Nonviolenza. Femminile plurale. 232



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 232 del 29 gennaio 2009

In questo numero:
1. Olympe de Gouges: Annuncio a chi mi calunnia
2. Olympe de Gouges: Risposta al cittadino Robespierre
3. Isabella Mattazzi: Olympe de Gouges
4. Gabriella Gallozzi: La Resistenza delle donne
5. Francesca Padula ricorda Laura Diaz
6. Costanza Paissan ricorda Coosje van Bruggen
7. Tiziana Bartolini presenta "Ambiente e pace una sola rivoluzione" di
Carla Ravaioli
8. Stefano Crippa presenta "Mina" di Fernando Fratarcangeli
9. Andrea Garibaldi presenta "L'arte di comandare gli uomini" di Angela
Scarparo
10. Marina Pivetta presenta due libri per conoscere Venezia citta' delle
donne
11. Giulia Zoppi presenta "M'ama?" a cura di Annalisa Bruni, Saveria
Chemotti e Antonella Cilento

1. TESTI. OLYMPE DE GOUGES: ANNUNCIO A CHI MI CALUNNIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio 2009 col titolo "Annuncio a
chi mi calunnia" e il sommario "Una pasionaria della rivoluzione. Una
anticipazione da La musa barbara. Scritti politici (1788-1793), a cura di
Franca Zanelli Quarantini, in uscita domani per Medusa. L'autrice, cui si
deve la 'Dichiarazione dei diritti della donna', prende parola su tutti i
temi piu' importanti del tempo: dall'abolizione della pena di morte,
all'eliminazione della schiavitu' nelle colonie"]

In fatto di politica, ho soltanto delle nozioni elementari; ma mi sembra che
in questo frangente non serva citare Montesquieu o Jean-Jacques Rousseau,
ne' creare nuove leggi: bisogna invece consolidarle, bandire gli abusi e
saldare il debito nazionale. Questa e' la materia da trattare, a mio avviso:
su questo la Nazione deve prendersi il tempo per deliberare.
Quale cattivo genio vi si oppone? Quale serpente velenoso morde i cuori?
Quale leone ruggente infiamma le menti? Quale demone furioso sta provocando
questo fermento generale? Non c'e' piu' riposo ne' speranza: prepariamoci a
massacrarci l'un l'altro.
Se la mia fievole voce potesse risuonare fino ai piedi del trono, se gli
Stati Generali la udissero senza recriminare sul mio sesso, questa mia voce
offrirebbe un mezzo semplice e salutare, un mezzo che avevo gia' proposto a
parecchi deputati: cioe' quello di sospendere le loro funzioni per un mese o
poco piu'. La tregua darebbe agli animi esaltati il tempo di ritrovare la
calma, di far nascere nuove riflessioni in provincia, e di attribuire ai
deputati nuovi poteri, piu' saggi e funzionali. Se invece gli Stati Generali
si sciogliessero, state certi che in un istante l'allarme si diffonderebbe
nel regno: tutto sarebbe perduto, e al secolo dell'egoismo seguirebbe il
secolo della barbarie. Non riesco a crederci: la prosperita' dei francesi e'
nelle mani degli Stati Generali, e quelli, se tra breve non si verifichera'
un ritorno di patriottismo, armeranno con i pugnali le mani dei francesi!
Posate invece gli occhi su questo popolo infelice; tenete conto della
costernazione del monarca e dell'avvilimento generale; tremate al pensiero
dei mali innumerevoli che quei dissensi possono produrre. I miserabili allo
stremo, uniti agli sbandati, attaccheranno alla cieca i tre ordini in tutta
la Francia; e in quella spaventosa carneficina, la nazione rimpiangera' -
troppo tardi! - di non aver riunito tutti gli interessi per il bene
pubblico. Niente e' piu' facile quanto esaltare gli animi, ma una volta che
il fermento e' al massimo, e' quasi impossibile fermarne gli effetti.
A mio avviso, queste sono delle verita' che i saggi approverebbero, e che
gli scriteriati non mancheranno di travisare a modo loro. Non mi fermero' a
quei vani clamori, ma avendo spinto le mie istanze troppo in alto, devo ora
mostrarmi in piena luce. Occorre che mi giustifichi: mi ci costringono, mi
ci obbligano. Chiamo percio' l'intero popolo a testimone. L'opinione
pubblica talvolta e' frivola, di solito e' giusta. E' lei che mi incoraggia,
il suo suffragio vincera' la calunnia. Degli sconsiderati, per contrastare
il pubblico consenso ottenuto dai miei scritti patriottici, spargono ovunque
la voce che io abbia avuto degli amanti. Non c'e' che dire, una notizia
originale; anzi, una notizia decisiva. Dovro' percio' ripetere una volta di
piu' che, rimasta vedova a sedici anni, ho dovuto badare a me stessa e sono
stata piu' esposta di altre? Dopo tanti ostacoli, mi si e' offerta
un'onorevole carriera in cui mi sono tuffata con coraggio; ho camminato a
lungo sulle spine e adesso, proprio quando potevo cogliere qualche rosa
dalle mie modeste produzioni, dei burloni - diciamo meglio - dei ridicoli
individui insistono col dire che io, essendo ancora giovane, farei meglio a
occuparmi dei miei vezzi pensando a piacere agli uomini e rinunciando per
sempre alla scrittura.
I piu' balordi assicurano persino che le mie opere non mi appartengono, e
che io con stupido orgoglio mi ammanto di piume di struzzo. Dicono che nei
miei scritti c'e' troppa energia, troppe competenze giuridiche perche' siano
davvero opera di una donna.
Patetici, ridicoli calunniatori, qualcuno in passato vi avra' pure insegnato
a leggere! Da questo vantaggio quale profitto traete, quali conoscenze
ricavate, se non sapete neppure riconoscere in ogni riga dei miei scritti il
marchio dell'ignoranza? Dell'ignoranza, proprio cosi', che non e'
incompatibile con un genio naturale. Infatti, senza un po' di genio, cosa
puo' mai produrre l'istruzione? Nient'altro che degli insopportabili
sciocchi, dei pappagalli di corte che sparlano e giudicano senza sapere ne'
approfondire. Con il mio solo genio, ho potuto fare grandi scoperte e
proporre buoni provvedimenti: che si possono anche camuffare come opera
altrui, ma che, mi auguro, poi verranno seguiti. Devo difendermi da
un'ingiusta calunnia; ma quale uomo onesto oggi ne e' esente? Chi non e'
stato attaccato in questo secolo? Chi non e' diffamato di questi tempi?
Torniamo allora ai pericoli in cui vedo la mia patria; niente puo' fermarmi,
mi sono dichiarata in suo favore e la mia scelta e' incrollabile. O
francesi! O mia Nazione! Dovro' davvero rimpiangere di essere nata tra voi?
No, un simile sentimento non puo' penetrarmi l'anima. Voglio convincervi e
disarmare i miei nemici. E se non saro' io a godere di piu' fausti giorni,
forse in futuro nella mia patria si citera' qualche passo delle mie povere
produzioni; e si dira': cosa avrebbe mai fatto, se fosse stata istruita?
Chi potra' restare indifferente, sapendo che sono stata la prima a occuparmi
della sorte deplorevole dei Neri?
Maggio 1789

2. TESTI. OLYMPE DE GOUGES: RISPOSTA AL CITTADINO ROBESPIERRE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio 2009 col titolo "Risposta al
cittadino Robespierre"]

Robespierre, come sei stato edificante! Ci fai sapere che hai rinunciato al
diritto di una giusta vendetta nei confronti dei tuoi accusatori. E altro
non chiedi che torni la pace, che gli odi particolari siano dimenticati, che
la liberta' sia mantenuta. Che fulminea metamorfosi! Tu, disinteressato; tu,
filosofo; tu, amico dei tuoi concittadini, della pace, dell'ordine? Potrei
citare una certa massima, che dice che se un malvagio fa il bene, sta in
realta' preparando nuovi grandi mali. Si fa fatica a sopportare la tua
improvvisa conversione, il ritornello della tua ambizione sta preparandoci
un lugubre concerto. Se sbaglio, scusami; ma vedi, se io ho il fanatismo
dell'amor di patria, tu hai quello di un'ambizione tutta particolare. Puoi
aver servito la Rivoluzione, lo ammetto; ma i tuoi eccessi hanno cancellato
nei cuori di tutti la riconoscenza... Consideriamo ora la tua
giustificazione.
Ti sei presentato alla tribuna per lavarti dalle molte denunce
laboriosamente costruite contro di te. Certo, e' bello essere calunniato
quando si possono sbaragliare i nemici! Ma come sei lontano, tu, da quel
trionfo dell'innocenza che non lascia dubbi sull'accusato! Ti compiango,
Robespierre, e ti aborro. Guarda che differenza tra le nostre due anime! La
mia e' veramente repubblicana, la tua non lo e' mai stata. Se ho dato
l'impressione di votare per la monarchia, e' perche' avevo la ferma
convinzione che quella forma di governo fosse la piu' adatta allo spirito
francese. Potresti tu negare che i miei principi siano per questo meno puri?
E se, come Mirabeau, ho cercato di conservare la monarchia costituzionale,
l'ho fatto per il bene di tutti noi, mentre tu dici di aver cercato di
distruggerla solo per amore di te stesso! Calati nel labirinto della tua
coscienza, e smentiscimi se osi. Tu imputi a Louvet il fatto di averti
accusato, di avere influenzato i Giacobini, il Consiglio generale della
Comune, le Assemblee primarie, l'Assemblea elettorale. Io invece accuso te,
e insieme a me ti accusa tanta gente!
Dimmi, Robespierre: perche' alla Convenzione temevi tanto i letterati?
Perche' ti hanno visto tuonare contro i filosofi, restauratori dei governi e
veri sostegni del mondo, cui dobbiamo la distruzione dei tiranni? Volevi
forse istruire i cittadini mediante una Convenzione ignorante, per
trasformarla in un'assemblea di bifolchi? O non cercavi piuttosto di
dominare su tutti? Rispondimi, ti scongiuro. Benche' i tuoi discorsi siano
pieni di sofismi, non si puo' negare che tu possieda un'invidiabile
conoscenza delle rivoluzioni, della vita e dei costumi dei grandi
conquistatori; ma, di grazia, non paragonarti mai ai saggi di qualunque
paese. Sai che distanza c'e' tra te e Catone? Quella che sta tra Marat e
Mirabeau, tra il moscerino e l'aquila! Tu non sei che la caricatura di un
grand'uomo.
Coraggio, Maximilien, tenta la fortuna fino all'ultimo, rovescia sul nascere
il governo che ha riunito i costituzionali e i repubblicani. Ma la santa
filosofia ostacolera' i tuoi successi; e malgrado il tuo trionfo del momento
e il disordine di questa anarchia, tu non governerai mai sugli uomini
illuminati. Per questo hai puntato gli occhi sul triunvirato. Non hai
denaro, dici? Ma hai degli amici che ti hanno gia' fatto lauti anticipi e
che te ne farebbero ancora per dividere con te le massime cariche! Li
conosciamo, hanno un sangue colpevole e proscritto. E quel miserabile Marat,
che e' appena uscito trionfante dalla sua caverna, coperto dell'ignominia
generale e che di nuovo, nei suoi scritti pestilenziali, agita il brando
delle furie. Quel miserabile Marat, ripeto, che e' il vero pulcinella di
questo progetto insensato. Tutti gli tirano le pietre, tutti voi lo
rinnegate. Quel moderno Nostradamus si vedra' costretto a marcire nel suo
antro sottoterra. O Maximilien, Maximilien! Proclami la pace a tutti i venti
e intanto dichiari guerra al genere umano. (...)
Novembre 1792

3. MEMORIA. ISABELLA MATTAZZI: OLYMPE DE GOUGES
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio 2009 col titolo "L'autrice di
questa pagina" e il sommario "Tra le sue proposte una sorta di Welfare
settecentesco"]

"Non devo nulla al sapere degli uomini. Io sono la mia opera". Con queste
parole, scarne come solo sanno essere le parole delle profezie, Olympe de
Gouges, la patriota, la "cittadina democratica" firma in piena Rivoluzione
francese il destino della sua vita. Con queste stesse parole, appena qualche
anno prima, la Marchesa di Merteuil, meraviglioso esempio letterario di
indipendenza femminile, nelle Relazioni pericolose di Choderlos de Laclos
aveva gettato il proprio guanto di sfida al mondo degli uomini. Nata a
Montauban, nel 1748, figlia illegittima di un aristocratico e di una modesta
commerciante, Olympe de Gouges assomiglia in tutto e per tutto a un
personaggio romanzesco. Sposata a un uomo che non ama, rimasta vedova a
sedici anni con un figlio, e' la rappresentazione vivente di quella
mescolanza di fascino e intraprendenza - declinazione al femminile di un
individualismo borghese che proprio nel Settecento sta gettando le proprie
fondamenta identitarie - di cui e' piena la letteratura dell'epoca. Giovane,
bellissima, nel 1770 parte per Parigi, sceglie di non risposarsi piu', ha
diversi amanti e decide autonomamente le sorti della propria vita.
Olympe de Gouges pero' non e' Madame de Merteuil. Cosi' come non e' Moll
Flanders, Roxana o la Marianne di Marivaux. La sua identita' non e' il
risultato del progetto a tavolino di un autore onnisciente, ma e' la
costruzione faticosa di un'autonomia di parola sottratta palmo a palmo a un
mondo, come quello della Francia di fine secolo, governato secondo le regole
di un pensiero ancora tutto al maschile. La sua e' una liberta' reale, non
certo di carta, pagata a un prezzo altissimo. Autrice di tre romanzi, di una
cinquantina di opere teatrali, ma soprattutto giornalista, scrittrice
instancabile di lettere, pamphlet, appelli che stampa a sue spese e attacca
sui muri della capitale, Olympe de Gouges e' infatti, in primo luogo, una
donna. Una donna per la natura stessa della sua scrittura, di una scrittura
in cui spazio privato e dimensione pubblica, sentimento e sfera sociale
costituiscono un unico terreno. Una donna, per la qualita' particolarissima
del suo pensiero politico. Sua e' la "Dichiarazione dei diritti della Donna
e della Cittadina" (1791) che insieme all'articolo di Condorcet
"Sull'ammissione delle donne al diritto di cittadinanza" e' uno degli esempi
piu' alti di rivendicazione identitaria femminile. Sue sono anche le
proposte di una sorta di Welfare settecentesco, con la creazione di ateliers
nazionali per i disoccupati, di una struttura articolata di protezione
ospedaliera materna e infantile, di un sistema giudiziario che garantisca un
sussidio alle vedove e il riconoscimento dei figli nati fuori del
matrimonio. Nel giro di una manciata di anni, tra il 1788 e il 1793, Olympe
de Gouges prende parola su tutti i temi piu' importanti del pensiero sociale
del tempo, dall'abolizione della pena di morte, all'eliminazione della
schiavitu' nelle colonie.
La sua voce lucidissima fa da contrappunto, giorno per giorno, all'arco
discendente della freccia rivoluzionaria, ribattendo con coraggio alle
scelte contraddittorie dell'Assemblea costituente, condannandone gli abusi,
denunciando la trasformazione di quegli slanci progettuali che avevano
animato gli entusiasmi dell'89 in una violenza estremista senza eguali.
Inevitabile lo scontro con Robespierre, servo sanguinario della Necessita'
popolare. Inevitabile anche la sua condanna a morte nel 1793, ghigliottinata
perche' troppo coerente per le logiche giacobine (contraria all'esecuzione
di Luigi XVI, favorevole a una scelta referendaria tra repubblica, monarchia
e governo federativo perche' da sempre convinta del valore democratico della
liberta' di opinione). Uccisa, quindi, perche' ancora piu' rivoluzionaria
della rivoluzione stessa. Eliminata perche' perfettamente in grado, malgrado
la "debolezza" del suo sesso, di dare al timbro della propria voce e alla
struttura del proprio pensiero la dignita' e la forza di "soggetto
politico".

4. MEMORIA. GABRIELLA GALLOZZI: LA RESISTENZA DELLE DONNE
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 22 gennaio 2009 col titolo "Walchiria, Marisa
e le altre: la Resistenza delle donne"]

Persino Al Jazeera l'ha raccontata. Un bel documentario sulla Resistenza
italiana dando voce alle donne, trasmesso per il mondo arabo qualche anno
fa. E da noi? Ci si ricorda giusto per le feste comandate. E il punto e'
sempre quello, ieri come oggi: "Il maschilismo... Altroche' se c'era.
Seppure noi rischiavamo la vita come i nostri compagni, dovevamo sempre
dimostrare di essere piu' capaci degli uomini". Oggi Walchiria Terradura,
medaglia d'argento al valor militare, ha 85 anni e ancora il piglio della
combattente. Gli occhi verdi si accendono di una luce ancora piu' viva
quando segue il filo della memoria. Ricordi di partigiana, di "ragazza col
fucile" che durante la Resistenza sui monti del Burano ha comandato una
squadra di sette uomini (Il Settebello) che faceva parte della brigata
Garibaldi-Pesaro. "Quando mi hanno scelto a capo della squadra - racconta -
Gildo, uno dei compagni, per solennizzare l'avvenimento, mi regalo' una
pistola dicendo: 'Ti avrei dovuto offrire dei fiori, ma vista la
situazione... A primavera cogliero' per te i piu' belli'".
Walchiria non e' che una delle protagoniste, come tante altre partigiane,
staffette e contadine, di questa pagina di storia, la Resistenza, che,
nonostante la sordina della storiografia ufficiale, oggi e' noto non si
sarebbe potuta compiere senza l'intervento delle donne. E i numeri parlano
chiaro: 35.000 partigiane nelle formazioni combattenti, 20.000 staffette,
70.000 organizzate in gruppi di difesa. 638 le donne fucilate o cadute in
combattimento, 1.750 le ferite, 4.633 arrestate, torturate e condannate dai
tribunali fascisti, 1.890 le deportate in Germania. Cifre che raccontano per
difetto. Perche' come spiega la stessa Terradura, "quella delle donne e'
stata una partecipazione diffusa, spontanea. La contadina che ci dava un
piatto di minestra, o ci faceva nascondere in casa rischiava la vita proprio
come noi".
Eppure questa e' stata una memoria taciuta a lungo. "E quante sono ancora
oggi le donne della Resistenza rimaste nell'ombra?", commenta Teresa
Vergalli, classe 1927, della provincia di Reggio Emilia e autrice del libro
Storie di una staffetta partigiana. "A parte i nomi celebri di coloro che
dopo la guerra hanno incrociato la strada della politica, tante partigiane
sono state zitte. In certi casi sono stati gli stessi mariti che non avevano
piacere se ne parlasse. C'era addirittura una sorta di vergogna, soprattutto
per quelle poverette che sono state torturate...". Invece dell'indignazione
contro i torturatori, la "vergogna". Alle donne, infatti, scrive Teresa,
nome di battaglia Annuska, "venivano riservate cose terribili. Di cui i
particolari li abbiamo saputi a guerra finita". Tanto che lei teneva sempre
con se' una piccola pistola "con la quale mi illudevo mi sarei potuta tirare
un colpo alla testa nel momento in cui mi avessero catturata o torturata".
La paura di essere prese era costante. Eppure per molte la scelta di stare
contro il nazifascismo era "naturale". Come racconta Luciana Baglioni
Romoli, partigiana romana; da bambina il suo primo atto di ribellione fu
alle elementari quando la sua maestra, "ligia alle leggi razziali", lego'
per le treccine ad una finestra della classe una ragazzina ebrea. Per
Luciana fu istintivo scagliarsi contro l'insegnante e guidare la rivolta. Il
risultato fu l'espulsione da scuola e da li', negli anni successivi, il suo
sostegno alla Resistenza romana: "in bicicletta - racconta - a portare
messaggi o a buttare i chiodi a tre punte per le strade per far scoppiare le
ruote dei nazisti".
Un po' come e' accaduto alla piu' nota Marisa Rodano, che scelse la strada
del Pci: "Non sono discesa da una tradizione familiare - racconta -, anzi
mio padre aveva fatto la marcia su Roma. Ho cominciato all'universita', dopo
aver visto cacciare due studenti "colpevoli" di essere ebrei. Con alcuni
compagni abbiamo costituito un piccolo gruppo, nel 1943 sono stata arrestata
per la pubblicazione di un foglio comunista, si chiamava "Pugno Chiuso", era
il primo numero e sarebbe rimasto l'unico. Il 25 luglio sono uscita dal
carcere e di li' a poco sono entrata nella Resistenza".
Sono tanti i ricordi delle donne. E pieni di coraggio. "Nell'aprile 1945 ero
incinta, il mio compagno era appena stato ammazzato dai fascisti", racconta
Lina Fibbi, tra le fondatrici dei Gruppi di difesa delle donne, sindacalista
e poi parlamentare del Pci. "Longo mi incarico' di smistare a Milano
l'ordine di insurrezione generale del Cln. Io andai: in bicicletta, con il
pancione e con una grande paura". Ma erano scelte.
Come conclude Teresa Vergalli: "Ora si guarda con una certa comprensione ai
'ragazzi' di Salo', perche' anche loro sarebbero stati in buona fede. Ma
anche noi partigiani eravamo ragazzi, e stavamo dalla parte giusta! Quella
della pace. Ed e' una differenza che non bisogna mai dimenticare".
La storia delle partigiane l'ha raccontata da cineasta anche Liliana Cavani,
classe 1933: il suo viaggio nella liberazione al femminile l'ha comppiuto
nel '64 con Le donne della resistenza, straordinario documentario realizzato
per la Rai. "Le donne nella resistenza hanno avuto un ruolo fondamentale -
racconta Cavani -, erano contadine, operaie, borghesi che sceglievano la
lotta in piena coscienza: non solo contro il fascismo e gli occupanti
nazisti, ma anche per rivendicare il diritto alla loro partecipazione attiva
nella societa' che si sarebbe costruita".
*
Appendice prima. Le combattenti italiane, testimonianza da salvare
Voci di donne dalla Resistenza. Partigiane, combattenti, ragazze armate:
testimonianze da salvare, subito perche' sono le ultime protagoniste di una
stagione di liberta'. Come Steven Spielberg ha raccolto nella Shoah
foundation le voci degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz, ecco l'archivio
audiovisivo con i racconti delle partigiane di tutta Italia. Il progetto si
chiama "Voci di donne dalla Resistenza" in via di realizzazione con
l'Associazione culturale Antonello Branca.
*
Appendice seconda. 35.000 partigiane, 683 le fucilate: tutti i numeri di
un'epopea
Delle donne partigiane di tutta Italia delle quali la storiografia ufficiale
poco o niente si e' occupata. Eppure i numeri parlano chiaro: 35.000
partigiane nelle formazioni combattenti, 20.000 staffette, 70.000
organizzate in gruppi di difesa. 683 le donne fucilate o cadute in
combattimento; 1.750 le ferite, 4.633 arrestate, torturate e condannate dai
tribunali fascisti, 1890 le deportate in Germania.
*
Appendice terza. Da Cavani a Sangiovanni i documentari d'autore
Un flusso di conoscenze per tenere insieme la memoria di ieri e di oggi. Per
esempio: dal documentario di Liliana Cavani, "Donne nella Resistenza" del
'64 a "Staffette" di Paola Sangiovanni del 2006. Quest'ultimo mette insieme
i racconti di quattro staffette piemontesi (Claudia Balbo, Anna Cherchi,
Marisa Ombra e Nicoletta Soave) a confronto con una memoria che non e'
quella immutata delle diciottenni di allora, ma di donne ormai anziane.

5. MEMORIA. FRANCESCA PADULA RICORDA LAURA DIAZ
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 9 agosto 2008 col titolo "Laura Diaz,
partigiana e deputata. Un'appassionata livornese, militante del Pci"]

Si e' spenta lunedi' scorso a Courmayeur, all'eta' di 88 anni, Laura Diaz,
eminente figura della politica italiana dall'immediato dopoguerra fino agli
anni Sessanta. Una personalita' di primo piano del Partito comunista dopo la
fine della seconda guerra mondiale.
Sorella di Furio Diaz, il primo sindaco di Livorno dopo la Liberazione,
Laura si era iscritta al Partito comunista italiano nel 1944 dove ricopri'
numerosi incarichi e nelle cui fila venne eletta in Parlamento come
deputato. Fu candidata alle elezioni politiche del 1948.
Nata a Livorno il 25 aprile 1920, Laura Diaz ebbe un ruolo determinante
durante la Resistenza, come negli anni successivi alla Liberazione, per la
rinascita dell'Italia. L'esponente politica livornese, ricordata anche per
la sua spiccata capacita' oratoria, ha interpretato la militanza politica
nel senso alto dell'impegno e della passione aperta al confronto.
Sandro Curzi, per decenni militante del Pci, l'ha ricordata con un testo che
gli detto' Enrico Berlinguer, leader storico del comunismo italiano, per la
rivista "Gioventu' Nuova": "A quattro anni dalla liberazione di tutto il
territorio nazionale - detto' Berlinguer a Curzi nel 1949 - e' tempo di
unificare le molteplici esperienze dei giovani comunisti italiani
dall'estremo sud al profondo nord del Paese. E' tempo di costituire, anzi
ricostruire, la Federazione giovanile comunista italiana (Fgci) e la
compagna Laura Diaz deve essere, per merito della sua storia, uno dei piu'
importanti dirigenti di questa organizzazione. Per questo la propongo fin
d'ora per la direzione provvisoria che dovra' gestire la preparazione del
congresso della Fgci che terremo proprio nella citta' di Laura, la nostra
amata Livorno".
"La storia di Laura - conclude Sandro Curzi -, la storia di questa giovane
patriota italiana, dovrebbe essere fatta conoscere a tutti i giovani di
oggi".

6. MEMORIA. COSTANZA PAISSAN RICORDA COOSJE VAN BRUGGEN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 gennaio 2009 col titolo "La
destabilizzante, imperfetta bellezza dell'arte" e il sommario "Morta
all'eta' di 66 anni Coosje van Bruggen, compagna di vita e di lavoro di
Claes Oldenburg"]

"Come storica dell'arte non ho paura di tentare di disfare le cose e tirare
sulle cuciture. Posso aspirare alla perfezione, ma per me le contraddizioni
creano intensita' e leggero squilibrio e quell'elemento discordante mette in
luce tutto cio' che e' bello e armonioso allo stesso tempo. Cio' che ricerco
e' la bellezza destabilizzante della condizione imperfetta, segno di
umanita'". In queste poche parole, tratte da una conversazione con Germano
Celant, Coosje van Bruggen esprime tutta l'intensita' del proprio rapporto
con l'arte, intesa come regno dell'armonia e insieme della tensione, come
espressione di una bellezza imperfetta e profondamente umana. Coosje van
Bruggen ha scelto di dedicare la propria vita, conclusasi sabato scorso
all'eta' di 66 anni, alla produzione artistica, relazionandosi a essa da
molteplici prospettive: da studente di scultura, disegno e storia dell'arte
alla Rijksuniversiteit di Groningen, la citta' in cui nacque nel 1942, da
curatrice, prima allo Stedelijk Museum di Amsterdam poi free-lance, da
insegnante all'accademia di belle arti di Enschede, e infine da artista. E'
all'inizio degli anni Settanta, infatti, che avviene l'incontro con Claes
Oldenburg, lo scultore di origini svedesi (classe 1929) che e' rimasto il
suo compagno di vita e di lavoro fino alla fine. Per Oldenburg, gia'
affermatosi a quel tempo come uno dei maggiori artisti della corrente pop
statunitense, l'incontro con Coosje fu l'inizio di una nuova fase creativa:
la vocazione ambientale e monumentale delle sue sculture (oggetti quotidiani
spesso sovradimensionati e ammorbiditi) divenne sempre piu' forte e diede
vita a quei progetti collaborativi, piu' di quaranta, per cui la coppia
Oldenburg-van Bruggen e' divenuta celebre in tutto il mondo. Una
collaborazione definita "una sintesi di opposti", improntata allo scambio e
all'interazione. "Quando descrivo a Claes un'immagine a parole - ha scritto
van Bruggen -, come l'ago circondato da occhielli di filo e puntato nel
terreno, come quello proposto per piazzale Cadorna a Milano, lui la traduce
simultaneamente in uno schizzo e da poche delicate linee tracciate sulla
carta iniziamo a lavorare. E' un processo lungo, si va avanti e indietro
evocando immagini, cambiando forme e alterando i colori... Una volta che
conosciamo nei suoi aspetti essenziali l'oggetto scelto, aggiungiamo strati
emotivi attraverso il colore, pur sottoponendolo a qualche forza naturale,
come quella di gravita'". Anche in Italia l'andirivieni creativo di
Oldenburg e van Bruggen ha lasciato i suoi segni: si pensi alla scultura che
ha trasformato piazzale Cadorna a Milano o all'happening "Il Corso del
Coltello", svoltosi nel 1985 a Venezia e individuato dalla recente
retrospettiva al Castello di Rivoli come il punto di partenza di una nuova
fase creativa, basata su quel dialogo con l'architettura, la letteratura e
il teatro che e' rimasto cifra costante dell'arte di Coosje e Claes fino a
oggi.

7. LIBRI. TIZIANA BARTOLINI PRESENTA "AMBIENTE E PACE UNA SOLA RIVOLUZIONE"
DI CARLA RAVAIOLI
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Disarmiamoci, tanto
per cominciare" e il sommario "Una proposta shock nel libro di Carla
Ravaioli"]

L'aumento del Pil assunto come unita' di misura del benessere e la crescita
intesa quale "ininterrotta moltiplicazione di merci non importa quali, per
quali scopi e con quali conseguenze" sono gli assi portanti del liberismo e
della globalizzazione. Un sistema economico "forsennato" e "bulimico" che e'
entrato in crisi perche', evidentemente, la "vecchia equazione 'piu'
produzione = piu' benessere' non vale piu'". C'e' da un lato l'eccesso di
produzione di merci che spesso diventano rifiuti senza essere "consumate" e
che acquistiamo (o dovremmo acquistare) al solo scopo di possederle.
Dall'altro viviamo sempre piu' drammaticamente l'impatto devastante che
questa economia ha prodotto sull'ambiente. Inoltre il sistema capitalistico
non solo non e' stato capace di sfamare milioni di persone, ma continua ad
impoverire esseri umani e ambiente.
Convinta dunque della "doppia insostenibilita', sociale ed ecologica, di un
sistema economico organizzato sull'accumulazione indefinita di plusvalore,
che non poteva prescindere dallo sfruttamento crescente e ugualmente
offensivo del lavoro e dell'ambiente naturale", Carla Ravaioli fa una
proposta "potenzialmente eversiva": la smilitarizzazione unilaterale
dell'Unione Europea. La scrittrice, che ha gia' affrontato complessi temi
economici, nel suo ultimo libro Ambiente e pace una sola rivoluzione
(Edizioni Punto Rosso, pp. 192, euro 12) in considerazione
dell'eccezionalita' dell'attuale momento storico, ritiene non piu'
rinviabile una riorganizzazione sociale ed economica e offre una risposta
alla domanda "da dove cominciare?". Accanto all'innegabile "valore
simbolico", l'ipotesi apre affascinanti squarci sulla revisione
dell'organizzazione del lavoro, quindi dei tempi (privati e sociali) e del
conseguente ordine delle priorita': senza competizione scomparirebbe anche
la guerra privata e quotidiana che il nostro attuale, sterile sistema
impone. La forza dell'utopia anima l'autrice, insieme alla lucidita' di
analisi che le ha fatto cogliere con molti mesi di anticipo (il libro e'
uscito ad aprile 2008) i segnali dei fatti che avrebbero portato il mondo
all'involuzione economica che stiamo vivendo. Un libro da leggere perche'
aiuta a comprendere. E a sperare.

8. LIBRI. STEFANO CRIPPA PRESENTA "MINA" DI FERNANDO FRATARCANGELI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 gennaio 2009 col titolo "Mina d'autore
per immagini e parole. Ritratto di un'epoca" e il sommario "Fernando
Fratarcangeli riepiloga per capitoli la carriera della tigre di Cremona.
Storie fra tv e canzoni"]

Fernando Fratarcangeli, Mina... parole parole, Arcana Edizioni, pp. 340,
euro 16,50.
*
L'Italia delle ricorrenze ha festeggiato nell'anno appena passato i
cinquant'anni di carriera discografica della sua cantante piu' celebre,
Mina. Unica artista entrata nel mito prima di diventare lapide, la signora
della canzone fra collaborazioni con testate prestigiose, rubriche del cuore
e dvd celebrativi degli anni (remoti ormai) in Rai e' piu' presente che mai.
Nell'anno della venerata ricorrenza (curiosamente ricordata senza alcun
disco nuovo nei negozi, fatto rarissimo - raccontano i mazziniani doc
accaduto solo una volta nel 2004) arrivano sugli scaffali nuove
pubblicazioni editoriali.
Fernando Fratarcangeli, che di lady Mazzini e' appassionato da una vita
nonche' direttore della testata che da piu' di vent'anni e' punto di
riferimento per collezionisti, "Raro", ha scritto e pubblicato un robusto
volume, dopo che gia' nel 2005 aveva affrontato la carriera della Tigre di
Cremona con Minatalk (Coniglio editore), curioso quanto esaustivo compendio
delle interviste vere e (spesso) inventate rilasciate fino al suo ritiro
dalle scene. Ora ci riprova con una nuova opera evitando diligentemente di
prodursi in una biografia piu' o meno agiografica, soffermandosi invece su
singoli capitoli e momenti della sua carriera. Si gioca, tanto per
intenderci, sulle testimonianze, sugli aneddoti (alcuni poco noti, altri del
tutto sconosciuti...), sulle canzoni e sugli aspetti della personalita'
della camaleontica interprete lombarda.
Momenti che sono, ovviamente molteplici. Si parte dagli esordi alla Bussola
con lo pseudonimo di Baby Gate, la repentina gavetta nelle balere fino agli
esordi sul piccolo schermo al Musichiere e alla sua, fittissima di presenze,
stagione in Rai. C'e' poi il racconto dell'indipendenza discografica con la
nascita della Pdu, fino alla decisione di eclissarsi dalle scene ma non
dalle sale di registrazione. In mezzo, molti dati, cifre e mille canzoni, ma
soprattutto un gustoso capitolo (in realta' affidato a Emmanuel Grossi) che
racconta il rapporto di Mina con la pubblicita' e un'intervista con Luciano
Tallarini, art director delle piu' celebri copertine della cantante dai
Settanta a inizi Ottanta, creatore di immagini scioccanti come la celebre
Mina "calva" di Attila, finita addirittura in una mostra anche al Moma a New
York.

9. LIBRI. ANDREA GARIBALDI PRESENTA "L'ARTE DI COMANDARE GLI UOMINI" DI
ANGELA SCARPARO
[Dal "Corriere della sera" del 19 gennaio 2009 col titolo "Donne instabili e
uomini inetti, l'impossibilita' di incontrarsi" e il sommario "Romanzi.
Angela Scarparo indaga nevrosi e ossessioni di oggi"]

C'e' una scena, verso l'epilogo. Elisa aspetta l'uomo che l'ha lasciata, un
avvocato, sotto l'ufficio. Ha in mano una rosa, per lui. Lui rifiuta ("Ne ho
gia' tante io di queste..."). Mentre lui fugge per le scale, Elisa gli
schiaccia la rosa sulla schiena.
Angela Scarparo scrive sceneggiature per il cinema, ha alle spalle tre
romanzi e si e' laureata in legge con una tesi su Franco Basaglia. In questo
L'arte di comandare gli uomini (Manni, pp. 209, euro 15) ci porta nei
pensieri di Elisa, che non e' riuscita a diventare pittrice, che non ce l'ha
fatta a fare l'avvocata, che non e' capace nemmeno a fare il palo per un
furto. Inseguendo Elisa, si tende a volerle bene, ma subito si prova rabbia.
E' buona, e' tenera, ma troppo impegnata su se stessa, non esce mai davvero
fuori, non trova e non ottiene solidarieta'.
Si sente bella. Un attimo dopo, si vede brutta, vede le sue rughe negli
occhi di chi ha davanti. Vaga per Roma, vaga per Milano, infagottata in
abiti grandi, macchiati. Piccola Charlot. Combatte soprattutto con gli
uomini. Ruggero, che l'ha lasciata, che ha paura dell'anormalita' di Elisa,
di finire, con lei, trascinato giu', in qualche gorgo dove non saprebbe
sopravvivere. Ulderico, un debole: la vorrebbe, non la vorrebbe, alla fine
meglio non ficcarsi nei guai, restare con le proprie sofferenze. Lo zio
Renato, meschino, si e' impossessato dell'eredita' delle nipoti. Valerio, il
piu' rozzo, ma il piu' delicato, l'unico che le porge il braccio, ogni
tanto. Solo che Elisa lo respinge. Maltratta chi tenta di avvicinarla, cerca
chi, con cattiveria, la scansa.
Cosi', la storia di Elisa e' quella di una disperazione che non ha esiti,
sull'altalena della depressione e delle temporanee esaltazioni. Finisce su
una panchina del ponte che, a Roma, da Testaccio porta a Trastevere. Finisce
davanti a un cinema, rifiutando, ancora, un uomo che avrebbe potuto essere
gentile, un poeta, figuriamoci! finisce vestita di un'orrenda tuta a fiori,
ma con le scarpe di Ferragamo. Non e' una tragedia, si va avanti...

10. LIBRI. MARINA PIVETTA PRESENTA DUE LIBRI PER CONOSCERE VENEZIA CITTA'
DELLE DONNE
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/) col titolo
"Venezia: citta' delle donne, citta' di pace" e il sottotitolo "Due libri
per conoscere Venezia"]

Tiziana Plebani, Storia di Venezia citta' delle donne. Guida ai tempi,
luoghi e presenze femminili, Marsilio 2008, pp. 222, euro 15.
Melania G. Mazzucco, La lunga attesa dell'angelo, Rizzoli 2008, pp. 427,
euro 21,50.
*
Sono nata a Venezia dove ritorno spesso per ripercorrere calli e campi dove
da ragazzina correvo anch'io in bicicletta come la bimba fotografata in
copertina del libro Storia di Venezia citta' delle donne. E' cosi' che, con
grande soddisfazione, quest'anno mi sono fatta accompagnare da questa guida
d'eccezione: un volume di quasi duecento pagine edito da Marsilio e firmato
da Tiziana Plebani che ne ha curato il testo storico. Un testo arricchito da
numerosi contributi e dall'introduzione di Franca Bimbi.
Venezia citta' delle donne ma anche citta' di pace come del resto suggerisce
l'autrice nelle ultime pagine dove si legge che se i primi abitatori
cercarono qui riparo, protezione, opportunita' "altra" rispetto alle lotte
per il potere che insanguinavano la terraferma, la citta' continuo' anche in
seguito a costituire un luogo accogliente per altri e altre, spazio di
liberta' nelle persecuzioni religiose e politiche non certo in una
dimensione priva di conflitti e di ombre ma di permanente memoria del valore
della liberta', della concordia e della necessita' di confrontarsi col
diverso da se'.
La sfida della multiculturalita' che Venezia vinse nei periodi di massimo
splendore si ripropone oggi all'interno delle grandi migrazioni dei popoli e
delle genti, nel nomadismo del vivere della e nella modernita'. Le
associazioni di migranti e i percorsi che donne e uomini nativi e stranieri
stanno iniziando a tracciare insieme sono il segno del desiderio che e' nato
non solo all'insegna dell'accoglienza bensi' dall'interesse a conoscere e
condividere per riformulare insieme i presupposti e i valori fondativi delle
comunita' senza la cui condivisione la parola pace rimane solo
un'astrazione.
Ed e' proprio mentre penso a Venezia citta' di pace che vengo a sapere che
in questi giorni, proprio li', si sta preparando un momento di dibattito con
giornaliste israeliane e palestinesi per discutere di Gaza e di un suo
possibile futuro di pace. Un dibattito proposto da donne della politica ma
fatto dipanare da delle giornaliste. E anche questo forse non e' un caso
visto che le prime donne a fare del giornalismo la propria professione sono
state proprio delle veneziane come ricorda Tiziana Plebani in questa guida.
La prima a farsi conoscere a livello internazionale fu Elisabetta Caminer
seguita dalla cognata Gioseffa Cornoldi che ha fondato nel 1786 la prima
rivista indirizzata alle donne, "La donna galante ed erudita". Una presenza
che continua con Gualberta Beccari che nel 1868 stampa il giornale "La
donna". Nel 1911 nasce "Su compagne!", giornale per le lavoratrici dove
firmano decine di donne. Agli inizi del '900 su "La gazzetta di Venezia"
scrivera' Teresa Sensi, la prima donna che riuscira' a vivere con i proventi
del proprio lavoro di giornalista.
E non ultima Tina Merlin il cui nome e' legato a doppio filo alla tragedia
del Vajont. Per i suoi articoli di denuncia vine processata e poi assolta.
Sara' responsabile per "L'Unita'" delle pagine venete.
Il primato non riguarda per' solo il mondo del giornalismo ma anche quello
dell'Universita' e dell'imprenditoria. Chi oggi compra, nei negozi di
souvenir, delle murrine, vetri a colori concentrici, difficilmente sa che a
inventarli e' stata una donna, Maria Barovier.
E, tra le tante donne ricordate si trova anche la pittrice Marietta
Tintoretto, figlia del piu' famoso Jacopo, la cui storia e' stata ripresa da
Melania Mazzucco nel romanzo La lunga attesa dell'angelo. Pagine che non
ricostruiscono solo la vita della Tintoretto ma della Venezia di fine '500:
la pesta, le guerre, l'incendio del palazzo ducale, ma anche il dibattito
culturale e politico di allora, dove musica, letteratura, scienza, tecnica e
pittura non erano saperi a se stanti ma si aprivano a sollecitazioni
reciproche dando vita ad una caleidoscopica sorpresa barocca.

11. LIBRI. GIULIA ZOPPI PRESENTA "M'AMA?" A CURA DI ANNALISA BRUNI, SAVERIA
CHEMOTTI E ANTONELLA CILENTO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 gennaio 2009 col titolo "Venti voci di
donne narrano la maternita' e le sue paure"]

M'ama?, a cura di Annalisa Bruni, Saveria Chemotti e Antonella Cilento, Il
poligrafo, pp. 240, euro 23.
*
Da qualche anno il Forum delle politiche di genere, progetto nato presso
l'universita' di Padova, lavora su discipline e saperi in relazione al
genere maschile, femminile e plurale. Uscito di recente per Il poligrafo,
M'ama? Mamme, madri, matrigne oppure no, a cura di Saveria Chemotti,
Annalisa Bruni e Antonella Cilento, rientra nel novero delle attivita' del
Forum e si presenta come un approfondimento sul tema della maternita',
attraverso venti racconti inediti firmati da scrittrici e ricercatrici
italiane.
La sfida lanciata nel libro appare ambiziosa non tanto e non solo per quanto
attiene l'esistenza - quanto mai problematica - di una scrittura di genere
femminile, sulla cui particolarita' non e' mai bene porre una sentenza
ultimativa, quanto e soprattutto nel voler raccontare, con il contributo di
scrittrici affermate ma anche debuttanti, il carattere unico della
maternita' come esperienza esclusiva della donna. Una esperienza che oggi
sembra avere perso il valore e la forza di un atto di natura, e che pure,
proprio per il suo carattere sempre meno biologico e sempre piu' culturale e
politico, contiene in se' dubbi, paure, perplessita', talvolta drammi.
Efficace risulta la selezione degli scritti, alcuni dei quali elaborati con
una cura che appare particolarmente evidente quando i testi si fanno
testimonianza e dolorosa cronaca di situazioni patite o accolte con
felicita' e desiderio. Resta infatti sempre viva la consapevolezza che - a
prescindere dallo status economico e culturale in cui la maternita' prende
corpo - il peso della responsabilita' di una vita in divenire, il
cambiamento fisico, l'esplosione ormonale e l'inadeguatezza di un ruolo
fondamentale e privo di vie di fuga, siano spettri sempre in agguato, capaci
di creare fantasmi, impulsi distruttivi e drammi definitivi.
Interessante e' nella raccolta la quasi totale assenza della figura
maschile, cui talvolta si accenna senza troppe convinzioni, a rimarcare la
solitudine del materno al cospetto di una societa' che invece di aiutare la
donna, facilitandole i compiti, la costringe in umilianti cliches (si pensi
alla pubblicita', alla mancanza di strutture e di servizi pubblici adeguati
per madri e bambini, al rifiuto piu' o meno palese della donna che sceglie
di non diventare madre in seno a una comunita' pensata solo per famiglie e
legata a ruoli rigidi e predeterminati) come se non fosse possibile
accettare l'ambiguita' di una condizione al di fuori di schemi programmati e
digeriti da immagini stereotipate.
Nel variegato spettro di esempi che i racconti di M'ama? delineano, si narra
di madri giovani e inesperte, di madri che si sentono figlie, di figlie che
non diventeranno mai madri, ma anche di maternita' ereditate da figure
altre, che assolvono e completano un quadro affettivo di grande intensita'
emotiva. In ogni caso resta vero che madri, e qui il titolo della raccolta
e' indicativo, si diventa e non si nasce, e che si ama solo per capacita' di
amare e non solo per diritto divino o di sangue. Per fortuna, verrebbe da
dire.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 232 del 29 gennaio 2009

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