Minime. 687



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 687 del primo gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Jeff Halper: Per la verita', la pace e la giustizia
2. Severino Vardacampi: Ormai a disagio
3. Annamaria Rivera ricorda Ernesto De Martino
4. Alcuni versi di Michele Ranchetti
5. Cesare Segre presenta "L'orologio di Monaco" di Giorgio Pressburger
6. Armando Torno presenta "Tutte le lettere 1619-1650" di Rene' Descartes
7. Armando Torno presenta la "Fenomenologia dello spirito" di Georg Wilhelm
Friedrich Hegel
8. Armando Torno presenta gli "Appunti" di Soeren Kierkegaard
9. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
10. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
11. L'Agenda dell'antimafia 2009
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. JEFF HALPER: PER LA VERITA', LA PACE E LA GIUSTIZIA
[Dal quotidiano "il manifesto" del 30 dicembre 2008 col titolo "Strage a
Gaza", il sommario "Quello che gli attacchi israeliani nascondono" e la nota
redazionale "Storico pacifista israeliano, direttore del Comitato israeliano
contro le demolizioni delle case (Icadh), che ha sede a Gerusalemme e sedi
distaccate in Gran Bretagna e negli Usa"]

Cerchiamo di essere cristallini. I pesanti attacchi a Gaza compiuti in
questi giorni da Israele hanno uno scopo chiaramente irraggiungibile, in
contrasto con le azioni messe in atto: la gestione del conflitto. Metter
fine agli attacchi missilistici contro Israele, provenienti da una Gaza
assediata e affamata, senza esaurire la rabbia che proprio per quegli
attacchi si scatena. E ancora, metter fine agli attacchi missilistici contro
Israele, con un'occupazione sempre piu' oppressiva, che va avanti da 41
anni, senza il minimo segnale che un futuro stato sovrano della Palestina
potra' mai sorgere.
Infatti l'occupazione - tramite la quale Israele controlla Gaza stringendola
in un assedio brutale, che viola i diritti umani fondamentali e le normative
internazionali - non e' neanche menzionata nella campagna presidenziale.
Parlando alla comunita' internazionale, la ministra degli esteri israeliana
Tzipi Livni insiste che nessun paese tollererebbe un attacco armato contro i
propri cittadini. Un'affermazione apparentemente condivisibile, se non fosse
per le sanzioni israeliane a Gaza, appoggiate dagli Usa e dall'Europa -
sanzioni che precedono il lancio di missili su Israele - e se non fosse,
inoltre, per l'occupazione israeliana.
Se si concentra l'attenzione soltanto sugli attacchi missilistici, si
nasconde la realta' della scena politica che li ha generati: "Il governo di
Hamas a Gaza deve essere rovesciato", ha ripetutamente affermato Livni. "I
mezzi per farlo devono essere militari, economici e diplomatici".
Ma la responsabilita' per la sofferenza a Gaza e in Israele e' da attribuire
direttamente ai governi israeliani che si sono succeduti: del Labour, del
Likud e di Kadima. Se ci fosse stato un reale processo politico (e' da
ricordare che la chiusura di Gaza comincio' nel 1989), israeliani e
palestinesi avrebbero potuto vivere insieme in pace e in prosperita' per
vent'anni. Dopotutto, gia' nel 1988 l'Olp aveva accettato la soluzione dei
due stati, secondo la quale lo stato della Palestina sarebbe sorto dal solo
22% del territorio storico palestinese, mentre il restante 78% sarebbe
andato ad Israele. Un'offerta decisamente generosa.
Israele, tuttavia, si sforza di nascondere la sua preferenza per il
controllo, piuttosto che per la pace. Presentare i propri attacchi come una
risposta ai missili da Gaza, sfruttare la rabbia del momento per nascondere
le intenzioni piu' profonde e le politiche effettive, tutto cio' va letto in
questa luce. Anche la violazione del cessate il fuoco da parte di Israele
passa in secondo piano.
Il fatto che gli attacchi missilistici potevano essere evitati attraverso un
serio processo politico significa che la popolazione del sud di Israele e'
tenuta in ostaggio dal suo proprio governo. La sua sofferenza, cosi' come la
sofferenza delle popolazioni di Gaza e del resto dei territori occupati,
deve essere ascritta senza indugi al governo di Israele.
Israele non puo' aspettarsi la sicurezza dei suoi cittadini e la
normalizzazione politica finche' prosegue a tenere sotto occupazione le
terre palestinesi e finche' persevera nel tentativo di imporre il suo
governo permanente sui palestinesi attraverso la forza militare.
Ci appelliamo al governo israeliano affinche' cessi immediatamente le sue
aggressioni e avvii un reale negoziato politico con l'unione delle forze
palestinesi.
Chiediamo alla comunita' internazionale di porre immediatamente termine alle
sanzioni a Gaza nel rispetto delle leggi internazionali, di iniziare un
effettivo processo politico che metta fine all'occupazione israeliana e
porti a una pace giusta, che rifletta il volere delle popolazioni israeliane
e palestinesi.

2. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: ORMAI A DISAGIO

Manifestare occorre per la pace, contro ogni guerra e contro ogni uccisione.
Per questo benedette siano anche le manifestazioni che si terranno in Italia
in questi giorni, se esse saranno limpide nei contenuti e nelle condotte,
appunto  per la pace, contro ogni guerra e contro ogni uccisione.
Nonviolente e per la nonviolenza.
*
Se ci fosse in Italia un movimento, non dico per la pace, ma almeno contro
la guerra e le uccisioni, esso si batterebbe innanzitutto contro la guerra
terrorista e stragista cui l'Italia sta prendendo parte di Afghanistan. Ma
su questo crimine l'omerta', la totalitaria omerta', l'omerta' fascista e
razzista, e' pressoche' totale.
E solo se vi fosse in Italia un movimento, non dico per la pace, ma almeno
contro la guerra e le uccisioni, troverei ovvio che esso oggi si battesse
anche - non solo, ma anche - contro gli attacchi missilistici di Hamas verso
il sud di Israele e contro i raid terroristici di Israele a Gaza.
Ma poiche' in Italia non c'e' un movimento, non dico per la pace, ma almeno
contro la guerra e le uccisioni, il manifestare odierno contro i criminali e
stragisti raid israeliani e solo contro i criminali e stragisti raid
israeliani rivela in molti una posizione che non e' contro la guerra, contro
il terrorismo, contro le uccisioni: e' prevalentemente solo contro Israele,
ed e' prevalentemente solo contro Israele perche' al fondo di queste
mobilitazioni in molti soggetti che esse promuovono agiscono ancora antiche
pulsioni per le quali vi e' un nome preciso.
Queste cose vanno pur dette.
*
Il popolo palestinese ha diritto alla solidarieta' del mondo intero. Hamas
no. Hamas e' un'organizzazione fascista. Il fatto che abbia vinto le
elezioni - grazie anche alla corruzione dei gruppi dirigenti di quella che
fu l'Olp - non cambia questo fatto: anche Mussolini e Hitler vinsero le
elezioni. Anche Berlusconi ha vinto le elezioni.
La politica del governo di Israele e' criminale, stragista, violatrice dei
piu' fondamentali diritti umani. Ma la popolazione israeliana ha diritto
alla solidarieta' del mondo intero. Tutti coloro che vogliono colpire
l'intera popolazione israeliana come rappresaglia per i crimini del suo
governo riproducono la medesima mentalita' e la medesima condotta che
presiede ai raid su Gaza, che presiede ai lanci di missili sul sud di
Israele, che presiede alle logiche infine genocidarie: "Ammazzateli tutti,
Dio riconoscera' i suoi", come dicono disse quel papa promotore della
crociata contro gli albigesi - ovvero dello sterminio degli albigesi.
*
Non ci fosse stata la Shoah, la vicenda palestinese sarebbe stata del tutto
diversa: ma la Shoah c'e' stata.
E non vi fossero stati duemila anni di persecuzione antiebraica da parte
dell'impero romano prima, della cristianita' poi, dell'Europa razzista e
colonialista sempre, la vicenda palestinese sarebbe stata del tutto diversa:
ma quei duemila anni di persecuzione vi sono stati, e tuttora continuano.
*
A me sembra che non sia possibile una solidarieta' effettiva col popolo
palestinese che non sia anche solidarieta' effettiva con la popolazione
israeliana.
A me sembra che non sia possibile una denuncia effettiva dei crimini dei
governi di Israele che non sia anche una denuncia effettiva dei crimini dei
gruppi e dei regimi fondamentalisti e terroristi e razzisti che continuano
ad agitare e praticare la parola d'ordine della distruzione dello stato di
Israele e dello sterminio della componente ebraica della sua popolazione.
A me sembra che sia necessario che si arrivi subito alla proclamazione dello
stato di Palestina ed insieme a un definitivo riconoscimento internazionale
dello stato di Israele comprensivo della cessazione di ogni minaccia di
distruzione e di ogni propaganda a tal fine intesa contro di esso.
*
Ma soprattutto a me sembra necessario che cessino immediatamente le
attivita' militari, che cessino le uccisioni, e che si cominci subito a
soccorrere tutte le vittime e a ricostruire condizioni di vita sicure e
degne per tutti gli esseri umani.

3. MEMORIA. ANNAMARIA RIVERA RICORDA ERNESTO DE MARTINO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 dicembre 2008 col titolo "L'empatia di
De Martino. Vecchi strumenti utili per leggere nuovi simboli" e il sommario
"Con dicembre se ne va anche il centenario della nascita del nostro piu'
grande antropologo. Dall'articolazione delle sue analisi con l'impegno
civile e politico un aiuto alla comprensione del proletariato agricolo, che
oggi non e' scomparso ma si e' ricostituito grazie ai braccianti stranieri"]

"Solo piu' tardi, come militante della classe operaia nel Mezzogiorno
d'Italia, mi resi conto che il 'naturalismo' della etnologia tradizionale si
legava al carattere stesso della societa' borghese, che fra le condizioni di
esistenza, per es. dei braccianti delle Murge, e l'inerzia storiografica
delle scritture etnologiche e folkloristiche vi era una connessione
organica": cosi' scriveva Ernesto de Martino in un articolo del 1949,
intitolato "Intorno a una storia del mondo popolare subalterno". Il passo,
fra i piu' citati, anticipa quello che sara' il tratto piu' saliente della
sua biografia intellettuale, della sua ricerca, della scrittura:
l'articolazione dell'analisi e della riflessione teorica con l'impegno
civile e politico. Che non e' solo l'ovvio corollario di uno studioso
politicamente schierato, ma e' anche una tra le condizioni della sua stessa
etnografia, la quale, per non rimanere "inerte storiograficamente", deve
farsi attraversare dalle "umane, dimenticate istorie" di quei subalterni per
eccellenza che erano i contadini e i braccianti meridionali.
A de Martino interessava cambiare non solo il mondo, ma anche le sue
rappresentazioni, e dunque il sapere dei folcloristi e degli etnologi.
Quanto al tarantismo, che avrebbe indagato un decennio piu' tardi, intendeva
sottrarlo alle interpretazioni di stampo positivista che l'avevano
naturalizzato, per l'appunto, riducendolo a terapia magica creduta atta a
curare i sintomi di una patologia reale, indotta dal morso di un aracnide
velenoso, la taranta.
*
Appunti dal Salento
De Martino, invece, sulla base dell'osservazione diretta e di una vasta
documentazione storico-etnografica, raccolta con un'equipe
interdisciplinare, depatologizzo' il tarantismo, ne dimostro' l'autonomia
simbolica, lo interpreto' come istituto culturale che rifletteva ben altri
disagi individuali e collettivi, riconducibili, in definitiva, alla mancata
rivoluzione borghese nel sud e dunque a un limite di egemonia culturale.
Come altri sincretismi popolari, il tarantismo era, per lui, espressione
della storica subalternita' delle plebi rurali, ma anche testimonianza del
limite di espansione della cultura dominante e della resistenza opposta dai
gruppi subalterni alle forme culturali e religiose ufficiali.
Nel corso della "spedizione" nel Salento - scrive de Martino - "io entravo
nelle case dei contadini pugliesi come un 'compagno', come un cercatore di
uomini e di umane dimenticate istorie, che al tempo stesso spia e controlla
la sua propria umanita', e che vuol rendersi partecipe, insieme agli uomini
incontrati, della fondazione di un mondo migliore, in cui migliori saremmo
diventati tutti, io che cercavo e loro che ritrovavo".
La sua etnografia, quindi, non poteva che essere dialogica e riflessiva, per
usare aggettivi che solo alcuni decenni piu' tardi sarebbero entrati nel
lessico antropologico, essendo stato pioniere di un metodo di ricerca - del
quale oggi si parla molto - che predilige l'empatia. L'intensita' con la
quale visse la "pungente esperienza dello scandalo sollevato dall'incontro
con umanita' cifrate", unita alla consapevolezza che "senza il pathos del
rimorso e della colpa davanti al fratello separato", non vi e' possibilita'
alcuna d'incontro con gli "zulu e beduini" (cosi' erano detti i proletari
agricoli del Sud) si riflettono nella sua ricerca di campo, nei resoconti
etnografici, nella scrittura in prima persona - in quegli anni del tutto
atipica, perfino eccentrica. De Martino, insomma, ci ha lasciato una lezione
epistemologica del tutto anticipatrice: il soggetto epistemico e' anche un
soggetto affettivo. L'intera sua opera e' attraversata da temi e inflessioni
anticipatrici di quella etnografia riflessiva che oggi e' ritenuta l'unica
possibile, e che implica la valorizzazione della dialettica soggetto-oggetto
della ricerca, la consapevolezza dell'ineliminabilita' della soggettivita'
del ricercatore e delle sue passioni, la proposta di una epoche'
metodologica delle categorie che gli sono familiari, per diventare
"l'etnologo di se stesso".
*
Una speciale temperie storica
La terra del rimorso - tessera fondamentale della sua teoria del sacro, che
si delinea a partire dal Mondo magico - e' concepita come contributo
molecolare (un termine molto gramsciano) alla storia religiosa del sud,
"nella prospettiva di una nuova dimensione della quistione meridionale". Per
De Martino il tarantismo - per meglio dire, i "logori relitti salentini" di
cio' che era stato un istituto mitico-rituale - e' espressione, per quanto
minuta e locale, di un dramma universale, metafora dei tanti Sud che cercano
di entrare nella storia: "la terra del rimorso e' il nostro stesso pianeta,
o almeno quella parte di esso che e' entrata nel cono d'ombra del cattivo
passato". Percio' ha un che di paradossale il recente ingresso imperioso del
tarantismo nella cultura di massa, con la conseguente conversione in
patrimonio delle tradizioni musicali salentine: questo fenomeno, nato come
locale e identitario, poi consolidatosi in forma durevole e pressoche'
nazionale di consumo culturale, muove, infatti, dalla riscoperta di un
tarantismo per lo piu' deproblematizzato e destoricizzato, talvolta anche
desimbolizzato.
La ricerca e la riflessione di de Martino furono il frutto di una
maturazione intellettuale che, dall'originaria formazione crociana, lo
condussero poi ad aprirsi al pensiero gramsciano e alle piu' avanzate
correnti europee della psicologia, della psichiatria, della fenomenologia.
Ma la qualita' delle sue ricerche e' anche figlia di una temperie storica
peculiare: erano anni di importanti lotte contadine e operaie, della grande
speranza del riscatto del Mezzogiorno, dell'impetuoso movimento bracciantile
di occupazione delle terre, che sarebbe poi stato represso con eccidi e
arresti di massa. Del resto, anche i grandi eventi che si svolgevano sulla
scena internazionale avevano una impronta contadina: l'offensiva dei
vietcong contro i colonialisti francesi, il processo di emancipazione dei
popoli colonizzati, la proclamazione della Repubblica popolare cinese... E'
questo il contesto al quale erano legati certi motivi di de Martino: il
concetto di "folclore progressivo" (uno dei meno attuali della sua
riflessione); il tema dell'"irruzione nella storia" del mondo popolare
subalterno, inteso come "l'insieme dei popoli coloniali o semicoloniali, e
del proletariato operaio e contadino delle nazioni egemoniche". E' in questa
temperie che va iscritta la convinzione del grande antropologo secondo cui
la persistenza dei sincretismi pagano-cristiani, fra i quali il tarantismo,
che intendeva come determinata da ragioni storiche e congiunturali
(l'irrisolto conflitto fra mondo cristiano e mondo pagano, la miseria
economica e culturale, la subalternita' sociale), avrebbe potuto avere
soluzione di continuita' grazie all'irruzione nella storia delle plebi
meridionali.
Se punti deboli sono presenti nel suo pensiero, risiedono in un
eurocentrismo che non sarebbe mai riuscito davvero a trascendere e nella
costante oscillazione fra la nostalgia del senso e della pregnanza culturale
delle forme "arcaiche" e la convinzione che, essendo esse espressione di
miseria sociale e culturale, fossero destinate ad essere superate. E' questo
secondo polo che oggi appare meno convincente. In realta' l'"arcaico" non e'
stato affatto superato dall'avanzare della "civilta'", sul piano culturale
come su quello economico e sociale: se c'e' un tratto che connota i nostri
anni e' il recupero e la risemantizzazione dell'"arcaico" e dell'esotico,
l'intreccio fra tradizione e modernita', la compresenza dei piu' disparati
livelli di rapporti di produzione, dal feudale al postfordista. Un tema,
questo, che lo stesso De Martino aveva abbozzato in Furore, simbolo, valore
e sviluppato negli appunti poi raccolti nell'opera postuma, La fine del
mondo, dove aveva fittamente commentato la crisi della razionalita' e
dell'ethos occidentali, senza essere mai capace, tuttavia, di rinunciare al
presupposto secondo il quale il primato culturale sarebbe spettato alla
civilta' occidentale. Percio', la Rabata di Tricarico - il quartiere
derelitto descritto nelle "Note lucane" di Furore, simbolo, valore -
potrebbe essere assunta a metafora potente delle "rabate" disseminate nel
mondo globalizzato: per esempio, le bidonville dove nell'Italia del sud sono
costretti ad alloggiare i braccianti immigrati stagionali, in gran parte
"clandestini". I contadini di Tricarico possono riapparirci cosi' nelle
sembianze dei braccianti stagionali di Cassibile, di Castel Volturno di
Rosarno o del Tavoliere.
Al tempo di de Martino, i contadini rabatani "piu' avanzati" avevano adibito
a luogo di culto della chiesa battista "l'unica stanza oscura e fumosa"
della dimora miserabile di uno di loro. Un paio di anni fa, i braccianti
maghrebini di Cassibile dopo la distruzione della loro bidonville nel corso
di uno dei tanti pogrom di oggi (spesso preceduti da leggende "arcaiche",
come quella degli zingari rapitori di bambini) hanno ricostruito, come prima
cosa, un simulacro di moschea - un rettangolo di pietre con fogli di cartone
per pavimento - dotandolo di un mihrab rudimentale ma correttamente
orientato verso la direzione della Mecca. Pur condannati a regimi
d'esistenza al limite dell'umano, gli uni e gli altri coltivano "costumi e
ideologie che formano civilta' e storia". Per i contadini lucani, l'adesione
alla comunita' battista era stata una forma di protesta verso la chiesa
cattolica, "alleata con i ricchi e con gli oppressori", e l'aspirazione a
coltivare una religiosita' evangelica e socialista. Per i braccianti
maghrebini, il simulacro della moschea e' un mezzo per salvaguardare e
affermare la propria umanita', e per sventare il rischio della crisi della
presenza, sottraendo una parte di se' al regime della merce e alla cultura
razzista e deumanizzante del paese in cui approdano.
*
Dal versante simbolico
Dunque, l'opera di de Martino potrebbe ancora suggerirci qualche spunto per
la lettura del presente. Il proletariato agricolo non e' scomparso ma e'
stato ricostituito da braccianti stranieri, ugualmente stigmatizzati come
superstiziosi, arretrati, inferiori. Pur in un contesto strutturale assai
diverso, gli stagionali stranieri massicciamente sfruttati nelle campagne
del sud d'Italia sono soggetti a condizioni di lavoro e di vita comparabili,
se non peggiori, di quelle dei braccianti autoctoni fino agli anni '60:
sottoposti al caporalato, obbligati a lavorare da sole a sole, spesso pagati
a cottimo, costretti a dormire in alloggi di fortuna, ridotti a una
condizione servile o addirittura di schiavitu'. Si potrebbe indagare se alle
vecchie forme magico-religiose sincretiche, legate al lavoro agricolo, non
vadano sostituendosi altre forme ritualizzate di resistenza ugualmente
sincretiche, pescate dalla memoria della propria tradizione ma adattate al
contesto presente. Sarebbe un modo per chiedersi se questa condizione
sociale non possa essere colta anche dal versante delle pratiche simboliche,
e se queste non ci dicano qualcosa di interessante circa il modo in cui non
soltanto si vive la propria appartenenza sociale ma la si trascende.
*
Postilla. I passaggi di pensiero attraverso le opere principali
Il centenario della nascita di Ernesto de Martino (primo dicembre 1908 - 9
maggio 1965) e' stato ricordato con seminari e convegni, con la
pubblicazione del libro di Pietro Angelini (Ernesto de Martino, Carocci
2008) e con la riedizione della Terra del rimorso, opera divenuta un
classico dell'antropologia. La nuova edizione, sempre per il Saggiatore, e'
arricchita da una presentazione di Clara Gallini, da un apparato critico
aggiornato, e da un dvd che contiene la riproduzione del disco a 33 giri che
accompagnava la prima edizione, le registrazioni musicali raccolte in Puglia
da Diego Carpitella e il video sul tarantismo, realizzato dallo stesso
Carpitella e restaurato nel 1995 da Francesco De Melis. De Martino esordi'
nel 1941 con Naturalismo e storicismo nell'etnologia, un tentativo di
sottoporre l'etnologia al vaglio critico della filosofia storicista di
Benedetto Croce allo scopo di riscattarla dal suo naturalismo, una
connotazione che accomunava, secondo de Martino, tanto la scuola sociologica
francese che gli indirizzi "pseudostorici" tedeschi e viennesi. Il volume
successivo, Il mondo magico (1948), fu il primo della collana di studi
religiosi, etnologici e psicologici diretta da Cesare Pavese e poi dallo
stesso de Martino. Qui l'antropologo si interroga sulla realta' dei poteri
magici, delineando una teoria del sacro che mettera' alla prova nei lavori
"meridionalistici", perlopiu' frutto di ricerche sul campo e influenzati
dalla svolta decisiva determinata dall'impegno sociale e dall'esperienza di
militante di sinistra: Morte e pianto rituale (1958), Sud e magia (1959), La
terra del rimorso (1961). Con Furore, simbolo, valore (1962), ma soprattutto
con le note che saranno raccolte nell'opera postuma, La fine del mondo
(1977), l'antropologo napoletano allarga la propria riflessione ben oltre i
mondi culturali della tradizione e si apre ai temi delle apocalissi, dei
miti escatologici, anche laici, e della crisi della razionalita'
occidentale.

4. LIBRI. ALCUNI VERSI DI MICHELE RANCHETTI
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Michele Ranchetti, Poesie ultime e prime, Quodlibet, Macerata 2008]

Il tempo fra l'incontro e il fatto e' sempre
piu' breve e attonito. Ti perde e tu sei
la caduta nell'altro come unico
destino e su di lui precipiti
unica morte salvifica, ma e' breve
anche questa caduta di salvezza.

*

La vittoriosa ascesa
verso l'assenza
di ogni e ogni forma
di conoscenza per essere
solo di solo acceso
amore per la luce.

*

Alterata da te, come
vi fosse un unico
che dispone di noi
entro di noi e non
piu' forte il desiderio
d'essere altro da se'
da condividere.

*

Affrettati, il tempo
ti ha gia' superato, tu sei
nel tempo vuoto prima
del suo scorrere,
non ti puo' colpire:
ora sei mortale per sempre.

*

All'aprirsi del giorno non sai
se la luce piu' ti riguarda: i fatti
sono morti nel sonno: all'accadere
vivo non sei piu' presente.

5. LIBRI. CESARE SEGRE PRESENTA "L'OROLOGIO DI MONACO" DI GIORGIO
PRESSBURGER
[Dal "Corriere della sera" del 13 marzo 2003 col titolo "Pressburger, la
catena degli antenati" e il sommario "Con una sequenza di racconti, l'autore
va in cerca delle sue origini. Le trova in una serie di personaggi che
attraversano i secoli"]

Svolazzare tra i secoli e i continenti, allietati dalle note del pianoforte
o magari dell'ocarina. Questo viaggio, che ha come epicentro la favolosa
Mitteleuropa, ci e' offerto da Giorgio Pressburger con il suo ultimo
romanzo, L'orologio di Monaco (Einaudi). La formula e' felice: un florilegio
di ritratti di uomini grandi, anche anonimi, appartenenti in qualche modo
alla famiglia dello scrittore, fissa in modo indiretto ma nitido, mediante
avvincenti aneddoti, momenti della storia, della tradizione e della
societa'. Pressburger allestisce questa galleria di ritratti attingendo alla
memoria, ma anche con l'apporto di ricerche, viaggi, incontri e raggranella
cosi' altri materiali memorabili. Si sa che l'autore, nato nel 1937 a
Budapest da famiglia ebrea slovacca (Pressburg e' il nome tedesco di
Bratislava), ha viaggiato molto, e' vissuto in molti luoghi; venuto in
Italia a diciannove anni, fuggendo dall'occupazione sovietica, ha appreso la
lingua cosi' bene da farne la sua forma d'espressione letteraria; ha persino
rappresentato ufficialmente la cultura italiana in Ungheria. Attivo nel
teatro e nella televisione, ci ha dato varie opere narrative (le prime, le
Storie dell'ottavo distretto, del 1986, e L'elefante verde, del 1988,
scritte col suo gemello Nicola).
Lalla Romano avvertiva negli ebrei rassomiglianze con gli aristocratici:
credo che la rassomiglianza maggiore consista nell'interesse genealogico.
Per i nobili, questo interesse mira a confermare attraverso il tempo la
genuinita' e l'antichita' del loro sangue blu; per gli ebrei a constatare
movimenti e contatti di uomini e donne al di sopra degli spostamenti forzati
d'un esilio infinito (il viaggio dei loro geni imita "il seme di una pianta
che viene portato dal vento a chilometri e chilometri di distanza"): e' come
reperire i punti di riferimento in un atlante animato. Pressburger s'impegna
nell'individuare personaggi che hanno avuto nella linea materna una donna
col suo cognome: arriva cosi' a Mendelssohn e a Heine, a Marx e a Husserl; e
poi, accontentandosi di connessioni anche piu' vaghe, a Bruno Walter e a Roy
Lichtenstein. Si tratta in parte d'un gioco, utile magari per nutrire la
fantasia o per stimolare le curiosita' dei figli; ma e' anche un modo di
arricchire l'aneddotica in senso "alto".
Che' poi i personaggi piu' divertenti o emozionanti di Pressburger sono
quelli meno titolati, ferrovieri e venditori ambulanti, rabbini e
sindacalisti, scultori, agenti segreti e impiegati di polizia. Uno dei piu'
simpatici e' la zia del racconto che da' il titolo al libro, una vecchietta
che sopravvive serena ai suoi tre mariti e largisce ai conoscenti una brusca
e penetrante bonta'. A novantadue anni mette a posto tutte le sue (modeste)
cose e si prepara alla morte, che sopravviene appunto poco dopo la festa del
compleanno, da lei stessa organizzata. Il centro simbolico del racconto sono
alcuni esemplari d'un orologio da pochi soldi, con quattro palline dorate
che, mosse dal meccanismo, girano sotto il quadrante: essa li regala ai
parenti piu' cari, che li conservano di buona o di cattiva grazia. Alla sua
morte, le palline di tutti gli orologi si fermano, come se fossero collegate
alla sua sopravvivenza; ma poi i possessori si accorgono che gli orologi,
quasi per un piccolo miracolo, continuano lo stesso a funzionare ed evocano
col loro ticchettio l'anima della zia.
Ci sono molte storie d'amore. La piu' bella e' quella di un sapiente, Jom
Tow, che davanti ai dolori atroci e alla gravissima malattia della donna che
ama tanto, offre insistentemente a Dio il proprio sapere, la propria
intelligenza, la vita, i beni. E' come un Giobbe a rovescio, che chiede la
sofferenza in cambio di quella d'un altro e la ottiene. Ma si accorge che
cosi' gli e' precluso di vivere per la donna, di esprimere con tutto
l'essere il suo amore. E chiede a Dio di cambiare il patto. Il resto, che
implica anche voci d'oltretomba e morti punitive, rientra nello stile del
racconto chassidico. Ma oltre all'emozione che la storia provoca,
Pressburger agita anche un problema teologico non da poco: la preghiera come
patto con Dio, il valore e il significato dell'impegno reciproco, le
responsabilita' del postulante e, perche' no?, dell'elargitore.
Ma il libro, che nei ricordi di gioventu' rappresenta bene le prime
apparizioni della sessualita', e' pieno di gioia di vivere. Com'e'
possibile, con personaggi che sono spesso vittime di pogrom, che hanno
sempre qualche parente (o gran parte della famiglia) gassato a Bergen-Belsen
o ad Auschwitz, che girano il mondo nella vana ricerca di un angolo al
riparo dall'odio? La vitalita' e' un dono naturale e Pressburger ne e' un
campione. Ma i personaggi hanno tutti un segreto: essi conversano con Dio,
che da' loro la forza di sopravvivere; anche i comunisti, anche i
materialisti hanno qualche familiarita' con Dio. E poi, c'e' una visione
piu' alta, tipo Spinoza: il nostro e' uno degli infiniti universi che
nell'eternita' si susseguono e se anche tutto il nostro universo fosse
conquistato dal male, si puo' sperare che in un universo avvenire regni la
giustizia. La voce oltremondana di Jom Tow afferma solennemente: "Ora mi
consegno all'oscurita' del nulla per tutta la durata di quest'universo. Il
prossimo spero sara' un universo aperto, libero dalle assurde leggi di
Lavoisier, secondo cui nulla si crea e nulla si distrugge e per le quali una
vita deve divorare altre vite per durare".

6. LIBRI. ARMANDO TORNO PRESENTA "TUTTE LE LETTERE 1619-1650" DI RENE'
DESCARTES
[Dal "Corriere della sera" del 26 settembre 2005 col titolo "L'ultima
lettera di Cartesio? Alla nutrice" e il sottotitolo "Archivi. Raccolte in un
solo volume le epistole del filosofo"]

Di Rene' Descartes, il nostro Cartesio (o, come amava chiamarlo Vico, Renato
Delle Carte) ci sono pervenute 732 lettere. La prima reca la data 19 gennaio
1619 e fu inviata a Isaac Beeckman: in essa il filosofo ventitreenne
risponde a questioni di musica. L'ultima e' del 10 febbraio 1650, scritta a
poche ore dalla morte: raccomanda ai fratelli di non dimenticare la vecchia
nutrice, della quale si era fatto carico per buona parte della vita. Tra
queste due date vive un carteggio formidabile, una collezione di piccoli
trattati. Sono scambi di idee con personaggi quali Marin Mersenne, Antoine
Arnauld, Pierre Fermat, Thomas Hobbes, Constantin Huygens, Cristina di
Svezia, Elisabetta di Boemia. Scritte in francese, latino e olandese, le
lettere rappresentano l'altra meta' dell'opera di Descartes. Leggerle e'
come essere ammessi nel suo laboratorio, tanto che taluni argomenti sono
affrontati dal filosofo soltanto in questa sede, come la teoria della
creazione delle verita' eterne. Per la prima volta sono state riunite in un
solo ponderoso volume con il testo a fronte: le ha curate egregiamente
Giulia Belgioioso, che ha coordinato una ventina di traduttori e una decina
di revisori (Tutte le lettere 1619-1650, Bompiani, "Il pensiero
occidentale", collana diretta da Giovanni Reale, pp. 3164, euro 48).
Quello che fa impressione, anche dopo un semplice esame, e' la quantita' di
argomenti trattati. Si intravede nelle pagine la cultura di un'Europa di
ferro, funestata dalla Guerra dei Trent'anni ma governata da uomini di rara
grandezza (Luigi XIII nomina nel 1624 primo ministro il cardinale
Richelieu).
Descartes sa illustrare progetti generali su una nuova scienza, oppure
criticare la cultura ereditata dalla scolastica, occuparsi di metafisica e
di morale, di musica e matematica, di fisica e medicina. Hegel non ebbe
dubbi: lo defini' il "padre" della filosofia moderna. L'epistolario conferma
che il giudizio e' ancora valido. Anche se qualche progetto, come quello di
riunire in una citta' tutte le persone oneste del mondo per sfuggire a
"insolenti e importuni", era e resta un'utopia.

7. LIBRI. ARMANDO TORNO PRESENTA LA "FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO" DI GEORG
WILHELM FRIEDRICH HEGEL
Dal "Corriere della sera" del 20 febbraio 2008 col titolo "Classici
dell'idealismo tedesco. Il capolavoro di Hegel spartiacque della modernita'"

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, Einaudi, pp.
616, euro 25.
*
Non e' facile riassumere valore e significato di un monumento filosofico
come la Fenomenologia dello spirito di Hegel. Karl Rosenkranz, che del
pensatore tedesco scrisse una fondamentale vita, la considero' una linea di
confine tra due diverse concezioni del mondo, notando con un pizzico di
retorica: "Lo spirito dell'umanita' si soffermo' su quest'opera per un
attimo, onde render conto a se stesso di cio' che esso era divenuto fino ad
allora...". Per questi e altri motivi va salutata con interesse la nuova
traduzione italiana dell'opera che ci ha dato Gianluca Garelli, dopo la
storica di Enrico De Negri (La Nuova Italia, 1933-36; ampiamente rivista nel
1960) e quella di Vincenzo Cicero (Rusconi 1995, poi riproposta da
Bompiani).
Garelli ha offerto il testo originale della Fenomenologia del 1807,
lasciando all'appendice gli interventi sulla prefazione del 1831. A questo
studioso non ancora quarantenne va dato atto di uno scrupoloso e
intelligente lavoro mirante a risolvere problemi non facili di traduzione e
interpretazione che, nonostante i riferimenti ricordati, continuano a
restare aperti. Si prenda, per esempio, il verbo aufheben: risolto con
"togliere" da De Negri e con l'innovativo "rimuovere" da Cicero, Garelli
l'ha reso con "levare", evitando le secche della letteratura psicoanalitica
che lo utilizza per parlare di "rimozione". Inoltre restituisce il gioco
aufheben/erheben, "levare/elevare", presente nella Fenomenologia: si rivela
ottimo per il duplice "togliere" e "portare in alto".

8. LIBRI. ARMANDO TORNO PRESENTA GLI "APPUNTI" DI SOEREN KIERKEGAARD
[Dal "Corriere della sera" del del 29 maggio 2008 col titolo "Filosofia. Il
corso a Berlino. Gli appunti di Kierkegaard alle lezioni di Schelling"]

Soeren Kierkegaard, Appunti, Bompiani, pp. 640, euro 18,50.
*
Tra il novembre 1841 e il marzo 1842 Schelling tenne a Berlino, alla
cattedra che fu di Fichte e di Hegel, un primo corso sulla Filosofia della
Rivelazione. Ad esso partecipo' un allievo d'eccezione: Soeren Kierkegaard.
Durante quelle lezioni il pensatore danese prese degli appunti, che ora
vengono tradotti in italiano con il testo a fronte da Ingrid Basso (in
appendice sono dati i passi dell'opera di Schelling utili per comprendere
tali note).
Non e' facile trovare aggettivi per riassumere questo incontro durante le
giornate berlinesi; Jaspers, piu' semplicemente, definira' codesti corsi
"l'ultimo grande avvenimento universitario della filosofia". Va ricordato in
margine agli appunti - dove si leggono intuizioni sull'ontologia, la
metafisica, su Dio, ne' mancano riferimenti alla logica hegeliana o alla
teologia negativa - che Kierkegaard continua a godere di ottima salute
editoriale anche in Italia, nonostante la recente scomparsa di Alessandro
Cortese (purtroppo il lavoro in corso per Marietti 1820 resta interrotto al
terzo volume). Morcelliana, per fare un esempio, si appresta a ripresentare
una nuova edizione dell'importante Diario, costata anni di lavoro.
Kierkegaard, in altre parole, e' ormai diventato un autore di riferimento
per il mondo contemporaneo, forse perche' come pochi altri ha capito il
dramma attuale dell'uomo e non ha prestato fede a tutti quei voli nel nulla
che la filosofia ha fatto e continua a fare.

9. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

10. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

11. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 687 del primo gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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