Minime. 590



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 590 del 26 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Il 2 ottobre si celebra la Giornata internazionale della nonviolenza
2. Il 5 ottobre a Vicenza
3. Emily Dickinson: Non sappiamo di andare quando andiamo
4. Cio' che tu vedi
5. Mao Valpiana: La bandiera della pace e un assessore disinformato
6. Peppe Sini: Licenza di devastare
7. Dario Salvatori: Bob Dylan
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. IL 2 OTTOBRE SI CELEBRA LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA
NONVIOLENZA

Dallo scorso anno l'assemblea generale dell'Onu ha dichiarato "Giornata
internazionale della nonviolenza" il 2 ottobre, anniversario della nascita
di Gandhi.
In questa occasione si svolgeranno molte iniziative anche in varie citta'
italiane.
Ovunque possibile si promuovano incontri, e particolarmente nelle scuole.

2. INIZIATIVE. IL 5 OTTOBRE A VICENZA

Si svolgera' il 5 ottobre a Vicenza il referendum per impedire la
realizzazione della nuova base di guerra "Dal Molin".
Sosteniamo l'impegno della popolazione vicentina per la pace, l'ambiente, la
democrazia, la legalita', i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Per informazioni e contatti: www.dalmolin5ottobre.it

3. MAESTRE. EMILY DICKINSON: NON SAPPIAMO DI ANDARE QUANDO ANDIAMO
[Da Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, p. 1461.
Emily Dickinson visse ad Amherst, Massachusetts, tra il 1830 e il 1886;
molte le edizioni delle sue poesie disponibili in italiano con testo
originale a fronte (tra cui quella integrale, a cura di Marisa Bulgheroni:
Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005; ma vorremmo
segnalare anche almeno la fondamentale antologia curata da Guido Errante:
Emily Dickinson, Poesie, Mondadori, Milano 1956, poi Guanda, Parma 1975, e
Bompiani, Milano 1978; e la vasta silloge dei versi e dell'epistolario
curata da Margherita Guidacci: Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni,
Firenze 1961, Bompiani, Milano 1993, 2000); per un accostamento alla sua
figura e alla sua opera: Barbara Lanati, Vita di Emily Dickinson. L'alfabeto
dell'estasi, Feltrinelli, Milano 1998, 2000; Marisa Bulgheroni, Nei
sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson, Mondadori, Milano 2002]

Non sappiamo di andare quando andiamo.
Noi scherziamo nel chiudere la porta.
Dietro, il destino mette il catenaccio,
e non entriamo piu'.

4. EDITORIALE. CIO' CHE TU VEDI

L'Italia che invia i cacciabombardieri in Afghanistan: a cosa serviranno?
Le leggi razziste del governo: quali conseguenze avranno?
Il silenzio di troppi di fronte ai crimini di poteri criminali: a chi
giovera'?
*
Cessi la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in
Afghanistan.
Siano revocate le scellerate leggi razziste.
Cessi ogni complicita' con gli assassini.
*
Opporsi alla guerra e al terrorismo, opporsi al razzismo e ai poteri
criminali, difendere la democrazia e i diritti umani: e' dovere di tutti.

5. VERONA. MAO VALPIANA: LA BANDIERA DELLA PACE E UN ASSESSORE DISINFORMATO
[Ringraziamo Mao Valpiana(per contatti: tel. 0458009803, fax: 0458009212,
e-mail: mao at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento dal
titolo "Il Comune di Verona non vuole la bandiera della pace" e il sommario
"Bandiera della Pace. L'assessore Di Dio si informi meglio, e poi si
vergogni e chieda scusa ai missionari comboniani e ai pacifisti".
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il
digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana
rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo
ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e
uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita
l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di
donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo
profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su
nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in
cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre
2007]

L'assessore comunale di Verona Di Dio non vuole vedere le bandiere della
pace in Piazza Bra'. Nemmeno se a issarle sono persone al di sopra di ogni
sospetto come i padri missionari comboniani, che insieme al Centro
Missionario Diocesano hanno preparato la "Carovana della pace", di passaggio
a Verona. Per l'assessore quelle sono bandiere sovversive. Certamente e'
male informato. Forse conviene ricordagli la vera storia di quel vessillo.
La prima bandiera della pace con i colori dell'arcobaleno, in Italia, fu
cucita a mano con pezze che c'erano in casa alla vigilia della prima marcia
Perugia-Assisi il 24 settembre 1961.
Aldo Capitini, filosofo, fondatore del Movimento Nonviolento e ideatore
della prima grande marcia pacifista, voleva un simbolo per la pace, ma tutte
le altre bandiere significavano gia' qualcosa. Quella contro la guerra
secondo lui doveva avere tutti i colori dell'internazionale dei popoli,
tutti i colori del mondo. Fu una bimba che allora aveva 12 anni, Francesca
Siciliani, figlia del noto maestro musicale, a cucire quella prima bandiera,
ancor oggi conservata a Todi, nella casa di Lanfranco Mencaroni, amico e
compagno di Capitini.
"Le bandiere hanno il colore dell'arcobaleno, ma il richiamo alla natura ha
un significato: l'arcobaleno questa volta lo vogliamo prima della tempesta,
non dopo", scrisse quel giorno Gianni Rodari, uno dei trentamila pacifisti
in marcia, con un esplicito riferimento al versetto della Genesi in cui Dio
suggella la sua alleanza con gli uomini dopo il diluvio universale.
Anche Bruno Munari, artista e designer, suggeri' a Capitini di usare l'iride
per la marcia Perugia-Assisi. Disse che l'archetipo della pace era
l'arcobaleno, simbolo insieme di pluralita' e di unita'.
Aldo Capitini aveva gia' visto sventolare quella bandiera dai pacifisti
stranieri. La vide usata da Bertrand Russell in Inghilterra per la campagna
sul disarmo nucleare all'inizio del 1960. L'arcobaleno indicava la pace dopo
la tempesta della seconda guerra mondiale e la speranza di un mondo senza
armi nucleari.
Fu cosi' che la bandiera della pace inizio' a diffondersi in Italia.
Fino ad oggi, quando un assessore del Comune di Verona decide di vietarla,
inconsapevolmente insultando Capitini, Rodari, Munari, Russell. Non prova
nemmeno un po' di vergogna il povero assessore Di Dio?

6. VITERBO. PEPPE SINI: LICENZA DI DEVASTARE

Mentre spacciano slogan insensati e mistificanti come "ecoaeroporto" e
"aeroporto a impatto zero", i signori della lobby politico-affaristica sanno
bene che la realizzazione del nocivo e distruttivo mega-aeroporto a Viterbo
avrebbe effetti devastanti per la salute dei cittadini, per l'ambiente, per
fondamentali beni culturali, terapeutici, sociali, economici; in breve:
sanno bene che la realizzazione del mega-aeroporto e' uno sperpero immane di
risorse pubbliche, un atto di vandalismo nell'area termale del Bulicame che
ne verrebbe irreversibilmente massacrata, un danno enorme per tutti i
viterbesi, un'operazione speculativa in palese contrasto con le norme
vigenti a  tutela di ambiente, salute, beni e diritti dei cittadini.
E prova ne e', ad esempio, lo scandalosissimo atto deliberativo n. 92 del 25
luglio 2008 con cui il Consiglio Comunale ha chiesto alla Regione Lazio di
poter eludere i vincoli del Piano territoriale paesaggistico regionale e le
relative norme di salvaguardia. Altro che "ecoaeroporto", altro che "impatto
zero": la lobby che domina il Comune di Viterbo a danno dei cittadini chiede
licenza di devastare e inquinare e avvelenare, cosi' come James Bond aveva
licenza di uccidere in quanto al servizio di Sua Maesta'.
Sanno bene, lorsignori, che per le vigenti norme europee ed italiane il
devastante mega-aeroporto e' del tutto irrealizzabile. Ma continuano a
cercar di ingannare i cittadini. Con una protervia che lascia stupefatti.

7. PROFILI. DARIO SALVATORI: BOB DYLAN
[Dal mensile "Letture", n. 612, dicembre 2004, col titolo "Bob Dylan" e il
sommario "Con l'acusticita' del folk o l'elettricita' del rock, il
menestrello di Duluth ha dato voce all'inquietudine delle generazioni di
americani cresciute nel dopoguerra, partecipando alla controcultura di cui
e' stato profeta e cantore"]

A 63 anni, con 42 di produzione discografica, Bob Dylan puo' esser
soddisfatto. Se i critici hanno smesso da tempo di cercare i suoi eredi -
un'occupazione con cui si sono trastullate tutte le maggiori firme del
giornalismo rock - la letteratura e in generale l'editoria sembrano
perennemente alla ricerca di quel composito cosmo alla base del linguaggio
dylaniano fin dagli anni Sessanta. Biografo dell'altra America, quella delle
marce per l'integrazione, delle dimostrazioni contro il Vietnam, quella
dell'antimilitarismo e dell'antiautoritarismo, Dylan e' tornato sul mercato
in questi ultimi mesi con diversi album antologici, dimostrando quanto poco
sia cambiata la sua mentalita'. Inafferrabile quanto la famosa risposta di
Blowin' in the wind ("La risposta, amico mio, soffia nel vento"),
continuera' a stupire e a spiazzare pubblico e critica. Ci sono frasi nelle
sue canzoni che hanno fatto epoca e in breve furono ripetute a memoria dal
coro elettronico di una generazione. Ma contrariamente a tante star degli
anni Sessanta, Dylan e' ancora un personaggio vivo, un uomo di cultura del
nostro tempo.
Con il nome di Robert Allen Zimmermann nasce nel 1941 a Duluth, piccola
citta' del Minnesota, da dove scappera' ben presto per raggiungere New York.
Sappiamo che all'inizio i suoi eroi erano Little Richard e Hank Williams,
vale a dire le massime personalita' del rock and roll e del country; Big Joe
Williams e Woody Guthrie (l'artista che influenzo' maggiormente la sua
carriera) arrivarono solo in un secondo tempo. A New York si mise in luce
nel Greenwich Village, che allora era un'autentica fucina per tutti gli
artisti off. Comincio' come tutti a esibirsi nei piccoli caffe' e nei
numerosi locali del Village, ma fu soltanto in seguito a un articolo apparso
sul "New York Times" che Albert Grossman, affiancato anche da John Hammond,
si occupo' di lui. Questi due signori gli fecero incidere il primo album
verso la fine del 1961 (ma apparve nel marzo del 1962); un disco che non
possedeva molto di originale, se non la gia' tipica voce rauca, nasale, ma
indubbiamente magnetica, suggestiva.
Il secondo album, The freewheelin' Bob Dylan, fu il suo vero inizio. A
differenza della prova discografica precedente, Dylan non utilizzo' blues
classici ma solo sue composizioni. Da una linea semiacustica estremamente
personale, legata comunque a tutto il giro della protesta folk, scaturirono
canzoni come Blowin' in the wind, A hard rain's a-gonna fall, Master of war,
tutte da antologia. La galvanizzante cultura giovanile, l'amicizia con i
grandi poeti beat (Ginsberg, Corso, Sanders, Ferlinghetti), il legame con
gli altri interpreti folk (Baez, Paxton, Pete Seeger, Peter, Paul & Mary) e
soprattutto il colossale Festival Folk di Newport, lo consacrarono come il
nuovo personaggio dell'America giovane. Ancora un anno e cominceranno ad
arrivare i vari giustificativi del potere: il successo commerciale dei Byrds
con la sua Mr. Tambourine man, il riconoscimento dei Beatles dalla lontana
Inghilterra e le stupefacenti vendite degli altri album, The times they are
a-changin', Another side of Bob Dylan e Bringing it all back home.
Il periodo 1965-66 si rivelera' fondamentale per tutto il decennio
successivo. Nel 1965 si ripresenta a Newport dove viene sonoramente
fischiato perche' colpevole di ostentare un'immagine "elettrificata",
diversa da quella semplicemente folk a cui il suo pubblico era abituato.
Dopo i fischi, torna sul palco in versione acustica, fa finta di pentirsi e
fa venire le lacrime agli occhi. Ma "i tempi stavano veramente cambiando".
Anche per lui. Difatti Like a rolling stone arriva al n. 1 nei 45 giri e
Blonde on blonde diventa, insieme a Sgt. Pepper dei Beatles, l'album che
meglio inquadra gli anni Sessanta. Da cantore folk a menestrello elettrico,
un passaggio notevole; da cantante di protesta a visionario lirico, vero e
proprio poeta elettrico del suo tempo. Nel novembre del 1965 sposa Sarah,
mentre all'anno dopo risale il suo misterioso ritiro, ufficialmente per un
incidente di moto, forse per l'eccessiva pressione nei confronti del suo
essere personaggio pubblico. Quando torna all'isola di Wight nel 1969, i
fans scoprono che la sua voce ha perso tutta la sua timbrica metallica,
diventata ora addirittura dolce, sinuosa. Sia pure in mezzo a mille ritiri,
zuffe con la stampa, lotte con A. J. Weberman (un collezionista paranoico
che era solito frugare nel bidone della spazzatura di casa Dylan), una lunga
separazione con la moglie, dimostra comunque di aver esercitato sui giovani
un'influenza irripetibile, introducendo un cambiamento di stile di vita
epocale.
Nel 1970 ritira svogliatamente una laurea honoris causa all'Universita' di
Princeton e da' alle stampe due dischi contestatissimi, Self portrait e New
morning. Nel 1971 e' ospite inatteso del mega concerto organizzato da George
Harrison per il Bangladesh a New York. Nel 1973 prende parte al film di Sam
Peckinpah, Pat Garrett e Billy The Kid, di cui scrive la colonna sonora. A
gettar olio sul fuoco della mitologia piu' spicciola arriva una pioggia di
dischi clandestini con dozzine di inediti preziosi. Irritato e incuriosito
al contempo, l'artista finira' per gettar la spugna e dare alle stampe i
famigerati Basement tapes, registrati durante la convalescenza del 1966.
*
Vecchi amici, nuova fede
Nel 1976 l'ennesima trasformazione. Dylan s'avventura per l'America con una
carovana viaggiante di amici vecchi e nuovi, la Rolling Thunder Revue: sono
con lui Joan Baez, Jack Elliott, Allen Ginsberg, Roger McGuinn, Joni
Mitchell e altri; personaggi obliqui e "mascherati" che l'artista fissera'
in un film di oltre quattro ore, Renaldo & Clara, supremo esorcismo dei
fantasmi di un tempo. Con Desire e la canzone Hurricane, in difesa del
pugile nero Rubin Carter ingiustamente condannato per un delitto non
commesso, Dylan ritrova la rabbia, la "visione" e il carisma dei tempi
migliori, ma solo per un attimo. Forse e' un'ultima illusione. Segue un
nuovo lungo silenzio, spezzato soltanto dall'apparizione a sorpresa nel
concerto d'addio della Band al "Winterland" di San Francisco, il celebre
"Ultimo valzer" firmato da Martin Scorsese. Nel 1978 arriva Street legal, un
tour mondiale senza precedenti e un pugno di interviste in cui si mostra
straordinariamente disponibile. Come nel film Renaldo & Clara, in cui
distrugge senza paura per poi ricostruire con una determinazione che da
molti anni non gli si conosceva piu'. Senza dubbio e' l'alba di un nuovo
periodo e la sorpresa non si fa attendere. Il 1979 e' l'anno di Slow train
coming, manifesto della nuova fede dell'artista, convertitosi alla dottrina
cristiana-fondamentalista. Dopo la protesta, le visioni allucinatorie, le
parabole bibliche, le riflessioni post-coniugali, Dylan cerca un contatto
ancor piu' intimo con se stesso. Garba poco una simile sterzata e i
successivi Saved e Shot of love cadono nell'indifferenza generale, secondo i
fans troppo impregnati di gospel e di lodi al Signore. Si arriva cosi' a
Infidels, un passo oltre gli inni di redenzione, disco nuovamente pervaso
dalla verve incalzante del miglior periodo elettrico (gli sono d'aiuto
nientemeno che i due Dire Straits Mark Knopfler e Allan Clark, Mick Taylor e
i giamaicani Sly Dunbar e Robbie Shakespeare). Superfluo parlar di
rinascita, di clamorosa rentree, emerge soprattutto la grandezza di un poeta
da sempre in sintonia con i tempi e troppe volte ignorato, irriso,
dimenticato. Dopo il cofanetto Biograph, le cover di Knocked out loaded, il
nuovo colpo di coda arriva con Oh mercy del 1989, registrato a New Orleans e
ricco di atmosfere notturne, calde e magiche tipiche di quella citta'.
Nel 1991, dopo esser stato devastato per anni da bootlegs e dischi-pirata,
il cantante, in coincidenza con i suoi cinquant'anni, decide di aprire i
suoi archivi e pubblicare i tre volumi di The bootleg series, anche se la
vera novita' arriva l'anno dopo con Good as I been to you, primo album
completamente acustico dopo 28 anni. L'ampio repertorio folk-blues
nordamericano di World gone wrong, album del 1993, lo riconcilia con i suoi
fans, anche se, due anni dopo, cede alla moda e alle lusinghe della piu'
famosa trasmissione acustica, Mtv unplugged, che fra l'altro contiene un
inedito John Brown, brano scritto nei primi anni Sessanta e mai pubblicato
precedentemente.
L'ennesimo colpo di genio arriva dopo otto anni dall'ultimo album in studio,
Time out of mind, il disco piu' rappresentativo del Dylan anni Novanta, un
lavoro carico di ballate sofferenti e un certo gusto per quell'antica poesia
visionaria mai sopita. Il decennio si chiude con altre innumerevoli
antologie e qualche minicd, quando, con una certa meraviglia, arriva Love
and theft, un disco che nel 2001 riporta Dylan, autorevolmente, al
rock-blues e anche a quel western-swing che probabilmente ascoltava alla
radio da bambino negli anni Quaranta.
*
Meglio cantare che scrivere
Da anni candidato al Nobel per la letteratura, Dylan, pur avendo pubblicato
il suo primo libro, Tarantula, nel 1970, non ha mai esternato gratificazione
per l'ambito omaggio. Colpa della sua proverbiale riservatezza, di quel
clima con cui ama proteggere la sua vita privata, ma forse anche per
rimanere fedele a un modello. La notizia del Nobel, che rimbalza ad anni
alterni, ha del vero. Per primo fu il professor Gordon Ball del Virginia
Military Institute ad avanzare la nomination, immediatamente ripresa
dall'Accademia di Svezia nella persona di Horace Engdahl, uno dei grandi
vecchi accademici, anche se quest'anno il nome del cantante non e' stato
fatto.
Anche se le strade del Nobel portano a lui, il menestrello di Duluth ha
sempre evitato esagerati approfondimenti sulle sue liriche. Voce importante
del movimento di protesta degli anni Sessanta, ha sempre preferito cantare
l'inquietudine, la disperazione e l'incertezza di una generazione di
americani cresciuta nel dopoguerra, all'interno della lunga guerra fredda,
fino alla nascita di una improbabile controcultura, di cui il musicista fu
profeta e cantore. Simbolo di quell'altra America che dai campus
californiani ai raduni pop che prevedeva un sesso disinibito, l'uso delle
droghe leggere e una dura contestazione della cosiddetta societa' dei
consumi, Dylan, molto piu' semplicemente, ambiva a esser considerato un
artista, mirando a difendere la propria indipendenza culturale. Del resto i
suoi rapporti con i grandi ribelli subalterni della cultura americana
arrivano da molto lontano. Per molti versi e' stato l'erede spirituale dei
grandi beat. Ne conosceva l'opera, aveva una sensibilita' vicina alla loro
ed era impaziente di conoscerli.
*
Un antieroe al Village
Dylan arrivo' a New York nel dicembre del 1960, in una fredda giornata
inospitale. Del suo primo assalto alla citta' ha raccontato in svariate
versioni, la piu' divertente delle quali si trova in Talking New York,
scritta nel maggio del 1961 in una stazione di camion a ovest di New York.
Vi si descrive un vagabondo solitario che si butta nella mischia cittadina
finche' raggiunge il "successo" a un dollaro al giorno. Cascami di cultura
hobo che facevano sentire il diciannovenne aspirante cantante vicino al
modello del suo maestro, Woody Guthrie. Del resto nessuna comunita'
rappresentava meglio del Greenwich Village la liberta' personale e
artistica, e nel Village nessun palcoscenico era piu' stimolante di quello
del teatro off-Broadway e della nuova ondata di musica folk, un riproporsi
di spettacoli a meta' strada fra il circo e la rappresentazione medievale.
Dylan sbarco' al Village nel febbraio del 1961, in uno stato d'animo di
esaltata ambizione. L'aspetto esteriore non era molto diverso da quando era
partito per Minneapolis, magro e sparuto, vestito di tela e pelle. La gente
del Village in pratica lo adotto'. Sembrava talmente bisognoso di protezione
e di affetto che risvegliava il fratello, la sorella, l'amante o il genitore
nelle persone che incontrava. Lui era gia' immerso fino alle orecchie nella
musica folk e ben presto si ritrovo' fino alle ginocchia nella poesia beat.
Hugh Romney, poeta comico e fantasista, era allora un grosso personaggio
della MacDougal Street. Quando Dylan arrivo', il suo vocabolario beat era
limitato; sei mesi dopo parlava, scherzava, ragionava esattamente come
Romney. "Ama te stesso" divenne una parola chiave per Dylan cosi' come lo
era stata per Romney. I poeti beat lavoravano di concerto con i chitarristi
folk. Laddove il romanticismo di Whitman, Sandburg, Guthrie, Kerouac e
Ginsberg si era andato esaurendo, subentrava il nuovo romanticismo dei
cantanti folk inurbati. Busso' a innumerevoli porte nella MacDougal Street:
il "Commons", il "Gaslight", il "Cafe' Wha?", il "Folklore Center", tutti
locali che davano sulla MacDougal, una sorta di corso, buio e trafficato,
che faceva sembrare Dynkytown molto provinciale. In MacDougal Street l'aria
sapeva di romanticismo, arte, indipendenza, cappuccini e panini con
salsiccia. Dylan era il tipo dell'immigrato morto di fame capace di entrare
in un bar della MacDougal dove si serviva il "sandwich dell'eroe" e chiedere
un "sandwich dell'antieroe". Conquistava le persone con straordinaria
rapidita' e sembrava che nessuno mettesse in dubbio le storie dei suoi
viaggi o la sua amicizia con leggendari cantanti di colore come Big Joe
Williams o Mance Lipscomb. Invece era tutto inventato.
Il suo segno di riconoscimento era un berrettino di velluto nero che metteva
sempre e dovunque. Gli dava sicurezza, era un distintivo prima ancora che un
indumento. Per la forma leggermente a punta e la visierina corta, somigliava
al berretto che gli emigranti dell'Europa orientale indossavano sbarcando a
Ellis Island.
*
Quella volta che a Roma...
A proposito dell'Europa, le novita' erano attese proprio dal vecchio
continente. In Italia, a Roma, opera gia' da un paio d'anni il "Folkstudio",
che si rivelera' nel tempo la principale fucina di nuovi artisti, anche se
nei primi tempi sono soprattutto gli artisti americani, stanziali o di
passaggio in Italia, a movimentare la creativa stagione del piccolo locale
di Trastevere. E il 1962 e' per il "Folkstudio" proprio l'anno di Bob Dylan.
La storia di questa gloria postuma e' alquanto curiosa. Si comincio' a
parlare della serata di Dylan al "Folkstudio" soltanto dopo che Dylan
divenne molto noto. La sera in cui si presento', come uno dei tanti
americani con la chitarra avvicendatisi sul palco, nel locale c'erano poche
persone, la maggior parte sedute al bar; d'altra parte la serata era
dedicata a un altro artista e il nome di Dylan, oltre che sconosciuto, non
appariva in programma. Canto' qualche pezzo, quasi in jam con altri, quando
era gia' molto tardi.
Anthony Scaduto, nella biografia di Bob Dylan, descrive per filo e per segno
tutti i particolari e i retroscena del periodo italiano del cantante.
All'epoca, nel marzo 1962, Dylan aveva gia' pubblicato il suo primo lp e
gia' vendeva benino. Viveva con Suze Rotolo, la bionda e sorridente ragazza
che compariva assieme a lui sulla copertina del secondo album. Suze viveva
di illustrazioni e dipingeva. Poiche' la madre di Suze progettava una
vacanza in Italia, invito' la figlia ad accompagnarla. Suze aveva una gran
voglia di partire, ma non voleva lasciare Bob. L'8 giugno del 1962 pero'
parti' lo stesso.
Scrive Scaduto: "Il viaggio per nave duro' otto giorni. Arrivata a Perugia
Suze fu raggiunta da un telegramma di Bob che la implorava di tornare a
casa. Pianse per ore, raccontera' ad un'amica, e fu quasi sul punto di dire
a sua madre che tornava in America. Ma invece resto'. Bob le invio' molte
altre lettere che, in sostanza, ripetevano quanto gia' scritto: "Abbiamo
perso molto tempo a giocare a carte e a chiacchierare con la gente. Vieni a
casa e cominciamo a conoscerci, a capirci". Ma Suze rimase perche' si era
ormai innamorata dell'Italia. All'inizio lei rispose a Bob, ma poi le sue
lettere si diradarono. Dovendo tornare a settembre, invece, si trattenne in
Italia anche in ottobre e in novembre. Dylan viveva il suo momento creativo
migliore e faceva grandi cose. Intanto aveva ufficialmente cambiato il suo
nome (quello originario era Robert Allen Zimmermann), poi componeva i pezzi
per il suo secondo lp e, proprio nei giorni di Cuba quando il mondo
trattenne il fiato, compose A hard rain's a-gonna fall, una tra le sue
canzoni piu' belle.
Alla fine di dicembre ricevette un invito dagli inglesi della Bbc a prendere
parte a un recital. Compenso: mille dollari. Naturalmente accetto', per
avere cosi' l'occasione di visitare l'Europa, anche se alla stampa americana
forni' una spiegazione molto piu' plausibile per una futura superstar: "La
sola ragione per la quale voglio andare in Inghilterra e' che spero di
trovarci Charles Dickens". La trasmissione era programmata per la meta' di
gennaio, e cosi' prima si precipito' in Italia. Corse a Perugia per cercare
Suze apprendendo che era ripartita appena due giorni prima, per New York.
Dylan gironzolo' per qualche giorno a Roma e naturalmente capito' al
"Folkstudio", dove strinse amicizia con alcuni cantanti blues e country
americani, influenzati anch'essi da Woody Guthrie. Proprio in quei giorni
scrisse Boots of spanish leather e Girl from the north country, tra le sue
canzoni piu' interessanti e originali. Di GirI from the north country
Anthony Scaduto scrive: "Era un anno che l'aveva per la testa, ma gli venne
fuori solo dopo non essere riuscito a ritrovare Suze. Questa canzone, su di
un amore antico e motivata dalla perdita del suo attuale amore, e' una delle
piu' belle canzoni di quel periodo".
*
Un manichino e la sua chitarra
Finito cosi' il suo soggiorno italiano, Dylan parti' per Londra. In Italia
non vi avrebbe piu' messo piede per decenni e il "Folkstudio", questa volta
suo malgrado, visse l'episodio nella migliore delle tradizioni underground:
per pochi e senza farlo sapere a nessuno.
In Italia a occuparsi per prima di lui fu Fernanda Pivano, grande
conoscitrice di cose d'America, che con la sua curiosita' brucio' tutti i
critici musicali, che per la verita' all'inizio degli anni Sessanta nemmeno
esistevano. Proprio a lei capito' di vederlo dal vivo quando in Italia non
era stata diffusa neanche una foto. L'impressione fu comunque forte, netta,
di grande impatto: "Era li' sul palcoscenico, solo, come un manichino in
vetrina, aggrappato alla chitarra, con la faccia quasi nascosta da un
congegno che reggeva l'armonica e un joint acceso, affondato in una
scenografia di quattro quadri che rappresentavano la sua immagine
descrivendola dall'uomo spaziale ai suonatori di rock and roll. Le sue gambe
storte da cowboy, quella sua faccia nervosa che qualcuno ha definito del
colore dello yogurt, l'aspetto macilento che faceva prevedere un suo
imminente collasso totale con chitarra, tutto creava nella sala uno stato di
tensione insopportabile". Fernanda Pivano, cosi' come altri intellettuali
italiani degli anni Sessanta, per esempio Umberto Eco e Furio Colombo,
sembravano sorpresi del seguito che il giovane musicista aveva presso la
comunita' beat e soprattutto all'interno della nascente coscienza
controculturale americana. Si', c'era stata, anzi, era ancora in corso
l'esperienza al Village, ma francamente erano stati in molti a precederlo -
alcuni anche suoi maestri, a cominciare da Pete Seeger - ma senza creare lo
stesso interesse.
*
Una voce oltre ogni poesia
Fu Al Aronowitz, un giornalista del "Saturday Evening Post", a presentare
Allen Ginsberg a Bob Dylan. Avvenne a Princeton nel novembre del 1963. Lo
scrittore rimase molto affascinato da quel ventiduenne gia' famoso. E se e'
vero che le opere dei beat avevano influenzato le sue canzoni, c'e' da dire
che Dylan ebbe una forte influenza su Ginsberg, che comincio' a emularlo
incidendo canzoni a sua volta, capendo che la sola voce non aveva molte
possibilita' se paragonata all'accompagnamento di un cantante o di un gruppo
musicale. Certo, la meraviglia dell'autore di Howl, che dopo averlo
ascoltato esclamo': "Scrive una poesia migliore di quella che scrivevo io
alla sua eta'. Un genio menestrello dell'eta' spaziale piuttosto che un
vecchio poeta di biblioteca", soltanto qualche anno dopo non avrebbe avuto
piu' alcun senso. Perche' il musicista e' cambiato piu' velocemente del suo
pubblico, di quell'esercito disorganico composto da ex giovani, ex
rockettari, ex barricaderi che si entusiasmano alle descrizioni di un tipo
di America che non esiste piu'.
Lawrence Ferlinghetti, poeta, scrittore, editore e figura di primo piano
della beat generation, non aveva dubbi sul fatto che fosse arrivato un nuovo
poeta. "Le sue prime canzoni sono lunghissime poesie surreali e mi sono
detto che era un peccato che fosse diventato un cantante folk di successo.
Sarebbe potuto diventare uno scrittore davvero interessante". Il cantante
lego' molto con Ferlinghetti e i due parlarono della possibilita' di
scrivere un libro per la City Light Books, la piccola libreria-casa editrice
di proprieta' del poeta a San Francisco. Ma Dylan, non del tutto
indifferente al valore economico che potevano avere i suoi scritti, alla
fine firmo' un contratto con la potente Mac-Millan.
Probabilmente fece bene perche' nella prospettiva storica il messaggio di
Allen Ginsberg o di Gregory Corso, comportamentale ma di fatto solo
cartaceo, venne soffocato dalla censura e si indeboli'. Al contrario, quello
di Dylan, forte della sua voce nasale e roca, usando anche l'antica
scaltrezza di evitare nelle sue poesie le parole censurabili, divenne
potente ogni giorno di piu'. Ecco allora l'universo dei ghetti, la
demolizione degli slums, la segregazione domiciliare, il nuke-rock (fu il
primo ad utilizzare il termine, che stava per nuclear), unitamente al suo
messaggio di ribellione e di dissenso, fini' per conquistare gli
intellettuali e gli studenti che lo designarono lo scrittore americano piu'
interessante del nostro tempo. Lo e' ancora? Si', se i contenuti non
verranno edulcorati, come spesso accade ai messaggi di rivolta e di
denuncia, soprattutto perche' nei versi di Bob Dylan c'e' disperazione ma
anche una via di salvezza.
*
Discografia essenziale, quarant'anni di storia
Bob Dylan (1962).
The freewheelin' Bob Dylan (1963).
The times they are a-changin' (1964).
Another side of Bob Dylan (1964).
Bringing it all back home (1965).
Highway 61 revisited (1965).
Blonde on blonde (1966).
John Wesley harding (1967).
Nashville skyline (1969).
Self portrait (1970).
New morning (1970).
Dylan (1973).
Planet Waves (1974).
Before the flood (1974).
Blood on the tracks (1975).
The basement tapes (1975).
Desire (1976).
Hard rain (1976).
Street legal (1978).
At Budokan (1978).
Slow train coming (1979).
Saved (1980).
Shot of love (1981).
Infidels (1983).
Real live (1984).
Empire burlesque (1985).
Biograph (1985).
Knocked out loaded (1986).
Dylan & the dead (1989).
Oh mercy (1989).
Under the red sky (1990).
World gone wrong (1993).
Time out of mind (1997).
Love and theft (2001).
*
La "top ten" ideale
The lonesome death of Hattie Carroll (da "The times they are a-changin'",
Cbs, 1964).
Subterranean homesick blues (da "Bringing it all back home", Cbs, 1965).
Like a rolling stone (da "Highway 61 revisited", Cbs, 1965).
Ballad of a thin man (da "Highway 61 revisited", Cbs, 1965).
Visions of Johanna (da "Blonde on blonde", Cbs, 1966).
Tangled up in blue (da "Blood on the tracks", Cbs, 1975).
Hurricane (da "Desire", Cbs, 1976).
Jokerman (da "Infidels", Cbs, 1983).
Blind Willie McTell (da "The essential Bob Dylan", Columbia, 2000).
Mississippi (da "Love and theft", Columbia, 2001).
*
La Pivano prima a scriverne in Italia
Fernanda Pivano e Stefano Rizzo, Blues, ballate e canzoni (Newton Compton,
1971).
Anthony Scaduto, Bob Dylan: la biografia (Arcana, 1972).
Bob Dylan, Tarantula (Mondadori, 1973).
Alan Rinzler, Bob Dylan: profeta, poeta, musicista e mito (Sonzogno, 1977).
Matteo Guarnaccia, Bob Dylan: le risposte nel vento in formato poster
(Ottaviano, 1980).
Marina Morbiducci e Massimo Scarafoni, Bob Dylan: tutte le canzoni
(1973-1980) (Lato Side, 1980).
Nemesio Ala, Bob Dylan, dal mito alla storia (Savelli, 1980).
Guido Harari, Bob Dylan (Fabbri, 1982).
Nemesio Ala, Bob Dylan (Gammalibri, 1984).
Bob Dylan, Dylan: interviste, cronache e saggi dal 1962 al 1984 (Arcana,
1985).
Robert Shelton, Vita e musica di Bob Dylan (Feltrinelli, 1987).
Tito Schipa jr., Mr. Tambourine: tutte le canzoni e le poesie (Arcana,
1990).
Chris Williams, Dylaniana: Bob Dylan racconta Dylan (Gammalibri, 1994).
Clinton Heylin, Jokerman: vita e arte di Bob Dylan (Tarab, 1996).
Greil Marcus, Bob Dylan: la repubblica invisibile (Arcana, 1997).
Elaine Moryson, La storia dietro ogni canzone di Bob Dylan (Strade Blu,
2000).
Alessandro Carrera, La voce di Bob Dylan: una spiegazione dell'America
(Feltrinelli, 2001).
Dario Vico, Bob Dylan, un profilo (Logos, 2001).
Howard Sounes, Bob Dylan (Guanda, 2002).
Greil Marcus, Quella strana, vecchia America: i basement tapes di Bob Dylan
e la metamorfosi culturale del grande paese (Arcana, 2002).
Marco Denti, Alias Bob Dylan: l'odissea dei nuovi Dylan (Selene, 2002).
Paolo Vites, Bob Dylan 1962-2002: 40 anni di canzoni (Editori Riuniti,
2002).
Alessandro Paronuzzi, Le ali di Dio: l'angelo nella poesia da Dante a Bob
Dylan (Ancora, 2002).
Cesare Rizzi, Bob Dylan (Giunti Editore, 2004).
David Hajdu, Positivelty 4th Street (Arcana, 2004).

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 590 del 26 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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