restavano incerti, tra un giorno di vacanza e un
accodarsi a un'iniziativa delle donne. Le piu' fedeli a una tradizione
inveterata dell'8 marzo erano le donne piu' anziane dei sindacati, che
continuavano a mantenere l'uso della cena insieme in trattoria o in
pizzeria...
Ma qualcosa stava succedendo e l'8 marzo sarebbe rinato, sotto la pressione
di nuovi eventi, di nuove esigenze che l'avrebbero riproposto non come una
ricorrenza oleografica, ma come un appuntamento per dire no alla svolta che
la destra stava imprimendo al paese con richiami a modelli atavici
supportati dalle gerarchie cattoliche.
Il tentativo era quello di neutralizzare l'affermazione contenuta nella
legge sulla violenza sessuale, definita per la prima volta non reato contro
la morale ma contro la persona. "La svolta fu segnata dalla legge 40, a
cavallo tra la fine del governo di centrosinistra del 1996 e il governo
Berlusconi del 2001. Il dibattito, le iniziative per fermarla, il Tavolo
delle donne sulla bioetica, il referendum... Il dibattito sul corpo delle
donne e sulla liberta' femminile, sulla sessualita', sui desideri,
sull'eros, su gay, lesbiche e trans..." (Imma Barbarossa) divennero alimento
vitale nella formazione critica di tante giovani donne  prospettando
orizzonti di liberta' irrinunciabili, da difendere contro la strumentale
invadenza del potere vaticano e la complicita' e sudditanza ad esso delle
forze politiche. Le donne dovevano essere ricondotte in famiglia, la
famiglia diventava l'unica destinataria del welfare. Si comincio' a capire
bene contro chi si doveva lottare.
Mentre i movimenti femministi degli anni '70 scandalizzavano i benpensanti,
ma si percepiva che  erano loro, col loro mondo di ipocrisie e oppressioni
ad essere inesorabilmente "fuori dalla storia", oggi la crisi della politica
ha dato origine in una popolazione sola e confusa a una ricerca di valori
indotti, ripescati da un passato nemico delle donne e/o proiettati verso un
senso vagamente ultraterreno della vita, che - veicolati dai grandi mezzi
telematici - potrebbero ben configurare la societa' di domani, con la
rinuncia a qualsiasi forma di autodeterminazione.
Le donne devono lottare per convincere altre donne. Solo cosi' puo' essere
scongiurato questo rischio. Donne di tutti i paesi, di tutte le religioni,
alle quali indicare come traguardo l'uguaglianza dei diritti e della
dignita' di tutti e di tutte.
*
Questo 8 marzo mi lascia un po' perplessa. Tutti i mezzi di informazione
hanno montato le drammatiche storie degli stupri moltiplicandole e
colorandole abilmente di razzismo, dipingendo le donne come soggetti deboli
facili prede per coloro - tanti - pronti a imitare cio' che viene
rappresentato come un evento, anzi come l'evento del momento.
La risposta delle donne e' quanto mai frammentata, ogni associazione vuole
essere protagonista di una propria iniziativa. Gli appuntamenti si
sovrappongono, nella medesima citta', alla stessa ora; mi riferisco a quei
movimenti e associazioni che fanno della laicita' il punto fondamentale del
proprio impegno. Possono esservi contenuti e obiettivi specifici, ma su
alcune rivendicazioni generali per la loro ampia condivisione nei movimenti
e nelle associazioni,  perche' non fare uno sforzo comune per partire alla
pari, senza protagonismi, per concordare insieme di non farsi concorrenza?
Sulle divisioni a sinistra la destra ingrassa, perche' l'8 marzo non puo'
ancora oggi vedere tutte le donne che si battono per il diritto
all'autodeterminazione, che hanno riacquistato coscienza di se', che
condividono il dramma delle donne immigrate, la riduzione della figura
femminile a oggetto pubblicitario da stuprare, almeno per un giorno tutte
insieme, riempire un luogo simbolo in ogni citta'?

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 753 dell'8 marzo 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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