Nonviolenza. Femminile plurale. 229



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 229 del 12 gennaio 2009

In questo numero:
1. Marinella Correggia: Due libri contro la guerra
2. Marino Parodi intervista suor Emmanuelle (2008)
3. Suor Emmanuelle
4. Alcuni estratti da "Il prezzo del velo" di Giuliana Sgrena

1. LIBRI. MARINELLA CORREGGIA: DUE LIBRI CONTRO LA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 gennaio 2009 col titolo "Risucchiare
via la guerra"]

La pace e' quanto di piu' "terra terra" possa esserci. Presupposto di ogni
alternativa sociale ed ecologica. Dunque oggi dedichiamo questa rubrica a
due libri classici fatti per educare alla voglia di pace e al disgusto per
la guerra, che distrugge corpi e natura. Due libri da diffondere, anche
quando non si sentira' piu' parlare dei bambini amputati nell'ospedale Al
Shifa.
Forse la piu' potente denuncia della guerra che sia stata mai pubblicata e'
del 1924. Ernest Friedrich, pacifista anarchico tedesco, in Guerra alla
guerra (da qualche anno anche in Italia) mise insieme una collezione di
orrende fotografie, terapia d'urto, crudemente prese dagli archivi militari,
cimiteriali e ospedalieri riferiti alla Prima guerra mondiale. Una foto per
pagina, ognuna con lapidarie ma necessarie righe di commento, in varie
lingue. Il vero volto della carneficina bellica. I massacri nelle trincee.
Le facce cancellate di sopravvissuti orrendamente sfigurati, sottoposti a
inutili e dolorosissime operazioni (anche a Gaza le schegge di missili hanno
colpito volti e arti). La vita e la morte sui campi di battaglia. Le
esecuzioni dei disertori. Lo sventramento della natura e dei viventi.
L'obiettivo di Ernst era gigantesco ed esplicito: ispirare nelle popolazioni
la rivolta e la diserzione contro qualunque futura guerra. Il suo libro
(citato con ammirazione a mo' di esempio da Susan Sontag in Davanti al
dolore degli altri) fece un grande scalpore e fu pubblicato in vari paesi.
Ma non raggiunse l'obiettivo (perche'?): la guerra del '14-'18 non fu
affatto l'ultima delle guerre.
Da Mattatoio n. 5 dello scrittore Kurt Vonnegut possiamo leggere e
diffondere questo commovente sogno del protagonista, il sogno dei danni e
degli strumenti di guerra risucchiati d'incanto. "Vista a rovescio da Billy,
la storia era questa: gli aerei americani, pieni di fori e di feriti e di
cadaveri decollavano all'indietro da un campo di aviazione in Inghilterra.
Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero,
sempre volando all'indietro, e succhiarono proiettili e schegge da alcuni
degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con alcuni bombardieri
americani distrutti, che erano a terra e poi decollarono all'indietro, per
unirsi alla formazione. Lo stormo, volando all'indietro, sorvolo' una citta'
tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono i portelli del vano bombe,
esercitarono un miracoloso magnetismo che ridusse gli incendi e li raccolse
in recipienti cilindrici di acciaio, e sollevarono questi recipienti fino a
farli sparire nel ventre degli aerei. I contenitori furono sistemati
ordinatamente su alcune rastrelliere. Anche i tedeschi, la' sotto, avevano
degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi di acciaio. Li usavano
per succhiare altri frammenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c'erano
ancora degli americani feriti, e qualche bombardiere era gravemente
danneggiato. Sopra la Francia, pero', i caccia tedeschi tornarono ad alzarsi
e rimisero tutti e tutto a nuovo. Quando i bombardieri tornarono alla base,
i cilindri di acciaio furono tolti dalle rastrelliere e rimandati negli
Stati Uniti, devo c'erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a
smantellarli, e separarne il pericoloso contenuto e a riportarlo allo stato
di minerale. Cosa commovente, erano soprattutto le donne a fare questo
lavoro. I minerali venivano poi spediti a specialisti in zone remote. La'
dovevano rimetterli nel terreno e nasconderli per bene in modo che non
potessero piu' fare male a nessuno".

2. TESTIMONIANZE. MARINO PARODI INTERVISTA SUOR EMMANUELLE (2008)
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
rirpendiamo la seguente intervista apparsa su "Club3", anno XX, n. 11,
novembre 2008 col titolo "Una vita accanto ai piu' poveri"]

L'hanno ribattezzata la "Madre Teresa del Cairo", figura alla quale viene
sovente accostata.
In effetti, suor Emmanuelle e' per tanti Paesi in via di sviluppo, a
cominciare dall'Egitto, cio' che Madre Teresa e' stata per l'India.
Francese di origine, anche se la madre e' belga, suor Emmanuelle Cinquin e'
una straordinaria figura di religiosa e di donna. Icona francese della
solidarieta' e del sostegno ai poveri, si e' spenta, il 20 ottobre, nella
casa di riposo in cui viveva. Il 16 novembre avrebbe compiuto cento anni.
Figura di primissimo piano nel campo della spiritualita' mondiale, e' stata
un'affascinante "grande vecchia" lucida fino all'ultimo respiro. In mezzo
alla tragedia delle bidonville africane, suor Emmanuelle ha fondato scuole,
ricoveri, ospedali e centri di formazione professionale. Ha mobilitato
cattolici, ortodossi, musulmani, nonche' molti uomini di buona volonta',
formando eserciti di volontari e creando tante associazioni allo scopo.
Come se tutto cio' non bastasse, l'infaticabile religiosa e' stata pure
un'apprezzata giornalista, nonche' una gettonata conferenziera pronta a
saltare su un aereo per testimoniare il suo impegno e la sua fede in ogni
luogo.
Abbiamo incontrato suor Emmanuelle nel Sud della Francia nella casa di
riposo in cui viveva dal 1993. Questa e' la sua ultima intervista rilasciata
a "Club3".
*
- Marino Parodi: Dove ha trovato la forza per il suo impegno a favore del
prossimo?
- suor Emmanuelle: Le do la stessa risposta che diedi a un giornalista, il
quale, intervistandomi, mi chiedeva come potessi sopportare l'inferno delle
bidonville, restando sempre cosi' serena, addirittura felice. Ebbene,
l'amore e' piu' forte della morte, piu' forte del denaro, della vendetta e
del male: alla base della mia missione vi e' sempre stata questa
consapevolezza. Non a caso, nelle mie bidonville ho sempre incontrato piu'
sorrisi e gioia di quanti ne abbia trovati ovunque in Europa e in America.
Ho viaggiato a lungo in tutti e cinque i continenti: nei Paesi devastati
dalla guerra, dalla fame, dalla violenza, dalla prostituzione. Ebbene,
dovunque ho incontrato donne e uomini capaci di lavorare per la pace e
l'amore, malgrado tutto. Dovunque imperversasse la violenza, ho assistito
alla fioritura della vita. Persino negli angoli piu' bui non mancavano mai
oasi di Paradiso e cio' proprio in virtu' dell'amore.
*
- Marino Parodi: Qualcosa mi dice comunque che lei ha pure un segreto da
svelarci al riguardo...
- suor Emmanuelle: Si', qualunque sia l'inferno nel quale siamo precipitati,
e' sempre possibile uscirne. Non solo: e' persino possibile creare un
paradiso sulla terra, benche', naturalmente, non sara' mai perfetto come
quello che ci attende in Cielo. Basta smettere di preoccuparsi per se stessi
per dedicarsi agli altri, sorridendo e donando loro la gioia. Ecco che la
nostra vita diventera' piu' interessante e felice. Io corrispondo tuttora
con donne e uomini di tutto il mondo. Molti mi fanno sapere quanto soffrono,
sentendosi imprigionati in un'esistenza che a loro pare priva di
significato. Al che io rispondo con questo messaggio: davvero non avete
ancora compreso che la vostra felicita' dipende da voi? Non da vostra
moglie, ne' da vostro marito, ne' dalla bellezza o dalle dimensioni della
vostra casa, ne' dalla vostra carriera, ne' dal vostro stipendio. Dipende
soltanto da noi, dal nostro atteggiamento nei confronti della vita, dalla
nostra capacita' di ascoltare il prossimo, in una parola sola: dal nostro
cuore. Sa che le dico, sulla base della mia esperienza di tanti anni di
condivisione fraterna della vita di tanti poveri? Non ho mai incontrato
donne e uomini piu' felici dei miei amici delle bidonville. Prendiamo, ad
esempio, l'emancipazione femminile che abbiamo conosciuto in Occidente.
Sicuramente un grande passo avanti. Tuttavia, se guardiamo alle donne del
nostro Occidente moderno o postmoderno, constatiamo che esse godono si' di
margini di liberta' per lo piu' sconosciuti a tante donne del globo,
sconosciuti del resto pure alle loro madri, nello stesso Occidente, cio'
nonostante nella stragrande maggioranza dei casi non sembrano ne' felici ne'
soddisfatte.
*
- Marino Parodi: Mentre nel Terzo mondo la situazione e' diversa?
- suor Emmanuelle: In linea generale, direi proprio di si'. Non
dimentichero' mai, al riguardo, un'esperienza straordinaria che vissi
diversi anni fa in Senegal. Mi trovavo in una capanna coi muri di cartone,
in compagnia di un gruppo di donne le quali mi raccontavano in tutta
tranquillita' che, non disponendo di un lavoro, si arrabattavano
raccogliendo un po' di frutta e di verdura da vendere al mercato. Eppure,
durante tutta la durata del mio soggiorno, quelle donne non cessarono un
solo istante di sorridere e di divertirsi. Davvero mi sono sembrate le donne
piu' felici del mondo. Tutto cio' e' dovuto alla fede sincera degli africani
in Dio che e' amore, un Padre a cui la felicita' dei suoi figli sta
veramente a cuore.
*
- Marino Parodi: Suor Emmanuelle, non di rado lei e' stata al centro di
iniziative clamorose, vero?
- suor Emmanuelle: Lei si riferisce, immagino, alla lettera aperta da me
indirizzata una quindicina di anni orsono al nostro beneamato Giovanni Paolo
II...
*
- Marino Parodi: Si', proprio a quella. Vogliamo brevemente spiegare di che
cosa si tratto'?
- suor Emmanuelle: Si trattava di una lettera in cui invitavo l'allora Santo
Padre ad autorizzare e financo a incoraggiare la distribuzione di strumenti
contraccettivi in alcune regioni del globo particolarmente segnate da una
certa ben nota malattia.
*
- Marino Parodi: Questa non e' stata certo l'unica sua iniziativa eclatante.
Vogliamo ricordarne un'altra, risalente piu' o meno allo stesso periodo,
particolarmente attuale in tempi come questi, in cui tanto si parla di
Islam?
- suor Emmanuelle: Avevo organizzato una colletta per permettere a una
piccola comunita' musulmana di edificare un minareto. Sono contenta di
averlo fatto e lo rifarei. Infatti, la preghiera e' un diritto che va
assolutamente riconosciuto a tutti. Conoscendo il mondo musulmano da ormai
tantissimi anni, sono in grado di garantire che, al di la' di ogni apparenza
e delle paure di tanti occidentali, i fondamentalisti musulmani non sono in
realta' che una piccola minoranza. Invece i musulmani, nella stragrande
maggioranza, sono assolutamente aperti al dialogo e all'amore nei confronti
delle altre religioni, ne' piu' ne' meno di quanto d'altra parte siano i
cristiani autentici nei loro confronti.
*
- Marino Parodi: L'ecumenismo e' sempre stato, non a caso, un suo cavallo di
battaglia...
- suor Emmanuelle: Sicuramente, a livello non solo teorico ma possibilmente
anche pratico e questo gia' in tempi, precedentemente al Concilio, in cui
non era certo ancora di moda. Ho sempre ritenuto ogni religione ricca di
luce e, per tornare ancora una volta all'Islam, non sono affatto d'accordo
con coloro che pretendono di "convertire" i musulmani. Illudersi in tal
senso non significa rendere un buon servizio ne' alla fede cristiana ne'
all'Islam. Sarebbe come pretendere di sradicare un albero dalla sua terra.
*
- Marino Parodi: Proprio grazie a questo amore senza frontiere per la
famiglia umana lei e' riuscita a scuotere tante coscienze in Occidente,
realizzando imprese che nessuno sino a quel punto era riuscito ad attuare...
- suor Emmanuelle: Sia chiaro che io non mi attribuisco alcun merito, il
quale caso mai va a nostro Signore nonche' agli uomini (e soprattutto alle
donne) di buona volonta'. Sono partita da una semplice constatazione di
fatto, per scuotere le coscienze dell'opulento Occidente: l'egoismo dei
ricchi e' in fondo affar loro, ma come e' possibile dirsi cristiani e
mettersi a posto la coscienza andando a messa, davanti ai problemi del Terzo
mondo? E' inaccettabile. Leggiamo il Vangelo di Matteo: avevo fame e mi
avete sfamato... Si tratta di decidersi ad amare il prossimo: soltanto cosi'
si realizza il cristianesimo. Con queste premesse, siamo allora riusciti a
motivare tanti giovani di vari Paesi occidentali a condividere per qualche
tempo la vita dei diseredati del Terzo mondo.
*
- Marino Parodi: Varie associazioni da lei fondate offrono da decenni a
chiunque di vivere la straordinaria esperienza di una "vacanza-volontariato"
in diversi Paesi del Terzo mondo. Lei e' da sempre una grande amica dei
giovani...
- suor Emmanuelle: Certo, io amo moltissimo i giovani e le diro' di piu': la
stragrande maggioranza di loro mi sembra assai piu' aperta e solidale, nei
confronti della sofferenza e in particolare dei poveri, di quanto lo fosse,
in linea generale, la mia generazione. Oggi i giovani partono, zaino in
spalla. Non hanno paura di nulla. Insomma sono meravigliosi i nostri
giovani! Le ragazze, poi, se la sanno sbrigare ancor meglio dei ragazzi!
Dobbiamo veramente essere grati al Signore per il fatto di vivere in
un'epoca in cui i giovani hanno compreso un punto essenziale: se vuoi vivere
un'esistenza piena e autentica, non puoi far a meno di uscire da casa,
varcare le frontiere.
*
- Marino Parodi: E siamo giunti pure a un importante consiglio di suor
Emmanuelle per mantenersi giovani...
- suor Emmanuelle: La maggior parte della gente vive ancora rinchiusa entro
i limiti della propria testa, per cosi' dire, ossia frequentano soltanto la
propria famiglia e un ristretto gruppo di amici, leggendo un solo giornale,
pochi libri, non andando al di la' del proprio lavoro. Col risultato,
appunto, di finire inscatolati in un piccolo mondo. Invece, i giovani d'oggi
giungono alla nostra missione con una conoscenza dell'essere umano assai
piu' profonda di quella di cui disponevo alla loro eta'. Bene, mi permetto
di fare una proposta a tutti i giovani, termine che certo non e' da
intendersi soltanto in senso anagrafico: andate a vivere per qualche mese in
un villaggio del Terzo mondo, oppure condividete lo stesso periodo di tempo
con una famiglia completamente priva di mezzi! Vi renderete ben presto conto
di aver ricevuto assai piu' di quanto abbiate dato.

3. MEMORIA. SUOR EMMANUELLE
[Dal sito www.santiebeati.it riprendiamo la seguente notizia del 21 ottobre
2008]

Suor Emmanuelle del Cairo (Madeleine Cinquin), Bruxelles, Belgio, 16
novembre 1908 - Callian, Francia, 20 ottobre 2008.
Nata a Bruxelles ma francese d'adozione, avrebbe compiuto cent'anni il 16
novembre prossimo. Conformemente alla sua volonta', le esequie avranno luogo
nel piu' stretto riserbo. Una Messa di suffragio verra' celebrata nei
prossimi giorni a Parigi.
"L'Osservatore Romano" ricorda che nel 1971, quanto aveva 63 anni, suor
Emmanuelle scelse di condividere la propria vita con quella degli
straccivendoli del Cairo, e per tale motivo venne soprannominata la "petite
soeur des chiffonniers".
"Parlava in modo schietto, senza giri di parole, ed era questa una delle
caratteristiche che la faceva amare da tutti", sottolinea il quotidiano
vaticano.
"Nella bidonville di Ezbet el-Nakhl, al Cairo, diede tutta se stessa per far
costruire scuole, asili e ricoveri. L'associazione che porta il suo nome
("Asmae - Association Soeur Emmanuelle"), da lei fondata nel 1980, continua
ad aiutare migliaia di bambini poveri in tutto il mondoî.
La religiosa lascio' l'Egitto nel 1993, a 85 anni, e torno' in Francia,
stabilendosi nella comunita' di Notre-Dame de Sion e dedicando il suo tempo
alla preghiera e alla meditazione, senza abbandonare il sostegno a
senzatetto e immigrati irregolari.
Laureata alla Sorbona, suor Emmanuelle insegno' lettere e filosofia a
Istanbul, Tunisi, Il Cairo e Alessandria.
Era anche scrittrice: il suo ultimo libro, J'ai cent ans et je voudrais vous
dire, e' stato pubblicato due mesi fa.
Il 31 gennaio scorso il Presidente francese Nicolas Sarkozy l'aveva elevata
al rango di Grande ufficiale della Legion d'onore.
Secondo un recente sondaggio, ricorda "L'Osservatore Romano", era la donna
piu' popolare e amata di Francia.
"Icona della solidarieta' e del sostegno ai poveri e agli emarginati": cosi'
il quotidiano vaticano ha ricordato questo lunedi' suor Emmanuelle del
Cairo, scomparsa all'eta' di 99 anni.
Suor Emmanuelle, al secolo Madeleine Cinquin, si e' spenta nella notte fra
domenica e lunedi' nella casa di riposo di Callian, nel Var, dove risiedeva.
Fonte: www.zenit.org

4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "IL PREZZO DEL VELO" DI GIULIANA SGRENA
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Giuliana Sgrena, Il prezzo del velo. La guerra dell'islam contro le donne,
Feltrinelli, Milano 2008]

Indice del volume
Premessa; 1. Il prezzo del velo. Per un fazzoletto; La guerra delle moschee;
Clericalismo e patriarcato; La quarta etnia; 2. Le malvelate. Non solo
taleban; Sotto il burqa; Il modello saudita; L'onore del maschio; Il niqab
europeo; 3. Sesso in citta'. Spose bambine; Donne di Algeri; Quale
verginita'?; Le ragazze di Riyadh; Sessuofobia; Il machismo delle banlieue;
4. Tombe senza nome. Delitti d'onore; Sacrificio inutile; Hina e le altre;
Suicidio d'onore; Case rifugio; La mattanza di Hassi Messaoud; Dalla
Palestina a Kabul; 5. Matrimonio a piacere. Bottino di guerra; Poligamia
all'italiana; Il codice dell'infamia; Questione di casta; Persone dimezzate;
Ostaggi dell'islam; 6. Tutte pazze per Khaled. Pericolo al volante; 7. Le
vedove nere. Matrimonio per esistere o morire; Kamikaze per salvare l'onore;
8. La regina di Saba. Le prime ministre; Uguaglianza o discriminazione?;
Meglio gli immigrati delle donne; Precarieta' algerina; 9. Con il vento tra
i capelli. Visi pallidi; Muslim Style; 10. La schiavitu' del velo.
L'ideologia del velo; L'hijab e il Corano; Aisha e la Battaglia dei
cammelli; La segregazione; Shahrazad; Le mujahidat, le combattenti;
L'egiziana; Il femminismo arabo; Le compagne di Qassam; Verso la
secolarizzazione?
*
Da pagina 11
Il prezzo del velo
Da "tagliatori di teste" a difensori dei diritti umani. Non delle donne,
naturalmente.
Siamo a Sarajevo, Europa, un tempo capitale multiculturale e multietnica dei
Balcani, diventata durante la guerra dei primi anni Novanta terreno di
conquista per i mujahidin, i combattenti di credo wahabita seguaci della
rigida interpretazione saudita dell'islam.
La guerra e' finita, il futuro resta incerto, ma gli ex combattenti non
considerano concluso il loro primo compito: reislamizzare la Bosnia, porta
d'accesso all'Occidente. Non vanno piu' in giro a mostrare le teste mozzate
dei nemici, ma invocano il rispetto dei diritti umani, anche perche' dopo
1'11 settembre per gli Stati Uniti - che li avevano sponsorizzati in
precedenza - sono diventati "nemici combattenti", possibili "cellule
dormienti" di al Qaeda. Sei tra loro, algerini, sono gia' finiti a
Guantanamo.
A Sarajevo protestano contro la decisione del governo bosniaco - presa sotto
la pressione degli Usa - di espellere circa quattrocento stranieri
provenienti da paesi musulmani, che avevano avuto la cittadinanza quando per
ottenerla bastava essere islamico e imbracciare un fucile a fianco dei
fratelli bosniaci. Alcuni sono gia' fuggiti nei paesi vicini per continuare
il loro jihad, altri non hanno alcuna intenzione di andarsene.
Perche' dovrebbero abbandonare le roccaforti di Zenica, Travnik e
soprattutto Bocinja dove hanno imposto il loro modello di vita "rigoroso"
vietando l'alcol, il fumo e la musica, e introducendo l'obbligo delle
preghiere, della barba per gli uomini e del velo per le donne? Se, durante
la ronda per il paese, i "guardiani della virtu'" vedevano una donna con una
gonna di lunghezza non regolamentare glielo facevano notare a suon di
sciabolate. Se non portava il velo la rapavano a zero. E sparavano addosso a
chi osava fare il bagno in costume. Ma dopo l'attentato alle Torri il clima
e' cambiato.
"Errori dei fratelli" li definisce ora Abu Hamza, siriano, gia' capo della
comunita' di Bocinja, seicento abitanti tra cui un centinaio di stranieri,
che in pubblico gioca il ruolo del "moderato" in contrasto con la sua
immagine inquietante: barba lunga e folta, camicione largo e nero a coprire
il corpo tozzo. Adesso invoca il rispetto dei diritti umani, e per farlo
porta in piazza, davanti al Parlamento, le donne "convertite" al wahabismo,
tutte completamente coperte di veli neri, come mai si era visto in Bosnia.
Loro, le donne, non si fanno vedere in volto ma fanno sentire la loro voce:
"Che fine faremo se i nostri mariti saranno deportati, e che fine faranno i
nostri figli?". I rischi esistono, soprattutto per Abu Hamza che, oltre alla
revoca della cittadinanza, e' stato anche iscritto dalle autorita' bosniache
nella lista delle quindici persone ritenute "piu' pericolose per l'ordine
pubblico", proprio per la sua capacita' di mobilitare tutti gli estremisti
bosniaci.
*
Per un fazzoletto
Il problema della sopravvivenza, ovviamente, non riguarda solo le mogli
degli ex combattenti. Le organizzazioni "umanitarie" provenienti dai paesi
islamici approfittano della poverta' per fare proselitismo: se porti
l'hijab, il velo islamico, ti danno quattrocento marchi bosniaci al mese
(circa duecento euro) e se in famiglia vi sono piu' donne si possono
racimolare cifre ragguardevoli. Una dinamica che mi ricorda da vicino la
Somalia di qualche anno fa. Allora il "mensile" per il velo era di cento
dollari. Tutto dipende dal costo della vita! Le donne somale non erano
abituate a un velo cosi' rigoroso, ma i cento dollari servivano e allora si
mettevano il chador, il velo in stile iraniano, ma di colori
sgargiantissimi: fucsia, verde mela, blu elettrico. Certo, questo chador non
aveva nulla a che vedere con lo scuro rigore wahabita, ma era diverso anche
dal tradizionale velo somalo, coordinato con l'abito e portato con grande
disinvoltura ed eleganza senza pensare alle tante ciocche che restavano
fuori.
Anche per le bosniache il velo e' spesso una necessita'. Nuzeiba,
quarantacinque anni, di Tuzla, non ha scelto di portarlo di sua volonta':
"Mio marito e' stato ucciso a Srebrenica nel 1995 e sono rimasta sola con
quattro bambini, senza soldi e senza lavoro, che cosa potevo fare? Con il
denaro che ricevo [da un'organizzazione "umanitaria"] posso vivere
decentemente, ma devo rispettare le leggi islamiche. Le mie figlie
frequentano gratuitamente una scuola islamica e i miei figli studieranno
gratis a Sarajevo o in un paese islamico". Nuzeiba e i suoi figli sono
sopravvissuti al massacro di Srebrenica del luglio 1995, quando i serbi
uccisero a freddo oltre settemila musulmani.
Altre donne invece, sostengono che il velo e' stata una loro scelta. E' il
caso di Fahira Fejzic Cengic, della facolta' di Scienze politiche di
Sarajevo: "Ho deciso di portarlo, assolutamente consapevole di tutte le
conseguenze positive e negative," ha scritto su un giornale locale.
Ma c'e' anche chi si copre per sentirsi piu' sicura. Nei paesi in guerra
molte donne cercano una protezione e la propaganda fondamentalista puo'
avere gioco facile su persone indifese. La popolazione in Bosnia e' ancora
traumatizzata dalle devastazioni provocate dallo scontro interetnico. La
ricostruzione non ha rimarginato le ferite. I fori dei colpi di mortaio
ancora li', visibili sulle facciate dei palazzi, ne sono una testimonianza.
Sofferenze per le perdite subite, per la paura e la poverta': la diffusione
del velo le rappresenta tutte.
*
Da pagina 37
L'onore del maschio
Il velo dunque non e' solo un semplice pezzo di stoffa. Mentre le donne dei
paesi musulmani sono alle prese con una reislamizzazione che introduce anche
un nuovo modo di portare il velo, l'hijab ha fatto irruzione anche in
Occidente cogliendo impreparati i governi di paesi di nuova e vecchia
immigrazione. Le posizioni sono spesse volte contraddittorie,
indipendentemente dall'appartenenza politica. La decisione piu' drastica
alla fine e' stata presa dalla Francia che, nel centenario della solenne
Dichiarazione sulla laicita' dello stato, ha varato una legge che vieta ogni
simbolo religioso nelle scuole (quindi non solo il velo, anche se
naturalmente l'attenzione generale si e' focalizzata su quest'ultimo piu'
che sul crocifisso o sul turbante dei sikh).
La legge ha innescato un dibattito dai toni molto aspri. Anche perche' al
velo, dentro e fuori i confini francesi, viene attribuito un forte valore
identitario. Ma perche' solo le giovani di oggi avrebbero bisogno del velo
identitario, mentre le loro madri non hanno conosciuto questo tipo di
necessita'? Sono le nuove generazioni, quelle nate in Europa, a
rivendicarlo. E spesso non sono nemmeno le ragazze ma gli uomini delle
rispettive comunita' a imporlo: la loro identita' (quella maschile) viene
costruita sul corpo delle donne. Cosi' come il loro onore si basa sulla
verginita'! O per dirla con l'iraniana Chandortt Djavann "il pudore e la
vergogna della donna sono i garanti e l'espressione dell'onore e della
virilita' dell'uomo musulmano".
Al di la' della crisi dei valori, delle difficolta' di integrazione e delle
ideologie che sostengono l'atteggiamento dei ragazzi delle banlieue (di cui
trattero' diffusamente piu' avanti), la domanda che ci si deve porre e' se
una legge del genere poteva essere utile o meno alle ragazze che subiscono
delle imposizioni. La legge avrebbe anche potuto allontanarle da scuola,
aumentandone cosi' l'emarginazione.
Era difficile valutare l'impatto di queste disposizioni, per questo avevo
deciso di andare a Parigi per constatare la reazione alla legge quando
questa fosse entrata in vigore, vale a dire alla riapertura delle scuole nel
settembre 2005. In settembre non mi era stato possibile, ma quando
finalmente ho potuto andare in Francia, in dicembre, il problema del velo
nelle scuole, con mia grande sorpresa, gia' non esisteva piu'. Secondo il
ministero dell'Educazione francese solo quarantasette studentesse in tutto
il paese si erano ritirate dalla scuola pubblica, tra cui alcune per
frequentare scuole cattoliche, altre per seguire corsi per corrispondenza e
le rimanenti, probabilmente, avevano abbandonato del tutto gli studi.
Un prezzo e' stato pagato, e' vero, ma tra quelle che ora a scuola possono
liberarsi del velo e' cresciuta la fiducia in se stesse e la spinta ad
affrontare anche gli islamisti che quel velo vogliono imporre.
Occorre ricordare che la legge era riuscita a vincere molte perplessita'
anche perche' durante il rapimento dei due giornalisti francesi Christian
Chesnot e Georges Malbrunot, una delle richieste dell'Esercito islamico
dell'Iraq per la loro liberazione era stata il ritiro della legge sul velo.
Questa richiesta alla fine si e' rivelata un boomerang per gli islamisti,
perche' tutti i rappresentanti delle comunita' islamiche in Francia si sono
schierati contro la richiesta dei rapitori. Al di la' di questa congiuntura,
forse a volte le forzature servono.
*
Da pagina 56
Il machismo delle banlieue
Il tabu' della verginita' insegue le donne anche nei paesi di emigrazione. E
viene tramandato anche alle nuove generazioni nate in Europa. Dopo le lotte
femministe degli anni Ottanta le immigrate delle banlieue francesi avevano
conquistato maggiore liberta', ma gli anni Novanta hanno segnato un penoso
ritorno al passato. Fino ad allora gli immigrati, la maggior parte di
origine algerina, avevano sperato di trovare un proprio ruolo all'interno
della societa' francese: i genitori cercavano di garantire ai figli
un'istruzione perche' potessero avere un futuro migliore e le speranze
venivano condivise da tutta la comunita'. Ma alla fine degli anni Ottanta la
crisi del mondo del lavoro e la conseguente disoccupazione hanno provocato
un forte degrado dei quartieri, mentre il venir meno di valori di
riferimento di sinistra e progressisti ha generato un sensibile arretramento
culturale. E' in questa situazione che l'islamismo radicale - proprio mentre
si stava imponendo il Fronte islamico di salvezza (Fis) in Algeria - ha
costituito per i giovani delle periferie un'alternativa alla ghettizzazione
e al senso di ingiustizia. I Fratelli musulmani, improvvisando moschee in
locali comuni - cantine, garage ecc. - hanno cominciato a fare proseliti e a
diffondere la loro interpretazione fondamentalista e machista del Corano,
incentrata sull'intolleranza. All'inizio le famiglie degli immigrati, che
temevano una deriva delinquenziale dei figli, hanno incoraggiato la loro
frequentazione delle moschee. Anche le autorita', per tenere sotto controllo
le banlieue, hanno dato a questi nuovi imam il ruolo di interlocutori, dando
loro quindi maggiore autorita'.
"L'islam era diventato una nuova morale regolatrice che evitava a questi
giovani disoccupati di cadere nella delinquenza. [...] I poteri locali, gli
eletti delle amministrazioni territoriali e soprattutto i sindaci, di
qualunque tendenza politica, li hanno riconosciuti come interlocutori
privilegiati. Per i militanti della mia generazione che rifiutavano il fatto
che un 'religioso' si occupasse di questioni politiche e' stato terribile",
spiega Fadela Amara, militante femminista, nel suo libro Ni putes, ni
soumises.
Quando si e' cominciato a manifestare l'effetto nefasto di queste pratiche
integraliste ormai era troppo tardi. Le prime a pagarne le spese sono state
le famiglie stesse: i genitori, a Parigi come ad Algeri, venivano messi a
tacere con l'accusa di essere ignoranti, di non conoscere l'islam, il "nuovo
islam" nella versione wahabita. In nome della reislamizzazione i giovani
imponevano nuove regole di comportamento soprattutto alle donne, prima a
quelle della famiglia e poi a quelle della comunita' e del quartiere. Chi
non si adattava alla nuova situazione veniva accusata di essere
"miscredente" oppure una "poco di buono".
Le banlieue la sera sono deserte, a parte qualche giovane che controlla la
situazione. Ero stata a La Courneuve, uno dei quartieri piu' caldi della
periferia parigina, nel dicembre 2005, nei giorni in cui si celebrava il
centenario della Dichiarazione sulla laicita'. Al dibattito organizzato da
Mimouna Hadjam, famosa animatrice del centro culturale Africa, uno dei piu'
impegnati nelle questioni degli immigrati, non c'era nessuna donna del
quartiere. Avevano paura. "La maggioranza delle donne, che non lotta, non ha
mai provato il potere della liberta', non crede a una liberazione. Crede che
a guidare il mondo sia un oscuro destino. Allora si rifugia in un
contro-universo: la fede, la religione e la maternita'", scriveva nel 2001
la Hadjam. La situazione non sembra cambiata. Anzi.
"La crescita della violenza, la decomposizione sociale, la ghettizzazione,
il rifugio nella comunita', la discriminazione etnica e sessista, il ritorno
in forza delle tradizioni, il peso del mito della verginita'..." sono ben
descritti nel Livre blanc des femmes des quartiers della sociologa Helene
Orain. Su queste tematiche si concentra anche il lavoro di "Ni putes, ni
soumises", che da slogan si e' trasformato in manifesto e poi in petizione e
libro nel 2002.
La sessualita' nelle banlieue e' sempre stata un tabu', ma ora l'imperativo
della verginita' pesa sulle ragazze piu' di vent'anni fa: sanno che se la
perdono la pagheranno cara. Peraltro, con il controllo esercitato dai maschi
sul quartiere tutto quello che succede viene reso noto immediatamente.
Quindi tutti i rapporti devono avvenire in un modo assolutamente
clandestino, meglio se fuori dal quartiere, da dove spesso le ragazze escono
con il velo per non essere importunate, ma lo tolgono non appena valicano i
limiti territoriali. A volte non basta nemmeno l'hijab per evitare la
violenza e gli stupri di gruppo, che pero' non sono certo una prerogativa
delle sole banlieue e neppure degli immigrati. Per proteggersi, le ragazze
si sono costituite a loro volta in bande, come i ragazzi. I maschi
considerano i sentimenti come segni di debolezza, considerano le ragazze
alla stregua di oggetti e per dimostrare la propria superiorita' arrivano
anche a cedere la fidanzata agli altri del gruppo. Le ragazze sperano nel
matrimonio come via d'uscita, e per questo si sposano molto giovani. Il
padre, per evitare sorprese, fa redigere un certificato di verginita'. "E
nelle banlieue", e' ancora Fadela Amara a raccontare nel suo libro, "ci sono
medici specializzati nella redazione di certificati di verginita'. [...]
Molti lo fanno perche' sanno che solo certificati falsi possono salvare le
ragazze da rappresaglie terribili".
Come salvare allora la verginita' nonostante la pressione dei ragazzi che
insistono per avere rapporti sessuali? Facendosi sodomizzare; non provando
alcun piacere. Ma alla fine questa costrizione diventa insopportabile!
"Lo scarto che c'e' tra la mia generazione e la loro mi sembra vertiginoso.
Noi ci siamo battute per avere il diritto di vivere la nostra sessualita'.
Anche se la materia era tabu', i rapporti che avevamo con i nostri compagni
erano tacitamente accettati nelle famiglie", conclude Fadela Amara.
*
Da pagina 99
Tutte pazze per Khaled
"Tutte le ragazze vanno pazze per Khaled", mi dicono sconsolate e
preoccupate le amiche femministe sia ad Algeri sia a Tangeri. Non si tratta
pero' del Khaled famoso cantante rai, che andava per la maggiore fino a
qualche anno fa, ma di Amr Khaled, un religioso egiziano diventato il
telepredicatore piu' in voga del momento, con milioni di seguaci. Attraverso
le onde della tv satellitare saudita al Iqra diffonde il suo messaggio in
tutto il Medio Oriente presentandosi con un'aria accattivante: abiti
moderni, senza barba, racconta la vita di Maometto come se si trattasse di
una telenovela piena di emozioni e di scene appassionanti e drammatiche.
Dagli schermi illustra anche gli ultimi dettami della moda islamica, con
foulard di rigore, naturalmente. I suoi detrattori lo accusano di fare il
marketing dell'islam, anche perche' Amr Khaled non e' un teologo, una
circostanza da lui mai negata. Tra i suoi teledipendenti, perlopiu' donne
che seguono alla lettera le sue indicazioni, ci sarebbe anche la regina
Rania di Giordania, che tuttavia non porta il velo.
Amr Khaled non e' l'unico telepredicatore islamico, ma sicuramente e' il
piu' temuto: era stato anche espulso dall'Egitto perche' ritenuto pericoloso
dal governo e da li' si era rifugiato in Gran Bretagna, dove ha vissuto
buona parte degli ultimi anni tanto da diventare uno degli interlocutori di
Blair per la comunita' islamica. E' temuto dai governi arabi perche' c'e'
chi crede che dietro i suoi proclami religiosi possano nascondere obiettivi
politici. Del resto, non si conosce nemmeno la sua vera occupazione: sul suo
biglietto da visita, a parte il nome, vi sono solo i recapiti telefonici di
Beirut e Londra. Apparentemente moderato, e' estremamente rigido nelle
prescrizioni relative al comportamento religioso dei suoi seguaci, con
particolare accanimento, guarda caso, per il velo: "Non portare l'hijab e'
il peccato piu' grave", sostiene. Rigido e spregiudicato allo stesso tempo,
riceve finanziamenti sia dalla Nike sia dai wahabiti sauditi.
Il suo atteggiamento "ammiccante" puo' essere comparato a quello di un altro
leader islamista di origine egiziana, Tariq Ramadan, nipote del fondatore
dei Fratelli musulmani, Hassan al Banna, che vive pero' in Europa, a
Ginevra. Pur non essendo un telepredicatore di professione, Ramadan ha un
grande appeal mediatico e sfrutta le apparizioni in tv per far passare una
visione dell'islam tutt'altro che moderata. Proporre, come ha fatto di
recente, di sottoporre al giudizio degli ulema la necessita' o meno di
mantenere in vigore la lapidazione e' semplicemente aberrante. E va
ricordato che la morte a sassate viene riservata prevalentemente alle donne,
giudicate colpevoli di adulterio. Per l'uomo invece la pena e' prevista solo
se il fatto e' commesso dentro le mura domestiche! Eppure Ramadan affascina
non solo gli uomini, ma anche le donne, vittime predestinate. L'affabulatore
Tariq non mira tanto alla difesa della comunita' musulmana in Occidente, ma
a islamizzare l'Europa, anche se naturalmente gli fa buon gioco essere
chiamato dai governanti europei come consulente sulla questione islamica,
aumentando cosi' il suo prestigio e la sua credibilita', proprio come Amr
Khaled.
Al Iqra non e' certo l'unica tv dedicata all'interpretazione del Corano e
alla moralizzazione islamica. I telepredicatori si sono moltiplicati negli
ultimi anni, proprio come succede negli Stati Uniti o nell'America latina
con i leader delle varie sette evangeliche.
Vanno forte soprattutto nella wahabita Arabia Saudita dove il rigore
islamico passa proprio attraverso le tv satellitari, non solo private. "I
nostri canali televisivi sono invasi da nuovi e vecchi predicatori che
diffondono la loro visione del mondo direttamente al pubblico [...]
rispondendo alle domande dei telespettatori, prorompono in accuse contro il
sesso femminile. Eccitano emotivamente i telespettatori invitandoli a
difendere le virtu' contro le donne corrotte...", notava Hasna al Quna'ir
sul quotidiano saudita "al Riyadh". L'editorialista scriveva che "le donne
sono vittime dei discorsi dei predicatori che le condannano e per provare la
loro inferiorita' mentale si avvalgono di una vergognosa distorsione degli
hadith [i detti del Profeta]". Alcuni degli esempi riportati da Hasna al
Quna'ir sono esemplari. A un telespettatore che chiedeva se consultare la
moglie per chiedere il suo parere, il telepredicatore di turno rispondeva:
"Non chiedere il suo parere, e' emotiva e la sua opinione non e' valida".
[...] E citando un hadith del Profeta aggiungeva: "Una tribu' che nomina una
donna come leader non avra' mai successo...". "Molti predicatori," sostiene
la giornalista, "si rifiutano di riconoscere che questo hadith e' riferito a
circostanze particolari e si colloca in un determinato contesto. Il Profeta
non voleva riferirsi a tutte le donne, in ogni luogo e in ogni momento...".
"Un altro predicatore incitava padri, fratelli e mariti contro le figlie, le
sorelle e le mogli, sostenendo che se una ragazza non viene picchiata da
piccola, crescendo diventa ribelle e difficile da controllare. [...] Lo
stesso predicatore sosteneva che se una donna esce di casa senza il velo e'
come se fosse nuda. [...] E se stringe la mano di un uomo che non e' suo
marito e' colpevole di... adulterio della mano". La questione che pone la
giornalista saudita e' "perche' alcuni musulmani abbiano sviluppato questa
visione disumanizzante delle donne, sprezzante della loro umanita' e del
loro onore. E questo avviene ignorando importanti fattori [...] come le
circostanze storiche e lo specifico contesto alla base di alcune leggi
religiose e regole che discriminavano le donne. Questo deriva anche dal
fatto che non esiste alcuna distinzione tra i doveri religiosi che
appartengono ai rituali - soggetti a principi assoluti - e le regole di
comportamento, che sono controverse e non rispondono a leggi assolute, come
l'uso di coprire il viso...".
Sono molti i giovani seguaci a condividere le posizioni estremiste di questi
predicatori fanatici. Purtroppo, le donne sono sempre le prime vittime di
questo tipo di cultura.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 229 del 12 gennaio 2009

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