Voci e volti della nonviolenza. 276



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 276 del 23 dicembre 2008

In questo numero:
1. George Orwell: Non un'utopica felicita' astratta, ma la concreta
fratellanza umana
2. Et coetera

1. GEORGE ORWELL: NON UN'UTOPICA FELICITA' ASTRATTA, MA LA CONCRETA
FRATELLANZA UMANA
[Dal "Corriere della sera" del 16 dicembre 2008 col titolo "Puo' un
socialista essere felice?" e il sommario "Il testo: George Orwell si
confronta con le opere di Wells, Morris e Swift. Il tema: la vanita' di
qualsiasi modello fondato sulla ricerca della perfezione. Dal Natale di
Charles Dickens alle ideologie utopistiche La vera gioia non si puo'
immaginare ne' programmare"]

Il Natale ci fa pensare quasi automaticamente a Charles Dickens, e per due
buone ragioni. La prima e' che Dickens e' uno dei pochi scrittori inglesi ad
aver scritto sul Natale, che e' la festa piu' amata dagli inglesi, ma ha
ispirato poche opere letterarie. Ci sono i canti, i Christmas Carols, quasi
tutti di origini medievali; c'e' una manciata di poesie di Robert Bridges,
T. S. Eliot e qualche altro, c'e' Dickens; e poco di piu'. La seconda
ragione e' che tra gli scrittori moderni Dickens e' uno dei pochi, quasi
l'unico, a offrire un'immagine convincente della felicita'.
Dickens ha parlato del Natale due volte, in un capitolo del Circolo Pickwick
e nel Canto di Natale. Quest'ultimo racconto venne letto a Lenin morente
che, secondo la moglie, ne trovo' del tutto intollerabile "il
sentimentalismo borghese". In un certo senso aveva ragione, ma se fosse
stato in condizioni di salute migliori si sarebbe forse accorto che quel
racconto ha dei risvolti sociologici interessanti. Anzitutto, per quanto
Dickens calchi la mano e il "sentimentalismo" di Tiny Tim possa sembrare
sgradevole, la famiglia Cratchit pare proprio divertirsi. Ha l'aria felice,
a differenza, per esempio, dei cittadini di Notizie da nessun luogo di
William Morris. Inoltre, la loro felicita' deriva soprattutto dal contrasto,
e il fatto che Dickens se ne renda conto e' uno dei segreti della sua forza.
Sono contenti perche' una volta tanto hanno cibo in abbondanza. Il lupo e'
alla porta, ma sta scodinzolando. Il vapore del pudding natalizio aleggia su
uno scenario fatto di banchi di pegni e di duro lavoro e accanto alla tavola
imbandita il fantasma di Scrooge e' sempre presente. Bob Cratchit vuole
perfino brindare alla salute di Scrooge, cosa che la signora Cratchit,
giustamente, rifiuta di fare. I Cratchit riescono a godersi il Natale
proprio perche' viene solo una volta all'anno. La loro felicita' e'
convincente proprio per questo. La loro felicita' e' convincente perche' e'
descritta come provvisoria.
Tutti i tentativi di descrivere una condizione di felicita' permanente,
d'altro canto, si sono risolti in un fallimento. Le Utopie (a proposito, la
parola Utopia non significa "bel luogo", ma "luogo inesistente") sono
comparse spesso nella letteratura degli ultimi tre o quattrocento anni, ma
quelle "positive" sono immancabilmente poco attraenti, e di solito anche
prive di vitalita'.
Le Utopie moderne di gran lunga piu' note sono quelle di H. G. Wells. La
visione del futuro prefigurata da Wells e' enunciata appieno in due libri
scritti all'inizio degli anni Venti, The Dream e Men Like Gods. Vi si trova
un'immagine del mondo che a Wells sarebbe piaciuto, o che pensava gli
sarebbe piaciuto. E' un mondo in cui le note dominanti sono l'edonismo
illuminato e la curiosita' scientifica. Tutti i mali e le miserie di cui
soffriamo sono scomparsi. L'ignoranza, la guerra, la poverta', la sporcizia,
la malattia, la frustrazione, la fame, la paura, la fatica opprimente, la
superstizione non ci sono piu'. Cosi' descritto, non potremmo negare che sia
il genere di mondo a cui tutti aspiriamo. Tutti noi vogliamo abolire quel
che Wells vuole abolire. Ma c'e' qualcuno che voglia veramente vivere in
un'Utopia wellsiana? E' semmai il contrario: non dover vivere in un mondo
come quello e' ormai diventata una questione politica ben presente. Un libro
come Il mondo nuovo e' espressione della paura che l'uomo moderno nutre nei
confronti della societa' edonistica razionalizzata che ha il potere di
creare. Uno scrittore cattolico ha affermato recentemente che le Utopie sono
oggi tecnicamente possibili, e che ora il vero problema e' come evitarle.
Non possiamo limitarci a ritenere ridicola quest'osservazione e a ignorarla,
perche' una delle molle del movimento fascista e' proprio il desiderio di
evitare un mondo troppo razionale e comodo.
Tutte le Utopie "positive" sembrano simili nell'ipotizzare la perfezione ed
essere incapaci di dare un'idea della felicita'. Notizie da nessun luogo e'
una specie di versione edulcorata dell'Utopia wellsiana. Tutti sono gentili
e ragionevoli, la tappezzeria viene tutta da Liberty, il miglior negozio, ma
si avverte una vaga malinconia. Colpisce, pero', che neanche Jonathan Swift,
uno degli scrittori piu' ricchi d'immaginazione, riesca meglio degli altri a
costruire un'Utopia "positiva".
La prima parte dei Viaggi di Gulliver e' probabilmente la critica piu'
feroce alla societa' umana che sia mai stata scritta. Ogni parola di quel
libro e' ancora attuale; a tratti vi si trovano prefigurazioni dettagliate
degli orrori politici del nostro tempo. Swift fallisce, pero', quando cerca
di presentarci una razza di individui che suscitano la sua ammirazione.
Nell'ultima parte, in antitesi agli sgradevoli Yahoo, vengono mostrati i
nobili Houyhnhnms, cavalli intelligenti e privi delle debolezze umane.
Questi cavalli, nonostante il loro spirito elevato e l'infallibile buon
senso, sono creature piuttosto noiose. Come gli abitanti di tante altre
Utopie, si preoccupano soprattutto di evitare i problemi.
Conducono vite monotone, controllate, "ragionevoli", libere non solo dai
litigi, dal disordine o da incertezze di ogni genere, ma anche dalla
"passione", compreso l'amore fisico. Scelgono i compagni seguendo principi
eugenetici, evitano gli eccessi dei sentimenti, e sembrano quasi contenti di
morire quando giunge la loro ora. All'inizio del libro Swift mostra dove la
follia e la ribalderia portano l'uomo: ma se si eliminano la follia e la
ribalderia, cio' che rimane sembra essere un'esistenza tiepida, che non ha
molto senso vivere.
I tentativi di descrivere l'approdo a una felicita' ultraterrena non hanno
avuto maggiore successo. Come Utopia il Paradiso e' un fiasco, mentre
l'Inferno occupa una posizione ragguardevole in letteratura, ed e' stato
spesso descritto in modo dettagliato e convincente.
Sappiamo bene che il Paradiso cristiano, come e' di solito rappresentato,
non attrarrebbe nessuno. (...) Molti pastori evangelici, molti preti gesuiti
(anche nel terribile sermone in Ritratto dell'artista da giovane di James
Joyce) hanno spaventato a morte i fedeli con le loro rappresentazioni
dell'Inferno. Ma quando si passa al Paradiso, si torna invariabilmente a
valersi di parole come "estasi" e "beatitudine", senza fare molto per
cercare di spiegare in che cosa consistano. Forse il passo piu' vitale su
questo argomento e' quello, famoso, di Tertulliano, in cui si dice che una
delle maggiori gioie del Paradiso e' guardare le torture dei dannati. Le
versioni pagane del Paradiso sono forse un po' migliori. Si ha la sensazione
che nei campi elisi ci sia sempre il tramonto. L'Olimpo, dove vivevano gli
dei, con il nettare e l'ambrosia, le ninfe ed Ebe, "puttane immortali" come
le ha chiamate D. H. Lawrence, potra' essere un po' piu' interessante del
Paradiso cristiano, ma non fa venir voglia di passarci molto tempo. Il
Paradiso musulmano, con le sue 77 uri' (vergini) per ogni uomo, tutte
presumibilmente desiderose di attenzioni allo stesso momento, e' un vero e
proprio incubo. Nemmeno gli spiritualisti, che ci assicurano di continuo che
"tutto e' luminoso e bello", riescono a descrivere una qualche attivita'
dell'altro mondo che una persona avveduta possa trovare, se non attraente,
almeno sopportabile.
Nello stesso modo si risolvono i tentativi di descrivere la perfetta
felicita' che non siano ne' utopistici ne' ultraterreni, ma semplicemente
sensuali. Danno sempre l'impressione di essere vuoti o volgari, o entrambe
le cose. All'inizio de La pulzella d'Orleans, Voltaire descrive la vita di
Carlo IX con la sua amante Agnes Sorel. Erano "sempre felici", dice. E in
cosa consisteva la loro felicita'? Un susseguirsi incessante di feste,
libagioni, partite di caccia e amplessi. Chi, dopo qualche settimana, non si
stancherebbe di un'esistenza simile? Rabelais parla delle anime fortunate
che si divertono nell'aldila', come consolazione per essersela passata male
in questo mondo. Cantano una canzone che si potrebbe grossolanamente
tradurre cosi': "Saltare, danzare, far scherzi, bere vino bianco e rosso, e
non far niente tutto il giorno se non contare monete d'oro". Che noia, in
fin dei conti! L'idea vana del divertimento senza fine e' ben raffigurata
nel quadro di Brueghel Il paese di cuccagna, dove tre grassoni giacciono
addormentati uno accanto all'altro, tra uova sode e cosce di pollo pronte a
farsi mangiare.
Sembra che gli esseri umani non sappiano descrivere, ne' forse immaginare,
la felicita' se non in termini di contrasto con una opposta condizione. Per
questo da un'epoca all'altra il concetto di Paradiso o quello di Utopia
cambiano. Nella societa' preindustriale il Paradiso era descritto come un
luogo di infinito riposo, e lastricato d'oro, perche' l'essere umano medio
conosceva solo la fatica del lavoro e la poverta'. Le uri' del Paradiso
musulmano riflettevano una societa' poligama dove la maggior parte delle
donne scomparivano negli harem dei ricchi. Ma queste immagini di "eterna
beatitudine" sono sempre poco attraenti perche' quando la beatitudine
diventa eterna (eternita' intesa come tempo infinito), il termine di
paragone scompare. Alcuni motivi convenzionali radicati nella nostra
letteratura sono nati da condizioni fisiche che ora hanno cessato di
esistere. Ne e' un esempio il culto della primavera. Nel Medioevo la
primavera non significava rondini e fiori di campo. Significava verdura,
latte e carne fresca dopo parecchi mesi di maiale salato consumato in
capanne fumose e prive di finestre. I canti della primavera erano allegri,
"Se la carne poco costa, e le femmine son care, e i bulletti vanno apposta
tutt'intorno a gironzare, non ci resta che mangiare, stare allegri e
ringraziare il buon Dio che ci largi' l'allegria di questo di'"
(Shakespeare, Enrico IV), perche' c'erano buone ragioni per rallegrarsi.
L'inverno era finito, questo era il fatto principale. Lo stesso Natale, una
festa pre-cristiana, e' probabilmente nato perche', di tanto in tanto,
mangiate e bevute fuori del comune aiutavano a interrompere l'insopportabile
inverno nordico.
L'incapacita' del genere umano di immaginare la felicita' in forme diverse
dalla liberazione dalla fatica o dal dolore pone ai socialisti un grave
problema. Dickens sa descrivere una famiglia stretta dalla poverta' che si
butta su un'anatra arrosto, e farla apparire felice; allo stesso tempo, gli
abitanti di universi perfetti non mostrano nessuna allegria spontanea e sono
di solito assai poco attraenti. Ma ovviamente noi non vogliamo il mondo
descritto da Dickens, ne', probabilmente, nessuno dei mondi che avrebbe
potuto immaginare. L'obiettivo dei socialisti non e' una societa' dove alla
fine tutto si risolve perche' vecchi signori gentili regalano tacchini. Il
nostro obiettivo non e' forse una societa' in cui la "carita'" non sia
necessaria? Vogliamo un mondo in cui Scrooge, con i suoi dividendi, e Tiny
Tim, con la sua gamba storpia, siano entrambi impensabili. Significa che
aspiriamo a un'Utopia senza dolore? A rischio di dire una cosa che i
redattori del "Tribune" potrebbero non approvare, affermo che il vero scopo
del socialismo non e' la felicita'. La felicita' finora e' stata una
conseguenza occasionale e, per quel che ne sappiamo, potrebbe rimanere tale.
Il vero scopo del socialismo e' la fratellanza umana. Spesso lo si pensa, ma
di solito non lo si dice, o non lo si dice a voce abbastanza alta. Gli
uomini passano la vita in strazianti lotte politiche, si uccidono in guerre
civili, o vengono torturati nelle prigioni della Gestapo, non per costruire
un qualche Paradiso con riscaldamento centralizzato, aria condizionata e
illuminazione al neon, ma perche' vogliono un mondo in cui gli esseri umani
si amino, anziche' derubarsi e uccidersi a vicenda. Questo e' per loro un
primo passo. Quale direzione poi prenderanno non e' dato sapere, e il
tentativo di prevederlo accuratamente non fa che confondere le cose.
Il pensiero socialista deve immaginare un futuro, ma solo in senso lato.
Spesso bisogna tendere a obiettivi che si vedono solo in modo indistinto. In
questo momento, ad esempio, il mondo e' in guerra e vuole la pace. Il mondo,
pero', non ha esperienza di pace, non ne ha mai avuta, a meno che non sia
esistito il Buon Selvaggio. Il mondo vuole qualcosa della cui esistenza e'
solo vagamente consapevole, che non riesce a definire con precisione. Questo
Natale migliaia di uomini verseranno il loro sangue sulla neve russa, o
annegheranno in acque gelate, o si faranno a pezzi nelle isole paludose del
Pacifico; bambini senza casa andranno in cerca di cibo tra le rovine delle
citta' tedesche. Far si' che questo non accada piu' e' giusto. Ma dire con
precisione come sara' un mondo in pace e' tutt'altra cosa.
Quasi tutti i creatori di Utopie facevano pensare a un uomo con il mal di
denti, per il quale la felicita' consiste quindi nel non avere mal di denti.
Volevano costruire una societa' perfetta prolungando all'infinito una
condizione apprezzabile solo perche' temporanea. Sarebbe meglio dire che ci
sono delle linee lungo le quali l'umanita' deve muoversi, che il disegno
strategico e' tracciato, ma che fare previsioni dettagliate non e' affar
nostro. Chiunque cerchi di immaginare la perfezione ne mette in luce solo la
vacuita'. E' successo anche a un grande scrittore come Swift, che sa mettere
perfettamente alla berlina un vescovo o un uomo politico: quando cerca pero'
di creare un superuomo, ci da' l'impressione, opposta alle sue intenzioni,
che i maleodoranti Yahoo avessero piu' possibilita' di evolversi degli
illuminati Houyhnhnms.

2. ET COETERA

Eric Arthur Blair (George Orwell e' uno pseudonimo) e' nato a Motihari in
India nel 1903 (il padre era impiegato nell'amministrazione coloniale
britannica), educato in Inghilterra, presto' servizio nella polizia
imperiale inglese in Birmania (ove colse la violenza coloniale e
imperialista) e presto l'abbandono'; visse poi in poverta' e di vagabondaggi
a Parigi e a Londra (acquisendo una forte coscienza sociale); denuncio' in
un libro-inchiesta le condizioni di  miseria dei minatori disoccupati; prese
parte alla guerra di Spagna in difesa della democrazia contro i fascisti (e
li' vide anche all'opera e conseguentemente denuncio' la violenza stalinista
contro gli anarchici e la sinistra non allineata). Gia' minato nella salute
si arruolo' volontario nella Home Guard nella seconda guerra mondiale, e
lavoro' per la Bbc. Scrisse coi suoi due ultimi grandi libri un'analisi
lucidissima del totalitarismo. Mori' a Londra nel 1950. Tra le opere di
George Orwell: Senza un soldo a Parigi e a Londra (1933) descrive le sue
esperienze di poverta' e vagabondaggio; Giorni in Birmania (1934) ricorda la
traumatica esperienza coloniale; La strada di Wigan Pier (1937) costituisce
l'inchiesta sulla disoccupazione dei minatori; Omaggio alla Catalogna (1938)
riferisce delle sue esperienze nella guerra di Spagna; La fattoria degli
animali (1945) e' una favola morale di denuncia dello stalinismo; 1984
(1949) e' l'angosciante descrizione di una societa' totalitaria. Tutti i
libri sopra citati sono editi in Italia da Mondadori. Una raccolta di saggi
di Orwell (tra cui alcuni fondamentali) e' Nel ventre della balena,
Bompiani, Milano 1996. Opere su George Orwell: un agile profilo critico e'
quello di Raymond Williams, Orwell, Mondadori, Milano 1990; cfr. anche
Stefano Manferlotti, George Orwell, La Nuova Italia, Firenze 1979;
fondamentale e' la biografia di Bernard Crick, George Orwell, Il Mulino,
Bologna 1991.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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