Voci e volti della nonviolenza. 210



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 210 del 6 agosto 2008

In questo numero:
1. Vittorio Strada: Solzenicyn, una lotta che continua (1993)
2. Vittorio Strada: Solzenicyn, l'oppositore (1995)
3. Vittorio Strada intervista Aleksandr Solzenicyn (1995)
4. Vittorio Strada presenta "Ego" di Aleksandr Solzenicyn (1996)
5. Vittorio Strada: Aleksandr Solzenicyn a ottantacinque anni (2003)

1. VITTORIO STRADA: SOLZENICYN, UNA LOTTA CHE CONTINUA (1993)
[Dal "Corriere della sera" del 30 giugno 1993 col titolo "Solzenicyn, il
profeta torna a casa" e il sommario "Esuli. L'autore di Arcipelago Gulag
dovrebbe rientrare a giorni in patria. Intanto manda a dire che la nuova
cultura e' da cambiare Dagli Usa annuncia: Russia, hai sbagliato. Lo
scrittore si appresta a concludere uno scritto sul modo in cui 'riassestare
la Russia'"]

Che cosa fa un iconoclasta quando le icone maggiori a lui invise giacciono a
pezzi nella polvere? Un iconoclasta in senso traslato, il cui scopo sia
quello di distruggere sia le insegne di un Potere sia il Potere stesso, come
e' stato il caso di Aleksandr Solzenicyn. Per prima cosa, pensera' alla
ricostruzione. E' cosi' che si e' comportato l'autore dell'Arcipelago Gulag,
nel suo esilio americano, ormai prossimo a finire, col suo recente scritto
sul modo in cui "riassestare la Russia".
Ma chi, dotato di implacabile senso critico, puo' pensare che, chiuso il
lungo capitolo iniziato nell'ottobre del 1917, la storia potesse riprendere
quell'immaginario corso progressivo al quale, secondo una rosea credenza,
essa si atteneva prima della fatale data? Non certo Aleksandr Solzenicyn
che, gia' critico di certi aspetti del mondo occidentale quando esso era
ancora minacciato dal drago sovietico, adesso non puo' non essere critico
della Russia postsovietica, cosi' diversa da quella risanata e purificata
che egli vagheggiava durante la lunga resistenza anticomunista. Ecco allora
che Solzenicyn riprende la parola, non in Russia, ma a New York, e neppure
di persona, ma facendo leggere il suo intervento al figlio Ignat, in
occasione di un prestigioso premio assegnatogli.
Tema del breve discorso (che ora si legge nell'originale russo nella rivista
"Novyj mir" - Mondo nuovo) non e' piu' il comunismo, bensi' il
postmodernismo. Che cosa ha potuto spingere Solzenicyn a cercar di
distruggere questa nuova icona, di cosi' minor entita' rispetto a quella
rosso sangue della tetrade Urss Pcus Kgb Gulag? Di quale nuovo e diverso
male il postmodernismo e' portatore e simbolo? L'intervento letterario di
Solzenicyn (ma, come sempre nel caso suo, etico-letterario) ha una
spiegazione (se abbia una giustificazione, sara' certo discusso) nel fatto
che la situazione letteraria russa d'oggi e' in netto contrasto con le
tendenze, genericamente definibili come "realiste", care sia a Solzenicyn
sia all'ambiente culturale in cui, una trentina d'anni fa, avvenne il suo
esordio sulle pagine della rivista sovietica "Novyj mir", allora diretta da
Aleksandr Tvardovskij.
Anni luce sembrano dividere l'atmosfera dell'epoca da quella odierna russa:
allora una letteratura di impegno civile, di cui l'opera di Solzenicyn era
la punta piu' acuminata, lottava contro la morta, ma resistente ideologia
del "realismo socialista" in nome di un "realismo" senza aggettivi,
scalfendo o minando le basi della ancora forte ideologia del Potere
comunista, il marxismo-leninismo. Erano i tempi di un "revisionismo" (il
giovane Marx e l'ultimo Lenin come presunti fondamenti di un velleitario
"socialismo dal volto umano") di cui il confuso riformismo chruscioviano era
l'equivalente politico. Se non si conosce la mentalita' di quel periodo, il
suo fervore e il suo miraggio, il "fenomeno Solzenicyn" resta opaco. Certo,
egli fin dal principio esorbitava di molto dai limiti stretti del cosiddetto
"disgelo", ma in un primo momento non li spezzava, sperando di dilatarli.
Furono questi limiti, fattisi ancora piu' angusti dopo la liquidazione di
Chrusciov, a espellere Solzenicyn e con lui tanti altri dall'ambito del
sistema.
Aleksandr Solzenicyn e' rimasto sostanzialmente radicato in quegli anni,
diventando poi compiutamente se stesso e quindi liberandosi da ogni cautela
iniziale nella sua opposizione al comunismo. Ma, contemporaneamente a questa
sua maturazione di identita', il mondo sovietico mutava inesorabilmente,
fino a esplodere in una piena liberta' espressiva dopo il 1991.
Liberta' espressiva tra le macerie materiali e morali dell'edificio, un
tempo mastodontico, del sistema comunista, e' vero. Ma come poteva essere
altrimenti? E' giusto chiamare "postmoderna" la nuova letteratura russa o la
parte piu' significativa di essa? Gia' il termine "postmoderno" e' ambiguo o
almeno polisenso, quando lo si applica la' dove e' nato, nell'Occidente
euroamericano. In Russia il postmoderno e' teorizzato e praticato in modi
diversi, costituendo una fase di ricerca e di creazione differente non solo,
ovviamente, dal defunto "realismo socialista", ma anche dall'avanguardia e,
in generale, dal primo Novecento, una fase di disincanto, di relativita'.
Se Solzenicyn ha ritenuto di dover intervenire contro questa tendenza o
atmosfera (parlare di "gruppo" sarebbe improprio) e' perche' egli ha sentito
nel postmoderno il segno di uno stato generale della societa' russa
postcomunista che egli aveva gia' diagnosticato nella societa' occidentale.
Leggiamo il passo centrale del suo intervento: "Benche' la sorte piu' amara
e scoraggiante sia toccata nel XX secolo alla parte del mondo sottomessa al
comunismo, tuttavia, in senso piu' lato, moralmente malato e' anche l'intero
nostro secolo, e questa malattia morale non poteva non riflettersi ovunque
in una malattia dell'arte. Dovuto ad altre ragioni, ma simile e' lo
smarrimento 'postmodernista' che di fronte al mondo si e' manifestato anche
in Occidente. Ahime', pur nella crescita senza precedenti dei beni della
civilta'... anche in Occidente hanno avuto luogo un'erosione e un
eclissamento degli alti punti di orientamento morali. Si e' offuscato l'asse
spirituale della vita universale e agli occhi di qualche artista smarrito il
mondo e' apparso in una presunta insensatezza, come una balorda congerie di
rovine".
Ecco il "postmodernismo" globale che sgomenta Aleksandr Solzenicyn. Non si
tratta dell'ennesima "moda": si tratta di situazione spirituale intesa non
come "superamento" della modernita' (da questa non si esce) o come sua
"crisi" (la modernita' e' crisi permanente), bensi' come distruzione o
distorsione delle energie spirituali che per secoli hanno dato forma e
sostanza alla cultura. Si puo' enumerare un insieme di fenomeni, sociali
prima che artistici, in cui la "situazione postmoderna" si manifesta: dalla
decanonizzazione dei valori della cultura all'ironia radicale e
"carnevalesca", dal rifiuto delle progettazioni utopiche alla "nuova
sessualita'" antinormativa, dalla "testualita'" di ogni aspetto reale alla
ibridizzazione di tutti i discorsi sul reale.
Come non comprendere lo sconcerto di un "realista" tradizionale di fronte
alla spettralita' vorticosa del mondo postmoderno, rispetto alla quale la
corposita' criminosa del comunismo pretendeva di essere una salvifica
alternativa? Come non comprendere le difficolta' di chi ha combattuto e
vinto l'eroica battaglia frontale col totalitarismo, e ora deve fronteggiare
il labirinto di un mondo sregolato, problematico, ambiguo? Eppure e' proprio
il realismo, inteso come dinamica apertura al mondo storico e non come
particolare tendenza socioletteraria, a permettere un orientamento, sia pure
precario, nella "situazione postmoderna". Una situazione che costituisce un
punto di vista nuovo sulla modernita' giunta a una svolta, una critica delle
sue contraddizioni e delle sue alternative. Il comunismo e' stato la cura
disastrosa di un male erroneamente diagnosticato. E chi, come Solzenicyn, ha
dato un contributo inestimabile alla denuncia di questa falsa medicina, non
e' necessariamente un medico capace di curare. Infondata e' la stessa
speranza di un'assoluta salvezza del mondo. Il male puo' essere solo
alleviato e incerto e', del resto, il suo confine con la salute. Quello che
si chiama "postmoderno" e' solo un sintomo di "fine secolo" (o "fine
millennio") di questo stato ambivalente, dopo la fine di tutti i miti di
"salvazione" terrena, ma senza quella disperazione culturale che in passato
ha generato rimedi peggiori di ogni vero o presunto male.

2. VITTORIO STRADA: SOLZENICYN, L'OPPOSITORE (1995)
[Dal "Corriere della sera" del 19 aprile 1995 col titolo "Solzenicyn, il
dissenso che non va in pensione" e il sottotitolo "Un ritorno sulla scena
tra accuse e polemiche"]

Se consideriamo senza superficialita' la figura e l'opera di Aleksandr
Solzenicyn - che la settimana scorsa ha ricevuto il Premio Brancati e,
nell'occasione, ha accusato l'Occidente di tramare per l'indebolimento della
Russia -, insorgono necessariamente varie domande sulla sua qualita' di
scrittore, sulla sua visione della storia, sulla sua concezione della
politica, sulle fonti della sua "filosofia". Ma c'e' una domanda che
interessa soprattutto noi, suoi contemporanei, e non solo lo storico futuro
o lo studioso odierno: quale e' la ragione della straordinaria forza e
durata di questo uomo che, sconosciuto fino al 1962, anno del suo fragoroso
esordio con Una giornata di Ivan Denisovic, da piu' di trent'anni e' al
centro della vita etico-politica, oltre che letterario-intellettuale, non
solo del suo Paese, ma, si puo' dire, del mondo? Questa domanda sarebbe meno
giustificata se questi trent'anni fossero stati caratterizzati da
un'omogenea continuita'. Ma se ci volgiamo a guardare indietro, non possiamo
che sbalordire di fronte alle rovine che una turbinosa storia ha lasciato
dietro di se', in particolare nella patria di Solzenicyn. E, se osserviamo
con attenzione, ci convinciamo che proprio lui e' l'unica figura che ha
attraversato questi tre tremendi e grandiosi decenni con passo sicuro,
giungendo alla soglia della fine del secolo non solo come essenziale
testimone, ma, cio' che piu' conta, come vivo suo protagonista.
Aleksandr Solzenicyn, il reietto che, dopo l'esperienza della guerra
antinazista, ha conosciuto il Lager, la malattia e l'esilio, ha dimostrato
di possedere una straordinaria energia vitale analoga a quella di un altro
grande russo, Andrej Sacharov, il solo degno di stargli accanto come
compagno di destino e di azione storica, pur nella diversita' delle
posizioni. L'energia di Solzenicyn e', prima di tutto, morale. Ed e'
l'energia di un uomo solitario, nonostante il ruolo collettivo, universale
si vorrebbe dire, che egli ha svolto e svolge.
Solitario perche' egli non e' inquadrabile in alcuna delle categorie che
hanno caratterizzato la vita socio-culturale del suo tempo e del suo Paese.
Il "dissenso", ad esempio. Si obiettera' che, per l'opinione comune, egli e'
stato il piu' grande dei "dissidenti". Ma, a differenza degli altri, con la
sola eccezione di Sacharov, egli non tanto "dissentiva" dall'ideologia al
potere nell'Urss e altrove, quanto ad essa era totalmente "contro", e in
modo piu' radicale dello stesso Sacharov. Questo appare ancora piu' chiaro
oggi, di fronte al melanconico spettacolo degli ex "dissidenti" che avevano
dimostrato il coraggio della renitenza al vecchio regime, ma non hanno retto
alla prova, indubbiamente non facile, della fine di quel regime e, a parte
quelli di essi che si sono ritirati a vita privata in qualche nicchia
(accademica, per lo piu') offerta dall'ospitale Occidente, hanno esaurito la
loro carica intellettuale, stranieri nella nuova Russia e nella vecchia
Europa. Quanto a quei "dissidenti" mancati (per carenza di coraggio) che
sono stati i "frondisti" degli anni Sessanta, nel periodo kruscioviano, e
che dopo le piccole rivolte in ginocchio durante la restaurazione
brezneviana, erano approdati tra le braccia del gorbaciovismo, costoro,
ormai sbalzati via dal nuovo corso storico postsovietico, sembrano dei falsi
veterani che esaltano battaglie mai da loro combattute.
Se questo e' lo sfondo, la figura di Aleksandr Solzenicyn giganteggia ancora
di piu'. Egli infatti non solo e' stato un autentico e grande "resistente"
che ha anticipato e preparato i tempi della fine del totalitarismo
comunista, ma adesso non e' un "pensionato" stanco e deluso e continua con
coerenza la sua azione. Non si tratta di fare un'apologia di Solzenicyn. Al
contrario egli, oggi meglio che in passato, partecipa a una ricerca comune
oltremodo complessa e il miglior modo per rispettarlo e' quello di
considerare criticamente, consentendo o dissentendo, le sue posizioni
all'interno di un dialogo aspro, spesso, e confuso, non di rado, ma
creativo.
Se ora torniamo alla nostra domanda iniziale circa la ragione della
straordinaria forza e durata di Solzenicyn, e se cerchiamo di dare ad essa
una risposta direi che la fonte della costanza dell'autore della Ruota rossa
sta nella felice congiunzione di un'ampia visione storica della realta' con
una profonda vitalita' morale. Nel grande Sacharov, per la sua stessa
formazione, era debole quel senso della storia che invece e' il nerbo del
pensiero di Solzenicyn, nel quale, semmai, e' carente quella mentalita'
"cosmopolita" che animava il fisico. L'energia morale, naturalmente, era
comune in ugual grado ad entrambi, ma in Solzenicyn essa sgorga da strati
profondi del suolo russo, mentre in Sacharov essa si nutriva di apporti
diversi, non nazionali soltanto. Non si tratta di fare gerarchie e di
stabilire relativi meriti e demeriti, ne' di assegnare banali appellativi
come "slavofilo" (Solzenicyn) e "occidentalista" (Sacharov), bensi' soltanto
di vedere differenze e convergenze. Convergenze perche' questi due grandi
russi hanno dimostrato, piu' di altri ma assieme a tanti altri, che lo
spirito russo non e', per sua essenza, servo del potere, ne' votato
fatalmente alla sofferenza, ed e' capace di resistenza coraggiosa, aspirando
a una vita civile.
Aleksandr Solzenicyn, anche nello sfacelo morale e sociale della Russia
postcomunista che paga la catastrofe accumulata in tre quarti di secolo di
dissennato totalitarismo, dimostra cio' anche oggi, unica figura che leghi
il passato al presente e forse al futuro in un'epoca di cambiamenti
accelerati e sconvolgenti, ma anche liberatori.

3. VITTORIO STRADA INTERVISTA ALEKSANDR SOLZENICYN (1995)
[Dal "Corriere della sera" del 29 maggio 1995 col titolo "Solzenicyn: La mia
Russia" e il sommario "Protagonisti. Incontro con lo scrittore, che risponde
ad alcune accuse: Non sono mai stato ne' zarista, ne' slavofilo, ne'
antisemita. Il comunismo e' un fascismo di classe. Il nostro totalitarismo
e' servito da modello al nazismo. Bulgakov, la Achmatova e la Cvetaeva
autori del ' 900 a me vicini e nell'800 amo Cechov, Tolstoj e Dostoevskij"]

Mosca. "Qui fui arrestato. Il 13 febbraio 1974. Alle cinque di sera. Vennero
otto agenti del Kgb. Spezzarono la serratura della porta. Mi afferrarono e
mi portarono alla prigione di Lefortovo. Dopo ventiquattr'ore fui spedito in
Occidente".
Aleksandr Solzenicyn, nell'anticamera dell'ormai storico appartamento nella
centrale via Tversjaja, ex via Gorkij, mi mostra il luogo dove fecero
irruzione gli uomini della polizia politica. Ora, dopo vent'anni di esilio,
l'appartamento, intestato alla moglie, e' stato restituito dalle autorita'
di Mosca e vi ha sede la rappresentanza editoriale dello scrittore, nonche'
la Fondazione per l'aiuto ai perseguitati politici. E' un appartamento al
primo piano, con poca luce e poca aria, cui s'accede da un cortile
dissestato. Prima dell'arresto, Solzenicyn vi viveva illegalmente perche'
privo di autorizzazione di abitare nella capitale, benche' la moglie Natalia
Dmitrievna e il figlio vi avessero legale residenza. Con Solzenicyn, chiusi
nel suo studiolo, parliamo a lungo di temi che aiutano a capire le sue
posizioni e i suoi lavori, tra cui La "questione russa" alla fine del secolo
XX, ora uscita da Einaudi.
La prima domanda riguarda la storia russa nella sua differenza rispetto a
quella europeo occidentale. "Che ci sia una differenza si vede a prima
vista. Naturalmente, ci sono fasi, periodi, fenomeni universali simili in
Russia e in Occidente. Ma la loro forma e' diversa. Le ragioni di questa
differenza sono varie. Di solito viene ricordato l'ambiente geografico. La
Russia ha spazi sconfinati che sono stati acquisiti per lo piu' in modo
pacifico. In Siberia, per esempio, c'e' stata una quasi incruenta espansione
economica che arrivo' persino all'Alaska, nel continente americano. Ma
queste enormi distese della pianura russa sono state anche luogo di
scorribande di conquistatori. Non c'era alcuna barriera naturale, a
eccezione dell'Artico. Non abbiamo avuto solo l'invasione mongolica, ma
siamo stati senza protezione anche rispetto agli attacchi occidentali: i
cavalieri teutonici, l'espansione della Polonia nel Cinque e Seicento, poi
Napoleone, poi Hitler. Io credo, inoltre, nel carattere nazionale, che non
e' pero' qualcosa di dato una volta per tutte, ma muta a seconda delle
epoche storiche e della situazione sociale. Il carattere nazionale russo si
e' costituito e sviluppato a contatto con questa vastita' spaziale e sotto
l'azione di tali cataclismi storici. Data l'immensita' del territorio e la
molteplicita' delle sue popolazioni e religioni, il Paese non poteva
esistere senza un forte sistema centrale, il quale si affermo' limitando
l'autogoverno e l'iniziativa popolare. Fino all'inizio del XVII secolo il
popolo russo conservo' buona parte della sua autonomia. Poi, a partire da
Pietro I, e per tutto il periodo imperiale fino alla fine del XIX e
all'inizio del XX secolo, e ancor piu' in seguito nel periodo sovietico,
siamo stati sotto un fortissimo potere centrale, il che ha lasciato
un'impronta nella vita statale, nel processo storico e nel carattere
nazionale. Nel nostro carattere si fanno sentire una forte assenza di
iniziativa e una dipendenza da quello che viene dall'alto".
*
- Vittorio Strada: La tradizione slavofila ha per lei un significato
particolare?
- Aleksandr Solzenicyn: No, per me lo slavofilismo non ha un significato ne'
particolare, ne' rilevante. Mi bollano spesso come neoslavofilo, mentre non
lo sono affatto. Mi amareggia il fatto che gli slavofili abbiano accentuato
la tesi di una speciale missione della Russia e di una sua superiorita'
nella sfera spirituale. Non condivido questa loro idea e non sono un loro
continuatore.
*
- Vittorio Strada: In cosa consiste la differenza tra i due tipi di
totalitarismo, quello comunista e quello nazifascista?
- Aleksandr Solzenicyn: La differenza e' assai piccola: il comunismo e' un
totalitarismo di classe, un fascismo di classe, usando il termine "fascismo"
nel senso corrente e improprio, poiche' non ci riferiamo al fascismo
italiano, ma al nazismo, che e' stato un totalitarismo di razza, un
comunismo di razza. Inoltre il nostro totalitarismo e' nato prima
dell'altro, quello nazista, ed e' servito ad esso da modello.
*
- Vittorio Strada: E' possibile un socialismo non marxista, ma cristiano e
democratico?
- Aleksandr Solzenicyn: Il socialismo, in sostanza, ha commesso una sorta di
plagio morale nei riguardi del cristianesimo. Molte idee cristiane il
socialismo le ha fatte proprie in modo estrinseco e formale, fondandole non
sull'amore, come nel cristianesimo, ma sulla violenza. Nessun socialismo
puo' essere costruito senza una serie di violenze, anche se non cosi'
mostruose come quelle comuniste. Cio' perche' esso va contro la natura
umana. Non capisco i concetti di socialismo cristiano e democratico, data la
loro differenza di base rispetto al cristianesimo e alla democrazia.
*
- Vittorio Strada: Non le pare che l'attuale religione ortodossa, almeno in
Russia, tenda a fare del cristianesimo una sorta di religione nazionale,
legata al potere? Per lei conta piu' il cristianesimo come fenomeno
universale o l'appartenenza a una sua Chiesa?
- Aleksandr Solzenicyn: Nel passato storico della Russia e' stato proprio
cosi': la religione ortodossa e' stata strettamente legata al potere
statale. Prima di Pietro il Grande questo legame aveva la forma della
"sinfonia", come e' stato detto; dopo di lui si e' avuta una soggezione
della Chiesa allo Stato. Ma tale fusione c'e' stata indubbiamente. Questo
stato di cose, pero', non tornera' piu'. Dopo settant'anni di comunismo,
dopo il grandioso sviluppo dei nazionalismi di ogni sorta in tutto il mondo
e lo sviluppo di numerose religioni e sette, l'attuale Ortodossia in un
Paese caratterizzato da una pluralita' di religioni e di nazionalita' come
la Russia non puo' essere religione di Stato. Non si deve pero' dimenticare
che l'Ortodossia ha creato la base spirituale dello Stato russo. Percio' in
senso religioso e gnoseologico l'Ortodossia non e' per noi una religione tra
le altre: essa ha contato troppo nella nostra storia e non puo' essere da
noi considerata equivalente alle altre confessioni, anche cristiane. Il che
non vuol dire che essa possa godere di speciali privilegi garantiti dallo
Stato. Quanto alla seconda parte della sua domanda, certo il cristianesimo
come evento universale e' il fondamento, direi, dell'attuale civilta'. Ma
ognuno di noi nasce all'interno di una determinata Chiesa. E a questa resta
legato il suo mondo di emozioni e tradizioni, la sua crescita spirituale.
Non posso dire che per me sono del tutto equivalenti l'Ortodossia e il
Cattolicesimo. Sono stato nelle chiese cattoliche, provando un profondo
senso di reverenza. Ma non posso dire di aver provato in esse quel senso di
familiarita' che provo nelle nostre chiese. Il che, ripeto, non sminuisce
affatto il valore universale del cristianesimo. Si puo' soltanto
condividere, dunque, il pensiero dell'attuale papa, e non solo suo, che lo
scisma del cristianesimo e' il nostro dolore, la nostra ferita e che
dobbiamo superarlo di fronte all'ateismo che tanto e' cresciuto nel mondo.
*
- Vittorio Strada: Ha un futuro la civilta' occidentale? In che cosa essa
deve mutare per entrare nella comunita' planetaria del XXI secolo?
- Aleksandr Solzenicyn: Sulla civilta' occidentale nel suo complesso mi sono
pronunciato piu' volte. Nei miei interventi ho messo in guardia dai pericoli
che minacciano la civilta'. Sono pericoli soprattutto d'ordine morale,
dovuti alla perdita del senso di autolimitazione e all'imperio di esigenze
materiali eccessive: essi possono distruggere qualsiasi civilta'. Quanto
alla comunita' planetaria del XXI secolo, essa, secondo me, sara' turbolenta
e tempestosa, insomma assai difficile, forse gia' nella prima meta' del
prossimo secolo. Penso che ci sara' un forte assalto alla civilta'
occidentale da parte del Terzo Mondo. Non si avra' un pacifico ingresso
evolutivo in una comunita' futura che, si capisce, ci dovra' pur essere. Per
entrarci bisogna superare i vizi di cui ho detto: l'eccesso di esigenze e la
perdita dell'autolimitazione e dell'autocontrollo.
*
- Vittorio Strada: I suoi avversari l'hanno accusata di antisemitismo. Che
cosa risponde? Ed esiste una "questione ebraica" in Russia?
- Aleksandr Solzenicyn: E' vero, i miei avversari mi hanno mosso spesso
questa accusa. Ma e' caratteristico che si e' trattato sempre di articoli
giornalistici i quali rimandavano ad altri articoli dello stesso tipo e
cosi' via. E quando ho chiesto: per piacere, ditemi dove ho detto o scritto
qualcosa di antisemitico, nessuno me lo ha saputo dire. I giornalisti oggi
amano il lavoro facile: le mie opere occupano ventidue volumi, perche' mai
darsi la fatica di leggerle? Basta ripetere l'accusa e il gioco e' fatto.
Che cos'e' l'antisemitismo? E' un atteggiamento preconcetto e ingiusto verso
la nazione ebraica nel suo complesso. Questo non e' mai stato in me. Nelle
mie opere ci sono figure di ebrei, alcune positive, altre negative. I miei
avversari prendono le seconde. Ma le prime? Non c'e' alcun antisemitismo in
cio' che ho scritto. Quanto alla "questione ebraica" in Russia, essa, certo,
c'e' stata nei secoli scorsi, quando gli ebrei costituivano una parte
rilevante (circa sei milioni) della popolazione. Ma oggi direi che essa e'
quasi del tutto inesistente gia' per una ragione quantitativa: non solo il
numero degli ebrei e' enormemente diminuito, ma la stessa Russia e', per
cosi' dire, diventata piu' piccola, dopo il crollo dell'Urss. Ancora al
tempo di Gorbaciov nel mondo si fece un gran rumore per una certa
organizzazione detta Pamiat (Memoria) che la stampa internazionale presento'
come una minaccia tremenda. Ma era evidentemente una bolla di sapone che
subito scoppio'. Poi si parlo' di pogrom imminenti. Altra fandonia. No, non
c'e' oggi in Russia una "questione ebraica", almeno come fatto di un qualche
rilievo. Il nostro popolo si trova in un tale stato di prostazione da
costituire esso una "questione".
*
- Vittorio Strada: Come giudica il movimento neomonarchico russo? C'e' chi
auspica un ritorno degli zar.
- Aleksandr Solzenicyn: Ritengo che il movimento neomonarchico russo sia
oggi cosi' debole da non meritare una seria considerazione. Esso non
rappresenta alcuna forza sociale o politica. L'ordinamento zarista non puo'
piu' tornare da noi. Secondo me, le monarchie attuali hanno un carattere
puramente decorativo".
*
- Vittorio Strada: Ma Gorbaciov ha detto che Solzenicyn e' uno zarista!
- Aleksandr Solzenicyn: Si', e' vero, lo disse addirittura al Soviet
Supremo. Era molto irritato con me perche' avevo preannunciato il
disfacimento dell'Urss. Ma menti' quando aggiunse di aver letto due volte
con la matita in mano il mio libro sul modo di organizzare la nuova Russia.
Se lo avesse letto una sola volta, senza matita, avrebbe visto che nel libro
di zarismo e monarchismo non c'e' neppure l'ombra.
*
- Vittorio Strada: Quali sono gli scrittori russi a lei piu' vicini,
soprattutto del nostro secolo?
- Aleksandr Solzenicyn: Lei dice vicini. Le diro' dunque quali mi sono
intimamente cari. Tra i prosatori Bulgakov, tra i poeti la Achmatova e la
Cvetaeva. Se si parla invece di scrittori piu' interessanti per il loro
lavoro letterario, la cerchia si allarga. Bunin, ad esempio, non mi e'
vicino, ma non posso non ammirare la sua splendida maestria. A lui aggiungo
Zamjatin. Cechov, che non appartiene propriamente al XX secolo, lo amo
moltissimo. E cosi' Tolstoj. In Dostoevskij mi sorprende la capacita' di
cogliere profeticamente l'essenza delle cose, di vedere in un germoglio cio'
in cui si trasformera' in tempi storici futuri. La sua chiaroveggenza non ha
eguali.

4. VITTORIO STRADA PRESENTA "EGO" DI ALEKSANDR SOLZENICYN (1996)
[Dal "Corriere della sera" del primo agosto 1996 col titolo "Eroi costretti
a tradire" e il sommario "Libri. Solzenicyn racconta la crudele repressione
delle rivolte contadine contro i bolscevichi"]

Quando si legge Aleksandr Solzenicyn, si respira l'aria dei grandi spazi,
l'aria del nostro secolo insondabile, l'aria della Russia smisurata e
sventurata. Gia' la sua prima opera pubblicata, Una giornata di Ivan
Denisovic, nell'intensa cronaca di ventiquattr'ore di un lager sovietico
compendia la sorte di una nazione sovvertita e travolta dall'inesorabile
Ruota rossa, come s'intitola il ciclo storico narrativo da Solzenicyn
dedicato agli anni cruciali e fatali della rivoluzione comunista in Russia.
Anche i due racconti ora pubblicati sotto il titolo del primo di essi,
"Ego", pur essendo probabilmente spezzoni della Ruota rossa non entrati
nella sua struttura definitiva, concentrano lo spirito di un'intera epoca,
la disumanita' dei decenni che vanno dalla feroce guerra civile scatenata
dal sovvertimento bolscevico al trionfo di Stalin nella seconda guerra
mondiale e oltre.
Il contesto del primo e del secondo racconto (che s'intitola "Per linee
interne") e' la rivolta contadina che negli anni del "comunismo di guerra"
sconvolse la regione di Tambov. A guidare i contadini insorti contro le
vessazioni e le requisizioni dei "rossi" fu un membro del Partito socialista
rivoluzionario, Aleksandr Antonov, come ricorda Sergio Rapetti, autore della
buona traduzione, in un glossarietto in appendice. La guerra tra bolscevichi
e "antonoviani" fu spietata, e senza speranza per questi ultimi. La
crudelta' era accanita, belluina in entrambe le parti, e qui Solzenicyn ne
da' un resoconto spoglio, cronachistico, senza quell'estetizzazione e
ideologizzazione della violenza che si trova in tanta letteratura russa
sovietica dei primi anni post-rivoluzionari.
Ma se la crudelta' e' norma comune, Solzenicyn coglie l'atroce novita' che
nella violenza generale i comunisti hanno portato: non piu' soltanto
l'uccisione facile, spensierata, senza problemi morali di sorta, ma una
criminosita' cerebrale, sostenuta da quel surrogato dell'attivita'
intellettuale che e' l'ideologia rivoluzionaria, la quale, oltre a fornire
ferrea sicurezza a chi la pratica, permette di applicare metodi perversi di
distruzione della personalita', prima ancora della distruzione fisica, di
chi ha la sventura di capitare negli ingranaggi della violenza
rivoluzionaria.
E' il caso del protagonista di Ego (Ego e' il suo pseudonimo), un energico
operatore del movimento cooperativo contadino, uomo dalla coscienza limpida
e dalla mente libera che, diventato un dirigente dell'insurrezione
antonoviana, finisce prigioniero dei "rossi". Col ricatto (secondo una
pratica sistematicamente applicata dai bolscevichi, la sua famiglia e' presa
in ostaggio e dovra' "pagare" un eventuale rifiuto di Ego a collaborare con
la Ceka, la polizia politica comunista), ma ancor prima con la
"manipolazione" mentale cui Ego e' sottoposto negli interminabili
interrogatori, egli alla fine tradira' i suoi compagni. Colpevole?
Certamente. Ma che dire dei suoi efferati aguzzini?
L'eroe del secondo racconto non e' un "uomo semplice", travolto da una
fiumana di eventi infinitamente superiori alle sue forze, bensi' un
protagonista di quegli eventi, un uomo che, per potenzia e valore, e' alla
loro stessa altezza, eppure alla fine ne diventa vittima, sia pure sempre
privilegiata: Georgij Zukov, il celebre maresciallo sovietico, uno degli
artefici maggiori della vittoria nella seconda guerra mondiale. La sua
splendida carriera militare Zukov l'inizia nella guerra contro i contadini
di Tambov, la prosegue alla scuola di Tuchacevskij, apprendendone bene la
lezione di impassibile spietatezza, e la corona nell'Olimpo del Cremlino,
sotto il supremo, e arduo, patronato di Stalin. Ora, nel racconto, ormai
vecchio, estromesso, solitario, Zukov, scrivendo le sue memorie nel rispetto
della censura ufficiale e di quella sua interiore, non e' neppure in grado
di ripensare con autenticita' la sua vita, orgoglioso com'e' unicamente
delle gloriose tappe della sua biografia e incapace di capire le ragioni
delle sue disgrazie. L'epoca che ha stritolato milioni di Ego ha in Zukov il
suo eroe ferreo, ma anch'esso vulnerabile.
A quest'epoca infernale e grandiosa sono dedicate queste due "schegge" del
lavoro storico narrativo di Aleksandr Solzenicyn, inesorabile "cronista" di
un mondo che fu.

5. VITTORIO STRADA: ALEKSANDR SOLZENICYN A OTTANTACINQUE ANNI (2003)
[Dal "Corriere della sera" dell'11 dicembre 2003 col titolo "Oggi compie 85
anni l'autore di Arcipelago Gulag" e il sommario "Le polemiche hanno accolto
la sua nuova opera: un saggio critico sulla 'questione ebraica' in Russia.
L'autunno di Solzenicyn il patriarca scomodo"]

Quello che dovrebbe essere l'autunno o l'inverno sereno di un "patriarca"
come Aleksandr Solzenicyn (oggi lo scrittore compie ottantacinque anni e per
l'occasione a Mosca gli e' dedicato un convegno) e' turbato, come, del
resto, lo sono state le passate stagioni della sua vita, da polemiche o,
peggio, da denigrazioni, tanto che egli, in un recente articolo sulla
"Literaturnaja gazeta", se ne e' doluto, passando in rassegna le varie
"incriminazioni" cui e' stato sottoposto in passato da parte dei
rappresentanti del regime comunista e poi dai malevoli, a lui
ideologicamente ostili.
Non seguiremo le doglianze del vecchio scrittore che, a dispetto dei malanni
dell'eta' che lo inducono a un'esistenza ancor piu' ritirata, ha abbastanza
vigore per tener testa ai suoi critici e abbastanza coraggio per pubblicare,
come ha fatto di recente, un'opera in due volumi, dedicata alla "questione
ebraica" in Russia che ha attirato su di lui nuovi fulmini, per lo piu'
malintenzionati. E' vero, infatti, che si tratta di un'opera tutt'altro che
indiscutibile, anzi di un'occasione per discutere un tema vitale, e spinoso,
che ha percorso tutta la cultura russa moderna, ma per lo piu' si e'
trattato di un'occasione sprecata perche' sommersa da polemiche
superficiali. I Duecento anni insieme (tale e' il titolo del libro) non sono
l'opera di uno storico di professione e tanto meno di un "accademico", ma
hanno il valore di una riflessione appassionata su un aspetto centrale della
vita russa moderna da parte di uno scrittore che e' qualcosa di piu', o se
si vuole di diverso, di un puro letterato e che come tale ha svolto un ruolo
unico nella storia del suo Paese e, si puo' dire senza esagerazioni, del
mondo occidentale, dove l'autore dell'Arcipelago Gulag ha saputo affermare
in tempi oscuri una voce di verita'.
Nessuna apologia di Solzenicyn, ma una comprensione critica della sua figura
e della sua opera, il che e' possibile se si percepisce quella grande
"anomalia" che la Russia e' stata nello scorso secolo, dopo essere stata in
quelli precedenti una parte "speciale", cioe' dotata di forti peculiarita',
del processo storico europeo. Se la Russia novecentesca (nella sua
metamorfosi sovietocomunista) fosse stata una realta' a se', un'anomalia
marginale, l'interesse dovutole sarebbe quello che si tributa a qualcosa di
esotico e remoto. Ma il paradosso e' che la Russia del XX secolo e' stata
non un fenomeno eccentrico, bensi' il centro maggiore della storia europea e
mondiale dello scorso secolo e la decifrazione della sua "anomalia" e'
essenziale per interpretare adeguatamente l'intera vicenda universale degli
ultimi cento anni.
Solzenicyn tutto cio' lo sa come pochi altri, anzi lo sente e lo ha sentito
quando le menti erano ottenebrate dai miti rivoluzionari e
antirivoluzionari: il suo anticomunismo, formatosi dopo la giovanile
adesione a un comunismo generosamente immaginario e come ripulsa del
comunismo squallidamente reale, non e' frutto di un'ideologia capovolta
rispetto a quella dominante, ma si sostanzia di una riflessione storica
personale, come dimostra il suo ciclo narrativo La ruota rossa, opera
mastodontica, e diseguale, della quale e' da poco uscita in Russia
un'edizione ridotta in quattro volumi, disponibile per una lettura "normale"
(e ci si augura per una traduzione anche italiana). Del resto, lo stesso
Arcipelago Gulag che cos'e' stato se non un'opera di storia orale, sintesi
di microstorie, arcipelago di testimonianze e, nel suo insieme, dantesco
monumento a un inferno del nostro tempo che non ha conosciuto ne' purgatorio
ne' tanto meno paradiso?
Nella temperie postmoderna della Russia postcomunista, nel suo caos di
passato realsovietico, di presente pseudocapitalistico e di un futuro che
adombra una sintesi triste delle prime due dimensioni temporali, quando
l'incombenza della storia sulla realta' attuale viene esorcizzata con le
parole e i silenzi di nuove ideologie politiche e letterarie, la storicita'
di Solzenicyn, al di la' delle sue concrete manifestazioni piu' o meno
accettabili, sembra un anacronismo, per quanto eccezionale ne debba essere
riconosciuta la qualita' morale e intellettuale anche da parte dei suoi
avversari.
Ma in un'epoca in cui diversi flussi di cronos, di tempo storico e vissuto
s'intrecciano, si accavallano e si elidono, tanto da creare una sorta di
"senza tempo", cosi' come la globalizzazione crea un virtuale "metaspazio",
essere "anacronistici" non e' forse un modo tra i piu' sicuri per vivere il
proprio tempo senza lasciarsene soffocare, sentendolo come figlio di una
lunga storia giunta a un punto morto, che e' insieme un interrogativo e un
confine? Aleksandr Solzenicyn, dopo ottantacinque anni di vita, e', in
questo mondo imprevedibile, un possibile orientamento tra i pochi
superstiti. Leggerlo, tra consenso e dissenso, aiuta a vincere il vuoto
dell'indifferenza e a cercare una via verso qualcosa che non c'e' piu' o
forse non c'e' ancora.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 210 del 6 agosto 2008

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