Minime. 709



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 709 del 23 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Osvaldo Caffianchi: Parole
2. Yousef Salman: Sos Gaza
3. Narrano gli antichi
4. Antonio Cassese: Il prezzo assurdo delle guerre
5. Fabio Mini: La barbarie strategica
6. Giorgio Rochat: Vittime
7. Silvana Silvestri intervista Ari Folman
8. Maria G. Di Rienzo: Sulla scritta su un tubetto di dentifricio
9. Marinella Correggia: Il Nilo condiviso
10. Benito D'Ippolito: Eis eauton
11. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
12. Riedizioni: Platone, Repubblica
13. Riedizioni: Seneca, Lettere a Lucilio
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE: OSVALDO CAFFIANCHI: PAROLE

Le stragi "difensive", l'ammazzare
"umanitario", il massacrare masse
"collaterale effetto", le piu' basse
imprese sa la lingua mascherare.

Se solo per un'ora si lasciasse
la finta lingua che non fa pensare
altre sarebbero da pronunciare
parole amare in gravi e tristi lasse.

Questa menzogna che corrompe tutto
questa ferocia che tutto devasta
quest'empia pira d'infinito lutto

e questo fumo che tutto sovrasta
di carni umane che la fiamma ha strutto:
cos'altro ancora occorre per dir basta?

2. APPELLI. YOUSEF SALMAN: SOS GAZA
[Da Yousef Salman (per contatti: y_salman at tiscali.it) riceviamo e
diffondiamo]

Care amiche, cari amici,
in questo drammatico momento per la causa palestinese e nella tragica
situazione umanitaria e sanitaria della popolazione palestinese di Gaza,
chiedo a tutte e a tutti un ulteriore atto di generosita' e di solidarieta'
morale, materiale e politica, attraverso la raccolta dei fondi a favore
della nostra popolazione martoriata, a favore della Mezzaluna Rossa
Palestinese, sul conto corrente postale dell'Associazione Amici della
Mezzaluna Rossa Palestinese.
*
Le offerte possono essere versate in tre modalita':
1. Bollettino di conto corrente postale n. 62237201 intestato
all'Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, con la causale
"Sos Gaza";
2. Postagiro online dal proprio conto Bancoposta al conto Bancoposta n.
62237201;
3. Bonifico bancario, dalla propria banca, specificando il codice IBAN: IT69
D076 0103 2000 0006 2237 201.
*
Per informazioni sulla campagna "Sos Gaza": dottor Yousef Salman, tel.
3479013013, signora Maria Pia Pompili, tel. 330888572.
Gli "Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese" sono un'associazione italiana
no-profit fondata nel 2003 dallo scrittoree e gia' parlamentare italiano
Raniero La Valle e dal pediatra palestinese Yousef Salman, rappresentante
per l'Italia della Mezzaluna Rossa Palestinese (equivalente della Croce
Rossa).

3. RIFLESSIONE. NARRANO GLI ANTICHI

"Narrano gli antichi poeti che Giove prendesse in moglie Metide, il cui nome
chiaramente significa Consiglio e che la ingravidasse. Saputolo, invece di
aspettare il parto se la divoro', onde egli stesso divenne gravido; il parto
fu assai strano poiche' Giove genero' dal capo ossia dal cervello Pallade
armata.
"Il senso di questa favola mostruosa e a prima vista insulsissima, sembra
contenere l'arcano mistero del potere, descrivendo con quale arte i re si
comportino verso i loro Consigli...".
Cosi' Bacone nel De sapientia veterum (che citiamo da Id., Scritti
filosofici, Utet, Torino 1975, Mondadori, Milano 2009, p. 508).
Se una glossa ci e' consentito aggiungere, in quell'"arcano mistero del
potere" c'e' anche un marito che uccide e si mangia la moglie: alle origini
del totalitarismo - e della psicopatologica sua pretesa solipsistica che si'
acutamente indago' Canetti in Masse und Macht - c'e' ancora il patriarcato e
il femminicidio.

4. RIFLESSIONE. ANTONIO CASSESE: IL PREZZO ASSURDO DELLE GUERRE
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 gennaio 2009 col titolo "Vittime
civili. Il prezzo assurdo delle guerre" e il sommario "I vecchi divieti del
diritto internazionale umanitario sono inservibili e obsoleti: gli spietati
scontri attuali sono tra belligeranti diseguali, dove non si esita a
trucidare i propri figli. La novita' degli ultimi anni e' che le battaglie
non sono piu' tra forze armate omogenee: da una parte ci sono eserciti
moderni e dall¥altra uomini che possono compiere solo atti di guerriglia.
Dalla Bosnia all'Afghanistan, dall'Iraq a Gaza i conflitti di oggi si
incrudeliscono sulle popolazioni. Il ruolo delle organizzazioni
internazionali nella difesa dei diritti umani"]

Quel che sta succedendo a Gaza strazia il cuore a ogni persona, quale che
sia il suo orientamento politico o ideologico. Le stragi di civili sono il
tragico punto di approdo di una lunga evoluzione delle guerre moderne e ci
devono spingere a trovare un modo di porre un freno al massacro di
innocenti.
Fino alla seconda guerra mondiale le guerre erano sostanzialmente scontri
tra eserciti regolari. Tutti i belligeranti dovevano osservare il principio
della distinzione tra militari e civili, con l'obbligo di rispettare i
civili che non prendessero parte alle ostilita'. Certo, il principio veniva
spesso violato, ma era pur sempre nell'interesse di ciascun belligerante
conformarsi a esso, concentrandosi sulla distruzione dei combattenti nemici:
perche' uccidere civili nemici, con il rischio che l'avversario facesse
altrettanto mediante rappresaglie?
A partire dalle guerre anticoloniali e altre guerre di liberazione nazionale
i conflitti armati sono diventati quasi tutti asimmetrici: da una parte vi
e' un esercito con cannoni, carri armati, aerei, elicotteri e missili, e
dunque con forze armate che possono in un baleno devastare interi territori
nemici e hanno il controllo completo dell'aria; dall'altra uomini privi di
uniforme, muniti solo di armi leggere, di bazooka e lanciamissili portatili,
che dunque possono solo compiere atti di guerriglia. I guerriglieri si
nascondono tra la popolazione civile, usano i civili come scudi, celano le
loro munizioni in abitazioni private e, posti di fronte a eserciti poderosi
e con una superiorita' soverchiante, tendono a colpire il nemico nel suo
"ventre molle": i civili. Certo, cosi' facendo essi mettono anche a
gravissimo repentaglio i propri civili. E, attaccando i civili nemici,
commettono una violazione flagrante dei principi tradizionali e fondamentali
del diritto internazionale umanitario. Ma, dicono i guerriglieri, non si
puo' lottare diversamente: una formica, se affronta un elefante, non puo'
combattere ad armi pari. Anche gli Stati che hanno eserciti moderni e
agguerritissimi si trovano di fronte a un drammatico dilemma: distruggere i
guerriglieri nemici sapendo che cosi' si fara' anche strage di civili, o
rimanere inerti davanti ai lanci di missili indiscriminati o agli attacchi
improvvisi ai propri civili?
E' evidente che i caratteri intrinseci delle guerre moderne hanno reso
inservibili e obsoleti i vecchi divieti del diritto internazionale
umanitario. E percio' aveva un po' ragione l'autorevole magistrato che
giorni fa, incontrandomi, mi ha chiesto con tono canzonatorio: "Ma allora,
dove e' andato a finire il diritto internazionale a Gaza?". Tutti gli
importanti trattati internazionali stipulati dal 1868 al 2008 a Ginevra,
all'Aja e a New York non riescono piu' a frenare la violenza, perche' le
guerre attuali sono completamente diverse da quelle di una volta: sono
scontri spietati tra belligeranti profondamente diseguali, che hanno in
comune solo il fanatismo e l'intolleranza e, nell'odio per il nemico, non
esitano a far trucidare i propri bambini, i vecchi e le donne e ad ammazzare
quelli dell'avversario. Insomma, le guerre moderne sono un ritorno alla
barbarie piu' feroce.
Cosa fare, dunque? Si e' visto che l'indignazione dell'opinione pubblica, la
pressione dei politici, le esortazioni delle alte autorita' morali e
religiose servono a poco. Dobbiamo dunque auspicare che vengano elaborate
nuove regole internazionali? Sarebbe ingenuo farlo. I diplomatici e i
giuristi impiegherebbero anni a mettersi d'accordo, e comunque le potenze
militari interessate si sottrarrebbero facilmente ai nuovi divieti. Ne' e'
realistico pensare di colpire penalmente i colpevoli di stragi di vittime
inermi. I guerriglieri che attaccano i civili nemici vengono considerati
eroi dalla propria popolazione. Gli Stati o i governi belligeranti tendono a
non processare i propri uomini, sia perche' i comportamenti di questi ultimi
si conformano spesso a pratiche diffuse, volute o tollerate dalle autorita',
sia perche' eventuali processi potrebbero nuocere al morale di truppe gia'
esposte a gravi pericoli ed estenuate dalla lotta anti-guerriglia. I
tribunali penali internazionali quasi sempre non hanno competenza in
materia. Nel caso di Gaza, l'Onu non ha la forza di imporre processi contro
i colpevoli.
Se i leader politici del mondo fossero ragionevoli si dovrebbero rendere
conto di una cosa chiarissima: gli attuali conflitti armati, civili o
internazionali, hanno spinto la disumanita' al punto limite. Bisognerebbe
dunque fare quel che si e' fatto con le armi nucleari: siccome il loro uso
comporterebbe la possibile distruzione del pianeta, sono state messe da
parte; a esse oramai si applica, rovesciato, il detto di Napoleone sulle
baionette ("Con le baionette si puo' fare di tutto tranne che sedervisi
sopra"); ora delle armi nucleari non si puo' far nulla tranne che sedervisi
sopra. Nello stesso modo, bisognerebbe mettere in cantina ogni soluzione
militare dei conflitti economici, politici e ideologici moderni e mettere in
opera sempre ed esclusivamente, anche per i conflitti piu' aspri e
incancreniti, soluzioni politiche. Alla violenza delle armi bisognerebbe
sostituire il negoziato: come diceva Camus, "le parole" devono spazzar via
"le pallottole". Cio' richiederebbe saggezza politica, molto sagacia e
desiderio di capire le ragioni dell'avversario. Ci vorrebbero tanti Mandela,
che purtroppo non esistono.
Si devono allora battere altre strade, assai modeste, puntando sull'azione
morale di organizzazioni non governative quali il Comitato internazionale
della Croce Rossa e altri enti umanitari. Questi enti hanno gia' acquisito
grandi meriti nello sforzo di "umanizzare" la guerra. Essi potrebbero
elaborare autorevoli "direttive generali" che in qualche modo chiariscano
quel che attualmente e' vago o ambiguo nelle regole internazionali; in
particolare, specificando il comportamento dei belligeranti su due punti
importanti: quali precauzioni prendere quando si sferra un attacco che puo'
causare molte vittime tra i civili; e come stabilire se i "danni
collaterali" sono sproporzionati. Si dovrebbe soprattutto creare meccanismi
istituzionali di "monitoring", sia per prevenire violazioni sia per
accertare ex post se l'uccisione di civili inermi e' stata manifestamente
ingiustificata. In caso affermativo, occorrerebbe almeno risarcire il danno.
Se un belligerante distrugge la casa di un privato e gli uccide i figli,
compie un atto intollerabile per il quale dovrebbe essere condannato; se
cio' non e' possibile, almeno gli risarcisca il gravissimo danno morale e
materiale: cosi' potra' in qualche modo lenire la sua tragedia. Tutte queste
attivita' dovrebbero essere svolte sotto il controllo del Comitato
internazionale della Croce Rossa o dell'Onu.
Certo, si tratterebbe di opzioni che non risolverebbero il problema alla
radice. Vista pero' la complessita' dei problemi e considerato che siamo
fatti cosi' male (siamo fatti da un legno storto, diceva Kant), questi
pannicelli caldi sarebbero meglio che niente.

5. RIFLESSIONE. FABIO MINI: LA BARBARIE STRATEGICA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 gennaio 2009 col titolo "La barbarie
strategica" e il sommario "Chi e' il nemico nella guerra asimmetrica. Con i
nuovi eserciti e le nuove armi i danni collaterali dovrebbero tendere a
zero. E con i nuovi avversari non ci sono strutture militari e produttive da
distruggere. Ci sono solo case, chiese, moschee e persone, donne e bambini"]

I danni collaterali sono per definizione quelli causati ai civili quando si
tenta di colpire gli obiettivi militari. Sono danni previsti o imprevisti,
frutto dell'imprecisione delle armi o di errore. Durante la guerra del
Kosovo il portavoce della Nato utilizzo' il termine in maniera estensiva e
assolutoria anche quando l'attacco contro strutture civili era intenzionale.
Veniva cosi' derubricato un evento che poteva essere un crimine di guerra e
le vittime diventavano responsabili di trovarsi nel posto e nel momento
sbagliati. Il caso ha fatto scuola e oggi la gente si e' abituata
all'inevitabilita' delle vittime civili durante ogni tipo di conflitto,
compreso quello tra guardie e ladri.
Dal punto di vista militare e' il segno della regressione della guerra tra
avversari asimmetrici: regressione di umanita' e di strategia. La prima
diventa ancora piu' grave perche' sostenuta dalla seconda che spesso viene
spacciata per "evoluzione". La realta' e' che le vittime civili, in barba a
tutte le norme del diritto internazionale, dei codici militari e dei costumi
di guerra, sono tornate ad essere il vero obiettivo delle guerre. Si e'
tornati alla distruzione "strutturale" adottata nella seconda guerra
mondiale con i bombardamenti a tappeto e in Vietnam con il napalm. Questa
guerra sembrava finita quando si e' voluto distinguere fra forze combattenti
e non combattenti, quando l'etica ha richiamato le norme di protezione dei
civili e quando lo stesso interesse consigliava di limitare i danni perche',
come disse Liddell Hart, "il nemico di oggi e' il cliente di domani e
l'alleato del futuro".
Questa guerra sembrava finita per sempre quando dalla distruzione nucleare
si e' passati al precision strike, l'attacco di precisione, che rappresenta
la rivoluzione strategica e tecnologica piu' importante e costosa
dell'ultimo mezzo secolo. Di tutto questo si e' persa traccia e memoria e
gli imbonitori che indulgono nella giustificazione militare dei danni
collaterali sono analfabeti di ritorno. Con i nuovi eserciti e le nuove armi
i danni collaterali dovrebbero tendere a zero e con i nuovi avversari,
arcaici e disperati, non ci sono strutture militari e produttive da
distruggere per piegare la volonta' di resistenza. Ci sono solo case,
chiese, moschee e persone, donne, bambini. Tutte cose facili da colpire e
allora la vera sfida strategica non sta nel come distruggere, ma nel come
non coinvolgere gli innocenti.
In Cecenia, Afghanistan, Libano e, oggi, a Gaza la strategia deliberata di
colpire i civili per far mancare il sostegno della popolazione agli insorti,
ribelli e cosiddetti terroristi e' un'altra regressione. Riporta alla guerra
controrivoluzionaria, che invece ha fatto sempre vincere i ribelli, e alle
nefandezze delle occupazioni coloniali. Anche le giustificazioni e il
mascheramento di queste regressioni con strumenti di propaganda sono deja'
vu. Sono cambiati i nomi e alcuni strumenti, ma gli effetti sono sempre gli
stessi. La guerra psicologica che tenta di dimostrare che i civili non sono
i nostri obiettivi ma le vittime dell'avversario che li usa come scudo non
e' cambiata da millenni, per questo il nemico e' sempre stato "scellerato".
Si usano gli stessi messaggi anche se al posto di proclami e infiltrati si
utilizzano volantini, radio, televisioni, ambasciatori e lobby politiche.
Ieri, la popolazione priva di sistema d'allarme, sapeva dell'imminente
attacco dal rumore dei bombardieri. Pochi minuti per scappare. Oggi si
telefona alle vittime, ma questo, come allora, non aiuta chi e' intrappolato
come un sorcio e non puo' andare altrove. Appare solo cinico.
L'ultima novita' della guerra psicologica e' che non si rivolge piu'
all'avversario, ma alle proprie truppe e, soprattutto, all'opinione pubblica
interna e internazionale. Quest'arma di manipolazione delle masse e di
distruzione delle intelligenze e' diretta verso le proprie forze e i propri
alleati e ogni soldato sa che nulla e' piu' pericoloso del cominciare a
credere alla propria propaganda. Gli eserciti piu' potenti del mondo non
sanno riconoscere e affrontare le nuove forme di guerra asimmetrica. Non
sanno penetrare, discriminare, selezionare e operare chirurgicamente. Non
sanno gestire il proprio eccesso di potenza e hanno perso la coscienza
dell'inutilita' e della illegalita' delle distruzioni civili. Non si rendono
conto che questo serve solo a imbarbarire la guerra: un lusso che i
terroristi possono permettersi. Noi no.

6. RIFLESSIONE. GIORGIO ROCHAT: VITTIME
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 gennaio 2009 col titolo "Tutti i
morti del Novecento" e il sommario "Da sempre muoiono piu' civili che
soldati. Malattie e carestie. Spesso sono le cosiddette cause indirette a
provocare il maggior numero di morti: scarsita' di rifornimenti alimentari,
carestie, malattie, epidemie. A partire dalla prima guerra mondiale le
perdite si contano a decine di milioni"]

Nel corso dei secoli, la maggior parte delle guerre hanno provocato piu'
morti tra i civili che tra i militari, senza grandi differenze tra civilta'
e regimi. Violenze dei soldati sui civili, citta' prese d'assalto con il
massacro degli abitanti (quando non era possibile venderli come schiavi).
Soprattutto vittime indirette, le devastazioni sistematiche dei terreni
coltivati portavano fame, malattie e morte. Nella storia europea un triste
primato va alle guerre di religione, dalle crociate medievali contro gli
eretici alle guerre di sterminio tra cattolici e protestanti del
Cinque-Seicento. E poi le ricorrenti grandi rivolte contadine, che
iniziavano con il massacro dei padroni e finivano con una repressione
sanguinosa. Altri tempi, vale la pena di ricordare che fino a meta'
Ottocento i soldati caduti in battaglia erano meno di quelli morti per
malattia, fame o stenti, ancora nella guerra civile statunitense 1861-1865.
La prima guerra mondiale 1914-1918 e' il primo grande conflitto in cui la
popolazione civile non viene coinvolta direttamente, per lo meno nell'Europa
centro-occidentale. Lo straordinario numero di morti, 10 milioni (cifra
approssimativa, come tutte le seguenti), e' composto praticamente tutto da
militari: 1.800.000 tedeschi, 1.350.000 francesi, 1.300.000
austro-ungheresi, 750.000 inglesi. Cifre incomplete per l'esercito russo,
tra 1.700.000 e 2.500.000 caduti, e per gli stati balcanici, dove e'
difficile dividere le perdite militari e civili. Nel totale di 10 milioni
non sono compresi il massacro degli armeni condotto dai turchi e i milioni
di morti della successiva guerra civile di Russia. Per restare al caso
italiano, contiamo 650.000 militari caduti su circa 4.200.000 che andarono
al fronte, di cui 400.000 morti per ferite, 100.000 per malattie contratte
in trincea, 100.000 in prigionia (in gran parte perche' il governo rifiuto'
l'invio di viveri ai 600.000 prigionieri), 50.000 dopo il 1918 per ferite e
malattie di guerra.
Fin qui i militari. E i civili? Le perdite dirette sono ridotte, gli
abitanti della zona del fronte vennero trasferiti d'autorita' all'interno
del paese; rimane qualche centinaio di morti per i bombardamenti
dell'aviazione austriaca sulle citta' italiane. Le perdite indirette sono
pero' grandi e dimenticate. La guerra colpiva i civili con la crisi dei
rifornimenti alimentari, i trasferimenti forzati citati e i 600.000 profughi
dal Veneto invaso dopo Caporetto, il peggioramento delle condizioni di
lavoro nelle fabbriche, infine la priorita' che le strutture sanitarie
davano alla cura dei soldati. Di conseguenza si ebbe un forte aumento di
malattie che parevano sotto controllo, come la malaria (6 milioni di casi) e
la tubercolosi (2 milioni di casi), la pellagra, il morbillo, la difterite.
Le statistiche sanitarie valutano in 546.000 i casi di morti civili in piu'
del normale negli anni di guerra. Inoltre nell'inverno 1918-1919 la
"spagnola", un'epidemia di cui ancora oggi sappiamo poco, fece milioni di
morti in Europa, 600.000 in Italia. Gli studi lasciano un margine di dubbio,
ma le perdite provocate dalla guerra tra i civili sono superiori a quelle
dei soldati.
Per la seconda guerra mondiale le cifre impazziscono, 50 milioni di morti di
cui poco meno di 20 milioni di militari, si puo' capire che siano sempre
cifre approssimative. Soltanto gli Stati Uniti non furono raggiunti dalla
guerra, i loro 300.000 caduti sono tutti soldati. Invece i 26 milioni di
morti dell'Unione Sovietica sono da ripartire grosso modo in tre parti, i
soldati caduti in combattimento o in prigionia, le perdite civili causate
direttamente dalla guerra (500.000 morti nell'assedio di Stalingrado) e
quelle indirette della popolazione negli anni in cui tutto era sacrificato
allo sforzo bellico. Guerre e politiche di sterminio che si sovrappongono,
quasi 6 milioni di ebrei vittime della follia nazista (anche un terzo di
milione di zingari), i lager di morte per gli antifascisti, i massacri
tedeschi in Russia e nei Balcani (da 50 a 100 civili uccisi per un morto
tedesco). E poi le vittime dei bombardamenti aerei, 60.000 inglesi e mezzo
milione di tedeschi. Cifre terribili e pur superate dai 14 milioni di morti
dell'invasione giapponese della Cina.
Per l'Italia, l'inchiesta promossa dal ministro Scelba a partire dalle
anagrafi comunali attesta fino all'8 settembre 1943 200.000 soldati caduti
nelle guerre fasciste e 25.000 civili, quasi tutti vittime dei bombardamenti
anglo-americani. E' piu' difficile suddividere i 220.000 morti dal settembre
1943 al 1945, forse 85.000 militari morti in combattimento o in prigionia,
40.000 partigiani, 7.300 ebrei e 24.000 antifascisti nei lager tedeschi di
morte, 40.000 vittime dei bombardamenti aerei e 10.000 delle rappresaglie
nazifasciste, 15.000 fascisti morti in combattimento o fucilati al 25 aprile
1945. Conti approssimativi, che non tengono conto delle vittime indirette
della guerra, sicuramente molte centinaia di migliaia.

7. RIFLESSIONE. SILVANA SILVESTRI INTERVISTA ARI FOLMAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 gennaio 2009 col titolo "La sporca
guerra del buon soldato Ari" e il sottotitolo "'Valzer con Bashir', incontro
con Ari Folman"]

Esce nelle sale venerdi' 9 Valzer con Bashir di Ari Folman, documentario di
animazione sui fatti di Sabra e Chatila. E la cosa non sembri frivola, si
tratta di un lavoro duro e impressionante, basato sulla personale esperienza
del regista come soldato diciannovenne dell'esercito israeliano mandato in
Libano, colpito poi da amnesia su quei fatti e venticinque anni dopo alle
prese con un vuoto di memoria da colmare, reso pressante da incubi
incomprensibili, fatti di poche immagini sempre uguali. Folman e' un regista
famoso non solo nel suo paese, ma anche all'estero, vincitore di premi
prestigiosi (Karlovy Vary, Guijon, Los Angeles, Tallin e Tokio, tra gli
altri), coscienza critica insieme ad altri intellettuali del suo paese. Il
film procede come una autoanalisi che prende il via quando il regista
incontra e intervista alcuni suoi amici e commilitoni, ognuno dei quali
ricorda pochi frammenti da mettere insieme cosi' che da immagini oniriche si
passa a quelle sconvolgenti della realta'. Realizzato con una tecnica ideata
nel "Bridgit Folman Film Gang" (direttore artistico Yoni Goodman) girato in
teatro di posa, ridotto a storyboard, quindi e' stato disegnato con 2300
illustrazioni poi animate.
Il film si riferisce a fatti avvenuti nel 1982, ma e' come se fosse capitato
ieri: il massacro di donne e bambini di allora come i massacri (e non, come
dicono nei quartier generali, "attivita' ad alto tasso di violenza") nella
striscia di Gaza.
Incontriamo Ari Folman a Roma per la presentazione del suo film e, anche se
le parole non servono a chiarire gli eventi che hanno bisogno piuttosto di
fatti, possono servire dal nostro osservatorio confuso e darci qualche
elemento in piu'. "Il film in Israele e' stato accolto molto bene", dice
Folman e mentre parla la sua immagine quasi si confonde con quella cosi'
simile disegnata sullo schermo. "Sono passato dall'essere un ribelle alla
persona piu' amata dall'establishment. L'establishment infatti divide le
persone in due parti e il fatto di aver combattuto nell'esercito mi fa
essere dalla loro parte, oltre al fatto che il nostro e' un paese assai
tollerante per quanto riguarda gli artisti che trovano molto sostegno. E poi
si capisce chiaramente nel film che gli israeliani non sono responsabili di
quei fatti, bensi' lo furono i falangisti cristiani. Io come israeliano
potevo raccontare la storia solo da una parte e desidererei che la si
raccontasse anche dall'altra parte. Vista la situazione cosi' delicata il
film che ho fatto era tutto quello che potevo fare". Riservisti fino a
cinquant'anni, Folman e' poi riuscito a essere esonerato a quaranta perche'
qualcuno gli ha detto che poteva farlo chiedendo di andare dallo psichiatra
e li' per la prima volta ha raccontato la sua esperienza: "Mi accorsi che
c'erano dei buchi neri tra le cose che riuscivo a tirare fuori. Ho deciso di
fare un film perche' non ho mai creduto nella psicoterapia, mentre fare un
film e' piu' dinamico ed efficace, si viaggia, si devono risolvere problemi,
essere creativi. Se cinque anni fa mi avessero fatto vedere una mia foto di
soldato diciannovenne non mi sarei riconosciuto, ero troppo arrabbiato.
Oggi, dopo aver realizzato il film sono tornato in pace con me stesso e mi
riconoscoª".
Non trova che vi siano evidenti similitudini con i massacri di questi
giorni? "Quando e' scoppiata la seconda guerra del Libano stavamo lavorando
per terminare il film e mi dicevano: peccato che non sia gia' finito,
sarebbe di grande attualita'. Io ho risposto che purtroppo questo film
continuera' ad essere sempre attuale, visto i governanti che abbiamo. Il
mondo si divide tra quelli che sostengono la violenza e quelli che sono
contro la violenza e purtroppo i primi sono la maggioranza ed usano tutti i
mezzi per sostenerla, compresa la religione. Noi che siamo nonviolenti
dobbiamo fare di tutto per impedirla, ma nessuno si e' impegnato seriamente
per impedire il conflitto. Tra i nostri governanti non c'e' nessun rispetto
e senso di pieta' per la morte di altre persone. Per loro e' come giocare a
scacchi".
Chi vedra' il film sara' colpito dal doloroso percorso personale del regista
che ricostruisce il massacro e dai vuoti che tuttavia permangono sui disegni
piu' generali della strategia militare... Tutto il discorso sulla
responsabilita' che gli psichiatri sono impegnati a eliminare dalla
coscienza individuale non e' detto che spariscano dalla storia. Cosi' alla
fine del film compaiono le immagini delle riprese non piu' animate, ma
documentarie della disperazione dei profughi superstiti dei campi quando
infine il capo di stato maggiore ordina il cessate il fuoco. Perche' questa
virata stilistica? "Fin dall'inizio avevo preso questa decisione artistica.
Volevo evitare che dicessero: che bel film di animazione, che bella musica.
Le riprese mettono il film nella giusta prospettiva, ricordando che a Sabra
e Chatila piu' di tremila persone sono state massacrate. Se qualcuno vorra'
sapere di piu' e andra' a informarsi su Google, avro' fatto il mio
mestiere".
*
Postilla. La filmografia e i premi
Ari Folman, regista e sceneggiatore, nasce ad Haifa nel 1962. Esordisce nel
1996 con Clara Hakedosha (una bambina con il dono della preveggenza), tratto
da un romanzo della cecoslovacca Jelena Kohout che vince i sei maggiori
premi del cinema israeliano e il gran premio della giuria a Karlovy Vary.
Made in Israel e' del 2001. Ha lavorato anche per la televisione israeliana,
colloborando alla sceneggiatura della serie televisiva BeTipul, con lo
pseudonimo di Asaf Zippor, premio per la miglior serie di documentari nel
2004 per "The material that love is made of" (e vari programmi tv per
l'esercito, quando era richiamato una volta all'anno come riservista).
Valzer con Bashir, presentato al Festival di Cannes 2008 (nomination alla
Palma d'oro), e' candidato di Israele agli Oscar e ai Golden Globe, miglior
film israeliano, premio al compositore (Max Richter) del cinema europeo,
miglior film indipendente (British Film Award). Valzer con Bashir (Rizzoli
Lizard) e' anche un libro, dal 9 gennaio.

8. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: SULLA SCRITTA SU UN TUBETTO DI
DENTIFRICIO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

La scritta, emblematica, sta su un tubetto di dentifricio: "Totale: meno 99%
di formazione batterica". Fissata come sono sulla logica elementare mi
chiedo perche' la protezione "totale" ammonti al 99 e non al 100%, ma la
risposta e' semplicissima. Se mai mi becco un'infezione e protesto, i
proprietari del marchio mi diranno: "Signora, lo avevamo messo nero su
bianco. Noi facciamo scienza, non miracoli. Era una cosa totale, si', ma del
99%, per cui lei dev'essere purtroppo incappata nell'1% mancante".
Da quando ho sentito emeriti professori spiegare che i fumi degli
inceneritori sono "praticamente" innocui, la produzione di energia nucleare
e' "quasi del tutto" sicura e le donne hanno piu' orgasmi se il loro partner
e' ricco (un recente "studio" inglese, questo), ho capito che l'ultimo
sciamano scalcagnato, nel villaggio degli Allobrogi, e' sempre infinitamente
piu' onesto dei medici alla corte di Cesare.
Fra "Lo ha detto la tv" e "Lo ha detto il dottore" ormai non c'e'
differenza, l'autorevolezza e' spettacolo, lo spettacolo autorevolezza. Lo
scopo e' desolatamente unico e ripetitivo: fare soldi. Con questa premessa,
mi permetto di segnalare l'ultima novita' sul bullismo. Si tratta di
un'approfondita e serissima indagine italiana, basata su 600 interviste
online. Per i non addetti ai lavori: si tratta di andare su un sito web e di
rispondere a delle domande cola' postate. Come gli addetti ai lavori sanno,
internet e' un luogo ove occultare la propria identita', usare pseudonimi,
spacciarsi per maschi se si e' femmine e viceversa, mentire sulla propria
eta', e' molto facile e alcuni lo trovano persino divertente. Percio' qui
sorge il primo quesito: che credibilita' scientifica ha un sondaggio online,
e come si puo' spacciarlo per uno "studio" da cui ricavare indicazioni
scientifiche se mancano del tutto controllo e verifica sui soggetti che vi
partecipano? Come dicono i produttori di dentifrici a protezione totale, fra
scienza e miracoli c'e' un abisso.
Ma visto che il miracolo da ottenere e' farsi pagare profumatamente per le
consulenze, vediamo intanto cosa hanno scoperto i sedicenti ricercatori. Le
cause del bullismo sono, in ordine di importanza: i genitori divorziati o
separati, che la magnifica inventrice del sondaggio chiama "famiglie
inesistenti"; i videogiochi e internet; la mancanza di regole all'interno
delle famiglie, che equivarrebbe ad avere genitori "amici" dei propri figli.
La gentile signora, leggo, e' specializzata in attacchi di panico (non in
dinamiche relazionali, non in facilitazione sui diritti umani, non in
psicologia dell'eta' evolutiva e meno che mai in sistemi di indagine).
Vorrei farle sapere che scorrendo le sue opinioni di cui sopra ne ho avuto
uno abbastanza grave. Perche' le sue affermazioni sono indicazioni
politiche, non scienza, e sono indicazioni politiche suggerite per
accattivarsi la simpatia dell'attuale establishment: e questo e'
particolarmente chiaro nell'esortazione finale, in cui la "ricercatrice"
invoca "corsi di supporto" per i genitori e che le istituzioni si consultino
con "professionisti del settore".
Poiche' il problema esiste, e' serio, e ci si puo' far quattrini, eccoci
qui, "professionisti del settore" senza alcuna esperienza in merito ma
pronti a sostenere qualunque tesi retrograda, liberticida o strampalata
dietro adeguato compenso. Cosa offrire di meglio ad una societa' e ad un
governo di destra? Non pensate assolutamente a divorziare, neppure se lui vi
batte da mattina a sera, o se lei vive gia' con il suo nuovo compagno: i
vostri figli potrebbero diventare dei bulli. E se vi siete ricostruiti una
relazione ed una vita dopo una separazione scordatevi di essere a posto: la
vostra famiglia e' "inesistente". Se poi avete pensato che le "regole" da
darsi all'interno di una famiglia vanno condivise, se avete pensato che la
pietra miliare dello stare insieme con i vostri figli sia il rispetto
reciproco pur nella diversita' dei ruoli, se avete tentato di capire perche'
i ragazzi e le ragazze fanno quel che fanno o desiderano quel che
desiderano, be', non siete "autorevoli" e li avete rovinati.
E veniamo al gran finale tecnologico. Le autorita', dice sempre la gentile
signora, dovrebbero vigilare sulla commercializzazione dei videogiochi, e su
tutto cio' che in maniera libera e senza controllo gira "in rete". Mi pare
che quest'ultimo sia un progetto caro al nostro attuale presidente del
Consiglio, ma dev'essere una coincidenza.

9. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: IL NILO CONDIVISO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 gennaio 2009 col titolo "Il Nilo
(con)diviso"]

L'utilizzo del fiume Nilo, il cui bacino e' condiviso fra dieci paesi
africani - Kenya, Burundi, Ruanda, Tanzania, Eritrea, Etiopia, Sudan,
Egitto, Repubblica democratica del Congo e Uganda - e' un tipico caso di
geopolitica delle acque transfrontaliere: come promuovere l'equita'
nell'utilizzo e la cooperazione pacifica fra i membri del bacino, che conta
una popolazione di 160 milioni di persone le quali raddoppieranno in pochi
decenni e sono in gran parte povere? Come condividere fra piu' paesi una
risorsa scarsa ed essenziale?
Da dieci anni, nel quadro della Nile Basin Initiative (www.nilebasin.org)
stabilita proprio nel 1999, i paesi rivieraschi stanno negoziando un nuovo
accordo quadro per gestire in modo sostenibile ed equo le acque nilotiche.
La diplomazia dell'acqua, spesso citata ad esempio. Pero' le regole sono
ancora quelle del 1929. All'epoca un trattato coloniale, firmato dalla Gran
Bretagna per conto delle sue colonie est-africane, accordo' all'Egitto - per
il quale il Nilo e' un vero salvavita - la parte del leone, concedendogli
l'uso di 55,5 miliardi di metri cubi su un totale di 84 miliardi; e
soprattutto dando al paese il potere di veto su qualunque progetto o
infrastruttura suscettibile di ridurre la portata del fiume a valle. Il
contenuto del trattato fu riaffermato nel 1954. Ma da tempo i paesi a monte
ne contestano la legalita': "I nostri popoli, allora colonizzati, non hanno
certo partecipato ai negoziati". Nel frattempo ci si sono messi i
cambiamenti climatici e nel regime delle piogge, combinati con un sempre
maggiore uso del fiume, per cui i livelli di acqua nel lago Vittoria, la
principale fonte d'acqua per il Nilo, stanno scendendo: nel 2008, scrive un
articolo dell'agenzia stampa "Inter Press Service", sono stati di 2,5 metri
piu' bassi che nella media dei tre anni precedenti. Carenze che potrebbero
portare a conflitti. Alcuni dei paesi rivieraschi a monte, come Kenya e
Tanzania, soffrono di frequenti siccita', e comunque in tutti buona parte
della popolazione urbana e rurale non ha accesso all'acqua. Quei paesi sono
decisi a far passare una maggiore liberta' di utilizzo del fiume. Sostengono
che senza un nuovo e piu' equo protocollo, continueranno a rimanere poveri,
perche' lo sviluppo dell'agricoltura, essenziale nella lotta alla miseria,
necessita di ampi programmi di irrigazione. E sostengono anche che uno degli
Obiettivi del millennio stabiliti dalle Nazioni Unite - l'accesso
all'acqua - non sara' mai raggiunto senza un nuovo trattato che tolga
all'Egitto la possibilita' di bloccare i progetti a monte. Anni fa
l'annuncio da parte della Tanzania di costruire un lungo canale per
approvvigionare villaggi assetati prelevando l'acqua dal Nilo suscito' un
vespaio, e la dichiarazione da parte del Kenya di considerare nullo il
trattato coloniale fu tacciata di "atto di guerra" dal Cairo. Nessuna guerra
per l'acqua e' finora cominciata sul Nilo; anzi i negoziati sono sempre
continuati. Ma il nuovo accordo quadro continua a essere in fase di stallo.
La clausola 14b che prevedeva il "previo consenso" e' stata emendata da
Kenya, Tanzania e Repubblica democratica del Congo, con la richiesta di
trasformarla in "informazione riguardo ai progetti pianificati". L'Egitto
vuole una clausola che stabilisca che i paesi che condividono il Nilo non
possano utilizzarne le acque a detrimento di qualunque altro paese. I paesi
a monte vogliono che questa clausola non ci sia perche' appunto dovrebbero
chiedere il permesso per costruire progetti di irrigazione, canali e
acquedotti, dighe (per usi interni o per vendere energia all'estero).

10. LE ULTIME COSE. BENITO D'IPPOLITO: EIS EAUTON

Non frutta gran raccolto dell'ascolto
la pallida virtu', ne' il ben assolto
dovere frutta molto, e piu' lo stolto
gode la vita di chi mesto volto

tiene per abito da poi che ha colto
che niun di duolo ne' d'affanno e' sciolto
e che se bene v'e', cosi' e' sepolto
che saria meglio che gli fosse tolto

ogni desire ed ogni speme ed ogni
miraggio di belta' e di nobil sogni
sicche' del nudo vero e dei bisogni

inesauribili non si vergogni
e resti forte e giammai s'incarogni
ma solo di esser giusto per se' agogni.

11. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

12. RIEDIZIONI. PLATONE: REPUBBLICA
Platone, Repubblica, Rcs-Bompiani, Milano 2009, pp. 768, euro 14,90 (in
supplemento al "Corriere della sera"). A cura di Giovanni Reale (di cui sono
anche i saggi e gli apparati), traduzione e note di Roberto Radice e di
Giovanni Reale. Leggere la Repubblica di Platone e' una delle grandi
avventure della vita; e leggerla nell'edizione curata da Giovanni Reale e'
un'esperienza che tutti sanno recare cospicua un'aggiunta.

13. RIEDIZIONI. SENECA: LETTERE A LUCILIO
Seneca, Lettere a Lucilio, Rizzoli-Rcs, Milano 1998, 2009, pp. 1090, euro
7,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). Col testo latino a fronte,
la traduzione di Giuseppe Monti e un'introduzione di Luca Canali. Le Lettere
a Lucilio sono probabilmente il prototipo del livre de chevet, con quanto di
buono e di molle - o anche: di disperato e di onirico - questa funzione
implica. Chi mai le ha lette vi si tuffi e nuoti. Chi gia' le lesse torni
ancora a leggerle. E' una lettura sempre nutriente, anche per chi - amava
dire il vecchio Annibale Scarpone - ad ogni pagina e quasi ad ogni frase
trova di che questionare, e s'alza in piedi e si toglie la giacca e si tira
su' le maniche della camicia, e a concionar principia: e questo modo di
legger colluttando - concludeva quel mio buon compare di bevute - non e'
certo poi il peggiore. Ma altre volte la medesima persona, forse piu' sobria
o forse piu' ubriaca, mi sussurrava di esser stupefatto di come Seneca non
sbagliasse mai. Tu vallo un po' a capire il cuore umano.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 709 del 23 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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