Minime. 710



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 710 del 24 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Maryam
2. Paolo Hutter, Stefano Levi della Torre, Moni Ovadia, Susanna Sinigaglia:
Un appello a sostegno dei pacifisti israeliani
3. Michele Giorgio intervista Yitzhak Ben Muha
4. Simcha Leventhal: Rompere il silenzio
5. Oggi a Torino
6. Una lettera agli amici della Filca-Cisl di Viterbo
7. David Bidussa: Raccontare l'orrore della Shoah
8. Norberto Bobbio: La virtu' della giustizia
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. MARIA G. DI RIENZO: MARYAM
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo articolo]

Le ultime notizie che ho risalgono a lunedi' 19 gennaio. Scontri fra
talebani e truppe straniere nella provincia di Kapisa (circa trenta miglia a
nord di Kabul), attacco aereo, 19 morti fra i talebani, 25 morti fra i
civili. Di questi ultimi i comandanti statunitensi non sanno dire nulla alle
agenzie di stampa: stanno vagliando, prendono la cosa molto seriamente,
investigheranno. Sono gli stessi tizi che, solo nel 2007, hanno sganciato
sull'Afghanistan 4.500 tonnellate di bombe cercando di centrare Osama bin
Laden e mancandolo sempre. Non so se si tratti di un problema di vista o di
un problema di intelligence, ma so di cosa il mio paese si e' reso
corresponsabile.
L'Afghanistan e' oggi il paese piu' povero del mondo, in cui l'aspettativa
di vita si aggira attorno ai quarant'anni. Solo il Burkina Faso o il Niger a
volte ottengono risultati peggiori nelle classifiche. Tre decenni di guerre,
un decennio di siccita'. Malattie da lungo tempo debellate come tubercolosi
e poliomielite sono rifiorite e stanno facendo strage di donne e bambini. Un
bimbo su quattro muore prima dei cinque anni, preferibilmente di colera o
diarrea (milioni di afgani non hanno accesso ad acqua potabile). Meta' delle
donne in eta' fertile finisce per morire di parto. Solo nell'area di Kabul
si stimano in 60.000 i bambini che non vanno a scuola e vivono per strada,
vendendo cianfrusaglie, mendicando o rubando. I talebani si mettono
d'impegno anche loro, per queste creature, non c'e' dubbio: dal 2005 fanno
saltare in aria circa 150 scuole all'anno, specialmente se in esse si
pretende di insegnare alle bambine. Secondo i dati dell'Unicef, nelle
quattro province del sud sono chiuse piu' di meta' delle scuole, 380 su 748.
Ancora un po' di numeri? L'87% delle donne riferisce di subire violenza
domestica. Il 60% dei matrimoni e' forzato. Il 57% delle spose hanno meno di
16 anni (eta' legale per contrarre matrimonio). E dato che le donne devono
stare a casa, persino la moglie del presidente Karzai, che e' una ginecologa
del cui lavoro il suo paese avrebbe terribilmente bisogno, fa la casalinga.
Sono le "loro tradizioni", e' sempre andata cosi'? No, basterebbe guardare
le fotografie degli anni '70 e '80, non e' passato poi cosi' tanto tempo, e
vedreste studentesse, impiegate, insegnanti, mediche, infermiere, avvocate e
ingegnere afgane andarsene in giro vestite come preferiscono e guidare
tranquillamente le loro automobili. Certo, per ottenere rispetto e diritti
avevano dovuto puntare i piedi e sgomitare e resistere e urlare e
persuadere, come tutte le altre donne al mondo. Invasati guerrafondai di
ogni tipo in trent'anni hanno tolto loro tutto.
*
E qui veniamo a Maryam. E' una ragazzina di 14 anni che vive
nell'Afghanistan centrale (provincia di Bamyan). Nel luglio scorso e' stata
stuprata da un compaesano, ma per timore di essere incarcerata, buttata
fuori di casa o uccisa, non ha detto nulla. Purtroppo e' rimasta incinta.
Quando attorno al sesto mese di gravidanza cio' che era accaduto e'
diventato evidente, la sua famiglia le ha aperto il ventre usando dei rasoi
da barbiere, ha estratto il feto e lo ha seppellito vivo.
L'operazione e' stata ovviamente condotta senza alcuna anestesia o
precauzione medica, ed e' andata avanti un'ora circa, dopo di che la ragazza
e' stata ricucita con l'ago e il filo che c'erano in casa. Cinque giorni
dopo, con le ferite infettate, in punto di morte, e' stata portata
all'ospedale. I familiari hanno detto che era stata morsa da un cane, ma ai
medici e' stato sufficiente vedere il suo corpo massacrato: "E' stata
macellata come un animale", ha dichiarato uno degli operatori sanitari
dell'ospedale di Yakawlang, dove la ragazza e' in terapia intensiva.
Come ha ripreso conoscenza Maryam ha raccontato la verita', e oggi sua
madre, suo fratello ed il suo stupratore sono in custodia cautelare in
attesa di processo. Dando conferma alla stampa della tragedia di Maryam, la
Commissione indipendente afgana per i diritti umani ha aggiunto di essere
"particolarmente preoccupata perche' la natura e le tipologie della violenza
contro le donne stanno peggiorando, e inoltre i casi sono aumentati rispetto
allo scorso anno".
Soraya Rahim Suhbrang, membro della Commissione, e' molto chiara: "Non e'
cultura afgana, e' cultura della violenza".

2. APPELLI. PAOLO HUTTER, STEFANO LEVI DELLA TORRE, MONI OVADIA, SUSANNA
SINIGAGLIA: UN APPELLO A SOSTEGNO DEI PACIFISTI ISRAELIANI
[Dal sito www.aprileonline.info riprendiamo il seguente appello dal titolo
"Sosteniamo il pacifismo israeliano"]

Abbiamo ragionato un po' su cosa fare di utile dall'Italia e pensiamo che
sia sicuramente importante e positivo, anzi necessario dare un sostegno ai
pacifisti israeliani nel momento forse piu' difficile della loro storia.
Ovviamente i soccorsi umanitari sono urgenti, ma ci battiamo affinche'
l'Onu, la Ue, gli Stati, le Regioni realizzino gli impegni che hanno preso
per questi soccorsi, col denaro pubblico. Come singoli cittadini o gruppi,
con soldi nostri e scelta politica, riteniamo di dare un contributo ai
pacifisti isrealiani, attraverso il conto corrente e la garanzia
amministrativa dell'Arci di Milano che ha accettato la nostra proposta.
In particolare intendiamo far arrivare cio' che raccoglieremo a "Alternative
Information Center" e a "The other voice". Quest'ultimo gruppo opera a
Sderot, dove arrivano i razzi di Hamas.
Paolo Hutter, Stefano Levi della Torre, Moni Ovadia, Susanna Sinigaglia
*
La mail per informazioni e adesioni politiche e': campodellapace at yahoo.it
Conto corrente Arci Milano, causale "pacifisti israeliani", IT 63 Z 0501 801
6 00000000 116663.
Mandare anche una mail per ricevere la ricevuta valida ai fini fiscali per
dedurre dal reddito, indirizzando a: amministrazione.mi at arci.it, con nome
cognome ed estremi del bonifico
*
Ecco le presentazioni delle due strutture destinatarie della nostra
raccolta:
a) "The other voice"
Dal 2000, i cittadini della regione di Sderot e della striscia di Gaza
vivono una realta' violenta e instabile in cui migliaia di persone sono
state uccise o ferite: bambini, anziani e altri civili innocenti. I nostri
leader hanno messo in campo la forza militare ma senza nessun successo: noi
spariamo su di loro e loro rispondono sparandoci. E' un circolo vizioso
senza fine. Allora abbiamo detto: basta! Abbiamo preso il nostro destino
nelle nostre mani e iniziato ad agire per interrompere il bagno di sangue.
"Other Voice" e' un gruppo ben radicato sul territorio che riunisce circa
cento cittadini della regione di Sderot e zone limitrofe; vi partecipano
uomini e donne di ogni estrazione politica, eta', professione e fede.
Dall'inizio del 2008 abbiamo incominciato a impegnarci per riportare la
speranza e promuovere azioni nonviolente a beneficio delle popolazioni che
vivono su entrambi i lati del confine, per creare una nuova prospettiva di
vita nella regione.
Oltre a regolari incontri settimanali, abbiamo organizzato due iniziative
pubbliche a cui hanno partecipato piu' di 150 persone: na "biciclettata"
nell'agosto 2008, in cui abbiamo sfilato per la pace e parlato al telefono
con i nostri vicini di Gaza, facendo appello per una soluzione pacifica del
conflitto; l'invio di cartoline con gli auguri di buone feste per il Ramadan
e Rosh ha'Shanah (il Capodanno ebraico) rivolte via web alla popolazione
palestinese di Gaza, nel settembre 2008, e pubblicizzate presso i nostri
conoscenti di Gaza.
Adesso stiamo organizzando degli incontri con i palestinesi di Gaza,
essenziali se vogliamo porre fine alla violenza. Il nostro progetto e' di:
arrivare a una conferenza di docenti al Sapir College; raccogliere le
famiglie colpite dalla violenza per promuoverne il dialogo; organizzare una
manifestazione a Sderot con israeliani di Sderot e palestinesi di Gaza
perche' si comunichino le reciproche esperienze; fare alla fine della
manifestazione un comunicato congiunto e un appello ad azioni pratiche che
portino alla pace.
Questa terribile guerra ha reso il vostro sostegno anche piu' importante e
vi ringraziamo in anticipo per questa iniziativa.
Per ulteriori informazioni, potete consultare il nostro sito:
www.othervoice.org o contattarci per qualsiasi domanda scrivendo a Eric
Yellin, e-mail: info at othervoice.org
*
b) "Alternative Information Center"
L'Alternative Information Center (Aic) e' un'associazione di attivisti
israeliani e palestinesi impegnata nella diffusione di informazioni e
analisi critiche del conflitto israelo-palestinese, nell'organizzazione di
mobilitazioni politiche e militanza di base della societa' palestinese e
israeliana.
L'Aic sostiene e promuove la piena uguaglianza, individuale e collettiva,
economica, politica e di genere, la liberta' e la democrazia e il rifiuto
della weltanschauung della separazione.
Il piu' importante obiettivo regionale e' trovare una giusta soluzione a un
conflitto coloniale che dura da cent'anni in Palestina e approfondire la
comprensione del legame tra il regime di occupazione israeliano alla luce
del contesto internazionale. Il metodo di azione dell'Aic si sviluppa a
partire dalla consapevolezza che le lotte locali devono essere collocate,
praticamente e analiticamente, all'interno delle lotta globale per la
giustizia.
L'organizzazione ha un sito molto ricco, www.alternativenews.org, con molte
sezioni e una societa' di produzione, la Sadaa, che crea materiali
audiovisivi per la televisione e il web. Scopo di Sadaa e' offrire al
pubblico israeliano e internazionale una rappresentazione accessibile e
indipendente dai media ufficiali della realta' dell'occupazione; evidenziare
gli aspetti sociali, economici, ambientali, politici e legali
dell'occupazione soprattutto a Gerusalemme. Il materiale prodotto comprende
brevi videoclip, reportage e documentari.

3. TESTIMONIANZE. MICHELE GIORGIO INTERVISTA YITZHAK BEN MUHA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2009 col titolo "I refusenik.
Ma quale difesa dello Stato, stiamo solo perpetuando l'occupazione" e il
sommario "Parla il sergente Ben-Muha, uno dei pochi riservisti israeliani
che ha avuto il coraggio di dire di no all'offensiva contro la Striscia"]

Si abbatte la scure sulle voci israeliane di dissenso verso l'offensiva
"Piombo fuso". L'esercito sta usando il pugno di ferro nei confronti di quei
pochi riservisti che hanno rifiutato di partecipare all'attacco contro Gaza.
Una decisione difficile, che ha messo i "refusenik" contro un'opinione
pubblica massicciamente a favore (il 96%) dei bombardamenti che hanno
causato oltre 1.300 morti e migliaia di feriti tra i palestinesi di Gaza.
A finire in prigione o agli arresti domiciliari negli ultimi giorni sono
stati refusenik come il sergente Yitzhak Ben-Muha, il tenente Noam Livneh,
la soldatessa Maya Yehieli, colpevoli di non condividere il bombardamento di
Gaza. Un portavoce militare ha spiegato che "in tempo di guerra tutti i casi
di insubordinazione e diserzione vengono trattati con estrema severita'". Ne
abbiamo discusso con il sergente Yitzhak Ben Muha, 25 anni, ex paracadutista
e membro di una unita' di elite dell'esercito israeliano.
*
- Michele Giorgio: Sergente Ben Muha, siete pochi ma, a quanto pare, date
fastidio.
- Yitzhak Ben Muha: Si', in effetti i riservisti refusenik sono pochi.
Ciononostante i comandi militari in qualche caso hanno adottato contro di
noi misure dure. Noam Livneh, ad esempio, e' stato arrestato, ammanettato e
incarcerato come un disertore qualsiasi, mentre e' un obiettore di coscienza
molto noto, che gia' negli anni passati si era rifiutato di servire a
Nablus, nel nord della Cisgiordania occupata. In questo clima evidentemente
l'esercito si sente autorizzato a usare il pugno di ferro e a tappare la
bocca di chi non e' d'accordo con "Piombo fuso".
*
- Michele Giorgio: Raccontaci il tuo caso.
- Yitzhak Ben Muha: Sono un paracadutista ed ex membro di un'unita' di
elite. Circa due settimane fa sono stato richiamato. Ero molto depresso,
perche' nei giorni precedenti avevo visto le immagini dei pesanti
bombardamenti aerei contro i centri abitati palestinesi a Gaza. Tanto sangue
innocente era gia' stato versato e sapevo che molti altri civili sarebbero
stati uccisi nei giorni successivi. Quando sono arrivato alla base, avevo
gia' preso la mia decisione: al comandante ho detto che non avevo intenzione
di prendere parte alla campagna militare. Il giorno successivo mi hanno
detto di andare a casa e di rimanere a disposizione. Mi hanno risparmiato il
carcere, ma non tutti sono stati fortunati come me.
*
- Michele Giorgio: Quindi a fermarti e' stata la possibilita' concreta di
colpire persone innocenti?
- Yitzhak Ben Muha: Si', ma non solo quello, le motivazioni sono piu' ampie.
Non mi considero un pacifista in senso classico e credo nel diritto di uno
Stato di difendersi da minacce esterne. Ma con "Piombo fuso" non stiamo
difendendo Israele, ma solo perpetuando un'occupazione militare che dura da
oltre 41 anni. Qualche anno fa credevo che i nostri leader politici fossero
effettivamente impegnati a trovare una soluzione di pace ma in seguito mi
sono reso conto che la sofferenza di una intera nazione sotto occupazione, e
anche la condizione di tanti giovani soldati, sono all'ultimo posto delle
priorita' dell'establishment. Per questo oggi dico "Mai piu'" in nome del
popolo palestinese e di tutti gli israeliani che rigettano l'occupazione. Mi
sento ancora un combattente, ma ora solo per la pace.

4. TESTIMONIANZE. SIMCHA LEVENTHAL: ROMPERE IL SILENZIO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 gennaio 2009 col titolo "Io artigliere
ho usato fosforo bianco" e la nota redazionale "L'autore e' un veterano dei
corpi di artiglieria dell'esercito israeliano e membro fondatore di Breaking
the Silence"]

Ho servito come artigliere nella divisione M109 dell'esercito israeliano dal
2000 al 2003 e sono stato addestrato a utilizzare le armi che Israele sta
usando a Gaza. So per certo che le morti di civili palestinesi non sono una
sfortunata disgrazia ma una conseguenza calcolata. Le bombe che l'esercito
israeliano ha usato a Gaza uccidono chiunque si trovi in un raggio di 50
metri dall'esplosione e feriscono con ogni probabilita' chiunque si trovi a
200 metri. Consapevoli dell'impatto di queste armi, le gerarchie militari
impediscono il loro uso, anche in combattimento, a meno di 350 metri di
distanza dai propri soldati (250 metri, se questi soldati si trovano in
veicoli corazzati).
Testimonianze e fotografie da Gaza non lasciano spazio a dubbi: l'esercito
israeliano ha usato in questa operazione bombe al fosforo bianco, che
facevano parte dell'arsenale quando anche io servivo nell'esercito. Il
diritto internazionale proibisce il loro uso in aree urbane densamente
popolate a causa delle violente bruciature che provocano: la bomba esplode
alcune decine di metri prima di toccare il suolo, in modo da aumentarne gli
effetti, e manda 116 schegge infiammate di fosforo in un'area di piu' di 250
metri. Durante il nostro addestramento, i comandanti ci hanno detto di non
chiamare queste armi "fosforo bianco", ma "fumo esplosivo" perche' il
diritto internazionale ne vietava l'uso.
Dall'inizio dell'incursione, ho guardato le notizie con rabbia e sgomento.
Sono sconvolto dal fatto che soldati del mio paese sparino con l'artiglieria
pesante su una citta' densamente popolata, e che usino munizioni al fosforo
bianco. Forse i nostri grandi scrittori non sanno come funzionano queste
armi, ma sicuramente lo sanno le nostre gerarchie militari. 1.300
palestinesi sono morti dall'inizio dell'attacco e piu' di 5.000 sono rimasti
feriti. Secondo le stime piu' ottimiste, piu' della meta' dei palestinesi
uccisi erano civili presi tra il fuoco incrociato, e centinaia di loro erano
bambini. I nostri dirigenti, consapevoli delle conseguenze della strategia
di guerra da loro adottata, sostengono cinicamente che ognuna di quelle
morti e' stata un disgraziato incidente.
Voglio essere chiaro: non c'e' stato alcun incidente. Coloro che decidono di
usare artiglieria pesante e fosforo bianco in una delle aree urbane piu'
densamente popolate del mondo sanno perfettamente, come anche io sapevo, che
molte persone innocenti sono destinate a morire. Poiche' conoscevano in
anticipo i prevedibili risultati della loro strategia di guerra, le morti
civili a Gaza di questo mese non possono essere definite onestamente un
disgraziato incidente.
Questo mese, ho assistito all'ulteriore erosione della statura morale del
mio esercito e della mia societa'. Una condotta morale richiede che non solo
si annunci la propria volonta' di non colpire i civili, ma che si adotti una
strategia di combattimento conseguente. Usare artiglieria pesante e fosforo
bianco in un'area urbana densamente popolata e sostenere poi che i civili
sono stati uccisi per errore e' oltraggioso e immorale.

5. INCONTRI. OGGI A TORINO
[Dal Centro Studi Sereno Regis (per contatti: comunicazione at serenoregis.org)
riceviamo e diffondiamo]

Sabato 24 gennaio 2009, alle ore 16, nella Sala Gandhi del Centro Studi
Sereno Regis, in via Garibaldi 13, a Torino, si terra' un incontro in
ricordo di Domenico Sereno Regis.
A 25 anni dalla morte, lo ricordano gli amici di sempre.
Domenico Sereno Regis: partigiano nonviolento, animatore della democrazia di
base, strenuo sostenitore dell'obiezione di coscienza in tutte le sue forme,
lavoratore della giustizia internazionale, presidente del Mir, sezione
italiana dell'Ifor.
*
Per ulteriori informazioni: Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi 13,
10122 Torino, tel. 011532824 - 011549004, fax: 0115158000, e-mail:
comunicazione at serenoregis.org, sito: www.serenoregis.org

6. DOCUMENTAZIONE. UNA LETTERA AGLI AMICI DELLA FILCA-CISL DI VITERBO
[Riportiamo questa lettera aperta del 21 gennaio 2009 dal titolo completo
"Agli amici della Filca Cisl di Viterbo che il 22 gennaio incontreranno il
Ministro dei Trasporti"]

Carissimi amici,
come sapete a molti di voi mi lega una stima e un affetto di lunga data, che
risale ai tempi della nostra comune gioventu' e del nostro comune impegno
per tante buone cause, per la dignita' e i diritti di tutti gli esseri
umani, per la difesa e la promozione del nostro territorio, per
l'emancipazione di tutti i lavoratori e la costruzione di una societa'
giusta e solidale.
Vedo che il 22 gennaio incontrerete il Ministro dei Trasporti in un convegno
che avete promosso a San Martino al Cimino. E che l'oggetto dell'incontro e'
il mega-aeroporto di Viterbo.
Credo sappiate che io sono di quelli che tenacemente si oppongono alla
realizzazione di quest'opera. E mi oppongo ad essa per i seguenti motivi:
1. il mega-aeroporto provochera' un disastro ambientale e devastera'
irreversibilmente l'area termale del Bulicame, ovvero una risorsa
fondamentale per la nostra terra;
2. il mega-aeroporto provochera' un danno enorme alla salute, alla sicurezza
e alla qualita' della vita dei cittadini viterbesi;
3. il mega-aeroporto costituira' un colossale sperpero di soldi pubblici per
realizzare un'opera nociva e distruttiva, mentre quei soldi pubblici
potrebbero e dovrebbero essere utilizzati a vantaggio - e non a danno -
della popolazione di Viterbo e dell'Alto Lazio;
4. il mega-aeroporto sara' un'ennesima servitu' speculativa e inquinante che
danneggera' il nostro territorio, la nostra economia e i nostri diritti: e
sarebbe ora che Viterbo smettesse di essere considerata terra di conquista,
colonia da sfruttare e devastare con opere che altri territori ed altre
comunita' giustamente rifiutano (vedi Ciampino);
5. il mega-aeroporto contribuira' all'incremento del trasporto aereo, che
invece va urgentemente e drasticamente ridotto essendo fortemente
corresponsabile dell'inquinamento globale del pianeta ed in particolare di
quell'"effetto serra" che costituisce oggi la maggior emergenza ambientale
globale che l'umanita' deve fronteggiare;
6. il mega-aeroporto viola fondamentali normative europee ed italiane; la
procedura decisionale fin qui seguita e' stata giustamente denunciata come
scandalosamente irregolare; e' stato dimostrato che a rigor di legge si
tratta di un'opera irrealizzabile. E' quindi un'opera illecita oltre che
irragionevole.
In anni passati, voi lo ricordate, ci siamo battuti insieme in difesa dei
diritti dei lavoratori e dei cittadini contro operazioni speculative e
poteri criminali.
Mi piacerebbe che anche in questa vicenda noi si possa lottare insieme
ancora una volta contro un'opera avvelenatrice ed illegale, in difesa dei
diritti di tutti, per la nostra terra e per la nostra gente.
Un cordiale saluto dal vostro
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 21 gennaio 2009

7. RIFLESSIONE. DAVID BIDUSSA: RACCONTARE L'ORRORE DELLA SHOAH
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 16 gennaio 2009 col titolo "Shoah.
Quando non ci saranno piu' testimoni" e il sommario "Il 27 gennaio sara' la
Giornata della Memoria. Un libro di David Bidussa affronta la retorica
ufficiale del genocidio ebraico e il ruolo della storia. Questa data non e'
il giorno della commemorazione dei morti, ma del ricordo per i vivi. Tutto
e' successo perche' il sistema consentiva la non responsabilita'
individuale. Anticipiamo una parte del libro Dopo l'ultimo testimone
(Einaudi, pp. 136, euro 10) da oggi in libreria]

Quando rimarremo soli a raccontare l'orrore della Shoah, non bastera' dire
"Mai piu'!" ne' rifugiarsi tra le convenzioni della retorica. Serviranno gli
strumenti della storia e la capacita' di superare i riti consolatori. (...)
Nel Giorno della memoria non ci interroghiamo dunque sui sopravvissuti o sui
testimoni diretti, ma su noi stessi, venuti dopo, e che da quell'evento
siamo segnati, qualunque sia il nostro rapporto individuale e familiare con
esso. Sia che siamo figli delle vittime, dei carnefici o di quella ampia
fascia di zona grigia, di mondo degli spettatori, che si trova in mezzo.
Insieme a noi, ci sono i testimoni culturali, ovvero gli autori della
produzione storiografica, figurativa, letteraria, cinematografica, che
accompagnano l'estrinsecazione delle testimonianze dei sopravvissuti.
In sostanza non c'e' da attendere un domani, piu' o meno lontano, per
chiedersi che cosa faremo dopo che l'ultimo testimone sara' scomparso. Quel
passaggio si e' gia' consumato. Del resto, a riprova, la notizia della
morte - avvenuta il 17 giugno 2008 - di Henryk Mandelbaum, l'ultimo
sopravvissuto in Polonia del "Sonderkommando" del campo di concentramento
nazista di Auschwitz-Birkenau, non ha modificato il quadro emozionale, non
ha segnato nella coscienza pubblica un "prima" e un "dopo".
Si e' inaugurata l'eta' della postmemoria, una stagione che obbliga a
confrontarsi con le domande che questa condizione pone rispetto alla
conservazione di un certo passato e sugli strumenti che noi abbiamo per
indagarlo, comprenderlo e rappresentarlo.
La nostra attualita' e' attraversata da diversi scenari che rischiano di
trasformare quest'attenzione in una nuova eclissi.
Il primo riguarda i tempi della memoria. Il ricordo del genocidio ebraico ha
avuto tempi lunghi prima di rendersi autonomo e "visibile" nella coscienza
pubblica. Ha avuto un suo risveglio a partire dagli anni '80, sull'onda
anche della spettacolarizzazione dovuta a Holocaust (il serial televisivo
che nel 1978, negli Stati Uniti come in Europa, ha inaugurato una nuova
stagione nella percezione del genocidio ebraico). Da allora quel tema e'
stato al centro della discussione pubblica, anche "riscoprendo" le domande
di chi a lungo e con pazienza aveva indagato intorno all'evento
nell'indifferenza generale. L'esempio piu' evidente e' proprio nell'opera
unanimemente oggi riconosciuta come la piu' esaustiva, ovvero la monografia
di Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d'Europa, composta in
solitudine, ignorata negli anni '50, pubblicata nel 1961 nell'indifferenza
generale e infine "scoperta" nel 1985.
Tornero' piu' in dettaglio su Hilberg, ma e' importante sottolineare come la
ricerca storica talora viva di vita propria e non solo di
spettacolarizzazione o di rapporto con le domande che la discussione
pubblica suscita. Quelle domande riguardano lo spessore, la fisionomia,
l'estensione e la tipologia della "zona grigia", una questione che resta in
eredita' a chi viene dopo e che, soprattutto, non ha il fascino ne' della
celebrazione dell'eroe, ne' della consolazione della vittima. La
storiografia quando ha un valore civile non consola, bensi' pone domande, e
probabilmente e' anche per questo che nonostante tutti dichiarino di amare
la storia, di provare per essa un interesse quasi morboso, poi tengono la
storiografia a distanza. Ci sono opere che bruciano ancora per le domande
che pongono e perche' rispetto a esse l'insorgenza morale non serve. E in
ogni caso non e' solo una questione morale. E' una problematica che
coinvolge il sentimento politico e, piu' generalmente, la mentalita'
diffusa, specie nel caso italiano.
Infatti, intorno al concetto di zona grigia, soprattutto nel modo in cui si
e' radicata quest'immagine nel senso comune in Italia, e' venuta
costruendosi una filosofia politica. L'espressione "zona grigia", creata da
Primo Levi e originariamente riferita a coloro che nell'esperienza del Lager
rappresentano l'area dei privilegiati nella complessa sociologia e gerarchia
degli schiavi, nella storiografia sulla Resistenza e sulla guerra civile ha
avuto uno slittamento di significato ed e' percio' venuta a designare quella
parte di popolazione che passivamente non si e' schierata con nessuna delle
due parti in campo. Una condizione inizialmente vissuta con disagio e poi,
lentamente, rivendicata con orgoglio (...)
Il secondo scenario riguarda la centralita' delle vittime. Nel corso degli
ultimi due decenni la dimensione della vittima ha assunto una nuova
fisionomia. Se a lungo la questione degli stermini e' stata pensata in
relazione al termine di trauma - e dunque il problema e l'attenzione
rispondevano all'esigenza di individuare strategie volte al recupero o al
reinserimento -, la dimensione della vittima tende ora a essere presentata
come una condizione non mutabile. La vittima nella comunita' entra in
ragione della violenza che ha subito e dunque per questo trova spazio e
rispetto. Ma lentamente quella condizione si estende e genera un nuovo
diritto: nello spazio pubblico comincia ad affermarsi la convinzione che
solo presentandosi come vittime si avra' diritto alla giustizia.
E' un meccanismo che lentamente dimentica il presupposto da cui era partito,
legato all'eccezionalita', alla condizione estrema del sopravvissuto, ed
estende cosi' all'infinito la realta' traumatica. Trasforma una condizione
fisica, oggettiva, in una psicologica.
L'effetto e' la ripresa del meccanismo vittimario, che non e' solo
appannaggio dei sopravvissuti, ma anche e sempre piu' di coloro che hanno
una visione paranoica della realta', ossessionati dall'idea di forze potenti
che agiscono contro la propria gente. Un'affermazione del processo di
produzione delle vittime che elimina la dimensione storica e fattuale del
suo realizzarsi in termini di atti, conflitti, figure, circostanze (e dunque
non indaga su chi siano i persecutori, non descrive le azioni dei carnefici,
bensi' destoricizza perche' riconduce a se' tutta la vicenda) e spiega, ad
esempio, perche' paradossalmente la richiesta di riflessione sulle vittime,
che pure esigerebbe una maggior produzione di analisi storica, chiami in
causa altre piste di indagine - la psicologia, la psicoanalisi, la
teologia - ma significativamente eviti la storia sociale e si guardi bene
dall'affrontare la storia dei comportamenti.
Paradossalmente, solo portando al centro le figure dei carnefici o della
macchina dello sterminio, quella domanda di storia ha avuto la possibilita'
di sostenersi.
Nello specifico e' stato da una parte La banalita' del male di Hannah Arendt
ad aprire questa possibilita', proprio perche' al centro del libro non erano
poste le vittime ma la macchina distruttiva, e successivamente si e'
aggiunto il saggio di Christopher Browning, Uomini comuni, che ha consentito
una nuova stagione di indagine culturale, storica e sociale sugli stermini.
In tutti e due i casi il cuore dell'indagine riguarda la sfera dei carnefici
e degli esecutori, la macchina burocratica come luogo produttivo della
storia. Un nuovo aspetto che chiama in causa la nostra quotidianita' ma che,
di nuovo, evitiamo di mettere al centro della nostra riflessione, sulle
forme del consenso, o su come si produce la morte di massa nell'eta' della
tecnica. Un evento che evoca il principio della cooperazione industriale. La
fabbrica moderna e' capace di produrre in serie milioni di esemplari dello
stesso prodotto perche' migliaia di individui nello stesso istante compiono
un gesto, un atto sequenziale.
Questo processo e' possibile perche' pone a suo fondamento la cooperazione
tra individui. Il genocidio ebraico, come ricorda lo storico Pierre
Vidal-Naquet, e' un evento possibile, e realizzabile, perche' basato sullo
stesso principio organizzativo: un sistema che consente la non
responsabilita' individuale nello sterminio.

8. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO: LA VIRTU' DELLA GIUSTIZIA
[Dal quotidiano "La Stampa" dell'8 gennaio 2009 col titolo "La virtu' della
giustizia", il sommario "Nel centenario della nascita, un testo inedito del
filosofo, maestro di politica e diritto", la nota redazionale "Il 2009 e'
l'anno di Norberto Bobbio. Del filosofo torinese, tra le maggiori autorita'
intellettuali e morali del Novecento, ricorre il centenario della nascita
(18 ottobre 1909), oltreche' il quinto anniversario della morte (9 gennaio
2004). Per celebrare la ricorrenza il ministero dei Beni culturali ha
istituito un Comitato nazionale, composto da oltre cento istituzioni e
personalita' della cultura italiane e straniere, che ha elaborato un fitto
programma di iniziative per promuovere il dialogo e la riflessione intorno
al pensiero di Bobbio e sul futuro della nostra democrazia. 'La Stampa', che
ha avuto il filosofo tra i suoi collaboratori di punta per quasi trent'anni,
propone qui un testo inedito, trovato tra le carte dell'Archivio Norberto
Bobbio presso il Centro studi Gobetti di Torino: si tratta di un
dattiloscritto, presumibilmente della fine degli anni '50, sul tema della
giustizia, voce preparata per un progetto di dizionario enciclopedico mai
realizzato, di cui pubblichiamo uno stralcio", e la breve scheda
"Editorialista della 'Stampa'. Se l'universita' fu 'la prima casa' di
Norberto Bobbio, 'La Stampa' fu la seconda. Per un trentennio cruciale il
professore, che considerava l'insegnamento la sua attivita' piu' importante,
da grande editorialista spiego' l'agonia della Prima Repubblica e denuncio'
le illusioni, gli equivoci, i rischi della successiva. Aveva esordito il 3
marzo 1976, invitato dal direttore Arrigo Levi, con un commento di terza
pagina sul congresso del Psi e 'Gli intellettuali amici ma critici' di quel
partito. La collaborazione, piu' intensa nel 1977, ebbe un suggello
drammatico e definitivo quel novembre, dopo gli attentati contro il giornale
e la morte del vicedirettore Carlo Casalegno, assassinato dalle Brigate
Rosse. Fra il 1944 e il '45, 'nell'ultimo anno della lotta senza quartiere'
al fascismo, tra i compagni nel Partito d'azione Casalegno era quello cui
Bobbio si sentiva 'piu' vicino per comunanza di ideali e per quell'amore
(...) delle idee chiare e distinte'. Da quei giorni intreccio' la sua vita
con quella della 'Stampa', in piena sintonia con altri suoi amici:
Alessandro Galante Garrone, Massimo Mila, Primo Levi, Giovanni Spadolini. E
fino all'ultimo il filosofo della politica, il giurista, il senatore, anche
da giornalista sollevo' dubbi e interrogativi etici, condusse la sua
battaglia contro la confusione di morale e diritto, per il pensiero
progressista, per una 'democrazia senza aggettivi'"]

Nella filosofia politica antica la giustizia era una virtu', una delle
virtu' etiche fondamentali, cioe' un abito o un'abitudine di compiere certe
azioni giudicate aventi un valore positivo e di evitare certe altre azioni
giudicate aventi un valore negativo. La valutazione di un'azione come
virtuosa, in particolare come giusta, rinviava necessariamente al criterio
in base al quale le azioni potevano essere distinte come giuste o ingiuste.
Nel pensiero moderno e soprattutto contemporaneo si intende per giustizia
questo criterio di valutazione, o valore ideale, o principio direttivo
dell'azione che permette di giudicare le azioni umane, onde chiamiamo giuste
quelle che vi corrispondono, ingiuste quelle che non vi corrispondono.
Per quanto siano quasi infinite le definizioni che sono state date della
giustizia nel corso dei secoli, l'ambito di riferimento di queste
definizioni e' pur sempre l'azione sociale dell'uomo, ovvero l'azione che
l'uomo compie nelle sue relazioni con altri uomini.
Il problema della giustizia e' strettamente connesso al problema della
costituzione e della conservazione della societa' umana: onde azione giusta
e' quella che contribuisce in qualche modo a rendere possibile la
coesistenza degli uomini, ingiusta quella che la ostacola. S'intende che i
diversi modi di definire la giustizia dipendono dai diversi modi di
concepire la societa', dai diversi fini che le si attribuiscono, dai diversi
ideali sociali che si vogliono raggiungere.
Due sono soprattutto gli ideali che entrano a formare, separatamente o
congiuntamente, la nozione giustizia: l'ideale dell'ordine e quello
dell'eguaglianza.
L'idea dell'ordine sociale e' sorta, sin dai primordi della riflessione
sulla giustizia, in corrispondenza all'idea dell'ordine dell'universo; e di
volta in volta l'ordine dell'universo e' stato concepito a immagine
dell'ordine sociale (la natura come insieme di enti che ubbidiscono alla
volonta' sovrana di Dio o degli dei), e l'ordine sociale e' stato
considerato come il riflesso dell'ordine cosmico (le leggi che regolano la
societa' umana sono una parte delle leggi giuridiche naturali che regolano
l'universo), dando luogo ora a una concezione etica e giuridica dell'ordine
naturale, ora a una concezione naturalistica dell'ordine giuridico. Ogni
totalita' ordinata ha bisogno di norme o leggi, cioe' di canoni che
prescrivano o determinino la regolarita' dei comportamenti. Ordine e legge
sono due nozioni strettamente connesse: l'ordine e' garantito dal fatto che
la legge, cioe' la regolarita' dei comportamenti, sia rispettata. Questo
rispetto della legge, che assicura l'ordine, e' cio' che si chiama, in una
delle accezioni tradizionali, giustizia. In questa accezione la giustizia
consiste nella conservazione dell'ordine costituito: conservazione, appunto,
che viene ottenuta attraverso il rispetto delle leggi costitutive
dell'ordine. Ingiustizia e' la rottura dell'ordine, perpetrata attraverso la
violazione della legge: e' disordine o caos, contrapposto a ordine o cosmo;
in termini piu' drammatici, e' guerra contrapposta a pace. E in quanto
violazione della legge, in quanto disordine, caos o guerra, e' la
dissoluzione di ogni possibile convivenza, e' la rovina della societa'. In
questa connessione con l'ideale dell'ordine, la nozione di giustizia si
risolve in quella di legalita': la concezione della giustizia come legalita'
e' una delle concezioni ricorrenti nella storia del pensiero occidentale. E'
quella concezione per cui si dice giusta l'azione conforme alla legge,
ingiusta quella difforme; e uomo giusto e' colui che ha l'abito di
rispettare le leggi, ingiusto colui che ha l'abito di trasgredirle. Partendo
da questo modo di intendere la giustizia, il fine e il contenuto delle leggi
non entrano in questione: la garanzia dell'ordine e' data dal rispetto delle
leggi, quali che esse siano. Cio' che garantisce l'ordine e' infatti la
corrispondenza dell'azione alla legge, non il tipo di azione che la legge
prescrive o determina. Si tratta di una concezione meramente formale della
giustizia.
L'idea dell'eguaglianza integra quella dell'ordine in quanto esprime
l'esigenza che per attuare la giustizia occorra non un ordine qualunque esso
sia, ma un ordine fondato su un certo principio che e', appunto, quello
dell'eguale distribuzione di onori e di oneri. Anche la societa' tenuta
insieme da leggi tiranniche, e quindi esclusivamente con la spada, e' a
rigore una societa' ordinata; ma e' sufficiente quest'ordine a garantire la
conservazione della societa'? L'ideale dell'eguaglianza e' quello che fa
porre nelle mani della giustizia, accanto alla spada, anche la bilancia. Non
basta allora che vi siano leggi rispettate, come chiede la concezione
formale della giustizia (perche' le leggi vengano rispettate puo' bastare
anche soltanto la forza), ma occorre inoltre che le leggi stesse rispettino
alcuni criteri fondamentali nella distribuzione degli onori e degli oneri,
in primis il criterio dell'eguaglianza. Sennonche' la nozione di eguaglianza
e' anch'essa generica, in quanto indica soltanto un rapporto tra termini, ma
non da' altre indicazioni sui termini da mettere in rapporto.
Gia' Aristotele aveva distinto la giustizia commutativa, che ha luogo
principalmente negli scambi economici e che e' fondata sul criterio
dell'eguaglianza aritmetica, e la giustizia distributiva, che ha luogo
principalmente nei rapporti fra lo Stato e i cittadini, fondata sul criterio
dell'eguaglianza geometrica o proporzionale. La giustizia distributiva ha
avuto nell'antichita' due celebri formulazioni, che sono state poi
tramandate, per lo piu', come le definizioni della giustizia senz'altro, e
si distinguono unicamente perche' l'una riguarda l'azione doverosa
dell'individuo nei confronti della comunita', l'altra l'azione doverosa
della comunita' nei confronti dell'individuo: la formulazione platonica,
secondo cui la giustizia consiste nell'eseguire il proprio compito, cio' che
a ciascuno compete nell'ordine della societa' (e' il celebre "suum agere");
la formulazione che si suol chiamare romana (si trova in Cicerone e in
Ulpiano), secondo cui la giustizia consiste nel dare a ciascuno cio' che gli
spetta (e' il non meno celebre "suum cuique tribuere"). Ma questo "suum",
che si trova in entrambe le formulazioni, come viene determinato? Il
criterio del "suum", come e' ovvio, non e' piu' definibile in termini di
eguaglianza, di proporzione, e quindi nascono tante definizioni di giustizia
distributiva quanti sono i criteri adoperati, di volta in volta, nelle varie
societa', in modo esclusivo oppure, piu' spesso, in modo complementare, per
determinare per ciascun membro della societa' l'ambito di cio' che e' il suo
dovere o il suo diritto. I criteri storicamente rilevanti sono soprattutto i
quattro seguenti: il criterio del rango, del merito, del lavoro, del
bisogno, per cui si ritiene giusto, rispettivamente, dare a ciascuno secondo
la propria posizione nella gerarchia sociale, secondo le proprie capacita',
secondo l'attivita' svolta nella produzione di beni e servizi, secondo le
proprie necessita' spirituali e materiali. Per quanto tutti e quattro i
criteri si trovino di solito applicati in corrispondenza di diverse
situazioni, ciascuno di essi presiede all'orientamento di un tipo
determinato di societa'.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 710 del 24 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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