Nonviolenza. Femminile plurale. 220



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 220 del 20 novembre 2008

In questo numero:
1. Elena Biagini: Il 22 novembre a Roma contro la violenza sulle donne
2. Grace Hartigan
3. Tiziana Bartolini intervista Nayla Ayesh
4. Sandra Teroni: Simone de Beauvoir, il Castoro tra due fuochi
5. Ilaria Troncacci: Riflessioni su "La serata a Colono" di Elsa Morante

1. INIZIATIVE. ELENA BIAGINI: IL 22 NOVEMBRE A ROMA CONTRO LA VIOLENZA SULLE
DONNE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul
quotidiano "Liberazione" del 23 ottobre 2008 col titolo "Manifestazione
contro la violenza sulle donne a Roma il 22 novembre 2008"]

Il 24 novembre del 2007 la grandissima manifestazione femminista e lesbica
contro la violenza maschile sulle donne ha sconvolto l'asfissia della
politica italiana, anche di movimento, con forza, radicalita' ed autonomia.
150.000 donne in corteo a Roma con parole d'ordine chiare e assolutamente
fuori dal coro: la violenza sulle donne ha un sesso non una nazionalita',
sono i maschi a commetterla e, per questo, qualunque politica xenofoba e
securitaria non puo' usare a pretesto questo tema; al contrario, la violenza
contro le donne e' commessa principalmente in famiglia. Per qualche giorno
lo scorso anno i media sono stati costretti a rendere pubblici i dati su
femminicidi e violenze di ogni genere, i dati sconvolgenti di una guerra in
atto in tutto il mondo contro le donne, una guerra che inchioda come
responsabile il sesso maschile e mostra che, nella maggior parte dei casi,
sono proprio i maschi all'interno della famiglia, di qualunque grado di
parentela, a uccidere, brutalizzare, stuprare le donne.
Il "sommovimento" del 24 novembre scorso non si e' spento e per tutto l'anno
ha portato le femministe e le lesbiche piu' volte in piazza, in presidi e
cortei spontanei lo scorso 14 febbraio quando la polizia irruppe nelle
corsie del Policlinico di Napoli a violare la degenza di una donna che aveva
interrotto la propria gravidanza, in un 8 marzo organizzato in tantissime
citta' diverse con lo slogan "Tra la festa il rito e il silenzio scegliamo
la lotta" e poi in presidi davanti a tribunali dove si celebravano processi
per stupro e femminicidio, in cortei volti a rompere l'omerta' degli
stupratori, in iniziative antirazziste. Quel sommovimento dello scorso anno
e' divenuto una rete che ha trovato tempo, modalita' e desiderio di
approfondimento e confronto attraverso due edizioni di "Flat - Femministe e
lesbiche ai tavoli", lavori tematici di centinaia di femministe e lesbiche
che hanno prodotto saperi, pratiche, percorsi su violenza maschile,
sessismo, autodeterminazione, fascismo, razzismo, lavoro e precarieta',
comunicazione.
Anche quest'anno le femministe e lesbiche "sommosse", in occasione della
giornata mondiale contro la violenza sulle donne, lanciano un appello a
tutte le donne per tornare in piazza: sabato scorso, in un'affollata
assemblea che si e' tenuta presso la Casa Internazionale delle Donne, e'
stato infatti deciso di organizzare un corteo che sabato 22 novembre, come
lo scorso anno, partira' da piazza Esedra per raggiungere piazza Navona.
E come lo scorso anno la manifestazione sara' autonoma e autorganizzata: non
saranno partiti o sindacati a costruirla ma collettivi, gruppi,
associazioni, assemblee di femministe e lesbiche sparsi sul territorio
nazionale. Gia' all'assemblea nazionale di sabato, oltre alle romane, hanno
partecipato donne da molte citta' fra cui Bologna, Milano, Palermo, Bari,
Trieste, Firenze, Perugia, Napoli, femministe e lesbiche di tutte le
generazioni.
E se anche quest'anno la manifestazione - antisessista, antirazzista e
antifascista - avra' come motore la denuncia della violenza maschile su
donne e lesbiche, togliendo il velo ideologico che spesso copre la famiglia
come teatro di violenza, e la rivendicazione di autodeterminazione per
tutte, molti sono i temi che l'attualita' politica ha imposto: anzitutto la
violenza istituzionale attuata attraverso il ddl Carfagna che criminalizza
le prostitute e con loro tutte le donne (sabato infatti era presente anche
il Comitato per i diritti civili delle prostitute), ma anche attraverso lo
smantellamento dello stato sociale, la precarizzazione e i decreti Brunetta
e Gelmini che colpiscono scuola e universita' e quindi migliaia e migliaia
di donne non solo  lavoratrici e  studenti.
Poi, accanto alla violenza contro donne e lesbiche, e' stata sottolineata la
violenza transfobica che ha prodotto momenti efferati, tra cui in piu'
interventi e' stata ricordata la caccia alle trans al Prenestino, quartiere
della periferia romana.
Ma anche l'opposizione alla guerra, come massima espressione di violenza
maschile subita prioritariamente dalle donne, e al militarismo, saranno
portate in corteo in un momento politico in cui sembrano ormai fenomeni
endemici.
Le parole chiave intorno a cui si e' dipanato il ragionamento dell'assemblea
femminista e lesbica sono "condotta", "decoro" e "controllo", i pilastri di
un regime autoritario ormai imposto nel paese che trova in una violenta
riaffermazione machista e patriarcale la sua piu' forte definizione.
Il decoro che, sbandierato dalle amministrazioni locali e dai decreti
governativi, vuole imporsi come norma e controllo delle donne, delle
lesbiche, di tutte le soggettivita' eccentriche, deve essere smascherato
come grimaldello per imporre limiti all'autodeterminazione delle donne,
delle lesbiche, di tutte e di tutti. Il corteo sara' anche quest'anno una
manifestazione di donne per le donne, definizione molto discussa in
assemblea per il rischio che possa essere letta come essenzialista, ma che
in realta' vuole ribadire l'autonomia di femministe e lesbiche, le
protagoniste di questa lotta, mentre altre soggettivita' che vorranno
partecipare troveranno la loro collocazione nella parte finale del corteo.
Per approfondimenti e aggiornamenti: flat.noblogs.org

2. LUTTI. GRACE HARTIGAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2008 col titolo "Grace
Hartigan, dal gesto di Pollock alle notti di poesia e pittura con Larry
Rivers"]

Grace Hartigan, esponente dell'Action painting, e' morta a Baltimora, a 86
anni. Amica e discepola di Jackson Pollock e Willem de Kooning, Hartigan era
la capofila della seconda generazione di artisti dell'espressionismo
astratto, che contribui' ad affermare tra gli anni '40 e '70, prefigurando
temi della pop art. Formatasi a Los Angeles, durante la seconda guerra
mondiale lavoro' come disegnatrice di strumenti meccanici in una fabbrica di
aeroplani, dipingendo nel tempo libero nature morte. Dal 1942 studio' con
l'artista Isaac Lane Muse e nel 1945 si trasferi' a New York, proprio quando
l'espressionismo astratto comincio' a dominare la scena. Qui l'incontro con
Gottlieb, Rothko, Pollock e de Kooning e poi con scrittori come Frank O'Hara
e artisti quali Larry Rivers. Sara' l'unica donna tra i 17 artisti scelti
per partecipare alla mostra "The New American Painting" del Moma di New
York: una rassegna itinerante che, tra il 1958 e il 1959, tocco' otto paesi
europei.

3. TESTIMONIANZE. TIZIANA BARTOLINI INTERVISTA NAYLA AYESH
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Nayla Ayesh" e il
sommario "Le donne possono fare la differenza, possono cambiare la
situazione. Nayla Ayesh e' la direttrice del Women's Affair Center, nella
striscia di Gaza"]

Copertine di "Al Ghaida": "Le donne possono fare la differenza, possono
cambiare la situazione". Ed e' su questa opportunita' che lavorano nella
striscia di Gaza le donne del Women's Affair Center. Nayla Ayesh e' la
direttrice del centro, aperto durante la prima Intifada anche con l'aiuto di
donne europee, e con sedi a Nablus e a Ramallah.
E' coraggiosa, Nayla, e la sua e' l'espressione forte e serena di una donna
la cui vita non e' mai stata facile. "Le donne palestinesi hanno giocato un
grande ruolo nella prima Intifada e da allora abbiamo cominciato a lavorare
affinche' si aprissero spazi pubblici nella politica e nella societa', non
solo a livello nazionale. Siamo partite dalla formazione e attraverso
l'empowerment abbiamo dato forza alle donne, rendendole veramente leader e
all'altezza di condividere le responsabilita' della vita pubblica. Non
volevamo che rimanessero in ombra, ricoprendo al massimo il ruolo di
segretarie".
Non porta il velo Nayla, neppure oggi che in quella fascia di terra con
Hamas soffia il vento dell'integralismo. "L'altra questione su cui ci siamo
concentrate e' quella economica. Le societa' tradizionali si basano sempre
sul controllo dell'uomo sulla donna e il modo piu' semplice per esercitare
questo controllo e' mantenere la dipendenza economica. Invece per aumentare
il loro potere dentro alla famiglia le donne devono essere economicamente
indipendenti. Il nostro Centro crede nella parita' tre uomini e donne nella
societa' palestinese e con questa consapevolezza abbiamo organizzato una
formazione mirata, sostenendo le donne nell'avvio di attivita' lavorative in
proprio. Abbiamo puntato sulla valorizzazione delle loro qualita' e
potenzialita'".
Sono neri gli occhi di Nayla, e sprigionano tutta la determinazione che
l'intelligenza femminile riesce a mettere a disposizione nelle situazioni ad
alto rischio. "Crediamo che le donne debbano impegnarsi in politica in modo
diretto e le sosteniamo sia per essere candidate sia per essere votate. Le
sollecitiamo ad interessarsi alla politica e ad essere protagoniste. E' vero
che per le donne palestinesi di politica e' sempre stata intessuta ogni
azione quotidiana ed e' vero che l'impegno civile non si esprime solo nei
partiti o nel parlamento, ma oggi la nostra speranza e' costruire una
societa' palestinese democratica e senza il coinvolgimento delle donne nel
condividere queste responsabilita' non e' possibile la democrazia".
E' una sognatrice Nayla, che vive in un luogo da cui non si esce e in cui
non si entra, prigioniera - come gli altri palestinesi - nella sua terra.
"Le donne possono portare dei cambiamenti nell'economia e nella politica, ma
occorre essere preparate. Per questo scopo abbiamo un progetto con cui
facciamo continuare nello studio le giovani, che possono essere parte del
nostro futuro. Le supportiamo e diamo loro la possibilita' di crescere
culturalmente, facciamo in modo che anche a Gaza sia superata l'idea che e'
inutile spendere soldi per far studiare le donne, destinate solo a sposarsi
e a fare figli".
E' tenace Nayla, che costruisce giorno per giorno l'idea di una solidarieta'
al femminile. "Anche le donne, le piu' anziane, non credono sia utile far
studiare le donne. Come gli uomini pensano che per fare figli e governare la
famiglia la scuola non serva. Al Centro lavoriamo con le giovani e con le
anziane cercando i linguaggi piu' adeguati per affrontare i problemi: un
modo efficace e' proiettare dei documentari e poi commentare gli argomenti
trattati. Lo abbiamo fatto sul tema dei matrimoni fatti in giovane eta'
affrontando con gli esperti gli aspetti psicologici e della salute fisica
delle madri e dei figli nati da queste giovani".
La disoccupazione a Gaza supera il 60%, l'assedio dell'esercito israeliano
impedisce lo scambio di qualsiasi tipo di merce, i generi di prima
necessita' scarseggiano. I palestinesi vivono in condizioni drammatiche, ma
Nayla - e tante altre donne con lei - non rinuncia a nutrire le menti.
"Nella striscia di Gaza abbiamo un giornale, "Al Ghaida", realizzato da
donne per le donne, con cui parliamo dei problemi delle donne, spieghiamo il
nostro lavoro e i risultati che otteniamo. E' importante valorizzare il
fatto che i risultati sono frutto del lavoro delle donne stesse. Non e'
stato facile, ma nel giornale abbiamo parlato della violenza sessuale e sui
minori che c'e' nelle famiglie".
Guarda al futuro, Nayla, in modo costruttivo. "Nei prossimi numeri
affronteremo il problema delle leggi per la famiglia e del peggiorare delle
condizioni di vita, paragonando il ruolo delle donne in Cisgiordania e a
Gaza. Non sono argomenti semplici da trattare e abbiamo problemi anche con
Hamas che non ha una mentalita' aperta e non condivide le nostre idee, ma
crediamo che questo giornale debba continuare a parlare alle donne". Si',
Nayla, lo crediamo anche noi.

4. MEMORIA. SANDRA TERONI: SIMONE DE BEAUVOIR, IL CASTORO TRA DUE FUOCHI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 ottobre 2008 col titolo "Il Castoro
tra due fuochi", il sommario "Mondi lontani, ricomposti nella scrittura.
Pubblichiamo una sintesi dell'intervento preparato dalla organizzatrice del
convegno 'Simone de Beauvoir 1908-2008', che si inaugura oggi a Firenze con
la partecipazione di Rossana Rossanda. Dai numerosi scritti intimi
pubblicati in Francia, la conferma di un appassionante intreccio fra il
vissuto esistenziale, l'inventiva romanzesca, l'elaborazione teorica" e la
nota informativa "Un convegno. Simone de Beauvoir in due giorni a Firenze.
Oggi a Firenze, all'Institut francais de Florence Piazza Ognissanti 2, alle
ore 16 avra' inizio il convegno intitolato 'Una scrittura, un pensiero'. A
inaugurare i lavori Bernard Micaud, presiede Giovanna Angeli. Interverranno
la scrittrice Daniele Sallenave con una relazione titolata 'Castor de
guerre', Eliane Lecarme-Tabone, che parlera' dei saggi e dell'autobiografia
di Simone de Beauvoir, Maria Teresa Giaveri, con la relazione 'Memorie di
una ragazza che mette in ordine i suoi ricordi', Gabriella Paolucci con un
lavoro intitolato 'Dominio maschile e complicita' femminile: tra Simone de
Beauvoir e Pierre Bourdieu'. La sera Madeleine Gobeil presentera' il
film-intervista da lei realizzato con Claude Lanzmann. Nella giornata di
sabato, all'Educatorio del Fuligno in via Faenza 48, alle ore 9,30 ci sara'
una tavola rotonda sul 'Secondo sesso' oggi, che verra' coordinata da Sandra
Teroni e alla quale interverranno Rossana Rossanda, Dacia Maraini, Anna
Scattino, Simona Argentieri, Francesca Moccagatta, Mercedes Frias. Nata a
Parigi il 9 gennaio 1908 nel 1929 Simone de Beauvoir incontro' Jean-Paul
Sartre, suo compagno in un lungo e complesso rapporto di condivisione
sentimentale e intellettuale. Dopo lo scandalo legato alla pubblicazione del
Secondo sesso, gli anni '50 videro la sua consacrazione come scrittrice: nel
1954 ricevette il Goncourt per I mandarini e nel 1958 pubblico' Memorie di
una ragazza perbene. L'importanza del suo pensiero per la teoria femminista
e' stata rivalutata negli ultimi anni grazie a studi come Simone de
Beauvoir, Philosophy, and Feminism, di Nancy Bauer (Columbia U. P. 2001) e,
soprattutto, Simone de Beauvoir: The Making of an Intellectual Woman (Oxford
U.P. 2008, 30 sterline) di Toril Moi"]

Che sia stata programmata o che sia sfuggita di mano, l'abbondante
pubblicizzazione della scrittura privata seguita alla morte di Simone de
Beauvoir - quella dei Diari contenuta nel Journal de guerre (septembre
1939 - janvier 1940) e i Cahiers de jeunesse (1926-1930), nonche' alcune
corpose corrispondenze come i due volumi di lettere a Sartre, la
Correspondance croisee (1937-1940) con Jacques-Laurent Bost e le Lettres a'
Nelson Algren - non puo' mancare, almeno nel breve termine, di incidere
sull'immagine della scrittrice e sul nostro stesso modo di accostarci a lei.
La grande stampa, naturalmente, lo ha fatto in modo rozzo, brutale e
scandalistico, spostando l'attenzione da contenuti che ancora oggi vengono
avvertiti come disturbanti oltre che retro, al gossip sugli atteggiamenti
nelle relazioni amorose, sulla passionalita' nascosta, sul bel corpo nudo
improvvisamente rivelato dalla copertina del "Nouvel Observateur" del 3
gennaio scorso, accanto al titolo "Simone de Beauvoir la scandaleuse".
*
Un'altra costruzione di se'
Uno sguardo non malintenzionato e non ideologicamente interessato trova
invece in questa profusione di scritti "intimi" la conferma
dell'appassionante intreccio fra il vissuto esistenziale, l'inventiva
romanzesca, l'elaborazione teorica, il racconto autobiografico; e vi trova,
insieme, la conferma della funzione riparativa e costruttiva di se' che ha
avuto la scrittura; di come, proprio per queste sue funzioni, il lavoro
della creazione letteraria contribuisca a dare consistenza e verita' alla
riflessione critico-teorica; e di come l'autobiografia, lungi dal garantire
una maggiore "verita'", sia ancora un'altra costruzione di se' e proponga un
modello di vita in armonia con i valori del saggio.
Una lettura incrociata aiuta dunque a fare luce su quello che e' sempre
sembrato il paradosso del Secondo sesso: il fatto che la spietata analisi
della condizione femminile fosse realizzata dalla scrittura di una donna che
di questa condizione dichiarava di non avere mai sofferto, e per di piu' nel
momento in cui era felicemente innamorata. Solo in maniera indiretta e
allusiva il racconto delle Memorie (La forza delle cose) mette in relazione
l'idea di scrivere un libro sulla condizione femminile con la profonda crisi
che si verifico' nel rapporto con Sartre quando lui, al ritorno dal suo
secondo viaggio in America, nel marzo del '46, chiari' l'importanza che
aveva assunto la sua relazione con Dolores Vanetti, conosciuta nel corso del
viaggio precedente. Non era uno dei tanti amori "contingenti", e per la
prima volta Simone aveva posto quella "domanda pericolosa": a chi tenete di
piu', a lei o a me?, ricevendo una risposta inquietante, una risposta che
"rimetteva in discussione tutto l'avvenire". Lui parlo' di fraintendimento,
poi si ammalo' di orecchioni.
A quasi venti anni di distanza, il racconto di lei si arena in un secco
resoconto del quotidiano affidato a vecchie pagine di diario. La narrazione,
come al solito molto riservata, segnala suo malgrado l'entita' della ferita.
E' in questo contesto che si situano la nascita del desiderio autobiografico
e insieme l'interrogativo, fino a quel momento eluso, su che cosa significa
essere donna: "Guardai ed ebbi una rivelazione". Il racconto della propria
storia personale sarebbe stato preceduto da uno studio sulla condizione
della donna, a cominciare dai miti della femminilita'.
Nel gennaio dell'anno successivo Beauvoir parti' a sua volta per gli Stati
Uniti con un nutrito programma di conferenze, e li' incontro' lo scrittore
Nelson Algren, piu' o meno comunista e proletario, che viveva a Chicago in
un sordido quartiere fra drogati, ladri e prostitute, serate di poker e
solitudine. Le lettere ad Algren (appassionante lettura, nell'ottima
traduzione dall'inglese di Sylvie Le Bon de Beauvoir, che riferisce
l'intenzione di Simone di tradurre personalmente e pubblicare il carteggio),
non solo permettono di seguire la gestazione del libro (come non manca di
sottolineare Eliane Lecarme-Tabone in un recentissimo commento al Deuxieme
sexe nella collana "foliotheque" di Gallimard), ma illuminano di una nuova
luce questa gestazione, collocandola in pieno nella stupefacente rivelazione
della "follia" dell'amore. Un amore mai conosciuto prima, un amore completo,
di "corpo, cuore, anima", un amore che fin dall'inizio si accompagno' al
desiderio del "per sempre" e del "far tutt'uno", alla fantasia della vita
coniugale (lui e' subito l'"amatissimo marito" e lei vagheggia di stargli
accanto come una "moglie amorosa"), alla sofferenza della separazione, al
fantasma della perdita. Un amore che riempiva di gratitudine e sollecitava
la dedizione, che travolgeva e spaventava Simone de Beauvoir: perche' le
fece scoprire quella vena della propria femminilita' che la riempiva di
gioia e di orgoglio, ma anche quella regressiva che le faceva dire
sciocchezze e compiere bambinaggini; perche' portava allo scoperto le
fragilita' sotto la costruzione di un io ragionevole, l'umiliazione della
gelosia, il piacere amaro delle lacrime; perche' rivelava la dipendenza che
viene a crearsi ogni qualvolta la propria felicita' e' nelle mani
dell'altro; perche' introduceva la contraddizione in un universo di valori
autenticamente sentiti come tali ("E la guerra dei sessi? La liberta' in
amore? L'amore libero? Le concezioni progressiste?", si chiedeva Simone fra
autoironica e inquieta).
*
I prezzi pagati alla felicita'
Ma sapeva anche che il dono di se' si scontra con un limite invalicabile
rappresentato dalla determinazione a difendere le proprie scelte fondanti:
la scrittura, con cui aveva identificato la sua vita e la sua liberta'; e il
sodalizio con Sartre. E lo reso chiaro a Nelson Algren fin da subito, con la
lucidita' e il coraggio che la contraddistinguevano, sull'aereo che la
riportava a Parigi dopo il primo incontro. Poi di nuovo glielo spiego' con
amore e con fermezza dopo che lui, al termine di due mesi trascorsi insieme,
le propose di sposarlo. La non facile risoluzione del conflitto interno
scopri' il punto nevralgico: Algren aveva bisogno di una relazione stabile,
che gli desse contenimento e sicurezza, lei sapeva ormai che prima o poi lo
avrebbe perduto. Ma sapeva anche che il prezzo pagato alla "felicita'"
avrebbe comportato un tale sacrificio della propria identita' che la
felicita' stessa sarebbe stata illusoria. La sua proposta di condividere
lungi momenti della vita senza alienarsi l'uno nell'altro, era troppo
radicale anche per uno scrittore americano anticonformista.
Cosi', pure a Simone de Beauvoir - che diceva, e ripeteva, di essere stata
personalmente immune dagli svantaggi della condizione femminile - tocco'
sperimentare gli ostacoli che le donne, quand'anche emancipate, incontrano
nel conciliare vita affettiva e liberta'; la necessita' della vigilanza nei
confronti del desiderio, non solo di quello maschile ma anche del proprio.
"La forza e talvolta la grandezza delle donne e' una forma di resistenza
alla quale esse sono costrette, quando hanno capito che, altrimenti, tutto
e' perduto" - replica Daniele Sallenave nella sua bella biografia Castor de
guerre (Gallimard 2008) a chi ha voluto leggere in questa conclusione una
banale storia di resa. La forza e la forma di resistenza del Castoro - cosi'
"tanto affettuosamente quanto impietosamente Sartre e gli altri suoi
creativi amici la chiamavano", scrive Rossana Rossanda - stanno nella
scrittura, punto cardine di una creazione di se': come testimonia in presa
diretta il diario giovanile prima ancora del racconto retrospettivo della
"ragazza perbene". Il viaggio in America interruppe il lavoro sulla
condizione della donna, ne arricchi' le prospettive e i problemi
introducendovi le questioni relative alla emancipazione femminile pagata al
prezzo dell'alienazione e il raffronto con la questione razziale, ma la
indusse anche a un'altra dilazione, un po' realizzando un immaginario
prolungamento del suo legame con questo paese, un po' portandola a prenderne
le distanze, attraverso una scrittura personale e riflessiva. Sotto la forma
del diario di viaggio ricostituito a posteriori - in cui amalgama i suoi due
primi soggiorni americani - Simone de Beauvoir scrisse L'Amerique au jour le
jour, in cui racconta il suo impatto di fascinazione e irritazione, di
entusiasmo e delusione, tra le cui pagine niente trapela della stupefacente
storia d'amore che ha incontrato. Poi, dai primi di gennaio del '48,
riprende il manoscritto abbandonato, lo rilegge, accoglie il suggerimento di
Sartre di fondare la sua riflessione su una ricerca storica e antropologica,
precisa il disegno d'insieme estendendolo alle forme di mistificazione a cui
la donna e' condannata e si condanna.
*
Sulla minaccia identitaria
Seppur controllate e reticenti, le Memorie completano il quadro di questi
due anni cruciali e dicono quello che non possono dire le lettere sul ruolo
svolto dal turbolento andamento della relazione di Sartre con Dolores e
sulle sue pesanti interferenze: come quando, nel corso del primo viaggio,
lui le chiese di ritardare il ritorno perche' Dolores prolungava il suo
soggiorno a Parigi, e ciononostante lei la trovo' ancora li' e per evitare
tensioni si trasferi' temporaneamente fuori citta', con Sartre che andava su
e giu' dividendosi tra le due, tra rimorsi e ambiguita'; "passai due mesi
angosciosi", e' l'ellittico commento. O come quando, l'anno dopo, lei
dimezzo' il suo viaggio con Nelson Algren perche' Dolores non voleva piu'
passare le vacanze con Sartre. La dipendenza amorosa era di fatto duplice.
L'amatissimo Castoro era infatti presa tra due fuochi.
La minaccia identitaria, che prese corpo nel profondo smarrimento di fronte
alla crepa di un rapporto che non poteva averne, conferi' un fondamento
inquietante, vertiginoso, alle domande "chi sono io" e "che cos'e' una
donna". E questi interrogativi fecero riemergere quelli degli anni
giovanili, su come sia facile perdersi: nei ruoli sociali, nell'amore, nelle
false immagini di se', in infinite condotte di fuga. Gli smarrimenti
personali, affidati ai Cahiers proprio per trasformarli, le donne "truccate"
(cioe' mistificate nella ricerca di se') dei primi romanzi (in particolare
di quello rimasto nel cassetto, Quand prime le spirituel) e tutte quelle
frequentate, osservate, amate, detestate e sopportate: tutto questo trova
accoglienza nelle pagine del libro e nella sua conclusione che la salvezza o
e' collettiva o e' illusoria. Senza esclusioni.
*
Nella forma di un romanzo
La scrittura del saggio non esaurisce tuttavia l'elaborazione del lutto:
quando il lavoro volge a termine il Castoro comincia a pensare - e a
realizzare subito dopo la partenza di Algren da Parigi, nel '49 - la storia
di quei due anni trasponendola in un romanzo: si intitolera' Les Mandarins e
sara' come un dono che gli offre (lo chiama "il vostro libro") e che gli
dedica. Nel vasto spazio dell'immaginario, e nello spazio contenuto del
libro, era possibile ricomporre simbolicamente quei due mondi divisi -
divisi e diversi - che aveva pensato di poter conciliare. La trasposizione
comporta l'adozione di due punti di vista alternati: quello di una donna,
psicoanalista, che parla in prima persona e vive un grande amore
transatlantico, e quello di uno scrittore che s'interroga sul senso della
scrittura in un mondo che sembra aver perso senso. "Voglio tutto dalla
vita - si legge in uno dei primi sintetici autoritratti per Algren - essere
una donna e anche un uomo...".

5. RIFLESSIONE. ILARIA TRONCACCI: RIFLESSIONI SU "LA SERATA A COLONO" DI
ELSA MORANTE
[Ringraziamo Ilaria Troncacci (per contatti: crazyi85 at hotmail.com) per
averci messo a disposizione il seguente saggio dal titolo originale "La
serata a Colono. Elsa Morante e il Postmoderno", nato come lavoro in ambito
universitario per un corso di teoria della letteratura]

La raccolta Il mondo salvato dai ragazzini acquisisce all'interno
dell'intera opera della Morante una posizione centrale, che e' insieme di
continuita' e rottura.
Viene pubblicato per la prima volta nel 1968, anno denso di avvenimenti
storici, e biografici per l'autrice, oltre che di sconvolgimenti che
avrebbero fatto epoca. La stesura di questo testo accompagna l'autrice per
tutti gli anni Sessanta ed e' quindi inevitabilmente frutto di esperienze
collettive e personali particolarmente orientate ad un'attivita' artistica
piu' vicina alla societa' e alla realta' storica. Con quest'opera la Morante
sembra abbandonare il "paradiso" seppure imperfetto de L'isola di Arturo, e
scende piu' apertamente nella storia, continuando su questa via il suo
dialogo sul rapporto tra letteratura e realta', tradizione e futuro.
Preso nella sua globalita' questo testo offre interessanti connotazioni
leggibili in chiave postmoderna. E' infatti quasi del tutto impossibile
definire con precisione a quale tipo di testo ci troviamo davanti, la
definizione di raccolta poetica e' forse la piu' vicina anche se non del
tutto appropriata. La sua impostazione sembra continuamente sfuggire ad
un'identificazione riconducibile al tradizionale sistema di generi. Inoltre
la raccolta sembra vivere all'interno dell'iter creativo dell'autrice come
un microcosmo autonomo, specchio, descrizione e perno centrale del suo
intero corpus letterario.
Come centro concettuale di questa opera ho individuato l'unico testo
teatrale composto dalla Morante, "La Serata a Colono". A mio avviso questo
testo svolge all'interno della raccolta il ruolo svolto dalla raccolta
stessa nell'insieme delle opere dell'autrice.
Innanzitutto la posizione che occupa all'interno della raccolta sembra
appositamente adibita a far da ponte tra tradizione ed innovazione. Nella
sezione precedente, "L'Addio", Elsa Morante da' prova di capacita' liriche
molto vicine per stile e contenuti alla sensibilita' della tradizione. Nella
sezione finale "Canzoni Popolari" rompe invece ogni legame con il consueto o
il "gia' visto". Si sperimenta con contenuti, linguaggi e forme testuali
molto vicine alle posizioni futuriste ed avanguardiste. La sezione centrale
invece, "La commedia chimica" di cui La serata a Colono e' il componimento
piu' ampio, viene ad essere la sede del dialogo e del confronto critico e
dinamico con la tradizione, quindi squisitamente postmoderna.
Il dialogo, come si vedra', e' prettamente volto al superamento della
staticita' e delle ristrettezze della memoria letteraria, ma e' anche
avvinto dal fascino e dall'autorita' che ancora questa tradizione esercita.
In questo testo il tema del rapporto/superamento della tradizione si palesa
gia' nel titolo, che richiama apertamente la tragedia di Sofocle.
La scelta stessa della tragedia presa in analisi, ci da' un'idea di quanto
la volonta' di andare oltre il gia' detto sia forte. La scelta cade infatti
sull'Edipo a Colono, la meno fortunata della trilogia. L'Antigone e l'Edipo
re, infatti, sono probabilmente le tragedie che vantano il piu' ampio numero
di trasposizioni e rappresentazioni, meno fortuna ha avuto invece l'opera
ripresa dalla Morante.
Ancora nel titolo troviamo il primo elemento di totale rottura. In questa
sede fa infatti la sua comparsa la descrizione di cio' che stiamo per
leggere, forse cio' che meno il lettore puo' aspettarsi da una rilettura di
una tragedia della tradizione classica: Parodia. Il termine che solo
apparentemente lega con il titolo della sezione ("Commedia chimica") taglia
invece i ponti con tutto il conosciuto finora. Non solo non elimina la
contraddizione implicita nell'accostamento commedia-tragedia, ma apre la
strada ad uno dei laboratori che attraversano l'intera opera della Morante
rompendo con qualsiasi definizione antecedente.
Parodia, che nel suo senso etimologico equivale a "canto parallelo" o "canto
vicino", nelle opere di Elsa Morante perde la sua connotazione comica e
grottesca, mantenendo pero' la funzione dell'"abbassamento" stilistico
proprio del genere (lo stesso Edipo, nonostante il linguaggio forbito, non
eguaglia certo il suo prototipo classico). Nel farsi carico di tutte le
tematiche proprie del canto ad essa parallelo, la parodia rielabora i
contenuti fino a definire una vera e propria autonomia di pensiero, una
filosofia del parodico, che da' del letterario (e attraverso questo, anche
del reale) una propria interpretazione. La grandezza della Morante nell'uso
della parodia sta, secondo il mio punto di vista, proprio nel riuscire ad
abbassare il livello, facendo nascere da questa infima collocazione una
risposta forte ed autorevole, abbastanza da far concorrenza alla tragedia e
quindi alla tradizione.
Per quanto riguarda invece la struttura narrativa, anche qui troviamo
continui scontri tra cio' che e' superato e cio' che torna. Il coro, ad
esempio, che nella tragedia greca definisce il senso comune e delinea regole
condivise da un ampio tessuto sociale, e' nel testo della Serata a Colono,
un insieme di frasi sconnesse e sgrammaticate farcite di citazioni che
decontestualizzate perdono completamente il proprio valore. In questo caso
mi sembra che l'autrice assuma una posizione doppia. Il coro continua
infatti ad essere testimonianza del senso comune, ma e' un senso comune
stordito, allucinato e impazzito. Un coro che perfettamente ritrae l'idea
dell'autrice della modernita', la percezione di una massa colma di
sentimenti nostalgici e infruttuosi, persa dietro a riferimenti ormai privi
di significato, completamente fuori dal comprensibile perche' immersi nella
storia e legati ad un passato ormai senza significato. Di nuovo l'autrice si
serve di una struttura classica per ribaltarne completamente il senso.
Gli stessi personaggi, analizzati singolarmente e nelle relazioni che tra
essi intercorrono, potrebbero rappresentare un manifesto del postmoderno
visto attraverso l'opera della Morante.
Antigone su tutti perde la sacralita' della dimensione tragica. Viene
presentata come una "ragazzina selvatica e tremante sui 14 anni, pero' poco
sviluppata per la sua eta'", parla un dialetto che poco si addice all'eroina
piu' celebrata dalla tradizione classica, un dialetto centromeridionale.
Questo tipo di dialetto nasconde, nell'intento dell'autrice, una
personalita' limpida, pura in ogni aspetto, cosi' cristallina da non poter
essere in alcun modo entrata in contatto con il mondo. Antigone infatti vive
nell'incomprensione totale dei deliri paterni, non comprendendone i gesti
insani o le intenzioni, ma subendo senza possibilita' di fuga la "malattia"
paterna.
Come molti dei personaggi femminili della Morante, Antigone e' una figura
metastorica, impermeabile alle problematiche che affliggono la societa', e
completamente incapace di modificare alcunche'. In questi due aspetti e' da
cercare la grandezza e la debolezza di questo personaggio. Antigone e'
completamente pura ed innocente, in quanto i mali del mondo non la
riguardano, i vaniloqui del padre provocano in lei pieta', ma non
comprensione o "compassione" nel senso latino del termine. Ella non puo'
quindi sentire cio' che sente il padre, puo' esserne solo l'impotente
spettatrice. Nel momento in cui lei divenisse in qualche modo capace di
intervenire diverrebbe come Edipo. Edipo infatti e' reso folle dalla propria
consapevolezza. Edipo e' nella storia, cosciente di cio' che questo
comporta, capisce la propria colpa e si odia. Riversa contro di se' quel
furore cieco, che nella tragedia greca egli rivolge allo sconosciuto
assassino di Laio, prima di scoprire la verita'. La scoperta in questo caso
e' la colpa stessa di Edipo, che razionalmente consapevole di cio' che vive
non puo' che farsene carico. Egli e' la storia, quindi e' colpevole.
Nel rapporto tra padre e figlia vediamo ancora una volta come il contrasto
tra memoria e futuro, realta' e letteratura, tradizione e innovazione, siano
centrali nella scrittura dell'autrice.
Di nuovo la lingua e' indizio imprescindibile di un'analisi che porti
connotazioni spiccatamente postmoderne. Antigone, con il suo linguaggio
dialettale reso in modo perfettamente sgrammaticato, mostra la volonta' di
sovvertire un ordine oramai troppo stretto. Edipo invece con il suo
linguaggio forbito tiene il legame con la tradizione. Le citazioni di cui i
suoi monologhi sono infarciti, sono l'elemento denotativo di un'attenzione
particolareggiata a quanto gia' scritto o gia' detto, ma l'uso improprio
(dato che citazioni dotte sono messe nella bocca di un pazzo in preda ad
allucinazioni) ne denota ancora una volta la volonta' di cambiamento e
l'inadeguatezza a descrivere un mondo oramai profondamente mutato.
Ancor piu' interessante e' notare come a livello di contenuti la Morante si
lasci andare a derive proprie anche in questo caso della tendenza
postmoderna.
Faccio riferimento alla coppia Letteratura-Realta'. In merito alla raccolta
Il mondo salvato dai ragazzini, Pasolini scriveva: "un manifesto politico
scritto con la grazia della favola, con umorismo, con gioia [...] ed e'
dunque arduo per un lettore e un critico comprendere come, invece, il fondo
di questo libro sia atrocemente funebre, e contenga tutte le ossessioni del
mondo moderno". Queste righe sono facilmente riconducibili alla specificita'
del testo preso in analisi.
I riferimenti alla realta' nelle opere della Morante non sono mai manifesto
palese ma sempre discreto, mascherato. Come annota in uno dei suoi
manoscritti "non si deve dire tutto", e molto e' lasciato infatti alla
capacita' critica del lettore. In questo caso pero' il rapporto tra realta'
e letteratura scorre tra le righe assieme al rapporto tra i protagonisti.
Antigone e' realta' (nella finzione dell'opera), e' lucida, interpreta i
discorsi del padre come allucinazioni, in quanto non puo' comprenderli, e'
serena nella sua semplicita'. Ma e' allo stesso tempo finzione in quanto
immobile in una dimensione astorica, tale purezza e' possibile solo nella
finzione, solo la letteratura puo' creare un'immagine cosi' cristallina.
Solo rimanendo fuori della storia, lontana dalla realta', la letteratura
puo' vivere la sua integrita'. Ma e' pur vero che come Antigone la
letteratura subisce inerme cio' che accade attorno. Allora l'alternativa e'
data da Edipo che e' allo stesso tempo finzione in quanto vive in un mondo
di allucinazioni inesistenti, e personaggio reale. Complice della storia,
impuro, sporcato dal suo contatto con la realta'. Egli opera nella storia,
per questo non ha possibilita' di salvezza. Cosi' la letteratura perde il
suo potere a contatto con la realta' e si disgrega.
Quindi ci troviamo di fronte ad un enigma senza soluzione. La letteratura e'
incapace di agire nella realta' senza diventarne complice, ma non agendo ne
rimane vittima innocente.
Cosi' l'autrice, incapace di preservarsi totalmente inconsapevole va ad
infoltire la schiera di infelici. I "felici pochi", potrebbero quindi
potenzialmente salvare il mondo, ma la stessa autrice prospetta questa
eventualita' piu' come un augurio o una speranza piuttosto che come una vera
alternativa.
Se una soluzione c'e', l'autrice non ce ne mette a conoscenza.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 220 del 20 novembre 2008

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