Minime. 586



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 586 del 22 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Giobatta Corinzi: Che da Vicenza giunga una parola
2. La guerra e il razzismo
3. Stefano Rodota': Il governo della vita
4. Maria Grazia Campari: Doppio sguardo sulla liberta' di generare
5. Giovanna Providenti: Tredici nonne indigene in piazza San Pietro
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. GIOBATTA CORINZI: CHE DA VICENZA GIUNGA UNA PAROLA [In vista del referendum del 5 ottobre a Vicenza per impedire la realizzazione della nuova base di guerra "Dal Molin" anche il nostro buon amico Giobatta Corinzi ha scritto queste righe di amicizia e sostegno alle persone vicentine impegnate per la pace, la legalita' costituzionale, il diritto alla vita dell'umanita' intera (per informazioni sul referendum del 5 ottobre a Vicenza si visiti il sito: www.dalmolin5ottobre.it)]

Che da Vicenza giunga una parola
che opponga alla violenza la ragione,
che possa essere la buona scuola
che insegni a contrastare ogni uccisione,

che dica quella verita' che sola
smaschera ogni empia mistificazione:
e' assassina ogni arma, ogni pistola
puntata e' contro tutte le persone.

E quindi ogni base militare
ogni arsenale, ogni fabbrica d'armi
son luoghi di nequizia e malaffare.

L'umanita' chiede che si disarmi,
per sempre la guerra e' da ripudiare:
troppi giaccion nel fango o sotto i marmi.

2. EDITORIALE. LA GUERRA E IL RAZZISMO

Abituati a ritenere leciti e normali i massacri in Afghanistan, quei massacri li si e' importati in Italia. Abituati a ritenere che la vita umana degli altri e' niente, li si annienta senza problemi.
*
Come certi oggetti, certi luoghi rivelano quanto abissale sia l'orrore: la scatola di biscotti, la lavanderia.
*
Contrastare il razzismo e i poteri criminali, contrastare la guerra e il terrorismo: sono una sola cosa.

3. RIFLESSIONE. STEFANO RODOTA': IL GOVERNO DELLA VITA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 18 settembre 2008 col titolo "Se la legge regola la vita e la morte". Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo, Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e' Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste "Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al 2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994; Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2006]

Ai politici prepotenti, ai giuristi impazienti, agli eticisti saccenti si addice l'ammonimento di Michel de Montaigne: "La vita e' un movimento ineguale, irregolare e multiforme". Quest'intima sua natura fa si' che la vita appaia come irriducibile ad un carattere proprio del diritto: il dover essere eguale, regolare, uniforme. Da qui, da quest'antico e ineliminabile conflitto, nascono le difficolta' che oggi registriamo, piu' intense di quelle del passato perche' l'innovazione scientifica e tecnologica fa progressivamente venir meno le barriere che le leggi naturali ponevano alla liberta' di scelta sul modo di nascere e di morire. Proprio la natura, con le sue leggi che apparivano sottratte alla volonta' umana, allontanava dal diritto l'obbligo di misurarsi con quel conflitto. I grandi codici, pur aprendosi tutti con una parte dedicata alle "persone", ne ignoravano del tutto la fisicita', facendo minimi accenni al nascere e al morire. Di questi punti estremi del ciclo vitale si limitavano a registrare la naturalita'. Era la natura che governava, e il diritto poteva silenziosamente stare a guardare. "Nella disciplina storica per molto tempo ha prevalso l'idea che il corpo appartenesse alla natura". Questa confessione di Jacques Le Goff puo' apparire sorprendente, perche' da sempre riti e regole del potere, ma pure i ritmi della vita quotidiana e le pratiche mediche e magiche, hanno scandito le modalita' d'uso del corpo, la sua liberta' o il suo essere oggetto d'implacabile coercizione. Coglieva, pero', un dato culturale, oggi sempre piu' respinto sullo sfondo da una artificialita' che ci avvolge sempre piu' intensamente, che supera le barriere naturali, che consente scelte dove prima era solo caso o necessita'. Di questo ci ha parlato la vicenda di Piergiorgio Welby e ci parla oggi quella di Eluana Englaro. Di questo ci parlano i tre milioni di bambini nati con le tecniche di procreazione assistita. Di questo ci parla Oscar Pistorius che, privo della parte inferiore delle gambe, le sostituisce con protesi in fibra di carbonio e non solo corre e vince nelle paraolimpiadi, ma si vede riconosciuto anche il diritto a partecipare alle olimpiadi vere e proprie, fa cadere la barriera tra "normodotati" e portatori di protesi e impone cosi' una nuova nozione di normalita'. Lo sappiamo da molti anni, almeno da quando nel 1970 si invento' il termine bioetica, che un mondo nuovo s'apriva davanti alle riflessioni ed alle pratiche concrete, e cio' evocava pure un nuovo bisogno di regole, tanto che si e' cominciato a parlare di biodiritto. Vi e' un campo di regole - etiche, giuridiche - alle quali la vita dovrebbe essere sottoposta. Come, pero'? Ed e' questa domanda, ineludibile, che fa del rapporto tra vita e regole un tema che sopravanza tutti gli altri, e sembra essere uno di quelli che, con intensita' maggiore, danno il tono al nostro tempo, alla nostra civilta'. E' vero, una nuova riflessione e' necessaria, perche' la tecnoscienza ha sconvolto paradigmi consolidati, incide sull'antropologia stessa quale si era venuta costruendo nella storia dell'umanita'. Ma questo invito e' spesso accompagnato da una contraddizione, nella discussione italiana soprattutto. Si invocano categorie nuove ma, quando viene il momento di dare spazio alla regola giuridica, troppo spesso si impugnano gli strumenti vecchi. Timorosi del nuovo, l'unica norma possibile sembra essere il divieto. No all'interruzione dei trattamenti di sopravvivenza, no al testamento biologico, no alla procreazione assistita (e no a quel nuovo modo di organizzare le relazioni personali rappresentato dalle unioni di fatto). Ma puo' il diritto divenire solo il custode delle arretratezze e delle paure? La strumentazione giuridica, costruita in altro clima e per altri obiettivi, deve essere profondamente rimeditata. L'unico protagonista non puo' essere un legislatore che s'impadronisce d'ogni dettaglio, e giudica e manda una volta per tutte. L'unica tecnica giuridica disponibile non puo' essere ritrovata nel divieto, al tempo stesso eccessivo e vano. La vita non puo' essere sacrificata da una norma costrittiva, che dovrebbe ricostruire una situazione artificiale di impossibilita' al posto di quella naturale, travolta dal progresso scientifico. Questa e' pretesa vana, verrebbe quasi da dire innaturale, mentre la parola giusta e' autoritaria. Questo significa abbandonare ogni ancoraggio, muoversi senza bussola nel mare aperto e drammatico di innovazioni che danno alla vita e al suo governo tratti sconvolgenti e persino drammatici? Niente affatto. Vi e' un forte nucleo di principi dai quali muovere, che possono essere riassunti nella formula della "costituzionalizzazione della persona", resa evidente non solo dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, ma soprattutto dalla progressiva riscoperta della trama profonda della nostra Costituzione. Una trama che fa emergere liberta' e dignita' nella duplice dimensione individuale e sociale, legandole indissolubilmente (l'"esistenza libera e dignitosa" di cui parla l'articolo 36) e, quindi, escludendo che il riferimento alla dignita' possa divenire tramite per l'imposizione di punti di vista limitativi della liberta' e della coscienza della persona; che ribadisce il diritti alla liberta' personale (articolo 13); che fa del "rispetto della persona umana" (articolo 32) un limite che lo stesso legislatore non puo' valicare; che esclude la possibilita' di discriminazioni sulla base delle "condizioni personali" (articolo 3). Il governo della vita e' cosi' posto anzitutto nelle mani della persona, e cio' esige un diverso modo d'intendere la regola giuridica, che si fa flessibile, discreta, capace di seguire la vita nelle varie sue sfaccettature, singolarita', irregolarita', mutevolezze. Riferimento a principi comuni, ma non chiusura in un unico schema. La contraddizione disvelata dall'ammonimento di Montaigne e' cosi' superata? Conclusione eccessiva: ma e' certo che ci si muove in una dimensione dove il conflitto trova diversi e piu' adeguati strumenti di composizione. Torniamo al caso di Eluana Englaro, drammaticamente ancora aperto. Il punto di svolta e' stato rappresentato dalla sentenza della Corte di Cassazione dell'ottobre 2007 che, dopo aver ricostruito i principi di riferimento con un rigore raro anche in analoghe sentenze di altri paesi, li ha poi riferiti al caso concreto, affidando alla Corte d'appello di Milano il compito di attuarli. Sono poi venuti le ripulse e le resistenze, l'illegittimo rifiuto della Regione Lombardia di dare attuazione alla decisione dei giudici nelle proprie strutture ospedaliere, addirittura il conflitto di attribuzione sollevato davanti alla Corte costituzionale dal Parlamento, che afferma d'essere stato espropriato dai giudici del suo esclusivo potere legislativo. Una guerriglia istituzionale e' in corso, che nega l'umana pieta', ma che mette pure in evidenza un impasto tra arretratezza culturale e piccola furbizia politica. Non e' pensabile che il Parlamento segua con una regolazione minuta, di dettaglio, ogni innovazione prodotta da scienza e tecnologia. Compito suo e' quello della legislazione per principi che esige, poi, l'ineliminabile mediazione giudiziaria, sul duplice versante dell'adattamento alle specifiche vicende individuali e della risposta ai quesiti via via posti dall'innovazione, ai quali non ci si puo' sottrarre senza negare giustizia a chi la chiede. Ma l'insistenza sulle prerogative del Parlamento ha un obiettivo di breve periodo. Sostenendo che il legislatore e' il solo ad aver diritto di parola in determinate materie, si crea la premessa per norme che formalmente riconoscono le nuove esigenze, ma sostanzialmente le rinchiudono nei vecchi schemi. Gli oppositori di ieri si dichiarano pronti a sostenere una legge sul testamento biologico. In che modo, pero'? Escludendo che si possa rinunciare all'idratazione e all'alimentazione forzata e che le decisioni dell'interessato possano avere valore vincolante per il medico. Cosi', quello che viene presentato come il riconoscimento d'un diritto assume i colori d'una restaurazione, perche' e' una forzatura l'esclusione dalle terapie rifiutabili dell'idratazione e dell'alimentazione (Ignazio Marino non si stanca di ricordarci quanti siano gli interventi terapeutici che devono accompagnarle e lo stesso cardinale Barragan riconosce che vi sono casi in cui esse altro non sono che accanimento terapeutico). E perche' subordinare alla valutazione del medico la portata del testamento biologico contraddice il principio consolidato del valore del consenso informato dell'interessato. Cosi' una politica intimamente debole cerca di impadronirsi della vita delle persone. Ma cosi' segna una distanza, mostra la sua incapacita' di comprendere il mondo che cambia, rinuncia a fare del diritto uno strumento rispettoso della liberta' e della stessa umanita' delle persone.

4. RIFLESSIONE. MARIA GRAZIA CAMPARI: DOPPIO SGUARDO SULLA LIBERTA' DI GENERARE [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il testo della seguente relazione tenuta al seminario dell'Udi svoltosi a Milano il 19 luglio 2008. Maria Grazia Campari e' una prestigiosa giurista e intellettuale femminista, impegnata nei movimenti per la pace e i diritti] La mia relazione prende avvio e si articola su due obiettivi enunciati dal Comitato "Quando decidiamo noi": affermazione dell'autodeterminazione della donna nelle scelte di maternita' e affermazione del primato della madre. Intendo iniziare un esame critico sulla gradazione di liberta' consentita alle donne nella scelta sul se e sul come procreare, un esame che puo' avvantaggiarsi di un doppio sguardo, sull'ordine esistente e sull'ordine possibile. Mi sembra importante sperimentare tentativi di dare esistenza ad un ordine nuovo anche attraverso riflessioni e pratiche volte ad un uso appropriato dei mezzi offerti dalla democrazia; un percorso pendolare dalla partecipazione di base alle pratiche istituzionali. Il dato di partenza e' che siamo oggi in presenza di normative che sono espressione di un nucleo regressivo antidemocratico, che offusca il sistema dei diritti, nega, in particolare, per le donne, i fondamentali diritti civili della personalita', dissolvendo ogni eguaglianza di fronte alla legge. Solo in via esemplificativa, ci si puo' riferire ad alcune prescrizioni legali, vigenti o in via di elaborazione: la proposta di legge che modifica l'art. 1 del Codice civile mediante retrodatazione della capacita' giuridica del soggetto dalla nascita (previsione attuale) al concepimento (previsione proposta); l'art. 1 della legge regionale lombarda n. 170/1999 che enuncia il suo scopo principale nella "tutela della vita in tutte le sue fasi, con particolare riguardo a quella prenatale" e considera il concepito gia' componente della famiglia per l'attribuzione di alcune provvidenze. Oppure la legge n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita che attribuisce diritti soggettivi all'embrione e impone divieti di varie pratiche fecondative attraverso un apparato sanzionatorio penale. Inoltre, dal 2005 si ha notizia del fatto che giace in Parlamento un progetto di legge ispirato dal "Forum delle famiglie" che prevede, oltre alla sistematica presenza di "volontari della vita" in tutti i consultori e le strutture sanitarie, anche la costituzione di una Autorita' nazionale per le politiche famigliari, deputata alla sorveglianza della compatibilita' fra funzioni pubbliche o private e funzioni famigliari, con particolare riguardo alla educazione dei figli. Facile intuire il sesso degli inquirenti e quello delle inquisite. Si manifesta una trama intessuta di attacchi alla liberta' femminile di scegliere e perseguire il proprio autonomo progetto di vita che appare anche, se non principalmente, l'esito del monopolio maschile sulla politica istituzionale, che concettualizza la donna come l'altro, l'oggetto del discorso e della norma, passibile di gesti di prevaricazione. Un clima sociale che rende atti di violenza come la violazione dei diritti della personalita', una possibilita' istituzionale sempre presente, con passaggio dal piano dell'illecito al legittimato (consentito dalla legge). Cio' reca anche grave danno alla democrazia costituzionale poiche', come e' stato detto, esiste un nesso fra questa e i diritti fondamentali attribuiti ad ognuno/a come frammenti di sovranita' contro la prepotenza del potere costituito. Occorre, allora, considerare i principi fondamentali che definiscono il quadro degli ordinamenti giuridici democratici. Si notera' che essi prevedono alcuni diritti quali attributi intrinseci alla comune umanita'. Fra questi, espressione primaria del diritto di liberta', la libera disposizione di se' riconosciuta a ciascun individuo. Come si e' visto, pero', non e' questa l'esperienza femminile: essa, infatti, tradizionalmente registra un controllo pervasivo della facolta' e della scelta riproduttiva, secondo uno schema obbligante che incide sulla vita biologica del corpo, che esita in una costrizione potenziale rispetto alla libera autodeterminazione delle scelte di vita. Le leggi e i progetti sopra menzionati in via esemplificativa, esplicitano con chiarezza esemplare la tensione legislativa all'invasivita' rispetto alla sfera deliberativa personale delle donne: l'occhio pubblico le invade e ne costringe la liberta' di scelta, facendo del concepito e della sua vita una immediata materia di Stato. Una opzione che ben si puo' considerare come esplicitazione di biopolitica: la vita biologica, divenuta indissociabile dalla organizzazione tecnologica, e' fatta oggetto di dispositivi attraverso i quali il potere esercita un controllo capillare, emana regole e definisce orientamenti che operano una scissione fra il soggetto e il suo corpo, funzionalizzato a fini non propri, visti come socialmente rilevanti. La pesantezza della scelta legislativa incide in profondita' nel tessuto dei diritti primari. L'esame non puo' che incentrarsi, allora, su categorie giuridiche. Il diritto appare come il sistema per eccellenza: una serie di regole emanate da fonte apparentemente oggettiva e autorevole che disciplina l'azione sociale: giusta, ingiusta, socialmente apprezzabile o riprovevole, determina l'ordine del vivere associato. Se consideriamo il nostro ordinamento giuridico, non potremo evitare di notare che la sua struttura di origine monosociale (il legislatore e' funzionalmente maschile) ha prodotto un ordine binario oppositivo che sfuma fino alla inesistenza la relazione fra soggetti, per valorizzare la relazione da soggetto a oggetto.
Il soggetto e' uno, naturalmente di genere maschile.
La maggior parte dei diritti appare definita attraverso formulazioni che alludono all'avere: un approccio oggettivante che esita nell'apparente scissione fra soggetto e corpo, visto quasi come una cosa, un involucro materiale. Questo esito sembra derivare dall'unicita' del soggetto ordinatore, inconsapevole del limite, incurante dei valori altrui, cioe' di soggetti diversamente sessuati portatori di diverse esperienze esistenziali. Quindi, questo ordine non consente di prevedere altro che relazioni da soggetto a oggetto e assai poco ci dice della relazione fra soggetti. Ne consegue che in questo stesso ordine non si e' potuta elaborare una regola autonoma per il potere procreativo femminile, che mette in campo piuttosto che il rapporto da soggetto ad oggetto, la relazione fra soggetti poiche' valorizza il vincolo nella responsabilita' verso l'altro. Questo aspetto non ha trovato riscontro adeguato negli istituti giuridici vigenti a causa del marchio a-
relazionale e proprietario che li connota.
La conseguenza e' la mancata iscrizione nell'ordinamento del principio di liberta' procreativa e di inviolabilita' del corpo femminile. Infatti, anche il diritto di liberta', che si esprime nella formula tradizionale di habeas corpus, nel suo attuale significato di assenza di costrizioni (liberta' negativa) e di possibilita' di autodeterminarsi (liberta' positiva) viene interpretato nell'ordine vigente, di stampo patriarcale, secondo principi che sono connotati dalla valenza proprietaria dell'avere. In particolare, per le donne, il diritto di liberta' iscritto nelle Dichiarazioni universali, nelle Costituzioni nazionali, nei Trattati internazionali, a stento puo' essere inteso nella sua accezione positiva come diritto alla libera disposizione di se' nella autodeterminazione procreativa. Contro l'habeas corpus delle Costituzioni formali si erge il sovrastante vigore delle costituzioni materiali, che impongono la disponibilita' del corpo femminile a determinazioni esterne. Di qui, il ciclico ripresentarsi di normazioni che manifestano tendenze esplicite a disposizioni proprietarie sul corpo femminile, compiute come nella legge sulla procreazione medicalmente assistita, attraverso la enfatizzazione della metafora della vita cui viene attribuita una soggettivita' solo apparente, anzi mistificatoria, poiche' il vivente non parlante, privo di capacita' relazionale, e' fatto oggetto di pensiero e volonta' altrui, applicati in modo autoritario, nella falsa rappresentazione che cio' sia per il suo bene. Una operazione dai connotati oscuri e dalla valenza ideologica assai chiara: rendere oggetto disponibile all'unica determinazione pienamente visibile sulla scena sociale, quella maschile, il soggetto femminile. Una negazione di liberta' positiva, quale si e' venuta determinando nell'esperienza femminile, plasmata, come si e' detto, sul dato della generazione, nella relazione fra soggetti, nel riconoscimento dell'altro e nel rispetto delle esistenze in gioco. All'origine della incongruenza apparente fra proclamazioni generali di diritti di liberta' e norme particolari costrittive sta, a mio parere, la difficolta' della legge a contenere i corpi e a risolvere, con apposita regolamentazione, il conflitto di genere sulla riproduzione. In particolare, alcune disposizioni sollecitano interrogativi su legge e corpo. Si potrebbe sostenere che il corpus legislativo non preveda il corpo. Il diritto appare complessivamente fondato sulla presupposizione di assenza dei corpi sessuati, formula regole astratte che compiono un percorso immediato dal soggetto pretesamente neutro e astratto, il legislatore, alla generalita' dei soggetti neutri regolati: la regola e' generale, rivolta a chiunque, vale per tutti i consociati, comunque sessuati. Apparentemente, il legislatore astrae dal suo corpo/mente maschile. In realta', e' la volonta' che sorge dal suo corpo/mente quella che conforma la regola, mentre la donna vi e' subordinata, e' soggetto regolato. Non a caso un corpo compare a piu' riprese nella legge e vi e' normato anche costrittivamente, il corpo femminile. Le donne, fino agli anni Settanta del secolo scorso, sono state oggetto di un apparato minuzioso di regole, a causa della loro speciale e asimmetrica capacita' riproduttiva. Per loro, la sobrieta' del legislatore nel disporre della relazione di ciascuno con il proprio corpo, non aveva corso. Negli anni Settanta, leggi di attuazione di principi costituzionali quali la parita' fra i sessi e il diritto alla salute come bene individuale e interesse collettivo, hanno prodotto regole piu' sobrie per entrambi i sessi, quanto alla relazione di ciascuno con il proprio corpo, disposizioni piu' rispettose dei principi di autodeterminazione e autoresponsabilita'. In seguito, via via che la ricerca scientifica e la tecnologia hanno proposto soluzioni che inducono nuovi quesiti sulla relazione di ciascuno con il proprio materiale genetico, il legislatore ha assunto l'iniziativa nelle forme del controllo sul corpo femminile e della proibizione, che negano autonomia e responsabilita'. Mentre si allargano le frontiere delle possibilita' e alcuni vincoli naturali appaiono superati, le nuove possibilita' vengono sottoposte a nuove discipline fortemente costrittive. Questo e', ad esempio, il senso complessivo della legge sulla procreazione medicalmente assistita che, ancora una volta, apparentemente, ignora i corpi, li ignora al punto di rendere soggetto chi ancora non possiede il corpo, il concepito. La finzione giuridica di considerare soggetto di diritto un essere non dotato di esistenza autonoma implica la necessita' di un curator ventris, soggetto terzo rispetto alla donna, destinato a rapportarsi al concepito attraverso il corpo della madre, funzionalizzato a supposti diritti non suoi propri. Cio' che mette radicalmente in discussione, fra l'altro, la responsabilita' femminile sulla procreazione. Si prefigurano, come giustamente osserva il giurista Luigi Ferrajoli, destini femminili segnati da forme di servitu' personale, quale l'obbligo di gravidanza, che sono inconcepibili nei moderni ordinamenti i quali prevedono la liberta' di scelta rispetto al proprio progetto di vita come articolazione del diritto alla liberta' di pensiero e al libero svolgimento della personalita'. Ma si puo' dire di piu': questo apparato normativo, con le sue evidenti implicazioni, sembra mostrare in trasparenza un conflitto di genere sulla riproduzione, risolto attraverso divieti e sanzioni penali, una scelta contraria all'atteggiamento discorsivo e attento alle ragioni altrui, aliena dal tentativo di sperimentare tutte le mediazioni possibili, che sono il tessuto connettivo della democrazia partecipata. In questa materia pare, quindi, opportuno dare ampio riconoscimento al concetto per cui alcuni diritti che si richiamano al fondamentale principio della liberta' attiva individuale sono indecidibili dal legislatore, salvo che non si intenda imporre una dogmatica etica di Stato, in antitesi all'etica laica conformata su di un modello pluralista e dialettico, aperto ad opinioni diversificate. In particolare, per le donne sembra piu' che mai divenuto urgente contrastare il disegno di poteri sovraordinati di esercitare egemonia sul simbolico femminile, "contrastare l'universalismo della misoginia" (felice espressione di Judith Butler), mettendo a tema la creazione di un diverso ordine giuridico che registri la loro soggettivita', ponendo fine alla eteronomia, contemporaneamente promuovendo anche una lotta per i diritti di tipo transnazionale. Qui entra in campo l'ipotesi di utilizzare l'esperienza esistenziale femminile per esercitare un doppio sguardo sull'esistente e modificarlo in radice. Il semplice richiamo ai concetti dell'attuale democrazia costituzionale (monosessuata) non basta . E' una democrazia incompleta, che slitta fatalmente nella non-democrazia. Occorre, invece, modificare l'ordine giuridico dato e la sua valenza eteronormante per le donne, cio' che potrebbe darsi operando vuoti, mutando il senso di alcune o molte regole esistenti attraverso l'inserimento di valori creati nelle relazioni fra donne, riconosciute come dotate di rilevanza sociale e politica; regole connotate dal fatto di originare da e stabilizzare interessi e desideri femminili. Scelte metagiuridiche volte a produrre norme frutto di confronto e mediazione fra principi che si danno nel concorso fra soggetti sessuati consapevoli della loro parzialita'. Poiche' tutto esiste in natura e, in qualche modo, anche negli ordinamenti giuridici, il nuovo si crea consumando e riarticolando il vecchio: e' qui che entra in gioco una lotta per i diritti a carattere transnazionale. Nell'ambito dell'Unione Europea, le femministe italiane potrebbero sostenere la campagna promossa dalle francesi di "Choisir la cause des femmes" tesa ad ottenere il riconoscimento e l'armonizzazione verso l'alto delle leggi nazionali, attraverso la ricognizione e l'applicazione generalizzata della clausola piu' favorevole ai diritti delle donne. Si tratterebbe di costituire un corpo di leggi da applicarsi in ogni Stato membro attraverso regolamenti comunitari, in linea con il programma 2006-2010 per l'uguaglianza fra uomini e donne adottato dalla Commissione. La prima regola generale, estrinsecazione dell'habeas corpus, dovrebbe essere quella che estende in tutti gli Stati dell'Unione il diritto insindacabile delle donne di scegliere se ed in qual modo dare la vita. Il complesso normativo si presenta assai articolato, tocca vari aspetti dell'esperienza esistenziale femminile. In particolare, il tema dell'inviolabilita' del corpo/mente delle donne compare diffusamente nella legislazione vigente in Spagna, paese cattolico come il nostro, ma che ha mostrato grande considerazione verso la liberta' procreativa femminile e notevole capacita' di miglioramenti legislativi riferiti agli esiti delle innovazioni scientifiche. Cio', indipendentemente dal colore politico dei governi in carica. Vi e' un ulteriore motivo per caldeggiare una agenda di diritti agganciati all'appartenenza all'Unione Europea: il valore della laicita' contro un uso retrogrado delle credenze religiose, volto a creare dipendenza soprattutto a carico delle donne, con la pericolosa tendenza a trasferire il dogma religioso nelle leggi dello Stato. Nell'Unione Europea, la laicita' e' stata considerata valore implicito indiscusso e condiviso. La questione e' stata affrontata esplicitamente in conclusione dei lavori della Carta dei diritti fondamentali: in quella occasione sono state respinte le pretese di inserire nel Preambolo il richiamo alle radici religiose della cultura europea e di limitare alcuni diritti in nome della visione cattolica della societa'. Seguendo il pensiero del giurista Stefano Rodota', possiamo concludere osservando che in un mondo globalizzato, retto da poteri economici transnazionali spesso feroci, aggrapparsi ai diritti, avanzare la richiesta della generalizzazione delle loro espressioni piu' avanzate in termini di garanzie, come proclamate in Dichiarazioni universali, Costituzioni, Carte, Trattati, leggi nazionali, significa imboccare una via che consente misure di giustizia evolutiva per i soggetti tenuti a distanza rispetto ai luoghi del potere decisionale. Significa collocare affermazioni di liberta' individuale in un'ottica che vede profilarsi all'orizzonte la ricostituzione di forme e contenuti di democrazia partecipata plurisessuata, oggi quasi completamente cancellata attraverso misure di totalitarismo patriarcale egocentrico, che sembra perseguire il fine di segregare l'altra in una periferia di umanita' del tutto irrilevante.

5. ESPERIENZE. GIOVANNA PROVIDENTI: TREDICI NONNE INDIGENE IN PIAZZA SAN PIETRO [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Tredici nonne in viaggio". Giovanna Providenti e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha" - Libreria Editrice Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti; sta preparando un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori, e un libro su Goliarda Sapienza]

La notizia e': a piazza San Pietro sotto il sole cocente di un mezzogiorno estivo il 9 luglio del 2008 si e' svolta una manifestazione di preghiera molto particolare, fatta di rituali con canti e danze di culture indigene provenienti da varie parti del mondo. Protagoniste sono tredici donne molto anziane, confluite da quattro diversi continenti (circolo artico, America del nord, del centro e del sud, Asia ed Africa) da viaggi molto estenuanti, data anche l'eta'. Nei loro paesi sono guide spirituali o sciamane o riconosciute personalita' religiose, ad accomunarle e' la persuasione che il mondo oggi abbia bisogno della loro preghiera ancestrale per guarire dalla guerra e dalla minaccia ecologica. Con loro viaggia, oltre ad assistenti e traduttori, anche una bambina di nove anni, Davian Joell Stand-Gilpin, che ha danzato nel costume dei nativi americani e che e' una trisbisnipote del capo indiano Coltello Spuntato (nome attribuitogli dai Dakota), il cui nome cheyenne era Stella del Mattino, protagonista, un secolo e mezzo fa, delle trattative per il mantenimento di alcune riserve indiane (tuttora esistenti) nello stato del Montana. Il primo incontro delle "nonne", svoltosi a Phoenicia negli Stati Uniti d'America, risale all'ottobre 2004, quando decidono di fondare l'"International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers", con l'intento di svolgere iniziative internazionali rivolte alla pace nel mondo, alla salvaguardia dell'ambiente ed all'educazione spirituale delle prossime generazioni. Due volte l'anno scelgono un luogo simbolo in cui confluire e, raccolte le comuni energie, pregano insieme. Con loro cammina la regista e produttrice freelance Carole Hart che segue le loro attivita' per girare un lungo documentario dal titolo "For the Next 7 Generations: The Grandmothers Speak", rivolto a diffondere nel modo piu' ampio possibile il messaggio di pace e integrita' che proviene dalle culture indigene. Finora localita' di riunione dell'"International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers" erano state le sedi in cui alcune di loro svolgono l'attivita' di guaritrice o leader religiosa: Pojoaque nel New Mexico dove si trova la casa della grandmother Flordemayo, una healer-curandera Mayan; il cuore della foresta amazzonica dove si trova la comunita' e la casa di cura - centro di salute olistica dirette dalle due "nonne" provenienti dal Brasile Clara Shinobu Iura e Maria Alice Campos Freire; il villaggio di Huautla de Jimenez in cima a una montagna messicana, casa di Julieta Casimiro, una sciamana india Mazatec. E, nell'ottobre del 2006, si erano incontrate presso la seconda sede della leader religiosa tibetana Tsering Dolma: Dharmsala, in India, dove si trova anche la residenza del Dalai Lama, che le tredici "nonne" hanno incontrato ricevendo la sua benedizione. Questa di Roma e' stata la loro prima volta in Europa, la prima volta in un luogo geografico che non appartiene a nessuna di loro, ma che possiede una potente carica religiosa, tra spiritualita' e contraddizioni. Hanno scelto Roma per chiedere udienza al papa, con spirito di pace e con una richiesta ben precisa: revocare e rendere definitivamente nulle bolle ed editti papali "su cui si fondano le dottrine della conquista e della 'scoperta'" che negli anni dei massacri delle popolazioni indigene (nel XV e XVI secolo) hanno causato la devastazione delle loro culture. Nella loro prima lettera, datata 22 ottobre 2005 e indirizzata al cardinale Walter Kasper, le Grandmothers scrivevano: "Our peoples must still live with the continuing legacy of this first denial of our right to be treated as equal participants in the community of nations. Our peoples are still struggling for the right to live on earth and practice our cultural and spiritual traditions as our ancestors did". Nessuna risposta e' giunta dal Vaticano ne' alla loro prima lettera ne' a quelle seguenti in cui annunciavano la loro intenzione di venire a Roma e chiedevano udienza al papa, dal quale, oltre alla revoca degli antichi editti, gradirebbero ascoltare parole di scuse per i torti storici subiti cinquecento anni fa. Altri capi di stato recentemente hanno offerto pubblicamente gesti di scuse o di riconoscimento: il Primo Ministro australiano Kevin Rudd e il Primo Ministro canadese Stephen Harper chiedendo scusa, rispettivamente, alle popolazioni aborigene e ai nativi del Canada; il candidato alle presidenziali statunitensi Barack Obama promettendo di nominare nello staff governativo un rappresentante dei nativi americani. Chissa' se il papa rispondera' alla lettera con cui l'"International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers" chiede di unirsi al coro di tali illustri precedenti: lettera lasciata in consegna, tra mille difficolta', ad un ufficio del vaticano dopo il momento di preghiera insieme ad alcuni doni simbolici.
*
Ma torniamo a piazza San Pietro nel caldo afoso di un mercoledi' estivo, in cui il papa, trovandosi a Castel Gandolfo in vacanza, ha disdetto le consuete udienze settimanali, e alla cerimonia religiosa delle tredici "nonne" indigene e alla loro bisnipote, costantemente riprese da un cameraman professionista diretto da Carole Hart. I primi ad accorgersi di loro sono stati dei poliziotti, chiedendo, con i soliti bruschi modi polizieschi, ma forzando sorrisi gentili, che cosa stesse mai succedendo e se vi fosse un'autorizzazione. Un permesso c'era, ma, a causa di un malinteso (una volta chiarito il quale i gentilissimi poliziotti si sono prodigati ad aiutare in tutti i modi le anziane signore), all'inizio sembrava fosse solo per la presenza della telecamera sia all'interno che all'esterno della basilica di San Pietro. "Bisogna - sento dire da un poliziotto - avere un permesso anche per sostare nella piazza". Poco dopo la voce risonante del poliziotto che parla al telefono con un suo superiore copre i suoni degli strumenti rudimentali indigeni che accompagnano danze e canti: "Sono un gruppo di indiane d'America, parlano solo inglese... Indossano abiti tradizionali, ma tutte molto decentemente vestite... Tranquille, nessun disordine. Che vogliono? Pregare, sissignore, e' una preghiera. Pregano Dio nella loro lingua. Se sono cattoliche? sissignore, si' certo, cattoliche, sicuramente! se no perche' venire qui?". In realta' alcune delle "nonne" sono cattoliche, mentre altre no, e le loro cerimonie sono interreligiose. Ma non questo stuzzicava la mia curiosita' man mano che cercavo di entrare in contatto con il messaggio dell'"International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers" e non riuscivo a capire cosa potesse muovere davvero una iniziativa di tale portata e dispendiosita'. Ho seguito per un paio d'ore i loro spostamenti, tra la piazza e la basilica, cercando di scoprire, attraverso domande a chi accompagna in giro per il mondo le tredici sagge religiose, che tipo di organizzazione ci fosse dietro e chi finanziasse i molti viaggi delle "nonne", che parlano sette diverse lingue e hanno bisogno di traduttori simultanei persino per comunicare tra loro. La risposta mi viene da una donna sulla cinquantina, che appena mi avvicino a farle delle domande mi dice di avere poco tempo, invitandomi a consultare i siti internet. Lei rappresenta "The Center for Sacred Studies", un'organizzazione non-profit che si prodiga per sostenere la sopravvivenza di modalita' di vita indigene attraverso pratiche spirituali interculturali. L'"International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers" e' ben considerato da molte realta' e riceve donazioni e sostegni economici sia da singoli che da organizzazioni internazionali. La piu' importante tra queste e' la californiana Kalliopeia Foundation, che trae il suo nome dalla figlia della dea della memoria Mnemosyne e di Zeus: la musa greca Calliope, simbolo dell'intuizione e del richiamo a ricordare. Missione di questa fondazione e' mantenere viva la memoria affinche' ogni realta' presente e futura possa essere viva parte della sacra interconnessione della vita. Io insisto a domandarle da dove nasce l'idea di tutto questo seguendola per i corridoi che lei sta attraversando nella speranza di riuscire a consegnare la lettera e i doni per il papa. Lei mi risponde che queste sono cose che provengono da una ispirazione divina, e afferma di essere stata lei a mandare lettere alle "nonne" e a mettere insieme voci e volti che prima erano sconosciuti tra di loro. Come le ha scelte? Guidata dalla voce di una divinita' femminile. Prossima tappa dell'International Council e' la Spagna: Burgos e Barcellona dove si svolgeranno cerimonie e momenti formativi focalizzati sul tema delle conseguenze del cambiamento climatico e dell'urgenza di una maggiore armonia nel nostro pianeta. Le idee muovono il mondo. O e' il mondo, fatto di concrete persone attive, che muove le idee?

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 586 del 22 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it