Minime. 642



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 642 del 17 novembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Attilio Bolzoni: La sfida di Danilo Dolci
2. Eugenia Diponti: Etiopia oggi
3. Salvo Palazzolo: Poliziotti all'Universita' a lezione di nonviolenza
(2003)
4. Giuliano Battiston intervista Adam Michnik
5. Tommaso Di Francesco intervista Predrag Matvejevic
6. Pietro Polito presenta "La non-violence expliquee' a' mes filles" di
Jacques Semelin
7. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
8. L'Agenda dell'antimafia 2009
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. ATTILIO BOLZONI: LA SFIDA DI DANILO DOLCI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 29 gennaio 2006 col titolo
"Cinquant'anni fa la sfida di Danilo Dolci"]

Partinico. E' ancora senza nome questa strada che dal paese scende fino al
mare. Ripida nel primo tratto, poi va giu' dolcemente con le sue curve che
sfiorano alberi di pesco e di albicocco, passa sotto due ponti, scavalca la
ferrovia. L'hanno asfaltata appena una decina di anni fa, prima era un
sentiero, una delle tante regie trazzere borboniche che attraversano la
campagna siciliana. E' lunga otto chilometri, un giorno forse la chiameranno
via dello Sciopero alla Rovescia.
Siamo sul ciglio di questa strada di Partinico mezzo secolo dopo quel 2
febbraio del '56, la stiamo percorrendo sulle tracce di un uomo che sapeva
inventare il futuro. Era un irregolare Danilo Dolci, uno di confine. Quella
mattina erano quasi in mille qui sul sentiero e in mezzo al fango, inverno
freddo, era caduta anche la neve sullo spuntone tagliente dello Jato. I
pescatori venivano da Trappeto e i contadini dalle valli intorno, c'erano
sindacalisti, allevatori, tanti disoccupati. E in fondo quegli altri, gli
"sbirri" mandati da Palermo, pronti a caricare e a portarseli via quelli
li'. Volevano rimetterla in sesto loro la strada accidentata e abbandonata,
volevano far capire a tutti che si poteva fare, e avere anche un lavoro per
portare a casa il pane. Era lo Sciopero alla Rovescia.
A capo della rivolta c'era un utopista di mestiere che era sociologo,
architetto, pedagogo, filosofo, antropologo, che era pacifista e musicista e
agitatore sociale, scrittore, giornalista, poeta. C'era Danilo a farsi
trascinare a forza dai carabinieri, che poi lo cacciarono dentro
l'Ucciardone con altri sei compagni. Era calato nella Sicilia infelice degli
anni Cinquanta per dare voce a chi non l'aveva mai avuta, il triestino
sognatore, e comincio' una straordinaria avventura nell'isola piu' sporca e
cattiva del Mediterraneo.
I capi di imputazione furono tre. Articolo 341 del codice penale: resistenza
e oltraggio a pubblico ufficiale. Articolo 415: istigazione a disobbedire
alle leggi. Articolo 633: invasione di terreni. All'Ucciardone passo' quasi
due mesi, poi il consigliere istruttore Marcataio lo rinvio' a giudizio:
"Nonostante le precedenti diffide, il Dolci e gli altri imputati hanno
persistito nella loro attivita' criminosa organizzando l'arbitraria
invasione di una trazzera demaniale... tale condotta e le condizioni di vita
individuale e sociale del Dolci sono manifesti indici di una spiccata
capacita' a delinquere". Il processo fu il suo palcoscenico. Sfilo' in aula
come teste a difesa Carlo Levi. E poi Elio Vittorini, che al Tribunale si
rivolse cosi': "Sono siciliano e so che questa regione e' una specie di
India, vi e' del fatalismo e vi sono delle caste, uomini come Dolci ce ne
vorrebbero molti in Sicilia". Le arringhe furono affidate a Piero
Calamandrei e a un giovanissimo Nino Sorgi, l'avvocato palermitano delle
cause nobili. La stampa nazionale e internazionale scopri' "il Gandhi del
Sud" che aveva scelto di stare tra i derelitti. Ci fu pero' sentenza di
condanna: 50 giorni di reclusione. La sua vicenda giudiziaria fu raccolta in
un libro edito da Einaudi, Processo all'articolo 4, il diritto di tutti i
cittadini al lavoro sancito dalla Costituzione.
Oggi e' rimasto vivo solo uno di quei sette arrestati del 2 febbraio '56,
allora aveva vent'anni. Si chiama Gaetano Ferrante, e' il direttore del
dipartimento di fisica dell'Universita' di Palermo. Dopo le battaglie con
Danilo emigro' in Unione Sovietica, laurea a Mosca, il ritorno in Sicilia.
Racconta: "Dovevamo dimostrare che si poteva rendere transitabile la strada,
era l'occasione per offrire lavoro ai disperati". Scava nella memoria:
"Quella sera ci portarono prima alla caserma Carini, alle spalle del teatro
Massimo. C'erano anche due sindacalisti con noi, Salvatore Termini e Ignazio
Speciale. Avevano appena fatto una retata di prostitute, c'era freddo e le
coperte erano poche, solo la mattina dopo ci trasferirono all'Ucciardone,
dove erano rinchiusi alcuni banditi". I banditi di un'isola che si sognava
indipendentista e stella della bandiera americana, i superstiti di un
movimento per la "liberazione" della Sicilia che era impasto di miseria e
grandezza, di Stato e di mafia. Ricorda Ferrante: "I banditi ci accolsero
bene all'Ucciardone, ci continuavano a chiedere: 'Quando ci liberate, quando
ci liberate?'. Ci riconoscevano come rivoluzionari, Danilo in quel momento
era una speranza anche per loro".
Lo Sciopero alla Rovescia sulla regia trazzera di Partinico segno' la svolta
per Dolci, ormai oggetto di culto di un'Italia progressista. Con lui si
schierarono La Pira, Piovene, Guttuso, Zevi, Bertrand Russell, Moravia,
Bobbio e Zavattini, Silone, Sellerio, Lucio Lombardo Radice e Aldo Capitini,
Paolo Sylos Sabini, Eric Fromm, Johan Galtung, Sartre. E Jean Piaget, che
negli anni seguenti lo propose per cinque volte - senza esito - per il Nobel
per la Pace. A tutti loro confessava: "Io sono un utopista che cerca di
tradurre l'utopia in progetto, non mi domando se e' facile o difficile, ma
se e' necessario o no".
*
Nel sud estremo cambio' la vita a molti. In Sicilia c'era stato da bambino,
quando suo padre Enrico era capostazione proprio a Trappeto. E vi aveva
fatto ritorno nel '52 dopo aver lasciato Nomadelfia, il campo di
concentramento nazifascista di Fossoli che don Zeno Saltini aveva
trasformato in una comunita' per i bimbi sbandati della guerra. Arrivato a
Trappeto fondo' il suo primo centro, il Borgo di Dio. C'era fame, i
contadini andavano a lavorare "da scuro a scuro" - da prima dell'alba a dopo
il tramonto - e si incontravano in quei territori urbani che Danilo chiamava
"omili", i porcili dove vivevano gli uomini. A Partinico, ce n'era uno a
Spine Sante.
Siamo passati anche da li', cinquant'anni dopo. Da via Pellerito, via della
Vite, via Malagrino', via Caminito. Ci sono ancora i resti di quei tuguri
agli spigoli di qualche vicolo, tane, antri dove abitavano 390 famiglie
senza acqua e senza fogne e senza luce. Il suo primo digiuno lo comincio' il
14 ottobre del 1952, il giorno che il figlio di Giustina se ne ando'. "Mia
madre mi ha raccontato che il neonato mori' di inedia, quando provarono a
dargli qualche goccia di latte non aveva piu' neanche la forza di
deglutire", ci ricorda Giuseppe Casarrubea, uno dei tanti ai quali Danilo ha
mutato l'esistenza, storico, quattro libri sulla strage di Portella della
Ginestra e il padre ammazzato nel '47 negli assalti alle Camere del Lavoro
della banda Giuliano.
In uno degli "omili" di Partinico, Danilo ha conosciuto Vincenzina che era
rimasta vedova con i suoi cinque figli. L'ha sposata. E da lei ha avuto
altri cinque figli: Amico, Cielo, Chiara, Libera e Daniela. La sua vita
ormai era la', tra gli ultimi.
Un suo allievo e' diventato anche suo studioso, e' Salvatore Costantino,
professore di sociologia, nato a Partinico come Ferrante e come Casarrubea.
Descrive il suo paese in quegli anni: "Prima di lui non si era mai sentito
parlare di Partinico, poi lo conoscevano in tutto il mondo: Danilo ha avuto
la grande intelligenza di accendere i riflettori su un angolo di Sicilia
dove si moriva di fame".
*
Il filo diretto con gli intellettuali europei, imputato in 26 processi,
irruente, fantasioso, a volte insofferente e autoritario, una personalita'
straripante che con la sua "resistenza disarmata" fece alzare finalmente la
testa alla Sicilia. E porto' a 170.000 abitanti l'utopia: l' acqua.
Diceva che la Sicilia era assetata di "acqua democratica", fu la grande
battaglia per la diga sullo Jato. Assemblee nelle valli, la paura delle
ritorsioni dei capibastone come i Fleres e i Coppola, i campi sempre piu'
arsi fino a quando seimila contadini si ritrovarono al suo fianco. Quei mesi
li ricostruisce Benedetto Zenone, che ai tempi era appena un ragazzo:
"Sosteneva che avevamo bisogno dell'acqua democratica e non dell'acqua di
mafia che vendevano i boss, l'intuizione della diga fu di un contadino,
Natale Russo, che un giorno sussurro' a Danilo: 'Ci vorrebbe un bacile, un
recipiente'. Cosi' Danilo trasformo' l'intuizione in progetto". C'era un
piccolo fiume che scendeva dalle rocce di San Giuseppe e buttava la sua
acqua in mare. Dopo marce e digiuni la diga sullo Jato si comincio' a
costruire, nel '63.
E' ancora li', maestosa, incastrata in una gola. A vederla lassu', il
professor Casarrubea si commuove: "Questa diga non ha solo cambiato il
sistema produttivo, ha cambiato le nostre teste, ci ha fatto diventare
migliori".
*
Poi venne il terremoto nel Belice, la notte tra il 14 e il 15 gennaio del
'68 ventidue paesi siciliani furono rasi al suolo. Due anni dopo in
centomila erano ancora nelle tende e nelle baracche. Danilo invento'
un'altra delle sue proteste, a Partinico nacque la prima radio libera
d'Italia. Due suoi compagni si asserragliarono nel centro studi, la voce
della rivolta si diffuse per 27 ore ininterrotte: "Sos, qui parlano i poveri
cristi della Sicilia occidentale attraverso la radio della nuova
resistenza... Sos". Uno dei due compagni che il 25 marzo del '70 si blindo'
la' dentro era Pino Lombardo: "Fu un'operazione segretissima, venne un
giudice di cui non ho mai saputo il nome a far funzionare la radio, un
muratore monto' l'antenna sul tetto mezz'ora prima dell'inizio delle
trasmissioni, con Franco Alasia siamo rimasti chiusi fino all'irruzione di
polizia".
*
L'ultima parte della sua vita Danilo Dolci - che e' morto a 73 anni nel
1997 - l'ha dedicata all'educazione. Ha voluto una scuola sperimentale per i
bimbi della sua Sicilia. Amico, il figlio flautista, ci accompagna a Mirto.
La scuola e' nascosta tra gli ulivi. Ci sono 240 bambini delle materne e
delle primarie, c'e' uno stagno con le rane, ci sono i fiori, gli insetti,
c'e' la montagna con i suoi odori. Amico sorride e dice: "Questi sono
bambini fortunati".

2. MONDO. EUGENIA DIPONTI: ETIOPIA OGGI
[Ringraziamo Eugenia Diponti per questo intervento]

L'Etiopia giace in questo momento in una situazione sociale ed economica
piuttosto preoccupante data non solo dalla crisi economica modiale in atto,
ma anche dalla situazione politica interna che si fa sempre piu' difficile,
nonche' dalle condizioni climatiche avverse.
All'inizio di quest'anno si e' verificato un lungo periodo di siccita' che
ha compromesso il primo raccolto (le patate in particolare); l'ulteriore
raccolto e' stato messo ancora piu' in pericolo dalle attuali alluvioni
fuori stagione che hanno allagato i campi e, in alcune zone, hanno lasciato
poco e niente ai contadini, sia per la vendita che per l'uso familiare.
Ormai la situazione e' talmente critica che da settembre e' quasi
impossibile trovare la farina di grano di buona qualita' e si prevede che
tra poco sara' altrettanto impossibile approvvigionarsi di Tef (il cereale
locale che rappresenta il 90% dell'alimentazione di questo popolo).
Attualmente uno stipendio medio ammonta a 500 birr al mese (35 euro circa);
un quintale di Teff costa oggi ben 1.200 birr (circa 85 euro). Il consumo
mensile medio di una famiglia formata da due genitori e tre figli e' di
circa 50 Kg.
E' evidente quindi che quella che qualche anno fa era considerata la classe
media ora e' alle soglie della poverta' e stenta a sopravvivere.
Un altro esempio e' dato dallo spaventoso incremento degli affitti negli
ultimi anni: l'affito di una casa di una stanza, un bagno semifatiscente con
acqua fredda e non potabile, un cucinino esterno con fornello a carbone, e a
volte dotata di luce elettrica, costa in media 500 birr: esattamente quanto
uno stipendio medio.
Tanti bambini non hanno accesso ne' alla scuola ne' tantomeno alla sanita',
per non parlare della malnutrizione diffusa tra i piu' giovani. Molte
famiglie devono rinunciare a mandare i figli a scuola poiche' non sarebbero
in grado di pagarne la retta - che ammonta a circa 50 birr al mese - o il
materiale scolastico (penne, quaderni e divisa).
Questo fa aumentare di molto il numero dei bambini di strada che sono
costretti a chiedere l'elemosina e sono sfruttati da una rete di traffici
illegali. Aumenta anche il numero dei senzatetto e di chi e' costretto a
chiedere aiuto per poter sopravvivere.

3. PROPOSTE. SALVO PALAZZOLO: POLIZIOTTI ALL'UNIVERSITA' A LEZIONE DI
NONVIOLENZA (2003)
[Dal quotidiano "La Repubblica", cronaca di Palermo, del 30 novembre 2003
col titolo "Poliziotti all'Universita' a lezione di nonviolenza"]

Lezioni di nonviolenza (una sola parola) per la polizia. Il corso di
aggiornamento e' nato alla facolta' di Lettere, dove la nonviolenza e' una
materia che ha un suo docente, Andrea Cozzo. L'iniziativa e' stata
presentata al questore Francesco Cirillo, e adesso e' in attesa di studenti
in divisa. "Il fatto che le forze dell'ordine ricevano una formazione alla
nonviolenza non significa che esse siano dedite alla violenza", precisa
Andrea Cozzo. "Non si tratta neanche di insegnare agli operatori di polizia
il loro mestiere, bensi' di metterli a conoscenza di ulteriori risorse
teoriche e tecniche offerte dal pensiero e dalla pratica della nonviolenza".
Il pensiero va alla gestione dell'ordine pubblico durante cortei e
manifestazioni, ma anche al lavoro quotidiano degli agenti alle prese con
violenze piccole e grandi.
A Milano la polizia municipale ha gia' studiato la nonviolenza. Il corso di
aggiornamento di Palermo promette di insegnare "una serie di concetti e
tecniche che permettono spessissimo di non fare ricorso neanche alla forza
fisica difensiva per fermare la violenza altrui - spiega Andrea Cozzo -, in
ogni caso lo scopo e' quello di impedire un'escalation della violenza".
Insomma, niente piu' maniere dure nelle piazze o negli stadi, anche nei
confronti dei manifestanti piu' provocatori.
Il corso della facolta' di Lettere consiglia una "maggiore capacita' di
leggere la realta' e di intervenire con prontezza mentale e atteggiamenti
comunicativi": l'esperienza disastrosa del G8 a Genova ha insegnato, la
polizia ha avviato un grande dibattito interno per una gestione meno
violenta dell'ordine pubblico. Il corso si propone come un ulteriore
contributo. "La nonviolenza - spiega il professor Cozzo - e' una tecnica
fondata sul riconoscimento dei meccanismi della comunicazione verbale e non
verbale, mette in grado di prevenire l'insorgere di conflitti o di gestirli
senza fare ricorso alla violenza nello scontro con altri, o ancora di
intervenire come terza parte".
I maestri sono nomi che hanno segnato la storia del movimento pacifista, da
Gandhi a Danilo Dolci, da Aldo Capitini a Lanza Del Vasto. Le lezioni sono
riunite attorno a un titolo: "Gestione creativa delle situazioni di
tensione. Le tecniche, le strategie, i valori della nonviolenza". A leggere
il programma si ritrovano molti dei concetti che la polizia sta cercando di
trasmettere ai cittadini con il poliziotto di quartiere. Sulla stessa
lunghezza d'onda Andrea Cozzo: "L'azione quotidiana delle forze dell'ordine
si gioca in primo luogo nella relazione con le persone, nell'ascolto dei
loro stati d'animo a volte connessi non solo con il crimine subito ma anche
con il malessere derivato da problemi psicologici e sociali, e nella
mediazione di quei loro conflitti che si esprimono in termini di violenza
ora fisica ora psichica e verbale".
In attesa di studenti in divisa, Cozzo ha gia' avviato le lezioni per i
ragazzi della facolta'. La "materia" si chiama: laboratorio di teoria e
pratica della nonviolenza.

4. TESTIMONIANZE. GIULIANO BATTISTON INTERVISTA ADAM MICHNIK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 aprile 2008, col titolo "Il nostro
lungo processo di apprendimento della liberta'" e il sommario "Variazioni
sul tema della democrazia in una intervista allo storico, politico e ex
dissidente polacco, che venne definito dal filosofo Leszek Kolakowski
'disobbediente, scettico e avido di sapere'. Questa mattina sara' ospite del
festival di filosofia all'auditorium di Roma. Dobbiamo tendere alle
'temperature medie': lo dico sempre anche a me che sono un impulsivo"]

Definendolo "diffidente, disobbediente, scettico, avido di sapere", il
filosofo polacco Leszek Kolakowski ha restituito integralmente la fisionomia
esistenziale del suo connazionale Adam Michnik, "la bestia nera del governo
comunista". Forse meglio di chiunque altro, ne ha poi individuato la
traiettoria politica, orientata a "definire un percorso che non fosse ne'
quello di un moralismo naif e inefficace, ne' quello di uno pseudo-realismo
ancora piu' inefficace". In effetti, sin dall'inizio della sua lunga
battaglia contro l'Homo sovieticus - "un uomo corrotto dalla menzogna,
educato al servilismo, avvilito dal vivere quotidiano nella
mistificazione" - Adam Michnik ha fatto sua la convinzione del fatto che la
vera saggezza politica risiede nel "sapere quando si deve pagare di persona
per difendere le proprie ragioni, e quando invece si deve cercare un
compromesso, e fino a dove puo' arrivare questo compromesso". Per questo,
pur pagando di persona l'opposizione a un regime "nel quale il discorso era
stato statalizzato, la verita' monopolizzata, e il controllo della memoria
collettiva affidato in esclusiva agli amministratori", Michnik ha continuato
a cercare un difficile equilibrio tra idealismo e pragmatismo, conservando
l'intransigenza di chi chiede liberta' e autodeterminazione ma rigettando
sia il fanatismo "degli inquisitori ideologici" che "la retorica
rivoluzionaria del tutto o niente". Che in termini generali proprio da
questo equilibrio sia derivato "il piu' grande contributo della Polonia alla
storia del XX secolo", come ritiene Michnik, o che la politica di
riconciliazione nazionale e del compromesso adottata dai dirigenti di
Solidarnosc sia stata un "tradimento" delle istanze rivoluzionarie, "come
credono alcuni puristi", e' ancora materia di dibattito, in Polonia e non
solo. Quel che e' certo e' che Michnik ha avuto sempre il coraggio di "non
recitare il proprio monologo dietro le quinte", riuscendo con la sua
determinazione a "impregnare l'universo dei valori burocraticamente
codificati del ridere del buffone e dello scetticismo del liberto
pensatore".
Abbiamo incontrato Adam Michnik a Roma, dove e' stato invitato dagli
organizzatori del festival della filosofia, nell'ambito del quale
partecipera' stamattina, insieme a Daniel Cohn-Bendit, Paul Berman e
Fernando Savater alla tavola rotonda "Etiche della rivolta: 1968-1989",
coordinata da Paolo Flores d'Arcais.
*
- Giuliano Battiston: In "Conversazioni nella Cittadella", un saggio
pubblicato nel 1982 sulla rivista "Krytyka" e poi raccolto nel volume Etica
della resistenza, lei scrive: "Bisogna maturare per la liberta'. La liberta'
va imparata". A quasi vent'anni dal crollo dell'impero sovietico, nei paesi
dell'Europa centro-orientale a che punto e' il processo di apprendimento
della liberta'?
- Adam Michnik: Ho scritto quel saggio quando ero in galera, e quando ci si
trova in galera si conosce la liberta' in modo esclusivamente teorico,
stabilendo una semplice equivalenza tra liberta' e assenza di prigionia,
senza scendere nei dettagli. Uscendo di prigione, invece, si comprende che
la democrazia e' la liberta' circoscritta all'interno delle regole delle
istituzioni, quel che definiamo come stato di diritto. Ed e' proprio sotto
questo aspetto che si individuano immediatamente quali, tra i paesi
dell'Europa centrale e orientale, sono meglio preparati all'esperienza
democratica. Il processo di apprendimento, comunque, non e' affatto
concluso, anche perche' nel frattempo e' entrato in crisi il nostro modello
di riferimento, quello delle democrazie occidentali, e noi ci siamo
ritrovati come ciclisti che pedalano senza manubrio: ci manca un buon
modello, siamo costretti a misurarci con una serie di problemi inattesi.
*
- Giuliano Battiston: Di fronte agli "autoproclamati possessori della
verita' assoluta" lei ha sempre rivendicato "il diritto alla ricerca
indipendente, al dubbio e allo scetticismo". Ritiene che una matura cultura
politica democratica sia quella in cui il diritto allo scetticismo viene
inteso anche come un dovere?
- Adam Michnik: Credo che alla base dell'ordine democratico debba esserci
una sana e rigorosa tendenza al dubbio, ma allo stesso tempo, seguendo
Cartesio, ritengo che in alcune circostanze estreme, pur mantenendo la
convinzione che la propria posizione possa essere opinabile, occorra
difenderla come fosse assoluta. Il dialogo, infatti, puo' essere condotto
solo da individui liberi, mentre in alcune circostanze non si da' pari
liberta' tra gli interlocutori. Nel mio caso, quando ero in prigione, pur
ammettendo tra me e me che il procuratore che avevo di fronte potesse avere
ragione su alcuni punti, avevo il dovere di difendere con intransigenza le
mie posizioni.
*
- Giuliano Battiston: A proposito di intransigenza: recentemente lei ha
discusso le obiezioni polemiche rivolte da Ratzinger alla democrazia
"orientata al relativismo e allo scetticismo, che non si basa sui valori e
sulla verita', ma sulle procedure". Ci vuole spiegare qual e', invece, la
sua posizione, quella dello "scettico democratico"?
- Adam Michnik: Secondo me la democrazia e' una comunita' che si regge sul
rispetto della dignita' e della liberta' umana, mentre secondo Ratzinger
dovrebbe reggersi su valori molto piu' "radicati", perche' soltanto
l'assolutismo dei valori impedisce che la democrazia conduca al relativismo
e si trasformi paradossalmente in un'istituzione dal carattere totalitario.
Non condivido questo ragionamento perche' ritengo che la scelta della
democrazia non debba essere suffragata dal riferimento ai valori cristiani o
religiosi, e debba invece poggiare, come dicevo, sul rispetto della liberta'
e della dignita' umana. Anche se si puo' essere d'accordo sull'idea che ci
siano valori non negoziabili, occorre continuamente interrogarsi sul confine
che separa cio' che e' relativo da cio' che non lo e'. In questo senso, se
la Chiesa ritiene che la piu' grave minaccia sia quella del liberalismo, io
credo invece che la democrazia liberale sia la condizione "sine qua non" per
tentare di rendere migliore il mondo in cui viviamo e garantire le
condizioni della convivenza. Allo stesso tempo, pero', critico l'ateismo
selvaggio di chi pretende di eliminare la religione dal dibattito sulle
forme contemporanee della societa'.
*
- Giuliano Battiston: Insieme all'assolutismo morale, lei sostiene che
dall'ambito della dialettica politica vada esclusa anche ogni "utopia di un
mondo giusto, armonioso e perfetto". Non crede, pero', che il liberalismo
politico a cui faceva riferimento prima, un liberalismo che esclude sia
l'assolutismo morale che la tensione utopica, corra il rischio di ridursi a
una cornice che depoliticizza la societa', depotenziando i conflitti
sociali?
- Adam Michnik: No, non lo credo. Ovviamente per liberalismo politico
possiamo intendere cose molto diverse, ma per quanto mi riguarda ritengo che
il liberalismo sia innanzitutto cio' che protegge sia i singoli che la
societa' dai tentativi di ricondurli alle gabbie dei sistemi totalitari.
Inoltre, pur escludendo la tensione utopica, tende comunque al
miglioramento, e lo fa sulla base di una consapevolezza centrale per la
democrazia: l'idea che gli uomini siano imperfetti, e che proprio per questo
nessuno abbia il diritto di imporre agli altri le proprie idee. Idee che
possono essere oggetto di discussione, eventualmente di persuasione, ma mai
di imposizione. La democrazia liberale, dunque, che e' intrinsecamente
imperfetta perche' tale e' il mondo degli uomini, solo se e' accompagnata
dalla consapevolezza di trovarsi in uno stato di perenne minaccia e' davvero
una democrazia liberale. In questo senso, dobbiamo tendere costantemente
all'equilibrio, cercando quelle che in termini liberali vengono definite
"temperature medie". Lo ripeto sempre anche a me stesso, visto che ho un
temperamento da fanatico impulsivo.
*
- Giuliano Battiston: "La sconfitta del comunismo - ha scritto - ha lasciato
un grande buco nero" che e' stato riempito dal nazionalismo. Lo scrittore
austriaco Grillparzer, da lei piu' volte citato, ritiene che alcuni paesi
dell'Europa dell'est stiano gia' percorrendo - uso le sue parole - la strada
che "dall'umanesimo, passando per il nazionalismo, porta alla bestialita'".
Lo pensa anche lei?
- Adam Michnik: Il pericolo c'e'. D'altronde la stessa "primavera dei
popoli" si presento' prima come un moto nazionalista e democratico, poi
esclusivamente nazionalista, infine come un serbatoio per il nazismo. Anche
nel caso della guerra nei Balcani il nazionalismo e' stato usato in fasi
diverse per differenti obiettivi politici: nella prima fase veniva
ricondotto alla difesa della nazione, dei suoi valori culturali e
democratici; nella seconda serviva a giustificare il separatismo; nella
terza invece per legittimare la pulizia etnica. In altri termini, il rischio
della bestialita' e' sempre presente.
*
- Giuliano Battiston: Come molti della sua generazione, lei si e'
interrogato sulla possibilita' di riformare il comunismo "dall'interno".
Alla fine, pero', a differenza di altri, e' arrivato alla conclusione che
"non esiste comunismo che non sia totalitario. O e' totalitario o cessa di
essere comunismo". Questo vuol dire, nella sua prospettiva, che la stessa
idea di giustizia sociale e l'egualitarismo contengono in se' un germe
totalitario?
- Adam Michnik: Credo di si', perche' paradossalmente l'egualitarismo ideale
puo' essere realizzato solo in un campo di concentramento, e allo stesso
tempo non esiste campo di concentramento che non abbia dei carcerieri. In
questo senso, quella dell'uguaglianza assoluta e' un'idea che si
auto-confuta. Io credo piuttosto nell'uguaglianza di fronte alla legge che
regola la vita democratica, mentre l'idea che tutti dovremmo godere dello
stesso salario perche' abbiamo lo stesso stomaco mi sembra molto pericolosa:
apre la strada alla demagogia e questa alimenta l'invidia e se ne nutre,
costringe all'uniformita' che uccide la creativita'. Allo stesso tempo,
esclude quello spazio all'interno del quale, grazie alla discussione, e'
possibile ricercare soluzioni diverse e negoziabili.
*
- Giuliano Battiston: Un'ultima domanda legata al tema del festival della
filosofia: lei ha scritto che per la sua generazione "la strada per la
liberta' ha inizio nel 1968", e in diverse occasioni ha analizzato
differenze e similitudini tra i movimenti di Praga e Varsavia da un lato e
quelli di Parigi, Roma, Berlino ovest e Berkeley dall'altra. Ora, secondo
alcuni il '68 si concluderebbe veramente solo nel 1989: ritiene che ci sia
effettivamente un legame tra il maggio francese e l'implosione del
socialismo reale?
- Adam Michnik: Ci vorrebbe un libro per rispondere. Per noi il '68 era la
primavera di Praga e la rivolta degli studenti polacchi. Per il movimento
occidentale, il cui linguaggio diversamente dal nostro era costruito
interamente sull'opposizione al capitalismo, il punto di riferimento era la
guerra in Vietnam e l'antiamericanismo, non l'antisovietismo; inoltre mentre
a Parigi e Berkeley veniva attaccato l'ordine della democrazia borghese, noi
combattevamo per una liberta' che solo quella democrazia borghese ci
sembrava potesse garantire. Nello specifico, poi, la contestazione francese
era mossa sin dall'inizio dalla critica rivolta al partito comunista. Per
quanto riguarda il legame con l'implosione del socialismo reale, credo che
la maniera migliore per comprendere quegli anni sia mettere insieme tre
date: 1968, 1989 e 1789, l'anno della rivoluzione francese. Solo cosi'
riusciremo a illuminare il senso di quegli anni, anni formidabili per quelli
della mia generazione.
*
Postilla. La sua vita
Nato a Varsavia nel 1946, sin da ragazzo Adam Michnik si e' dedicato
all'attivita' politica; gia' sospeso due volte dall'Universita' di Varsavia,
nel 1968 ne venne espulso, e condannato a tre anni di prigione. Rilasciato
grazie a una amnistia nel 1969, gli venne impedito di continuare gli studi.
Dopo avere trascorso due anni in Francia, torno' a Varsavia, diventando uno
dei principali attivisti del Kor, il Comitato di difesa degli operai.
Animatore di riviste e giornali clandestini e dei corsi dell'"Universita'
volante", tra il 1980 e il 1981 e' stato consigliere di Solidarnosc.
Arrestato nel dicembre 1981, ha rifiutato di firmare la "dichiarazione di
lealta'" che gli avrebbe concesso la liberta'; rilasciato grazie a una nuova
amnistia nel 1984, nel 1985 e' stato di nuovo arrestato. Tra i principali
protagonisti della tavola rotonda che ha portato la Polonia alla svolta
democratica, Michnik e' stato membro del parlamento dal 1989 al 1991.
Saggista e storico, l'ultimo suo libro tradotto e' Il pogrom (Bollati
Boringhieri, 2007), curato da Francesco M. Cataluccio, il quale, insieme a
Jaroslaw Mikolajewski, questa sera alle 19 discutera' con Michnik presso
l'Istituto polacco di Roma.

5. RIFLESSIONE. TOMMASO DI FRANCESCO INTERVISTA PREDRAG MATVEJEVIC
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 luglio 2008 col titolo "Intervista.
Ora le responsabilita' di Europa e Usa. Parla Predrag Matvejevic"]

Sull'arresto di Radovan Karadzic abbiamo chiamato a Zagabria, dov'e' tornato
a vivere, Predrag Matvejevic, l'autore di Breviario mediterraneo, Tra asilo
ed esilio, I signori della guerra. Tutti testi che negli ultimi dieci anni
hanno voluto richiamare le nostre responsabilita' verso i Balcani e, in
genere, verso la crisi dei paesi dell'Est Europa.
*
- Tommaso Di Francesco: Che sensazioni provi?
- Predrag Matvejevic: Sono scosso e vedo intorno a me in Croazia, nell'ex
Jugoslavia - io dico sempre ex Jugoslavia - la gente molto emozionata. Ci
sono naturalmente reazioni molto cattive, alcune in particolare sono
tendenziose e dimenticano troppe responsabilita'. Ora il momento e' molto
importante per la Serbia. Come si comporteranno i seguaci di Milosevic del
Partito socialista che sono entrati nel nuovo governo e che sono capaci di
spostare l'ago della bilancia del governo? Credo che non dovrebbero
dimenticare che Milosevic stesso era spesso costretto a giustificarsi per
l'operato di Karadzic e Mladic perche', dichiarava ed era vero, che facevano
a modo loro, di propria iniziativa, compromettendo cosi' anche il suo
operato. Ho stima ora per ruolo del presidente Boris Tadic, e' una persona
che vuole una Serbia moderna ma non e' cieco, e' capace di giudicare e sa
che l'attuale Europa non e' un modello anche se cerca di entrare nell'Unione
Europea perche' economicamente e politicamente gli conviene. Conoscevo molto
bene suo padre, Ljubo Tadic, un filosofo di sinistra del gruppo Praxis,
proprio quando avevamo un rapporto con la Scuola di Francoforte, con
Habermas...
*
- Tommaso Di Francesco: Cosa significa questo momento per la Serbia, uscira'
dal limbo dov'e' relegata?
- Predrag Matvejevic: La scena di questi giorni non vale soltanto per la
Serbia. Occorre guardarsi con sincerita' allo specchio. Lo specchio della
storia, e chiedersi una buona volta che cosa abbiamo fatto noi agli altri e
cosa gli altri hanno fatto a noi stessi, di cosa siamo colpevoli e di cosa
sono colpevoli. vale per tutti i popoli della ex Jugoslavia. E' l'esempio
della fatica fatta dalla Germania dopo la seconda guerra mondiale che
dobbiamo intraprendere, del protagonismo della sinistra tedesca guidata da
Willy Brandt che denuncio' il crimine che durante il nazismo era riuscito a
soffocare la cultura. Vale anche per l'Italia che non ha mai avuto il suo
tribunale di Norimberga, ed ecco perche' sono tornati in piazza a Roma, e
non solo in piazza, le camicie nere e i saluti romani. Guardiamo con i
criteri di una sinistra europea, che e' sconfitta ma non esaurita. Noi ci
siamo ancora.
*
- Tommaso Di Francesco: Ora con l'arresto di Karadzic si sottolineano
giustamente le responsabilita' della leadership dei serbi di Bosnia negli
anni Novanta. Ma quando l'Europa riconoscera' le sue responsabilita' per la
fine della Jugoslavia?
- Predrag Matvejevic: Sicuramente. E gli esempi sono almeno due. Uno e' il
massacro di Srebrenica. Anche Karadzic lo ha riconosciuto. Ed e' stato
riconosciuto dai leader attuali come il democratico Milorad Dodik. ma la
dimensione non e' locale, se valutiamo che i caschi blu dell'Onu guidati dal
generale francese Morillon e dall'altro generale Janvier, la famosa
divisione olandese che poteva fermare l'aggressione, avrebbero dovuto
vigilare e prima impedire che quella zona ufficialmente protetta fosse
investita dalla guerra. E invece quel luogo e' diventato il simbolo di
quello che l'Europa non faceva e non voleva fare. E l'altro esempio e' la
questione dei riconoscimenti come stati di indipendenze proclamate su base
etnica. L'Europa aveva promesso di vigilare. Si dovevano verificare tante
cose prima di legittimare un uomo come Franjo Tudjman. E invece la Germania
e il Vaticano sono andati avanti in modo precipitoso. C'e' una tradizione
d'irresponsabilita' dell'Europa e dell'Occidente. Il fatto e' che nell'epoca
che poneva termine alla guerra fredda gli stati europei e gli Stati Uniti
erano alla ricerca di un nuovo nemico e guardavano ai Balcani, regione dove
non c'erano armi micidiali che potevano distruggere il pianeta, come terra
di conquista. La Jugoslavia semplicemente non doveva esistere piu', non
contava piu'. E perche' non contava? Per loro la Jugoslavia era stato "solo"
un paese non-allineato, che poteva rappresentare un equilibrio che conveniva
agli uni e agli altri. Troppo al di sopra delle parti. Cosi' questo
paese-tampone, questo mondo-tampone e' stato azzerato nella percezione
dell'Europa occidentale. Eppure finche' esistevano questi paesi
non-allineati non esisteva nei paesi arabi il fondamentalismo feroce, non
esistevano nell'ex Jugoslavia i nazionalismi micidiali. Era un mondo che
veniva dalla subalternita' al colonialismo, compresa la ex Jugoslavia
sottoposta all'Austria come una parte dell'Italia nel corso della sua
storia. Erano paesi che avevano un'esperienza storica comune, aspiravano ad
un socialismo diverso. Facevano insieme l'equilibrio del mondo. Finito il
non allineamento la Jugoslavia non serviva piu'. Lasciamola ai suoi demoni,
devono aver pensato in Europa e negli Usa, ai demoni dei peggiori
nazionalismi. E' quello che e' stato fatto.

6. LIBRI. PIETRO POLITO PRESENTA "LA NON-VIOLENCE EXPLQUEE' A' MES FILLES"
DI JACQUES SEMELIN
[Dal quotidiano "La stampa" del 19 novembre 2001, col titolo "Come insegnare
la nonviolenza"]

Il titolo originale e' La non-violence expliquee' a' mes filles. In questo
piccolo libro, organizzato in forma di domande e risposte, Jacques Semelin,
noto al nostro pubblico per i lavori Per uscire dalla violenza (1985) e
Senz'armi di fronte a Hitler (1993), spiega alle figlie, di 13 e 8 anni, che
cos'e' la nonviolenza. Personalmente preferisco eliminare il trattino, alla
maniera di Aldo Capitini, che cosi' voleva rafforzare il significato
positivo del termine.
Nel dialogo, nato dalla lettura comune di una storia a fumetti della lotta
di Martin Luther King e dei neri americani, si nota la differenza tra
l'atteggiamento del padre e quello delle ragazze, che sembrano piu'
interessate alla possibilita' di applicare la nonviolenza nella propria
realta' quotidiana. Molte domande, infatti, riguardano i rapporti nella
scuola. Come devo reagire - chiedono - se qualcuno mi aggredisce? Anche da
noi sarebbe auspicabile l'esperimento degli studenti mediatori. Diversamente
l'adulto, servendosi di vari esempi (dalla marcia del sale di Gandhi a
quella dei giovani beurs della periferia di Lione nel 1983), definisce
concetti e principi: "Ho voluto chiarire - precisa Semelin - che nonviolenza
non significa passivita'; e' un modo di essere e di agire che si propone di
comporre i conflitti, combattere l'ingiustizia, costruire una pace
durevole". L'autore distingue tra aggressivita' e violenza, violenza e
forza, guerra e conflitto, e fornisce un primo elenco di principi
dell'azione nonviolenta: 1) porsi obiettivi concreti e realistici; 2) agire
in molti (la "forza del numero"); 3) compiere azioni che abbiano la piu'
ampia visibilita' (la disubbidienza civile, il boicottaggio, la marcia, lo
sciopero nonviolento); 4) utilizzare la forza delle parole, che nasce quando
si e' uniti e si parla con una sola voce; 5) non usare la violenza, nemmeno
di fronte alle provocazioni.
E' un invito alla nonviolenza che cade a pochi distanza dagli atroci
attentati terroristici di New York e Washington, cui e' seguita la reazione
guidata dagli Stati Uniti, che ha preso la forma, considerata l'unica
praticabile, di una guerra internazionale. Sembra ormai remota la nota di
speranza che conclude il dialogo. Nel 1998 le Nazioni Unite hanno proclamato
gli anni 2000-2010 "Decennio della cultura della pace e della nonviolenza
per i bambini del mondo" e un gruppo di Premi Nobel per la pace ha redatto
un manifesto, diffuso dall'Unesco, che propone la pratica della nonviolenza
attiva e il rifiuto di ogni forma di violenza, fisica, sessuale,
psicologica, economica e sociale. Si potra' nei prossimi giorni, mesi, anni
continuare a parlare della nonviolenza come di una via possibile a una "pace
che non abbia la guerra per alternativa"? Per il nonviolento "il vero
coraggio e' avere la forza di parlare", perche' solo "la parola libera dalla
violenza".

7. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

8. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 642 del 17 novembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
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