Minime. 616



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 616 del 22 ottobre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Contro la guerra, contro il razzismo
2. Enrico Piovesana: La guerriglia afgana dilaga. Italiani sotto tiro
3. Gia' centomila firme in difesa di Saviano
4. Giulio Vittorangeli: La sfida quotidiana della nonviolenza
5. Oggi a Verona
6. Una presentazione dell'associazione "We have a dream"
7. Arturo Colombo: Capitini, la nonviolenza contro la realpolitik (1998)
8. Giancarlo Lunati ricorda Aldo Capitini (1998)
9. Amelia Crisantino ricorda Maria Occhipinti
10. Miriam Mafai ricorda Maria Remiddi
11. Giovanni Bollea: Alcolismo giovanile, una proposta
12. Ilide Carmignani presenta "Incroci interlinguistici" a cura di Fabiana
Fusco e Renata Londero
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CONTRO LA GUERRA, CONTRO IL RAZZISMO

Contro la guerra, contro il razzismo, per il riconoscimento di tutti i
diritti umani a tutti gli esseri umani, per difendere la biosfera.
Occorre il disarmo, la smilitarizzazione, la scelta della sobrieta' e della
condivisione.
Occorre sconfiggere militarismo, patriarcato, sfruttamento, occorre abolire
le strutture della violenza e della menzogna, occorre affermare la dignita'
di tutti e di ciascuno.
La nonviolenza e' la via.

2. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LA GUERRIGLIA AFGANA DILAGA. ITALIANI
SOTTO TIRO
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 20 ottobre 2008 com titolo "L'avanzata dei talebani" e il
sommario "La guerriglia afgana dilaga. Italiani sotto tiro"]

I talebani stanno rapidamente avanzando in tutto l'Afghanistan. A ovest,
dove le truppe d'occupazione italiane sono costantemente sotto attacco. A
sud, dove i guerriglieri assediano da giorni la citta' di Lashkargah. A
nord, dove oggi in un'imboscata a un convoglio Isaf tedesco sono morti
cinque bambini. E soprattutto a est, dove la resistenza islamica sta
chiudendo il cerchio attorno alla capitale Kabul, dove questa mattina i
talebani hanno assassinato una cooperante inglese.
*
Ovest. I sempre piu' frequenti attacchi contro le forze italiane nelle
province occidentali - tre solo negli ultimi dieci giorni - dimostrano che i
talebani sono ormai all'offensiva anche sul fronte occidentale. Lo conferma
anche l'ultimo rapporto dei servizi segreti italiani (Aise) sulla guerra in
Afghanistan, dove si sottolinea "la tendenza del fronte islamico radicale e
antigovernativo a estendere il fronte offensivo alle regioni occidentali del
Paese, in particolare alle province di Farah ed Herat dove sono presenti
assetti nazionali".
*
Sud. La citta' meridionale di Lashkargah, nella provincia di Helmand, e'
sotto assedio talebano da una decina di giorni. La guerriglia, che controlla
ormai tutti i villaggi e le zone rurali attorno al centro abitato, ha gia'
tentato alcune incursioni in citta', bersagliando i palazzi governativi con
lanciarazzi e artiglieria leggera. L'esercito afgano ha inviato rinforzi per
difendere la citta', mentre l'aviazione Nato cerca di "alleggerire la
pressione" bombardando le zone rurali controllate dalla guerriglia. Come Nad
Ali', dove pochi giorni fa le bombe alleate hanno ucciso ventisette civili,
tra cui tredici bambini e tre donne.
*
Est. I talebani hanno ormai il pieno controllo delle zone rurali a sud, a
est e ovest della capitale afgana. In due terzi dei distretti delle province
di Wardak e Lowgar, a soli 30-40 chilometri da Kabul, i barbuti comandano
alla luce del sole, gestendo la sicurezza, la giustizia e l'educazione
scolastica. La polizia afgana si tiene alla larga e la popolazione locale si
sente sicura. I talebani controllano con posti di blocco tre delle quattro
strade d'accesso a Kabul: passa solo chi non e' sospetto di lavorare per il
governo o per la Nato. Solo la Shomali Road, verso nord, e' ancora sotto
controllo governativo. Per adesso.

3. INIZIATIVE. GIA' CENTOMILA FIRME IN DIFESA DI SAVIANO
[Dal sito del quotidiano "La Repubblica" (www.repubblica.it) riprendiamo il
seguente testo del 21 ottobre 2008]

Sono centomila le firme in calce all'appello "Lottiamo per Saviano", firmato
ieri da sei premi Nobel in difesa dello scrittore napoletano minacciato
dalla camorra. Dario Fo, Mikhail Gorbaciov, Guenter Grass, Rita Levi
Montalcini, Orhan Pamuk e Desmond Tutu, hanno scritto: "... Un giovane
scrittore, 'colpevole' di aver indagato il crimine organizzato svelando le
sue tecniche e la sua struttura, e' costretto a una vita clandestina,
nascosta, mentre i capi della camorra dal carcere continuano a inviare
messaggi di morte... Lo Stato deve fare ogni sforzo per proteggerlo, ma il
caso Saviano non e' solo un problema di polizia... Con questa firma vogliamo
farcene carico".
A quell'invito ieri si sono aggiunti i centomila che lo hanno sottoscritto
sul nostro sito (www.repubblica.it, che continua a raccogliere adesioni e su
cui potete leggere il testo integrale dell'appello) e anche molte
personalita' del mondo della cultura, fra cui dieci scrittori di fama
internazionale.

4. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: LA SFIDA QUOTIDIANA DELLA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento]

Si e' perso oramai il numero dei dolorosi e per molto versi tragici episodi
di razzismo e xenofobia che quotidianamente stanno travolgendo la fragile
democrazia italiana.
Per citare Annamaria Rivera: "L'Italia governata dispoticamente da
Berlusconi e pervertita dall'ideologia nazistoide della Lega Nord, resa piu'
temibile dal culto dell'ignoranza, sta per diventare un paese
strutturalmente razzista: un paese del razzismo reale, appunto".
Cosi' a Varese una ragazzina quindicenne di origine marocchina il 10 ottobre
scorso e' stata prima aggredita con le solite squallide frasi, poi picchiata
a sangue nella piazza del mercato cittadino, in mezzo all'indifferenza
generale dei passanti. L'aggressione e' avvenuta da parte di alcuni coetanei
e coetanee perche' si era seduta sull'autobus occupando un posto "per soli
italiani", secondo la farneticante ideologia degli aggressori.
Inevitabilmente ritorna alla mente un episodio avvento negli Stati Uniti,
molti anni fa, che credevamo oramai consegnato alla storia. Il primo
dicembre 1955 una donna afroamericana, Rosa Parks, rifiuto' di alzarsi da un
posto per lasciarlo a un bianco su un autobus di Montgomery, in Alabama. Fu
aggredita, ma la sua ribellione fu la scintilla che diede il via alle
manifestazioni antirazziste guidate da Martin Luther King.
In Italia, invece, non si vedono ribellioni davanti al dilagare del razzismo
istituzional-popolare.
Meta' del nostro Paese gravita ormai attorno ad un modello di arricchimento
personale e di consumo che non esita a farsi largo a gomitate.
Le culture ugualitarie sembarnno scomparse con il dilagare dell'ideologia
dell'individuo che sta facendo strame dei suoi simili (homo homini lupus) o
si rinchiude in comunita' territoriali in guerra con tutto cio' che appare
"straniero".
Cosi' le ultime elezioni (13-14 aprile 2008) sono state una raccolta
differenziata del rancore in cui tutte le paure della vita quotidiana si
sono tradotte nell'incubo comune di un catastrofe etica e culturale, con
ulteriore violenza sui piu' deboli.
Come non condividere la riflessione di Marco Revelli: "Nel pragmatismo che
tutto sembra aver avvolto, nello sfacelo dei vecchi partiti trasformati in
ombre di se stessi, la difesa dei valori universalistici di eguaglianza e
pari dignita' sembrano aver cessato di aver corso legale. Ma di questo ci
eravamo fatti, in qualche maniera, una ragione. O comunque, avevamo
incominciato a comprendere il meccanismo d'innesco. Quello che appare
persino piu' preoccupante e piu' difficile da decodificare e' l'estenuazione
e la tendenziale estinzione di quei valori, di quel comune sentire, di
quella sensibilita' nella stessa societa' italiana. Nei suoi codici di
comportamento e di valore. E' questa nuova, imprevedibile, durezza. Questa
irriconoscibile insensibilita' umana, che fa girare il volto ai bagnanti
davanti ai cadaveri stesi sulla spiaggia delle due bambine rom affogate
qualche giorno fa sul litorale napoletano. Che fa ignorare le decine di
morti quasi quotidiani nel canale di Sicilia. Che lascia incendiare le
baraccopoli di Ponticelli senza fiatare, per condivisione, o sopportazione,
o pigrizia. E' questa improvvisa crudelta' dell'essere, nuda, senza
ornamenti ideologici, senza argomentazioni ne' giustificazioni, cio' che
spaventa, perche' e' la precondizione mentale delle sciagure storiche.
L'anticamera esistenziale delle guerre civili o delle apocalissi culturali.
La forma interiore dei tempi bui" ("Il manifesto", 31 luglio 2008).
Eppure, nonostante le componenti popolari si siano sfaldate, le loro culture
in senso lato, cioe' le tracce di civilta' che esse hanno depositato nella
storia del nostro Paese, sono li', in attesa di essere riconosciute,
valorizzate, riorganizzate e riunificate con le nuove culture, con i nuovi
grumi di civilta': le esperienze di organizzazione con le esperienze di
movimento, il socialismo con il femminismo, il cattolicesimo sociale con i
diritti della persona, il lavoro salariato e non con l'ambientalismo
politico, la cultura del conflitto con la cultura della pace. Non e' un
blocco, e' un campo. Non si comporra' da solo. Bisogna comporlo.
Anche su questo si misura la sfida quotidiana della nonviolenza.

5. INCONTRI. OGGI A VERONA
[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: mao at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
riceviamo e diffondiamo]

Il Movimento Nonviolento di Verona e la Comunita' Emmaus di Villafranca
propongono una pausa per riflettere sul presente e il futuro comune,
sull'attuale crisi economica e sulla necessaria via d'uscita.
Mercoledi' 22 ottobre, alle ore 18, nella Chiesa di San Nicolo' all'Arena
(piazza San Nicolo'), incontro pubblico con: Serge Latouche (economista,
filosofo) e Christoph Baker (scrittore, amico della nonviolenza) sul tema:
"Il tramonto dello sviluppo economico: come decrescere bene e con calma".
*
"Dobbiamo liberare l'immaginario, reso schiavo da un feticcio portatore di
sventure: la parola sviluppo. Bisogna dire ai politici che, rinunciando alla
mistica della crescita, non perderanno elettori, al contrario. Far capire
alla gente che, scegliendo la decrescita, non torneranno all'eta' della
pietra, ma solo alla gioia di vivere. I poteri forti ci ricattano, tengono
in ostaggio la nostra immaginazione. Ci dicono che con la decrescita
scendera' su di noi la tristezza di un'infinita quaresima. Non e' vero
niente. Invertire la corsa ai consumi e' la cosa piu' allegra che ci sia"
Serge Latouche
*
"Il lavoro e' diventato una condanna, dentro un sistema che fa del profitto
e del consumo gli unici scopi della vita. La velocita' e l'arrivare primi
sono diventati un mito distruttivo. Le persone non hanno piu' tempo per le
emozioni, i sentimenti, le relazioni, il pensiero, la memoria, la festa, la
vita! Non e' assurdo tutto questo? Non ci si dovra' liberare, ritornando a
quei ritmi che la natura suggerisce?"
Christoph Baker
*
"Lentius, profundius, suavius (piu' lento, piu' profondo, piu' dolce) al
posto di Citius, altius, fortius (piu' veloce, piu' alto, piu' forte), il
motto olimpico diventato legge suprema ed universale di una civilta' in
espansione illimitata"
Alexander Langer
*
L'incontro e' aperto a tutti, e si e' scelto l'orario pomeridiano per
favorire la presenza dei giovani, degli anziani, di chi ha impegni
familiari. La chiesa di San Nicolo' e' dietro l'Arena, ed e' meglio
raggiungerla a piedi o in bici, che e' gia' un modo per entrare nel vivo
della decrescita...

6. ESPERIENZE. UNA PRESENTAZIONE DELL'ASSOCIAZIONE "WE HAVE A DREAM"
[Dall'associazione "We have a dream" di Roma (per contatti: e-mail:
associazione at wehaveadream.info, sito: www.wehaveadream.info) riceviamo e
diffondiamo questa scheda di autopresentazione]

"we have a dream" e' una associazione di volontariato senza scopo di lucro,
la cui finalita' e' la sensibilizzazione delle persone su temi riguardanti
valori etici, sociali, umanitari, animalisti e ambientalisti.
Svolge attivita' di diffusione dell'informazione sugli argomenti che le sono
a cuore attraverso l'organizzazione di eventi, spettacoli, attivita'
culturali, sportive, turistiche, ricreative, ovvero di occasioni di
incontro, per affrontare gli argomenti di interesse, con l'intento di
coniugare una iniziativa piacevole con un momento di riflessione e di
crescita interiore.
"We have a dream" opera secondo i principi della nonviolenza e si adopera
per la tutela e l'uguaglianza di tutti gli esseri viventi, nel rispetto
della loro biodiversita', dando valore alle diversita' quali opportunita' di
crescita attraverso l'acquisizione di nuovi e differenti punti di vista.
Per contatti: e-mail: associazione at wehaveadream.info, sito:
www.wehaveadream.info

7. MEMORIA. ARTURO COLOMBO: CAPITINI, LA NONVIOLENZA CONTRO LA REALPOLITIK
(1998)
[Dal "Corriere della sera" del 14 ottobre 1998 col titolo "Capitini, la
nonviolenza contro la realpolitik" e il sommario "Anniversari. Moriva
trent'anni fa il 'Gandhi italiano', utopista insofferente nei confronti del
potere"]

La definizione di Gandhi italiano non gli piaceva; eppure nella fedelta' ai
principi della nonviolenza (di cui il leader indiano rimane il sostenitore
piu' lucido e portatore di valori simbolici singolarmente attuali) pochi
hanno avuto le carte in regola come Aldo Capitini, di cui venerdi' 16
ottobre ricorre il trentesimo della scomparsa. Bastava guardarlo in faccia,
con quei suoi occhi sorridenti e coinvolgenti dietro le lenti da miope, per
accorgersi subito che anima di fuoco avesse questo intellettuale, mite e
intransigente, convinto non solo che occorresse impegnarsi per cambiare in
meglio la nostra societa', cosi' ambiguamente permissiva e violenta, ma che
un simile obbiettivo lo si potesse (e lo si potra') raggiungere a patto che
ciascuno di noi sapesse mettere da parte arroganza, egoismi e spirito
guerriero.
Aldo Capitini era di certo un intellettuale insofferente verso ogni potere
(che secondo lui aveva sempre qualche risvolto potenzialmente autoritario),
non sopportava alcuna gerarchia ecclesiastica ma credeva, con entusiasmo e
candore, nella indispensabile "comunione" fra gli esseri umani, da
realizzarsi attraverso due principi-chiave.
Da una parte, bisogna costruire un ordinamento, un ethos democratico, come
partecipazione di tutti a una nuova comunita' umana; e dall'altra, occorre
saper contrapporre una forte "politica di pace" a ogni degradante ricorso
alla violenza e alla logica delle armi.
Era facile, sulla base di queste convinzioni, accusarlo di ingenuita' e di
utopismo, soprattutto nell'epoca della guerra fredda, quando il mondo era
spaccato in due e qualsiasi dialogo appariva difficile. Eppure aveva buon
gioco Capitini a replicare che l'utopia e' indispensabile, perche' la storia
vada avanti (anche se i nostalgici della Realpolitik non l'hanno ancora
imparato).

8. MEMORIA. GIANCARLO LUNATI RICORDA ALDO CAPITINI (1998)
[Dal "Corriere della sera" del 18 ottobre 1998 col titolo "La religione
aperta dell'eretico Aldo" e il sommario "Un ricordo di Capitini. Per lui la
forza delle idee e' maggiore di quella delle armi"]

Trent'anni fa moriva Aldo Capitini e purtroppo solo chi l'ha conosciuto puo'
averne ora vivo il ricordo. L'uomo era schivo e dimesso; nessun estraneo
poteva immaginare quanta forza fosse dentro di lui, forza morale. Capitini
era filosofo, ma la sua vocazione religiosa ne faceva un intellettuale
attivo, piu' che contemplativo, perche' la sua religione era profonda e
intransigente e come sempre accade a chi e' integro nei suoi principi lo
portava piu' ad essere un eretico che non un ortodosso.
La Chiesa di Roma aveva accettato il fascismo e Capitini aveva denunciato lo
stesso Pontefice. Discuto la religione di Pio XII, del 1957, e' il titolo di
un suo libro importante e imbarazzante. "Chi vuol leggere qualche cosa
d'organico sul mio modo di intendere la vita religiosa - scriveva Capitini -
puo' leggere il libro Religione aperta (di due anni prima). Questo libro e'
stato messo all'Indice da Pio XII e il decreto e' uscito proprio nel giorno
anniversario della Conciliazione tra il Vaticano e il governo fascista... Al
dire di Pio XII comincio' allora una grande pace".
Nell'Enciclica "Summi Pontificatus", 1939, si legge infatti: "Da quei patti
ebbe felice inizio, come aurora di tranquilla e fraterna unione di animi
innanzi ai sacri altari del consorzio civile la pace di Cristo restituita
all'Italia". "Noi che stavamo contrastando il fascismo - commenta Capitini -
vedemmo in quel patto un grande aiuto dato al tiranno Mussolini per poter
preparare le sue guerre, forte dell'aiuto ecclesiastico". Ah!, esclama
Capitini, se allora al posto di Pio XI, nel 1929, ci fosse stato un Gandhi!
Senza violenza, con una campagna di noncollaborazione si sarebbe potuto far
cadere un regime che portava il Paese al disastro.
Nella sua onesta' intellettuale la forza delle idee era maggiore di quella
della armi, la morale superiore sempre alla politica, la fede in Cristo al
di sopra del ministero ecclesiastico. Sono passati trent'anni e molto e'
cambiato: la religione aperta di Capitini e' negli animi di molti uomini di
Chiesa e dello stesso papa Giovanni Paolo II. "O Gesu' Cristo - scriveva
Capitini - ha unificato tutti col suo atto o la Chiesa romana unifica alcuni
con i suoi dogmi - sacramenti - autorita'. Come si vede sono due religioni
differenti".
Le ispirazioni erano molteplici: non solo Cristo, ma anche Buddha; tutti i
grandi profeti, tutti coloro che hanno vissuto la fede con purezza di
sentimenti. Ma era lontano ancora il Concilio Vaticano II, di cui s'e'
scritto che ha aperto un nuovo destino per tutti i popoli e tutte le
confessioni: "Il cammino simultaneo dei popoli e della Chiesa e' verso
l'unita' - dice Elias Zoghby -. Son passati i tempi in cui le societa'
civili e religiose stimavano che la diversita' fosse incompatibile con
l'unita'. Gli uomini di ogni razza e di ogni colore e di ogni religione
cominciano a credere nella fraternita' universale e a rinunciare allo
spirito separatista, fanatico e settario del Medioevo".
La "Pacem in terris" del 1963 segna questa svolta e rappresenta una delle
encicliche piu' importanti nella storia della Chiesa. In essa Giovanni XXIII
ha scritto: "Non si dovra' mai confondere l'errore con l'errante... egli e'
sempre e anzitutto un essere umano e conserva in ogni caso la sua dignita'
di persona".
Dopo di allora la Chiesa ha aperto porte e finestre e si e' anche scusata
per i suoi errori. Il nuovo corso sarebbe piaciuto a Capitini, alla sua
speranza di vedere realizzata l'unita' in Cristo e nell'amore cristiano.
Chi lo ricorda oggi lo ha ammirato per la sua semplicita', piu' da scolaro
che da docente, e per il suo candore. Era un uomo buono, ma era un esempio
che la bonta' dell'animo non e' la stessa cosa della tolleranza ad ogni
costo. Se prevale infatti il senso del giusto sull'ingiusto si puo' essere
intransigenti, pur amando profondamente il nostro prossimo. Passeggiavamo
allora nel Campo dei miracoli, a Pisa tra Battistero e Torre pendente e con
Capitini si sognava un'Italia bella e pulita; il suo insegnamento e' rimasto
intatto e la speranza e' ancora qui a guidarci.

9. MEMORIA. AMELIA CRISANTINO RICORDA MARIA OCCHIPINTI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 novembre 2007 (cronaca di Palermo)
col titolo "Maria, donna nonviolenta che combatte il patriarcato"]

Tra nonviolenza e pensiero femminile il dialogo e' da iniziare, scrive
Valeria Ando' nel suo saggio pubblicato su La nonviolenza delle donne, a
cura di Giovanna Providenti (Libreria editrice fiorentina, 285 pagine, 16
euro). E promette di essere fecondo.
Il libro comprende saggi teorici, affiancati al racconto di esperienze
vissute da donne costruttrici di pace: fra loro troviamo Maria Occhipinti,
nel gennaio 1945 protagonista a Ragusa della "rivolta dei non si parte"
contro il rastrellamento degli uomini da inviare al fronte. Nell'intervento
di Adriana Chemello, Maria Occhipinti e' una donna che ha infranto le regole
del patriarcato, che di sua iniziativa e' uscita dal posto a lei riservato e
per questo paga. Si era stesa davanti le ruote di un camion costringendolo a
fermarsi, aveva dato il via alla rivolta.
Col suo gesto di disobbedienza civile era diventata una protagonista, ma a
caro prezzo. Per Maria comincia una nuova esistenza, in cui si avvicina agli
anarco-comunisti ragusani: conoscera' il carcere, il confino, il ripudio dei
familiari e l'abbandono da parte del marito. Sara' costretta ad un'esistenza
nomade, sempre alla ricerca di un "pane amaro" per se' e la figlia.
Diventera' anche scrittrice, a partire dalla sua "storia di vita" pubblicata
nel 1957 col titolo Una donna di Ragusa e una nota introduttiva di Carlo
Levi. Era stata una contadina, che a partire da un episodio di ribellione
popolare aveva maturato una nuova consapevolezza e aveva scelto di essere
"autodidatta con determinazione". Scrivera' racconti e poesie, rivisitando
sull'onda del ricordo la piccola comunita' in cui era cresciuta, stravolta
da una modernita' che ne disintegra il fragile equilibrio.
In un'ideale sorellanza emotiva con le altre donne che nella pratica della
nonviolenza hanno scelto di ritrovarsi, Maria Occhipinti ripercorre la sua
vita scoprendo la forza di quella che, con semplice efficacia, chiama la
"liberta' della mente". Da contadina sapeva appena leggere, ma il suo
pensiero "a partire da se'" la avvicina a tutto un universo femminile che
produce scompiglio in quell'ordine patriarcale che si pretende naturale. E a
questo punto la nonviolenza, dapprima reazione quasi istintiva, diventa
scelta consapevole.
Dalla storia di Maria Occhipinti possiamo partire per crearci un percorso,
all'interno di un libro denso di testimonianze e approfondimenti teorici. La
palermitana Valeria Ando' suggerisce i nomi di Hannah Arendt, Simone Weil,
della spagnola Maria Zambrano ma anche di Aldo Capitini, che in Italia e'
stato fra i primi ad accogliere il pensiero gandhiano.
Ed e' di Aldo Capitini la riflessione sull'amore materno come incondizionata
accoglienza di un altro essere, a cui nel pensiero femminile corrisponde il
"saper amare la madre", come gesto che radica tutti i viventi in un nuovo
universo simbolico, inaugurando una nuova filosofia. Sottratto alla presunta
naturalezza che la retorica gli attribuisce, il "maternage" viene rilanciato
come possibile modello di una societa' fondata sull'etica della cura: intesa
come ascolto, compassione, empatia. Cioe' capacita' di "sentire" cio' che
l'altro sente, accogliendo una nuova esperienza "a cui si puo' dare il nome
di sapienza dell'affettivita'". Reale o simbolica che sia, la relazione
materna riconosce autorita' a colei che puo' indicare direzioni, per
muoversi nel mondo e trasformarlo.

10. MEMORIA. MIRIAM MAFAI RICORDA MARIA REMIDDI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 21 luglio 2006 col titolo "Maria
Remiddi, l'impegno delle donne che cercano la pace"]

"Il 25 aprile ero sulla terrazza della casa di Monteverde a stendere i
panni, quando tutte le sirene si misero a ululare: la guerra era finita...:
avevo 34 anni e mi dissi che la restante mia vita l'avrei dedicata a
lavorare per la pace". Quando, come accade oggi, i pacifisti riempiono le
piazze con le loro bandiere arcobaleno proponendosi come un legittimo
"secondo potere", e' difficile persino immaginarla quella giovane donna che,
stendendo i panni sulla terrazza di casa, decide di dedicare tutta la sua
vita a lavorare per la pace.
Da sola, senza il sostegno di nessuno dei partiti allora presenti sulla
scena politica italiana, superando molti sospetti e difficolta', Maria
Bajocco Remiddi riusci' a dar vita a una, sia pur modesta, organizzazione
femminile, l'Associazione Italiana Madri Unite (Aimu), a stabilire rapporti
con alcuni esponenti del movimento pacifista italiano (tra cui Aldo
Capitini, a cui si deve l'invenzione della "Marcia della pace" tra Perugia e
Assisi) e a collegarla a piu' robuste organizzazioni italiane e straniere
che lavoravano per lo stesso obiettivo. Tra queste la piu' importante fu la
Women's International League for Peace and Freedom (Wilpf),
un'organizzazione nata in ambito suffragista, fin dalle origini votata
all'individuazione e all'eliminazione delle cause della guerra e, insieme,
al riconoscimento dei diritti fondamentali delle donne.
La storia della Remiddi, della sua piccola associazione pacifista e delle
donne che con lei in varie fasi collaborarono (da Anna Garofalo a Lilly Marx
a Nina Ruffini, per non citarne che alcune), e' una storia assolutamente
minoritaria e, come tutte le storie minoritarie, pressoche' sconosciuta. E
tale sarebbe rimasta se a quella vicenda di mezzo secolo fa una giovane
storica non avesse dedicato una documentata ricerca (Anna Scarantino, Donne
per la pace. Maria Bajocco Remiddi e l'Associazione internazionale madri
unite per la pace nell'Italia della guerra fredda, Edizioni Franco Angeli,
pp. 400, euro 25).
Femminista e pacifista, la Remiddi era convinta, come ebbe occasione di
scrivere, che "le idee degli uomini amano il sangue" e che spettasse dunque
alle donne di "affermare il diritto incondizionato di tutti alla vita,
diritto che e' stato sempre misconosciuto durante i millenni d'assenteismo
della donna dalla vita politica". La partecipazione della donna alla vita
politica, dunque, avrebbe dovuto avere questo segno, avrebbe dovuto essere
contrassegnata prioritariamente dall'impegno per la pace.
"Oggi la donna entra nella vita politica", scrivera' nell'agosto del 1945,
"per ora si prepara solamente ad esercitare il suo diritto di voto. Ma se
noi ci limitiamo ad accodarci ai vari partiti e a dare il nostro appoggio
all'uno o all'altro, si avra' una maggiore pienezza di urne, ma la bilancia
politica si equilibrera'... e l'apporto di noi come entita' 'donna' sara'
nullo. Per entrare veramente ed efficientemente sulla scena del mondo
bisogna avere una 'idea nostra' come biglietto d'ingresso".
Questo "biglietto d'ingresso" delle donne nella vita politica avrebbe dovuto
essere l'impegno pacifista. E dalla scuola, sosteneva la Remiddi, avrebbe
dovuto partire una vera educazione alla pace. Per questo l'Aimu promosse una
campagna di proselitismo soprattutto tra le insegnanti, con una serie di
iniziative di propaganda e di sensibilizzazione al problema.
Lavoro faticoso, scarsi i mezzi e poche le persone disponibili. Nobili le
intenzioni, ma le iniziative e i propositi apparivano spesso venati di
ingenuita'. Era infatti ingenua, anche se nobile, l'idea che le donne nel
clima appassionato e aspro del nostro dopoguerra, potessero scegliere di
entrare nella vita politica con quel solo "biglietto d'ingresso" che
proponeva loro la Remiddi: l'esigenza morale di evitare un nuovo conflitto.
Altri problemi urgevano e impegnavano anche le donne: la battaglia per il
lavoro, per un salario decente, per migliori condizioni di vita per se
stesse, i loro uomini, le loro famiglie.
E anche quando la situazione internazionale si aggravera', rendendo
drammaticamente vicino il pericolo di una nuova guerra, anche allora il tema
della pace si proporra' alla coscienza della maggioranza degli italiani (e
delle italiane) come un elemento di divisione, di duro scontro politico,
culturale e ideologico, piu' che come elemento di unificazione delle
coscienze. Negli anni tra il 1948 e il 1954 la situazione internazionale si
fece assai aspra, e, a seguito della guerra di Corea, apparve assai vicino
il pericolo di un nuovo conflitto mondiale. Fu allora che apparve sulla
scena politica italiana e internazionale una nuova organizzazione, promossa
da comunisti e socialisti, i "Partigiani della Pace", che riusciranno a
mobilitare, con una serie straordinaria di iniziative, milioni di uomini e
di donne contro il pericolo di una nuova guerra e il minacciato uso della
bomba atomica. Un'organizzazione capillare, efficiente, ben strutturata, che
se non esaurira' il panorama delle altre organizzazioni pacifiste italiane,
tra cui quella cui si dedicava Maria Remiddi, ne relega, inevitabilmente, a
ben poca cosa, l'attivita'. Fino a farne in qualche modo sparire il ricordo.

11. RIFLESSIONE. GIOVANNI BOLLEA: ALCOLISMO GIOVANILE, UNA PROPOSTA
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 26 ottobre 2006 col titolo "Giovani, non
perdetevi in un bicchiere"]

L'adolescenza dagli 11 ai 18 anni e' l'eta' piu' problematica di tutta
l'eta' evolutiva e attualmente la piu' disturbata. E' il momento del
distacco dal nucleo familiare, dei nuovi amici, della maggiore difficolta'
scolastica. Delicato il primo distacco dalla famiglia, le prime amicizie, i
nuovi compagni, gli amici del cuore, le prime esperienze amorose, le prime
delusioni: e' il periodo classico dei vari tipi di depressione.
A 18-19 anni c'e' la paura del distacco, per l'entrata nella vita adulta.
L'adolescente deve essere percio' aiutato, guidato, indirizzato.
Anche se abitualmente si dedica a interessi positivi come lo sport e la
musica, bisogna capire e indagare se rincorre anche la droga sia come
divertimento e curiosita' iniziali, sia come "medicina" alle sue
frustrazioni. Ma in Italia l'adolescente, dopo i 15-16 anni usa gia'
l'alcool nelle sue varie forme.
Invano abbiamo gridato per anni che l'alcool e' un distruttore delle cellule
cerebrali: ricordando che nell'individuo normale ogni giorno vengono
distrutte 50.000 cellule mentre nell'alcolista ne vengono distrutte piu' di
100.000. Ma purtroppo l'alcool e' comunque entrato nelle abitudini
dell'adolescente, che ne prova un finto e rapido sollievo, ne blocca la
depressione e i pensieri negativi, dando gioia, allegria, speranza, coraggio
e voglia di comunicare. Cosi' l'alcolismo adolescenziale e' fortemente
aumentato negli ultimi 3-4 anni ed e' salito alla ribalta in forma imponente
sia come sostituto delle droghe o anche in seconda battuta dopo averle usate
o contemporaneamente ad esse; e questo per tre ragioni principali: e' a
portata di mano, costa meno e ahime' non e' illegale.
Non giunge all'etereo della marijuana o al flash euforico dell'eroina ma da'
ugualmente un senso di disinibizione sessuale, di liberazione dall'ansia e
dalla depressione.
La lieve dissoluzione dell'io che ne procede aiuta a dimenticare le "cose
brutte" e a prendere coraggio.
Oggi l'alcolismo adolescenziale e' gia' un fenomeno grave. Secondo
statistiche francesi il 20% degli adolescenti fa uso di alcolici in
quantita' nettamente superiore alla media. In passato si trattava di
ubriachezza isolata, parossistica, prevalentemente individuale o a coppie;
era un fenomeno della tarda adolescenza e della prima gioventu'. Ora il
fenomeno e' piu' esteso, in alcuni paesi ha guadagnato generazioni piu'
giovani, da individuale diventa di gruppo continuando nel tempo, e quindi ci
troviamo di colpo di fronte a gravi forme di lenta intossicazione data
l'estrema vulnerabilita' all'alcool delle cellule sia nervose che epatiche.
I ragazzi bevono in gruppo, il quale si forma spontaneamente: composto da
adolescenti ora comprende anche molte presenze femminili. L'ambiente di
provenienza e' prevalentemente la media borghesia, mentre alcuni studi
segnalano l'importanza del gruppo nel determinismo di questi fenomeni e le
motivazioni che ne sottendono l'attivita' non hanno quelle forti
implicazioni socioculturali o di rivolta che caratterizzavano un tempo il
gruppo dei drogati i quali sono quasi sempre fortemente disturbati sul piano
della personalita' con un'intelligenza medio-normale nel quadro di forti
disarmonie evolutive e immaturita' dell'io, la loro caratteristica e' una
mancanza di impegno nelle relazioni sociali, familiari e scolastiche e
sembra contenere un'identita' e una operativita' dell'io che si esplicano,
sotto l'effetto dell'alcool, in varie forme stimolando le competizioni del
bere perche' l'alcool stimola calore affettivo, spirito di corpo ed
eventuale antisocialita'.
Si ha cosi' un mutuo rafforzamento tra gli effetti dell'ubriachezza e le
intenzioni della banda; si aggiunga che in molti di questi giovani la
sessualita' affiora solo in un primo momento sotto l'effetto dell'alcool e
cio' e' un incentivo a continuare sino a raggiungere un'inevitabile
dipendenza alcolica.
Tale dipendenza non e' stata finora adeguatamente studiata come vorrei.
Perche' l'alcool come apparente sostituto della classica droga e' una
pericolosissima rincorsa verso quei 40.000 morti all'anno che le statistiche
stanno ampiamente gia' superando.
E ricordiamoci che inizialmente sembra privo di grandi conseguenze ma
rappresenta invece un pericolo che vede crescere esponenzialmente la sua
nocivita' nel momento in cui sta diventando una moda patologica, soprattutto
perche' in molte subculture e' ipoteticamente utilizzato come un'antidroga.
Cosa aspettiamo a studiare una legge che possa anche solo per il 50%
diminuirne le conseguenze letali? Proibirne la vendita ai ragazzi fino ai 21
anni eviterebbe un'enorme quantita' di reazioni delinquenziali.

12. LIBRI. ILIDE CARMIGNANI PRESENTA "INCROCI INTERLINGUISTICI" A CURA DI
FABIANA FUSCO E RENATA LONDERO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 aprile 2008, col titolo "Il labirinto
della traduzione" e il sommario "Complesse mediazioni letterarie in Incroci
interlinguistici per Franco Angeli"]

Scrive Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche "Il linguaggio e' un
labirinto di strade. Vieni da una parte e ti sai orientare; giungi allo
stesso punto da un'altra parte, e non ti raccapezzi piu'". A esplorare gli
intricati percorsi e gli smarrimenti di chi giunge "allo stesso punto"
addirittura da un'altra lingua arriva il bel volume Incroci
interlinguistici. Mondi della traduzione a confronto (a cura di Fabiana
Fusco e Renata Londero, Franco Angeli, pp. 320, euro 25), che indaga i
problemi correlati alle divergenze e alle convergenze del processo di
mediazione sia del testo letterario, analizzato in un'ottica lessicale,
stilistica e glottodidattica, sia di quello tecnico, dal linguaggio
giuridico al doppiaggio.
Quanto sia lungo il percorso di avvicinamento a un testo e' ampiamente
illustrato da svariati saggi della raccolta.
In ambito letterario, per esempio, Andrea Baldissera e Paola Faini
analizzano la resa italiana dei caratteri ritmici e sonori della prosa,
rispettivamente, di Antonio Munoz Molina e Jane Austen, evidenziando
complessita' e limiti dell'operazione, mentre Salvatore C. Trovato osserva
la restituzione in spagnolo del plurilinguismo di Vincenzo Consolo, i cui
regionalismi finiscono non di rado col trarre in inganno.
Particolarmente stimolante e' il tema scelto da Franco Nasi, la traduzione
della parodia, che per sua natura pone in primo piano la figura del lettore
e quindi mette, almeno per il momento, fra parentesi l'annosa questione di
quale sia la traduzione corretta, allargando gli orizzonti della discussione
a comprendere le modalita' di ricezione del testo, committente incluso. Se
la parodia, infatti, e' uno sviamento semantico di un testo realizzato
attraverso una trasformazione minimale che puo' essere pienamente fruita
solo da un lettore in grado di cogliere il "contrappunto", non e' difficile
immaginare quanto sia arduo per il traduttore far avvertire il rinvio
intertestuale la' dove l'enciclopedia del lettore della lingua di partenza
e' molto diversa da quella del lettore della lingua di arrivo, e soprattutto
quanto pesi nella scelta delle strategie di mediazione la tipologia di
lettore a cui il committente chiede di rivolgersi. L'analisi di Nasi si
esercita su un classico della letteratura per ragazzi, famoso per la
ricchezza di rimandi parodici, Alice nel Paese delle Meraviglie, con esempi
tratti dalla prima traduzione italiana, realizzata nello stesso anno di
uscita dell'originale, il 1872, da Teodorico Pietrocola Rossetti, iscritto
alla Giovane Italia, condannato a morte ed esule in Inghilterra. Ponendosi
come scopo precipuo quello di risultare comprensibile e divertente per i
bambini (all'epoca ad Alice non si chiedeva di piu'), Rossetti punta
sull'accettabilita', addomesticando il testo attraverso la ricerca di
un'equivalente dinamico, ora sostituendo l'opera parodiata con una simile
italiana, ora ripiegando su un testo comico di primo grado, strategie poi
adottate dopo di lui da molti altri traduttori. Inutile dire che una
versione filologica, dal ricco paratesto, avrebbe consentito maggiore
adeguatezza e minore etnocentrismo, ma avrebbe altresi' richiesto un lettore
adulto e competente. Come scrive Nasi, tradurre la parodia obbliga il
traduttore "ad assumere un punto di vista, uno dei tanti possibili punti di
vista da cui prendera' corpo e voce un nuovo testo". E tuttavia non bisogna
dimenticare che l'intertestualita' su cui si basa la parodia non e' che una
raffinata variante delle tante difficolta' legate alla mediazione della
differenza culturale: non e' solo la conoscenza del contesto letterario di
un'opera a consentircene un'adeguata comprensione, ma piu' in generale la
dimestichezza con la cultura che l'ha partorita.
Altrettanto complesso appare il caso analizzato da Fabiana Fusco, il
doppiaggio di Spanglish, un film che vede la compresenza di due lingue e
culture diverse, l'inglese e lo spagnolo, con i loro stereotipi, ai margini
di quella frontiera che separa e unisce Stati Uniti e Messico.
Assai interessanti, infine, appaiono le metamorfosi letterarie, studiate da
Laura Dolfi, del racconto di Romano Bilenchi Le stagioni, riscritto nel 1958
da Jorge Guillen sotto forma di tre composizioni poetiche intitolate La
fuente, poi a loro volta "nuovamente" tradotte in italiano da Mario Luzi in
un processo che riporta alla mente "il riflusso incessante, la continua e
muta fecondazione" per cui, secondo Octavio Paz, "traduzione e creazione
sono operazioni gemelle".

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 616 del 22 ottobre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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