Voci e volti della nonviolenza. 213



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 213 del 12 agosto 2008

In questo numero:
1. Giuseppe Montalbano intervista Umberto Santino
2. Et coetera

1. GIUSEPPE MONTALBANO INTERVISTA UMBERTO SANTINO
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" ( via
Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo la seguente
intervista dal titolo "Mafia e politica. Giuseppe Montalbano della Scuola
Normale di Pisa intervista Umberto Santino"]

- Giuseppe Montalbano: Un rapporto tra la politica e la mafia, o meglio "le
mafie" declinato al plurale, puo' essere tracciato in maniera trasversale
lungo l'intero arco della storia della Repubblica. Diversi sono invece i
rapporti di forza che si sono delineati dalla Liberazione ai giorni nostri,
come differenti sono le interpretazioni date dagli studiosi sulla natura del
fenomeno. Riferendoci inizialmente alla mafia siciliana, definita a partire
dalle confessioni del pentito Tommaso Buscetta "Cosa Nostra", che tipo di
rapporto si instaura nel dopoguerra con l'egemonia democristiana in Sicilia?
E' corretto parlare di un rapporto di sudditanza della politica a un sistema
di potere che ha trovato dopo lo sbarco degli alleati un terreno fertile su
cui riattecchire? Questa posizione mi sembra possa esprimersi nel quadro
tracciato dall'avvocato Giuseppe Alessi, rifondatore della Dc in Sicilia e
primo presidente della Regione, in un intervento sul dopoguerra in Sicilia
tenuto a Caltanissetta il 26 aprile 1984: racconta infatti di un vero e
proprio scontro col "partito" del cosiddetto "Vallone" (un insieme di comuni
del nisseno che e' stato patria dei capimafia piu' potenti di allora) e di
un asservimento al capo dei capi Calogero Vizzini, in cui un ruolo centrale
avrebbe giocato la Chiesa nella figura di monsignor Jacono, allora vescovo
di Caltanissetta. Abbiamo quindi inizialmente un rapporto di sudditanza
della politica alla mafia? Un'organizzazione onnipotente che detta le sue
leggi alla politica? E' corretto interpretare con questo modello i complessi
rapporti tra Dc e mafia che si sarebbero sviluppati a livello nazionale?
Il noto concetto andreottiano di "quieto vivere" esprime l'ideale del
compromesso, dell'equilibrio possibile tra criminalita' organizzata e
politica da garantire e mantenere in Sicilia e a livello nazionale. Come si
e' realizzata storicamente questa pax mafiosa? Puo' essere letta come una
definitiva sconfitta da parte delle istituzioni o al contrario come il
trionfo di una mediazione che e' servita ad "addomesticare" la mafia alla
politica?
- Umberto Santino: Penso che il rapporto mafia-politica sia stato e sia piu'
complesso dello schema autonomia-dipendenza. Mi sembra piu' corretto parlare
di interazione e di convergenza o identita' di interessi. Alla base di
questa impostazione c'e' la mia analisi della mafia come soggetto politico
in senso weberiano, cioe' di un gruppo che ha un suo complesso di regole,
valide entro un dato territorio, un apparato e dei mezzi per farle attuare,
comminando sanzioni per chi non le rispetta. Come tale la mafia ha un
rapporto duale con le istituzioni: non riconosce il monopolio statale della
forza ma intrattiene con esse una serie di rapporti. Questo vale per
l'organizzazione criminale (Cosa nostra e altri gruppi) ma il quadro si
complica se si considera che aspetto costitutivo del fenomeno mafioso e' il
sistema di relazioni, che vanno dagli strati sociali piu' bassi a quelli
piu' alti, e che danno vita a un blocco sociale, dominato da soggetti
illegali e legali: capimafia, professionisti, imprenditori, amministratori,
politici, rappresentanti delle istituzioni, definibili come borghesia
mafiosa. Questo rapporto interattivo comincia con la formazione dello Stato
unitario ed e' preceduto da una lunga fase di incubazione (quelli che chiamo
"fenomeni premafiosi" sono documentabili fin da XVI secolo).
La mafia nell'immediato dopoguerra e' un soggetto decisivo nella repressione
del movimento contadino e l'assunzione diretta del potere da parte di
capimafia, nominati sindaci e amministratori, configura una criminocrazia
formale. Successivamente si pone il problema di arrestare con tutti i mezzi
le lotte contadine e battere le sinistre che, sull'onda delle mobilitazioni
contadine, avevano vinto le elezioni regionali del 20 aprile 1947. La
risposta fu Portella della Ginestra e la fine della coalizione antifascista
al governo dal 1944, con l'esclusione delle sinistre dal potere. Quindi il
problema non e' solo Caltanissetta, come nell'analisi di Alessi, e'
l'assetto di potere nazionale e regionale, con l'affermazione del centrismo,
cioe' della supremazia democristiana con il contorno dei partiti
conservatori, che furono indicati come mandanti della strage del primo
maggio. Non vedo pertanto una mafia onnipotente che detta le leggi alla
politica e la politica che obbedisce ed esegue. Direi piuttosto che c'e' un
matrimonio consensuale che consente all'assetto politico di riprodursi e
perpetuarsi e alla mafia di prosperare e di inserirsi in posizione
privilegiata dentro un quadro sociale in mutamento, con la spesa pubblica
che diventa la risorsa fondamentale, una volta ridimensionata l'agricoltura
e sviluppatosi il settore terziario-parassitario.
Il "quieto vivere" di Andreotti e' un modo molto soft di riconoscere questa
convivenza che serviva tanto alla mafia quanto alla politica e alle
istituzioni. Puo' essere utile il concetto di mediazione? Direi che
l'aspetto prevalente e' la comunanza di interesse a tenere fuori dal potere
le sinistre e a controllare il conflitto sociale. La mafia e' stata un
baluardo nella lotta anticomunista (anche la Chiesa cattolica metteva al
centro della sua azione l'anticomunismo), finche' c'e' stato un forte
Partito comunista, ma in Sicilia la partita con il Pci e le sinistre era
stata vinta gia' nel corso degli anni '40 e '50, con un'autonomia regionale
gestita dalle forze conservatrici e una riforma agraria che spinse
all'emigrazione circa un milione e mezzo di persone e dissanguo' la Sicilia
delle sue forze piu' combattive e ridusse a minoranze i partiti di
opposizione.
*
- Giuseppe Montalbano: Con la fine dell'egemonia delle famiglie mafiose
palermitane, sancita con l'eliminazione dei Bontade, e l'instaurazione della
dittatura sanguinaria dei corleonesi il sottile equilibrio si rompe dando
vita all'epoca stragista. Come interpreta una simile rottura nei rapporti
mafia-politica?
- Umberto Santino: La convivenza pacifica tra mafia e politica governativa
dura fino alla fine degli anni '70 e ai primi anni '80, quando
l'accumulazione illegale straripa e la mafia chiede molto di piu',
abbattendo gli ostacoli che incontra al suo processo di espansione, anche
all'interno dello schieramento al potere. Leggo in quest'ottica il delitto
Mattarella del gennaio 1980. Hanno volutamente colpito un uomo-simbolo:
figlio ed erede di Bernardo, da piu' fonti indicato come politico
"chiacchierato", anche se non ci sono riscontri sul piano giudiziario
(Danilo Dolci, che pure aveva fatto denunce puntuali, fu condannato per
diffamazione), ma impegnato in una politica di moralizzazione e di apertura
al Pci, sulla linea di Aldo Moro. Piu' che di rottura con la politica
parlerei di un alt a tentativi di rinnovamento che potevano ostacolare o
contenere la strategia espansiva della mafia. Questa strategia nasce dalla
lievitazione dell'accumulazione illegale, che porta a una lievitazione della
richiesta di spazi di potere, e si mischia con la volonta' di dominio dei
corleonesi, fino ad allora parenti poveri della mafia cittadina. I
corleonesi impongono una dittatura monarchica a un'organizzazione
tradizionalmente repubblicana e colpiscono a morte anche chi all'esterno si
oppone o non e' "affidabile". Vincono la guerra interna ma con il delitto
Dalla Chiesa e con le stragi del '92 e del '93 suscitano effetti boomerang:
la legge antimafia, approvata dieci giorni dopo il delitto Dalla Chiesa, il
maxiprocesso, gli arresti e le condanne.
*
- Giuseppe Montalbano: Diversi studiosi hanno datato a questi anni il
delinearsi da parte dello Stato di una risposta forte alle mafie e la
nascita di una "lotta antimafia" che partendo dalla societa' civile avrebbe
presto coinvolto le istituzioni e la politica nella costituzione di un
fronte comune. Si puo' davvero parlare di una "nascita dell'antimafia"
nell'epoca post-stragista? Quale e' stata la reazione dello Stato e della
politica? Come si ridefinisce in quegli anni il rapporto mafia e politica?
Si assiste davvero a una completa inversione di rotta o ad un'inversa
strategia di rapporti?
Quanto le leggi antimafia adottate a partire dall'omicidio del generale
Dalla Chiesa e la lotta condotta dalle istituzioni hanno intaccato il
"sistema di rapporti" del potere mafioso che fa da filo conduttore dei suoi
libri? Quanto sono state incisive a suo avviso le risposte della politica da
quel momento, in particolare in Sicilia?
- Umberto Santino: L'antimafia nasce gia' alla fine dell'Ottocento, con i
Fasci siciliani, e prosegue con le lotte contadine degli anni precedenti e
successivi al Fascismo. Dal 1944 al 1947 la mobilitazione contadina e'
sollecitata e sostenuta dai governi di unita' antifascista, dopo viene
condotta solo dalle forze dell'opposizione.
Negli anni '80 e '90 piu' realisticamente abbiamo l'impegno di alcuni
settori delle istituzioni, soprattutto di parte della magistratura che gode
di una sorte di delega a tempo, in una logica di risposta emergenziale
all'escalation della violenza mafiosa. La legge antimafia e' stata un fatto
storico, intervenuto con piu' di un secolo di ritardo rispetto alla realta',
ma essa e le altre leggi antimafia piu' che costituire una risposta organica
sono una risposta emergenziale a un fenomeno considerato soprattutto come
emergenza delittuosa, cioe' come fabbrica di omicidi. Non si pongono
adeguatamente il problema dei rapporti, tanto che per affrontarlo si e'
dovuto ricorrere al concorso esterno, che e' una elaborazione
giurisprudenziale.
Il "fronte comune" costituitosi negli anni '80 e '90 raccoglie minoranze,
sia all'interno delle istituzioni sia all'esterno. Le grandi manifestazioni
successive alle stragi coinvolgono centinaia di migliaia di persone,
sull'onda dell'emozione e dello sdegno suscitato dai grandi delitti, ma a
svolgere un lavoro continuativo, nelle scuole, nell'antiracket, per l'uso
sociale dei beni confiscati, si era e si e' rimasti in pochi, anche se c'e'
stato un relativo incremento.
Il pool antimafia invece di essere rafforzato viene smantellato dopo il
maxiprocesso, buona parte della legislazione antimafia viene attenuata
(penso in particolare alle restrizioni per i collaboratori di giustizia),
Falcone e' costretto a lasciare Palermo dopo una serie di traversie che
preparano il terreno all'assassinio. Lo stesso puo' dirsi per Borsellino,
isolato e osteggiato in vita e osannato da morto. Chinnici, che ha il merito
storico di aver avviato l'azione del pool antimafia, ha avuto grossi
problemi ed e' per giunta dimenticato.
Sul piano politico l'autoelisione della Democrazia cristiana, partito di
mediazione con tutti i poteri reali, a cominciare dalla mafia, porta alla
nascita di Forza Italia, che ignora la mediazione e privilegia una strategia
di legalizzazione dell'illegalita', che va oltre le vicende personali del
leader-padrone. La relazione su mafia e politica della Commissione antimafia
del 1993, che teorizza una responsabilita' politica e l'affida
all'autoregolamentazione dei partiti, rimane interamente sulla carta. I
partiti hanno continuato a candidare e a fare eleggere personaggi sotto
processo e condannati. Piu' che un'inversione di rotta c'e' stata una
ridefinizione delle strategie di rapporti. La mafia ha capito che la
strategia della violenza era perdente e ha preferito rilanciare la
mediazione attraverso la sommersione, cioe' il controllo della violenza,
soprattutto di quella rivolta verso l'alto; i nuovi aspiranti al potere si
sono aggrappati a Berlusconi come l'unico personaggio che li potesse portare
al comando, allineandosi alla sua politica di privatizzazione del potere,
che ha molto da spartire con il modello mafioso: l'illegalita' come risorsa
e l'impunita' come legittimazione. Il guaio e' che la maggioranza degli
elettori italiani ha votato per Berlusconi per ben tre volte, e cio' vuol
dire che questo modello, strutturalmente illegale, gode di un ampio
consenso.
*
- Giuseppe Montalbano: Il caso del governatore della Regione siciliana
Salvatore Cuffaro si inscrive all'interno della "questione etica" e nelle
contraddizioni di una classe politica che spende migliaia di euro per
affigere in tutte le citta' della Sicilia manifesti recanti la fulgida
intuizione "La mafia fa schifo" e festeggia con cannoli e spumante la
condanna per favoreggiamento del Presidente della Regione. Aspetto a mio
avviso piu' inquietante della vicenda e' il fatto che Cuffaro sia stato
candidato dal suo partito al Senato e che grazie ai voti della Sicilia sia
salito. Che senso puo' avere a suo avviso una "questione etica" se il popolo
"premia" chi e' stato condannato per mafia? Quali sono le insufficienze e le
debolezze di un'antimafia che fa molta pubblicita', ma sembra non avere
ancora presa all'interno della societa'?
- Umberto Santino: La "questione etica" per moltisimi cittadini non esiste,
se non come riprovazione per le attivita' delittuose piu' eclatanti e per i
boss piu' sanguinari, poiche' agisce una dinamica di creazione del consenso
che poggia le sue radici nella consistenza dell'accumulazione illegale e
nella pratica dell'illegalita'. Cuffaro e' stato eletto con gran numero di
voti anche dopo la condanna e l'Udc non poteva non candidarlo perche' senza
Cuffaro sarebbe sparita. La presenza al Senato si deve a Cuffaro. I proclami
antimafia vanno benissimo pure per la mafia se il sistema di potere rimane
integro e da questo punto di vista Berlusconi e' molto piu' pericoloso di
Cuffaro, rappresentando una summa di poteri, economico, politico, mediatico,
che non ha eguali in Italia e anche altrove. Si ripropone il problema del
consenso che invano si tenta di aggredire con le denunce dei rapporti di
alcuni personaggi con dei mafiosi. Si pensa che dovrebbero agire da
deterrenti e invece agiscono da collanti e da spot pubblicitari. Non e'
affatto vero che "se li conosci li eviti". Anzi e' vero il contrario: se li
conosci li voti. Il voto della maggioranza degli elettori e' pienamente
consapevole.
*
- Giuseppe Montalbano: In un libro-intervista uscito recentemente, Pizzini,
veleni e cicoria, realizzato dal giornalista della "Stampa" Francesco La
Licata, il procuratore Grasso polemizza apertamente con quanti, in primis
Travaglio e Lodato, hanno definito l'arresto dell'ultimo boss corleonese
Bernardo Provenzano come una sorta di "arma di distrazione di massa" sul cui
sfondo si nasconderebbe ancora il rapporto mafia-politica. Perche' questa
accusa? Che peso ha avuto per Cosa Nostra l'arresto di Provenzano?
- Umberto Santino: In quel libro si parla ampiamente di borghesia mafiosa ma
si tralascia di indicare il mio lavoro. Non e' la prima volta che succede e
non sara' l'ultima. Anche nell'antimafia ci sono vetrine e protagonismi,
veicolati dai media. In televisione circolano servizi in cui si ignora il
ruolo decisivo del Centro pure per le vicende di Peppino Impastato (si veda
un filmato per "La storia siamo noi").
Le polemiche sono da ricondurre al clima del palazzo di giustizia di
Palermo, dominato dalle divisioni tra i magistrati. Al centro delle
divisioni il rapporto mafia-politica e la valutazione sul processo ad
Andreotti, che a mio avviso si e' chiuso con un verdetto "all'italiana":
associato a delinquere fino al 1980, ma il reato e' prescritto, assolto per
il resto. In realta' i rapporti di Andreotti con un personaggio come Salvo
Lima sono durati fino alla sua morte, nel 1992. Il 1980 e' una data
inventata e la scelta di incriminare senza condannare e di assolvere e' un
compromesso che salva il lavoro della Procura e contribuisce alla
santificazione di Andreotti. Grasso e' stato accusato da altri magistrati di
aver tralasciato le indagini sui rapporti con la politica. Ritengo che su
questo terreno la magistratura abbia mezzi inadeguati (il concorso esterno)
e che dovrebbe essere la societa' nel suo complesso ad affrontare questi
temi, ma si guarda bene dal farlo, escluse poche minoranze.
L'arresto di Provenzano e' certo un fatto positivo, ma viene con troppo
ritardo e significa che per molti anni non lo si e' cercato. Resta il
problema del ruolo di Provenzano negli ultimi anni: un capo dei capi
monarchico, o un primus inter pares di un organo collegiale composto da
pochissimi boss? Propendo piu' per la seconda ipotesi. L'arresto di un
capomafia e' senz'altro un colpo alla mafia ma la sua sostituzione non e'
difficile. La mafia del dopo Provenzano si trova a dover fare una scelta: o
continuare, anche con qualche sussulto, sulla linea della mediazione e del
controllo della violenza o riprendere la linea della violenza eclatante.
Finora pare che abbia capito che la linea piu' conveniente, con un quadro
politico abbastanza ospitale, e' quella della "sommersione".
*
- Giuseppe Montalbano: Nei giorni successivi alle ultime elezioni e' andato
in onda su "Exit", programma di attualita' della rete televisiva "La 7", un
servizio sul sistema dei patronati gestiti dall'Mpa. Un servizio che ha
messo in luce uno scandalo sotto gli occhi di tutti e che, come prevedibile,
non ha destato alcuno scandalo nell'opinione pubblica. Riassumendo: delle
strutture pubbliche finalizzate a garantire assistenza e aiuti ai cittadini
dei quartieri piu' disagiati si sono improvvisamente trasformate in comitati
elettorali dei partiti del Movimento per l'Autonomia e del Popolo delle
Liberta', dando vita a un vero e proprio mercato di voti. La risposta del
neo-eletto presidente della Regione, Raffaele Lombardo, e' degna di
riflessione: la legge non vieta che queste strutture pubbliche diventino dei
comitati elettorali. Perche' nessuno ha mai parlato di questa grave "lacuna"
e non sono stati presi provvedimenti in tal senso? Come queste "lacune"
nelle leggi favoriscono il diffondersi di un sistema clientelare? Quanto
questo sistema debba considerarsi la "chiave" per intendere oggi i rapporti
tra mafia e politica particolarmente nel meridione?
- Umberto Santino: Non c'e' stato nessuno scandalo perche' tutto questo,
all'insegna della privatizzazione del pubblico, viene considerato normale.
Si tratta di "lacune" o di prassi che continuerebbero anche con regole piu'
adeguate? Le regole certamente sono necessarie ma bisognerebbe preoccuparsi
di farle rispettare.
Lombardo e l'Mpa hanno ripreso i temi classici del sicilianismo, solo che
avranno a vedersela con il settentrionalismo leghista e con i personalismi
di Berlusconi. Non so quanto Lombardo potra' ottenere in un contesto in cui
il suo peso non e' tale da bilanciare la preponderanza di Forza Italia e
della Lega. Non so neppure se Lombardo abbia voglia e possibilita' di
rilanciare il separatismo come movimento di massa per rafforzare il suo
peso. Comunque la mafia da tempo non e' piu' un fenomeno solo locale e non
so quanto sarebbe interessata a un'operazione del genere.
Per intanto il nuovo presidente della Regione cerca di tenere in piedi il
sistema clientelare, in continuita' con Cuffaro, e ricorre alla foglia di
fico di qualche magistrato per dare parvenza di legalita' ed efficienza a
settori come la sanita', che scatena grandi appetiti essendo diventato uno
dei piu' danarosi e dei piu' funzionali all'esercizio della "signoria
territoriale". Anche Cuffaro vi aveva fatto ricorso e ha trovato qualcuno
che si e' prestato...
*
- Giuseppe Montalbano: Un modello di controllo territoriale con cui e'
possibile interpretare anche il "sistema" camorra?
Il rapporto camorra-politica tratteggiato da Saviano nelle pagine di
"Gomorra" viene sintetizzato in un passo significativo in cui l'autore pone
una netta distinzione dal modello della mafia siciliana: "I clan di camorra
non hanno bisogno dei politici come i gruppi mafiosi siciliani, sono i
politici che hanno necessita' estrema del Sistema (alias camorra, ndr)" [R.
Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano 2006, p. 57]. Puo' commentarci questa
affermazione?
- Umberto Santino: Il mio concetto di signoria territoriale si puo'
applicare anche alla 'ndrangheta e alla camorra. Non mi convincono le
affermazioni di Saviano che ha scritto un romanzo di successo che non indica
le fonti di documentazione. Il successo poi lo ha portato a un protagonismo
eccessivo, come al solito ingigantito dai media, come se fosse il primo e
l'unico a parlare di camorra e a correre rischi. Non si dimentichi che Siani
e' stato ucciso e non ha mai avuto vetrine. Anche in Campania i rapporti
camorra e politica sono complessi e non riducibili a semplificazioni buone
per i bestsellers.
*
- Giuseppe Montalbano: Lo scorso giugno l'omicidio dell'imprenditore Michele
Orsi a Casal di Principe, definito da Saviano come il "Salvo Lima nei
rapporti tra clan e politica" ha riaperto la questione della "protezione"
offerta dallo Stato a chi collabora con la giustizia. In vista del
maxi-processo "Spartacus" che minaccia di colpire pesantemente il clan dei
casalesi, le dichiarazioni dell'Orsi avrebbero fornito elementi di
fondamentale importanza. Nonostante le numerose intimidazioni, il prefetto
non gli ha concesso la scorta. Perche' un collaboratore cosi' prezioso e'
stato lasciato solo? Come lo Stato difende chi e' disposto a denunciare o
collaborare?
- Umberto Santino: Non capisco il raffronto Orsi-Lima: sono storie diverse.
Sul problema della protezione ai collaboratori bisogna conoscere i casi
concreti e su Orsi io so solo quello che ho letto sui giornali. Comunque a
mio avviso bisognerebbe rivedere tutta la politica anticrimine, in
particolare quella per i testimoni di giustizia, per anni condannati a una
condizione di isolamento e di misconoscimento del loro ruolo.
*
- Giuseppe Montalbano: Quali sono le nuove norme sulla confisca dei beni
mafiosi contenute nel "pacchetto sicurezza" del governo? Forniscono a suo
avviso una risposta sufficiente a quello che e' stato definito piu' volte
dall'on. Forgione, presidente della Commissione parlamentare antimafia nella
scorsa legislatura, una delle piu' gravi lacune presenti nella nostra
legislazione? Quali sono oggi le risposte della politica nella lotta alla
criminalita' organizzata? Quanto la "questione sicurezza" ha posto in
secondo piano la minaccia prioritaria della criminalita' organizzata?
- Umberto Santino: Il "pacchetto sicurezza" e' nato soprattutto per
proteggere Berlusconi dagli interventi della giustizia e per dare fiato alle
politiche xenofobe della Lega, alla ricerca di capri espiatori, con il
progetto semplicemente vergognoso di prendere le impronte ai bambini rom.
Poi per fare inghiottire la pillola il pacchetto e' diventato un sacco in
cui c'e' di tutto, comprese le misure antimafia. Ma il massimo che si potra'
fare e' continuare a perseguire boss e gregari, facendo la faccia feroce con
loro. Mentre il sistema di rapporti e' in pieno vigore e informa il sistema
di potere complessivo. Quando Dell'Utri definisce un "eroe" Vittorio
Mangano, non lo fa solo per calamitare voti ma per proclamare un'identita'
politico-culturale. E l'immunita' per Berlusconi, fatta passare con
l'immunita' per le piu' alte cariche dello Stato, l'immunita' dei
parlamentari che si vuole ripristinare, parlano chiaro: la legalita' si
riscrive come illegalita' garantita. Ma non mi stanco di sottolineare che
tutto cio' gode di largo consenso e questo e' il pozzo in cui guardare, con
un'analisi adeguata che dal sistema di potere si allarghi al contesto
sociale.
*
- Giuseppe Montalbano: Quali sono le prospettive e le lacune dell'antimafia
sociale e quanto sono presenti nel fronte antimafia contrasti interni che
impediscono la costituzione di un vero e proprio "fronte unico". La politica
come puo' essere in prima linea in questa che Borsellino defini'
innanzitutto nei termini di una "battaglia culturale"?
- Umberto Santino: Si parla di antimafia sociale ma in realta' le esperienze
significative sono pochissime: l'uso dei beni confiscati riguarda poche
cooperative con decine di soci, la lotta per la casa a Palermo che ha
portato anche all'uso delle case confiscate riguarda solo alcune centinaia
di persone. Anche l'antiracket coinvolge minoranze: un centinaio di
associazioni, quasi tutte al Sud (al Centro-Nord e' diffusa la cultura
leghista del fai da te, cioe': difenditi con le tue armi), con alcune
migliaia di associati. Per il resto l'antimafia ignora i problemi sociali e
si fonda soprattutto sulla predicazione di una legalita' astratta e formale.
I contrasti interni (penso per esempio a quelli che hanno portato a rotture
con "Libera") sono dovuti alla mancanza di una cultura della convivenza
democratica, a protagonismi che ignorano il lavoro collettivo e il rispetto
delle storie e delle esperienze di ciascuno.
La lotta alla mafia dovrebbe essere uno dei punti qualificanti di una lotta
per la democrazia e per l'uso sociale delle risorse, condotta su vari
terreni, non solo su quello culturale. Su questo progetto dovrebbe
ridefinirsi un'identita' dei soggetti alternativi. Le sinistre sono sparite
prima che dal Parlamento dal contesto sociale, nonostante i tentativi di
legarsi ai movimenti, in particolare ai noglobal. Non sono presenti sul
territorio, non hanno nessun ruolo dentro i conflitti sociali. Il Pd marcia
speditamente verso il centro, pur non avendo avuto nessun voto da quelle
parti. E se non si costruisce una politica che metta al centro i problemi
della disoccupazione, del lavoro nero e precario, del rafforzamento
dell'economia legale, con una diffusa presenza sul territorio, mafie e
destre sono destinate a riprodursi e a perpetuarsi chissa' per quanto tempo.
Le borghesie piu' o meno mafiose fanno ottimi affari con le grandi opere e
gli strati popolari tutto sommato riescono a intercettare quote di reddito
attraverso l'economia illegale e i reticoli clientelari. Queste, nel vuoto
di politiche concretamente alternative, sono le basi strutturali del potere
delle destre.
Sono convinto che non ci sia una valutazione adeguata della gravita' della
situazione che stiamo vivendo. E' in corso uno svuotamento dei principi
fondamentali della Costituzione, operato con leggi ordinarie e con procedure
accelerate. L'immunita' per Berlusconi e le cariche piu' alte dello Stato
viola il principio di eguaglianza, la riforma della giustizia cancellera'
l'indipendenza della magistratura. Tutto questo sta accadendo in un contesto
di barbarie culturale e politica, che si declina con gesti e linguaggi da
bordello e da trivio. Le corna e il dito medio sono il degno emblema del
personale politico piu' squallido della storia del nostro Paese, ma godono
dell'apprezzamento del pubblico; il Csm viene definito una "cloaca" e subito
dopo si dice che e' stato solo un lapsus. Non sono un difensore d'ufficio
della magistratura e dico chiaramente che alcuni magistrati farebbero bene
ad evitare apparizioni in televisione e ritengo sconveniente la decisione
del Csm di nominare Di Pisa, ache se assolto nei processi per calunnie a
Falcone, procuratore capo a Marsala. L'unica manifestazione che in qualche
modo ha focalizzato questo quadro estremamente preoccupante, quella di
piazza Navona, viene esorcizzata per le battute di due comici che hanno
attaccato il presidente della Repubblica e il papa. Si avvia una raccolta di
firme e si continua a sperare nella possibilita' di un dialogo che
Berlusconi non vuole poiche' il voto gli consente di aver mani libere per
poter rafforzare la sua autocrazia. Senza un'analisi e una mobilitazione
adeguate, temo che per l'Italia si preparino tempi tristissimi. E non
potremo evitarli cercando unanimismi impossibili. Termino con una domanda:
sapremo ricostruire una polis piu' civile e una dignita' individuale e
collettiva?

2. ET COETERA

Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli
2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto
Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna
di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in
cammino" nei nn. 931-934.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 213 del 12 agosto 2008

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