Voci e volti della nonviolenza. 209



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 209 del 5 agosto 2008

In questo numero:
1. Vittorio Strada intervista Aleksandr Solzenicyn (2000)
2. Tullio Pollini ricorda Aleksandr Solzenicyn
3. Paolo Pombeni ricorda Aleksandr Solzenicyn
4. Piero Sinatti ricorda Aleksandr Solzenicyn
5. Anna Zafesova ricorda Aleksandr Solzenicyn

1. VITTORIO STRADA INTERVISTA ALEKSANDR SOLZENICYN (2000)
[Dal "Corriere della sera" del 19 novembre 2000 col titolo "Sozenicyn: Il
mio testamento per i giovani", il sommario "Intervista con il Nobel al quale
e' dedicato un convegno a Penne. Un severo giudizio sul Novecento e
soprattutto la condanna del nuovo materialismo. Ci lasciamo alle spalle
Lager e Gulag ma attenti: il pericolo totalitario non e' finito. Studiosi a
confronto su un grande del secolo", la nota introduttiva "Il 23 e 24
novembre a Penne (Pescara), in occasione del Premio nazionale di narrativa
"Citta' di Penne" e del Premio "Mosca-Penne", si terra' un convegno
internazionale su Aleksandr Solzenicyn, il quale, non potendo intervenire,
ha concesso un'intervista a Vittorio Strada, organizzatore dell'iniziativa.
L'intervista, filmata, verra' proiettata all'inizio del convegno. Ne
anticipiamo i passaggi piu' significativi", e la cronologia "1918: Nasce
Aleksandr Solzenicyn. Prendera' la laurea in scienze matematiche. 1945-56:
Arrestato per aver espresso critiche a Stalin in una lettera, fa otto anni
di lager e tre di confino. 1957: Viene riabilitato ed entra nell'Unione
degli scrittori. Ma le sue opere presto lo fanno emarginare. 1962: Esordisce
col lungo racconto Una giornata di Ivan Denisovic. 1969: E' espulso
dall'Unione degli scrittori perche' all'estero sono usciti Divisione cancro
e Il primo cerchio, mai pubblicati in patria. 1970: Gli viene conferito il
Premio Nobel. 1974: Espulso dall'Urss. Passa dei periodi in Germania, in
Svizzera, poi si stabilisce negli Usa. 1973-78: Scrive il romanzo-documento
in tre volumi Arcipelago Gulag. 1991: Scrive il saggio Come ricostruire la
nostra Russia. 1994: Rientra in patria dall'America. 1998: Pubblica Il grano
caduto tra le macine, non uscito in Italia"]

- Vittorio Strada: La storia del XX secolo ha avuto nella Russia il suo
centro non solo per gli effetti dei "dieci giorni che sconvolsero il mondo",
ma anche per gli apporti dati nelle varie sfere della cultura. Oggi, alla
fine del secolo, la situazione e' mutata: la Russia, sconfitta, occupa un
posto marginale anche nella sfera culturale. E' possibile, secondo Lei, una
rinascita della Russia?
- Aleksandr Solzenicyn: Effettivamente nel XX secolo la Russia ha avuto in
sorte un ruolo non comune. In primo luogo, c'e' la sua partecipazione a una
rivoluzione che ha avuto un impatto enorme sulla storia del nostro secolo.
Con le rosee illusioni che annebbiarono allora le menti progressiste in ogni
parte del mondo sembrava che cominciasse una nuova era, una sorta di
paradiso in terra. In secondo luogo, c'e' stato l'apporto alla seconda
guerra mondiale. La Russia ha perso ventisette milioni di vite umane in
questo conflitto. E' stato un contributo di sangue decisivo e il modo di
vita che oggi si e' creato sul nostro pianeta e' il frutto di questo immane
sacrificio russo. Per quel che riguarda la cultura, essa, per quanto
paradossale, ha continuato a svilupparsi anche nelle durissime condizioni
sovietiche, solo che molti ne erano all'oscuro oppure se ne sono accorti
tardi. Io ritengo che non pochi premi Nobel non siano stati assegnati a
russi perche' di loro si e' saputo dopo la loro morte soltanto. La cultura
si e' sviluppata perche' ha continuato le tradizioni del secolo precedente,
nonostante le pressioni dall'alto, e ha dato molti nomi di rilievo. Certo,
della catastrofe che abbiamo subito alla fine degli anni Novanta ha sofferto
tutta la vita del nostro Paese e, in modo particolarmente pesante, la
cultura. Oggi effettivamente la nostra cultura e' in uno stato di
decadimento, soprattutto la sua parte centrale, quella piu' visibile, anche
se cio' non vale per tutti i campi, dato che, ad esempio, in quello musicale
non credo ci sia un decadimento neppure oggi. In molti altri campi la
cultura si e' ritirata nell'interno della Russia, nelle zone periferiche,
sfuggendo al crollo generale, e forse li' accumula quell'energia che le
dara' la possibilita' di risorgere.
*
- Vittorio Strada: Oggi il suo giudizio sul comunismo ha subito qualche
mutamento?
- Aleksandr Solzenicyn: No, la mia valutazione del regime comunista non si
e' ammorbidita affatto. Purtroppo, anche alla sua fine tale regime ha svolto
un ruolo funesto come al suo inizio.
*
- Vittorio Strada: Lei stesso in gioventu', come molti altri, ha condiviso
sinceramente certi ideali della rivoluzione. Come e quando si e' liberato da
queste illusioni, elaborando una nuova visione della realta' russa del suo
tempo?
- Aleksandr Solzenicyn: Nel mio caso personale, diro' che fin dall'infanzia
sono stato educato nello spirito del cristianesimo ortodosso e con un lucido
orientamento nei riguardi del regime comunista. Su queste posizioni sono
rimasto fino all'eta' di sedici anni circa. Quando avevo 17-18 anni, mi sono
infatuato delle idee marxiste ed effettivamente ho condiviso tutti questi
ideali, con qualche eccezione. Prima di tutto non ho mai condiviso
l'entusiasmo per Stalin. Il mio atteggiamento verso di lui e' sempre stato
nettamente negativo. Inoltre, leggendo gli scritti di Engels sulla
"dialettica della natura", non mi sono mai lasciato incantare dalle sue idee
sulle scienze naturali e sulla matematica, anzi le condideravo con ironia.
Qesta carenza di ideali sovietici porto' al mio arresto. Il mio arresto era
inevitabile in quanto questi ideali non li avevo mai accettati interamente.
Quando finii in galera, a 26 anni, in un anno mi purificai interamente. In
prigione cercavo di discutere ed ero sempre sconfitto, mi mancavano sempre
gli argomenti. La galera mi ha rieducato e, all'eta' di 27 anni, avevo le
idee chiare, quelle stesse che mi hanno accompagnato per tutta la vita e mi
hanno permesso di scrivere le mie opere...
*
- Vittorio Strada: E' indubbio che l'intera societa' russa e' mutata e sta
mutando. Lei stesso nelle sue opere pubblicistiche ha sempre rivolto la sua
attenzione agli sviluppi sociali del suo Paese, proponendo anche soluzioni
di "riforma". Lei si aspettava, prima degli anni Novanta, una simile
evoluzione? E come valuta la situazione attuale e le sue prospettive?
- Aleksandr Solzenicyn: Mentre lavoravo alla storia della rivoluzione del
1917, un lavoro durato decenni, ero preso sempre piu' dal timore che
l'uscita dal comunismo assumesse il carattere di un caos ingovernabile. Ho
cercato di trasmettere per radio dall'America parti della mia opera La ruota
rossa per mettere in guardia su cio' che poteva accadere. Ma, naturalmente,
questo ebbe un'influenza limitata. Chi vuole che mi ascoltasse nell'Urss? Il
caos io lo aspettavo e lo temevo. Ma sa come capita: il passato lo avevo
analizzato bene, con successo. Quanto al presente, c'e' chi riesce a farne
un'analisi e chi no. Circa il futuro, invece, quasi tutti sbagliano. Io, pur
comprendendo che ci sarebbe stato il caos, tuttavia, avendo di fronte a me
la storia del 1917, su una cosa non avevo dubbi: a quel tempo i vertici del
potere non avevano commesso alcuna ruberia. Gli uomini politici del governo
provvisorio erano deboli, fino al ridicolo, i membri del soviet dei deputati
erano delle nullita', ma nessuno di loro era un ladro. Ed e' proprio questo
che mancai di prevedere: che la nostra nomenklatura, fatta di caporioni del
Komsomol (l'organizzazione dei giovani comunisti) e del partito, era in
attesa di tirar fuori le grinfie. Comincio' cosi' il caos, perche' questi
qui sono totalmente privi di idee e mentre gli uomini politici del 1917
erano guidati dalle idee, questi non pensano che ad arraffare il piu'
possibile! Comincio' una vera e propria ruberia. Sembra ridicolo a dirsi,
ma, in realta', e' terribile. La Russia durante il periodo di Eltsin e'
stata saccheggiata in proporzioni incredibili tanto che la nostra ricchezza
nazionale, il petrolio, il gas, l'elettricita', tutto e' finito in mani
private, e quasi gratuitamente, e adesso la cosa viene argomentata in questo
modo: noi abbiamo fatto cosi' affinche' non ci fosse un ritorno al
bolscevismo, ecco perche' abbiamo fatto man bassa: per evitare che i
bolscevichi tornassero.
*
- Vittorio Strada: Il suo romanzo Nel primo cerchio ha, nel titolo e nello
spirito, un riferimento all'inferno dantesco? Troverebbe appropriata una
definizione della sua opera come quella di un Dante che percorre l'inferno
concentrazionario e totalitario, aspirando ad uscirne, ma arrivando solo a
un lungo "purgatorio" (la Russia attuale), senza vedere un paradiso?
- Aleksandr Solzenicyn: Il riferimento all'inferno dantesco nel Primo
cerchio non e' casuale, naturalmente. Si tratta di un'analogia tra la
discesa nei gironi dell'inferno e la discesa nei gironi del Gulag. Ma c'e'
anche una differenza di principio. Nello schema di Dante quanto piu' l'uomo
ha peccato, tanto piu' in basso viene a trovarsi, cioe' nei gironi
inferiori, mentre in quelli superiori ci sono i peccatori di minor colpa. Il
nostro mondo concentrazionario, il Gulag, invece era strutturato
diversamente. Lo si vede bene nel mio romanzo: chi cerca di lottare contro
il male, si rifiuta di servire il male, si isola dal male, e' calato in
basso, mentre chi acconsente a collaborare e si rassegna al male, resta in
alto.
*
- Vittorio Strada: I comunisti superstiti si indignano quando si mettono a
confronto i due totalitarismi del nostro tempo, quello comunista e quello
nazifascista, e i loro inferni concentrazionari, il Gulag e il Lager.
Evidentemente ci sono differenze tra i due fenomeni, ma, secondo lei, e'
giusto un loro accostamento?
- Aleksandr Solzenicyn: Il Gulag scaturisce dall'interno del sistema
comunista perche' tale regime e' talmente contrario alla natura umana da
dover applicare la massima pressione e violenza per costringere la societa',
il popolo, la gente a percorrere quel cammino, e la violenza esige anche i
campi di concentramento, il Gulag. Cosi' e' avvenuto. Quanto al caso
tedesco... si', tra i due sistemi c'e', naturalmente, molto di comune e il
sistema di Hitler sotto molti aspetti ha copiato i risultati di Lenin e
Stalin, con la differenza che da noi il principio delle persecuzioni era di
classe, mentre la' era di razza. Anche loro, i nazisti, avevano bisogno,
nella loro edificazione, di organi di violenza, anche se li hanno usati in
base a un principio diverso. Secondo me, non c'e' ragione perche' i fautori
di tutti questi regimi si agitino tanto e cerchino di "purificarsi", cosa
impossibile. Entrambi questi fenomeni, comunismo e nazismo, mettono a nudo
il meccanismo totalitario, un meccanismo che puo' ripetersi, sia pure in
un'altra forma. Il parallelo tra i due fenomeni e la loro reciproca
dipendenza e' evidente.
*
- Vittorio Strada: Qual e' la situazione della Russia nel contesto attuale?
- Aleksandr Solzenicyn: La situazione della Russia in questo senso e'
tremenda perche' noi abbiamo perso tante delle nostre forze migliori nella
difesa della nostra terra, con 27 milioni di vittime, e in tutte le imprese
del comunismo, e nella creazione del complesso militar-industriale, e adesso
siamo rimasti senza niente, in rovina, spinti verso il Terzo Mondo, in via
di estinzione... Ecco la cosa piu' terribile: siamo in via di estinzione.
Concludo dicendo che noi dall'Occidente dobbiamo prendere cio' che di meglio
esso ha, come l'autogoverno locale, che in Russia c'era prima della
rivoluzione e che Lenin accuso' di essere del tutto superfluo, la "quinta
ruota del carro", come disse! L'autogoverno va ristabilito. E invece delle
cose buone noi, nel nostro caotico smarrimento, dall'Occidente abbiamo preso
molte cose cattive. Quando e' avvenuto il crollo del comunismo, noi che per
decenni abbiamo ammirato l'Occidente pensavamo che la' tutto andasse bene e
ci aspettavamo un abbraccio universale dei popoli; che cosa abbiamo invece
trovato? Gorbaciov non oso' neppure chiedere che l'Europa orientale liberata
non venisse trascinata nel blocco Nato, non oso' chiedere un impegno al
proposito, tanto gli sembrava addirittura sconveniente. Eravamo pieni di
fiducia. Ma d'un tratto e' cominciato uno strano fenomeno. Le autorita'
degli Stati Uniti, conscie della loro vittoria nella Guerra Fredda, non
hanno saputo limitarsi. Quante volte la storia mondiale ha conosciuto
tentativi di creazione di potenze universali? Oggi in questa tentazione sono
caduti gli Stati Uniti. Non nel senso che inviano eserciti ad impadronirsi
di tutta la terra. Oggi cio' non e' necessario: basta sottomettere la terra
spiritualmente, culturalmente! Il totalitarismo puo' ricomparire in una
forma nuova, un totalitarismo nato dalla democrazia.
*
- Vittorio Strada: Lei, che ha avuto una vita cosi' straordinaria attraverso
tutto il lungo e terribile secolo passato, che cosa si sente di dire ai
giovani, alla nuova generazione che, non soltanto in Russia, spesso e' cosi'
disorientata e comunque vive e vivra' in un mondo pieno di tensioni e
contraddizioni nuove e di rischi forse senza precedenti?
- Aleksandr Solzenicyn: Alla giovane generazione vorrei dire questo: prima
di tutto, non abbandonatevi alla tentazione di un consumismo che sembra alla
portata di tutti: avere di piu', cambiare modelli e oggetti, comprare,
acquistare. Ci deve essere una battuta d'arresto interiore, un limite
interiore: questo per me e' superfluo, fermati, ne puoi fare a meno. La
tentazione del consumo non promette nulla di buono, ne' per il singolo
individuo, ne' tantomeno per l'intera umanita'. In questo senso, e in
connessione con quanto ho gia' detto, proporrei alla giovane generazione di
non farsi illusioni, credendo che stiamo per entrare in un secolo felice. E'
un errore che l'umanita' ha fatto nel passaggio dal XIX al XX secolo. Con
quanto entusiasmo si saluto' quest'ultimo, che dalle posizioni del secolo
precedente sembrava sfolgorante! E abbiamo visto che cosa e' risultato. Un
simile errore oggi per lo piu' non lo si fa, ma non sono pochi quelli che
ancora sperano in rapide e facili soluzioni dell'attuale stato di cose. No!
La situazione e' ardua. Il nostro pianeta e' in grave stato. Alto e' il suo
inquinamento, l'ecologia e' in uno stato disperato, vi sono popoli, tra cui
quello russo, la cui sopravvivenza e' in pericolo. La vita sara' dura. Le
circostanze saranno aspre. Ma mai le circostanze sono superiori alla
volonta' umana. La volonta' e la coscienza dell'uomo sono superiori alle
circostanze. Lo dico dopo essere passato attraverso la guerra, il Lager e il
cancro. La volonta' umana e' superiore alle circostanze e puo' vincerle, a
patto che si concentri e non si ponga falsi obiettivi. Evitare le false vie.
Ecco quello che vorrei dire.

2. TULLIO POLLINI RICORDA ALEKSANDR SOLZENICYN
[Dal sito del quotidiano "Il messaggero" col titolo "Addio Solgenitsyn, voce
del dissenso"]

Aleksandr Solgenitsyn e' da considerarsi, per molti aspetti, il piu'
rappresentativo scrittore russo della seconda meta' di questo secolo. Ma il
suo Paese lo ha anche vissuto come un traditore, un reprobo. Ex prigioniero
politico, scrisse nel 1962 una sorta di rapporto sulla vita in un campo di
prigionia durante il periodo staliniano (Una giornata di Ivan Denisovic),
facendo scalpore. Negli anni successivi subi' in ogni caso le angherie del
Potere sovietico, tramutandosi ben presto in uno fra i piu' combattivi
intellettuali detti "del dissenso". Le sue opere, in patria, circolavano
clandestinamente, in copie dattilografate (Samizdat). Ma giungevano con
estrema regolarita' all'estero, trasformando via via la persona e le idee
dello scrittore in una sorta di autorita' ammonitrice, capace di rampognare
il Cremlino e il totalitarismo burocratico comunista da esso rappresentato.
Allora l'autore di Arcipelago Gulag fu bandito dall'Urss. Privo di
cittadinanza, esiliato come un antico oppositore dello Zar, nel 1974 riparo'
in America. E vi rimase vent'anni.
Nato l'11 dicembre 1918 a Cislovodsk, nel sud della Russia, Solgenitsyn era
stato allevato dalla madre, una maestra di scuola. Al termine
dell'istruzione superiore, frequento' l'universita' di Rostov, dove si
laureo' in matematica e fisica. Nel 1941, dopo l'attacco della Germania
nazista all'Urss, fu reclutato nell'Armata Rossa. Nominato comandante di
artiglieria, combatte' sul fronte di Leningrado. Piu' volte ferito, ottenne
due decorazioni. Ma non era del tutto ligio alla disciplina allora vigente:
in una lettera a un amico si permise di criticare aspramente i modi di
condurre la guerra e colpi' senza risparmio la figura di Stalin. Giunta
nelle mani della polizia segreta, la lettera in questione provoco' il suo
arresto e la successiva condanna a otto anni di prigione in un campo di
lavoro del Khazakistan.
Stalin mori' il 5 marzo 1953. Quel giorno Solgenitsyn fu trasferito
nell'Asia centrale sovietica, dove gli fu affidata una cattedra di
matematica e dove riscrisse, nonostante l'esilio forzato, alcuni racconti
gia' abbozzati durante la prigionia. Si ammalo'. I medici, sospettando
avesse un cancro, lo fecero accogliere in un ospedale di Taskent. Lo
scrittore miglioro' e guari'. Liberato dall'esilio nel 1956 (nel frattempo
il XX Congresso aveva sancito il crollo del mito di Stalin), fu riabilitato
ufficialmente l'anno seguente. A Ryazan, dove si stabili', riprese a
insegnare e a scrivere. E in quella stessa citta' visse il primo -
contrastato ma lampante - successo letterario: la rivista "Novyj mir" aveva
pubblicato Una giornata di Ivan Denisovic e i lettori sovietici conobbero le
atroci vicissitudini di un povero bracciante, il quale, per accuse di
spionaggio assolutamente inventate, sconta dieci anni di pena.
Nel gennaio 1963 "Novyj mir" diffuse altri due racconti di Solzenicyn: Un
incidente alla stazione Krecetovska e La casa di Matrjona. Il primo narra di
un giovane militare che, durante la seconda guerra mondiale, comanda una
stazione ferroviaria e denuncia un uomo innocente alla polizia segreta,
sentendosi per questo oppresso dai rimorsi. Matrjona, la protagonista del
secondo racconto, e' invece una vecchia contadina "umiliata e offesa" che
agli occhi dell'autore incarna l'anima integra della Russia: pura, generosa,
lirica, sempre pronta al perdono.
Nel 1964, il disgelo. Secondo "l'umanesimo commosso e imparziale di
Solgenitsyn" era incapace di distinguere e metteva sullo stesso piano
"individui buoni, onorati, e criminali, traditori".
Era una denuncia, una volta di piu', vigorosa. La novita' della
documentazione contenuta in Una giornata di Ivan Denisovic non serviva piu'
ai bojardi del Pcus. E sebbene Solgenitsyn continuasse a essere popolare in
tutte le Repubbliche sovietiche - soprattutto fra la giovane generazione -
un crescente stillicidio di accuse ideologiche si abbatte' su di lui. I
richiami all'ortodossia marxista richiedevano nuove vittime.
La reazione dello scrittore fu pronta. Solgenitsyn non si fece attendere. In
una lettura indirizzata all'Unione degli scrittori fece notare che la
censura, non essendo prevista nella Costituzione sovietica, era da
considerarsi illegale. Aggiunse: "Se la nostra letteratura ha perso il ruolo
importante che svolgeva alla fine dell'ultimo secolo e all'inizio di quello
attuale, gli sconfitti sono il nostro Paese e la stessa letteratura
mondiale". Quindi propose l'abolizione della censura e chiese serie garanzie
"per la difesa di coloro che sono soggetti all'ingiustizia e alla calunnia".
Il successivo romanzo, Divisione cancro, resoconto giornaliero della vita di
alcuni malati in un ospedale sovraffollato dell'Asia centrale, in Russia non
venne pubblicato. A nulla valsero le simpatie manifestate, nei confronti di
un autore cosi' problematico, dai poeti Aleksandr Tvardovsky (gia' direttore
di "Novyi mir"), Andrej Voznesenskij e Bella Akmaduljna.
Il "compagno" Breznev, defenestrato Kruchev, serrava ogni giorno di piu' la
morsa. I funzionari del Pcus continuavano a vessare Solgenitsyn, ad
ostacolare l'uscita dei suoi lavori, a vietargli la libera espressione di
parola e di scrittura.
La rottura definitiva fra il potere sovietico e lo scrittore avvenne dopo la
pubblicazione in Occidente del Primo cerchio (nella traduzione di Pietro
Zveteremich, in Italia usci' per le edizioni Mondadori) e dopo
l'attribuzione del Nobel 1970 al suo autore.
Il titolo del libro e' tratto dall'Inferno di Dante. La vicenda si svolge
all'interno dello "Sharazka", un istituto scientifico nei sobborghi di
Mosca, simile a quello in cui Solzenicyn era stato internato prima della
deportazione nel Khazakistan. I detenuti - tecnici e scienziati ingaggiati
per perfezionare un congegno-spia - riescono a tirare avanti meglio degli
altri, dei "senza-istruzione".
L'occhio fotografico di Solgenitsyn si sofferma su moltissimi particolari,
tutti socialmente ed eticamente significativi. L'ampiezza della costruzione,
il rigore e la sensibilita' del libro ci permettono di inserire questo
romanzo nella grande tradizione della letteratura russa ottocentesca; gli
conferiscono una misura classica, una ferma dignita', una valenza stilistica
limpida e incisiva, un'indubbia potenza di contenuto.
Quando, dopo l'espulsione dall'Urss, Solgenitsyn si stabili' nel Vermont,
negli Stati Uniti, si comprese che tale scelta non implicava una sua ingenua
adesione alla societa' capitalista. L'animo dello scrittore rimase
saldamente ancorato alla Russia, alla "Madre Russia", unica terra amata.
nonostante fosse sconvolta dai "demoni" della Rivoluzione d'Ottobre.
E nel Vermont, in un paesaggio agreste, Solzenicyn s'immerse nella stesura
di Ruota rossa, immenso affresco in cui rievoco' le empieta' dei fanatici
seguaci di Lenin. Poi termino' una storia vasta, possente, narrata da
numerose angolazioni, anch'essa d'impianto storico: Agosto 1914.
L'ottemperare a quelli che riteneva i suoi compiti letterari ("trattare temi
universali ed eterni, i misteri del cuore e della coscienza, l'urto fra la
vita e la morte, il trionfo sull'angoscia spirituale") tuttavia non provoco'
una riduzione della sua attivita' di pamphlettista. I nostri pluralisti,
pubblicato nel 1984, e' un libello polemico nei confronti di coloro che,
nell'emigrazione russa, sono riconducibili a posizioni "occidentaliste".
Caduto il muro di Berlino (1989), a Solgenitsyn fu restituita la
cittadinanza sovietica. Ma lui non torno' subito in patria. Forse temeva che
i comunisti potessero, da un momento all'altro, riprendere il potere.
L'epoca di transizione, di passaggio "dal vecchio al nuovo", dovette
presentarglisi confusa e contraddittoria. Ma il richiamo della terra lo
spinse infine a rientrare in Russia.
Una volta a casa, dichiarando conclusa la sua attivita' letteraria,
manifesto' l'intenzione di continuare a interessarsi dei destini del suo
Paese. Nei confronti di Elzin, dalle sue labbra e dalla sua penna mai usci'
alcuna frase celebrativa. All'orrida Unione Sovietica dei burocrati, dei
funzionari di partito e delle spie, si era sostituita la Russia
pseudoliberista degli illeciti finanziari, della corruzione, della vendita
clandestina (eppure tollerata) di armi e di plutonio, della prostituzione
diffusa, delle mafie.
Contro questa Russia, per l'ultima volta, l'uomo di fede ortodossa che un
giorno si era intrattenuto in un lungo, privato colloquio con il papa,
indico' la via per costruire un Paese diverso, rispettoso delle autonomie
locali, alieno dallo scimmiottare le mode dell'Occidente, fedele alle
tradizioni. Una Russia, insomma, in cui la vita di ciascuno fosse meno
soggetta alle mire strumentali dei mercanti e dei politici. Fu criticato. Ma
non si turbo', era abituato a ben altro.
In una lontana intervista aveva detto: "La mia missione di scrittore, dal
fondo della mia tomba la compiro' meglio che da vivo".

3. PAOLO POMBENI RICORDA ALEKSANDR SOLZENICYN
[Dal sito del quotidiano "Il messaggero" col titolo "Lo scrittore che svelo'
l'orrore dei Gulag"]

La morte di Solgenitsyn segna, da un certo punto di vista, la fine di
un'epoca nel rapporto fra un modo di sentire diffuso tra il pubblico colto
occidentale, o almeno una sua parte, e la contraddittoria storia della
Russia del XX secolo. Dopo il Pasternak de Il dottor Zivago, la cui
melanconia dolente aveva segnato la nostra difficile relazione con il dramma
della rivoluzione d'ottobre, La giornata di Ivan Denisovich di Solgenitsyn
nel 1962 aveva segnato il punto di drammatico confronto con la realta' piu'
profonda dello stalinismo.
Si era aperto uno squarcio impressionante su quell'universo
concentrazionario dei Gulag che metteva in questione la sostenibilita'
stessa del "socialismo reale".
Il grande scrittore russo era stato detenuto dal 1945 al 1956, non a caso
due date simbolo: la prima per la fine della seconda guerra mondiale che
aveva consacrato la Russia come grande alleato "progressista" dell'occidente
nella lotta antifascista, la seconda per l'intervento dei carri armati
sovietici contro la rivolta degli ungheresi, che avevano mostrato un'Urss
antipopolare e imperialista allo stesso modo in cui essa descriveva le
potenze occidentali con cui aveva rotto da tempo l'alleanza di guerra.
In seguito, Solgenitsyn era diventato l'eroe della dissidenza sovietica,
colui che aveva denunciato la mancata svolta antistalinista, il permanere,
anche sotto gli eredi di Chruschev che nel 1956 aveva denunciato i crimini
di Stalin, di un sistema politico incapace di darsi quella "legalita'
socialista" cui pure volevano credere i molti che non erano disposti ad
accettare la fine del sogno della mitica conquista del Palazzo d'inverno nel
1917.
La sua espulsione dall'Urss di Breznev nel 1974 ed il suo esilio in
Occidente, dove aveva reso popolare la formula dell'"arcipelago Gulag", lo
avevano messo al centro della campagna che si era combattuta negli anni
Settanta ed Ottanta intorno all'interpretazione di quella realta' cosi'
complicata da capire, che non si sapeva se fosse davvero solo un sistema che
aveva perduto "la spinta progressiva della rivoluzione d'ottobre" o se fosse
davvero piu' semplicemente "l'impero del male" (per citare due frasi
celebri, rispettivamente di Berlinguer e di Ronald Reagan).
Dal punto di vista di Solgenitsin la situazione non si era veramente
chiarita neppure con il crollo dell'Urss agli inizi degli anni Novanta.
Certo Eltsin gli aveva ridato la cittadinanza e lui nel 1994 era tornato
nella sua antica patria, accolto con tutti gli onori, ma per combattervi
un'ultima controversa battaglia: quella contro i nuovi oligarchi che, a suo
giudizio, non avevano risanato la vecchia patria russa, ma ne avevano
promosso la decadenza.
Il suo approccio restava pero' sempre quello di un esponente di una cultura
che in fondo l'Occidente faceva fatica a capire, tanto per la sua convinta
conversione alla Chiesa ortodossa a cui si appoggiava, quanto per certi suoi
giudizi sconcertanti come la condanna dei bombardamenti Nato sulla Serbia di
Milosevic, che lui paragono' a quelli de nazisti.
Ma in fondo questa volta all'Occidente i ragionamenti di Solgenitsin sul
dopo-1989 interessavano meno. Scomparsa la grande ed enigmatica sfida della
potenza sovietica, illusi che la occidentalizzazione della vecchia Russia
fosse cosa ormai fatta, a coloro che vivevano al di qua della ormai
scomparsa "cortina di ferro" sembrava di aver vinto per sempre avendo
normalizzando il vecchio nemico.
Probabilmente le cose non erano e non sono cosi' semplici. La Russia ha
ancora un'identita' difficile da cogliere e il nuovo potere di Putin e dei
suoi aveva intuito, sia pure confusamente, che persino la forza letteraria
del vecchio Solgenitsyn poteva venire recuperata per riprendere un certo
cammino, sia pure lungo strade nuove.
L'enigma russo cosi' continua, anche se non avra' piu' in Solgenitsyn il suo
testimone e il suo cantore.

4. PIERO SINATTI RICORDA ALEKSANDR SOLZENICYN
[Dal sito del quotidiano "IL sole - 24 ore" col titolo "Addio a
Solzhenitsyn, denuncio' al mondo l'Arcipelago Gulag"]

"Alla fine della mia vita posso sperare che il materiale storico i temi
storici, i quadri di vita e i personaggi da me raccolti e presentati,
riguardanti gli anni durissimi e torbidi vissuti dal nostro Paese,
entreranno nella coscienza e nella memoria dei miei connazionali (...). La
nostra amara esperienza nazionale ci aiutera' nella possibile nuova ripresa
delle nostre mutevoli fortune, ci mettera' in guardia e ci terra' lontani da
rovinose rotture".
Parole simili a un congedo e a un testamento spirituale, pronunciate dal
grande scrittore russo Aleksandr Isaevich Solzhenitsyn nel giugno 2007,
quando gli fu conferito il massimo premio di Stato per "i grandi risultati
raggiunti in letteratura": poco piu' di tredici mesi prima della morte che
lo ha sorpreso, la notte di domenica 3 agosto a oltre 89 anni. Era da tempo
gravemente ammalato e costretto a muoversi in una sedia a rotelle, nella sua
appartata e boschiva residenza di Troitse-Lykovo, presso Mosca. Residenza in
cui, in quella importante occasione, accetto' e ricevette la deferente
visita di Vladimir Putin. Privilegio che non ebbe Boris Eltsin, da cui lo
scrittore respinse la concessione di quella stessa onorificenza.
*
Un grande testimone del tempo
Con Solzhenitsyn scompare uno dei piu' grandi testimoni del XX secolo. Una
vita intera segnata da un indomabile coraggio e un'alta moralita', civile e
religiosa, da una profonda coerenza tra vita e opera intellettuale e
letteraria, secondo la sua principale professione di fede: "Non vivere
secondo menzogna". Premio Nobel per la letteratura nel 1970, Solzhenitsyn
(nato a Kislovodsk, sud-est russo, l'11 dicembre 1918, da una famiglia di
agiati agricoltori, fisico e matematico per formazione) e' stato il primo
scrittore a vedere pubblicata in Urss (novembre 1962) un'opera incentrata su
un tema fino ad allora tabu': la vita di un campo di prigionia dell'epoca
staliniana. Si tratta del romanzo breve Una giornata di Ivan Denisovich,
apparso con grande clamore e con un lungo e fitto seguito di polemiche,
nella rivista letteraria "Novyj Mir", grazie al parere favorevole del suo
direttore, il famoso poeta Aleksandr Tvardovskij, e dell'allora leader
"destalinizzatore" del Pcus Nikita Khrusciov.
Con realismo degno della migliore narrativa russa (tra Tolstoj e Cekhov)
Solzhenitsyn vi rappresento' un giorno trascorso in un lager da un semplice
contadino ed ex-soldato, Ivan Denisovich Shukov, che e' riuscito ancora una
volta a sopravvivere alle fatiche e agli stenti del lavoro forzato,
mantenendo intatta la propria coscienza in un mondo di gerarchie crudeli e
imposizioni volente.
*
L'Arcipelago Gulag
E' al tema concentrazionario che restano indissolubilmente legati il nome e
il destino di Solzhenitsyn, che alla meta' degli anni Settanta, subito dopo
la sua espulsione dall'Urss, pubblico' all'estero (presso l'editrice
parigina in lingua russa Ymca Press) i sette libri in tre volumi del
monumentale Arcipelago Gulag, la piu' grande e originale ricerca
documentario-letteraria costruita attraverso le testimonianze da lui
raccolte in gran segreto tra oltre duecento persone che avevano vissuto
l'esperienza del lager, al pari e piu' dello stesso scrittore. Lo stesso
Solzhenitsyn aveva scontato una condanna a otto anni di lager tra il 1945 e
il 1953, reo di aver criticato in una lettera scritta al fronte la condotta
di guerra di Stalin. Grazie a quest'opera, cui lo scrittore aveva lavorato
con tenacia e intransigenza per piu' di un decennio, l'acronimo Gulag
(Direzione centrale dei lager) e' diventato il simbolo piu' conosciuto e
onnicomprensivo dell'intero sistema sovietico negli anni di Stalin.
Nell'Arcipelago, Solzhenitsyn rappresenta tutti i cerchi dell'inferno
concentrazionario, compresi quegli estremi della Kolyma, ovvero "il
crematorio bianco" dell'estremo nord-est sovietico (raccontato con
impareggiabile efficacia artistica da un altro superstite del Gulag, Varlam
Shalamov, che con Solzhenitsyn ebbe rapporti difficili). L'Arcipelago e' una
vera e propria requisitoria contro il sistema concentrazionario, segnata da
un'efficacissima diversita' di registri linguistici e letterari. Possiamo
parlare di altissima oratoria storico-artistica, che inchioda per sempre
alle sue immani responsabilita' il sistema totalitario-inquisitorio creato
da Lenin e da Stalin. Un'opera gigantesca, mai apparsa fino ad allora.
Oltre a queste due opere, Solzhenitsyn dedica alla tematica del lager altri
due grandi libri, scritti negli anni Sessanta, prima del suo forzato esilio
che inizia nel 1974 e si protrae per un ventennio, prima in Svizzera, poi
negli Stati Uniti. Sono Il primo cerchio e Padiglione cancro. In
quest'ultimo l'autore parla della sua miracolosa guarigione dal cancro,
avvenuta in un ospedale dell'Asia centrale. Non ne viene autorizzata la
pubblicazione: si afferma il "rigelo" di Leonid Brezhnev e si chiudono gli
spazi, pur angusti, prima concessi da Khrusciov alla critica dello
stalinismo. Lo scrittore si trasforma, in quegli anni, in un nemico da
mettere a tacere con tutti i mezzi (persino l'avvelenamento).
I due romanzi in parte autobiografici sono pubblicati per la prima volta in
Occidente: in essi l'autore sviluppa, con trame avvincenti, temi di alto
livello etico: il male, la sua affermazione e la resistenza che vi si
oppone; la responsabilita' dell'individuo, dell'intellettuale e quella
collettiva di fronte al potere e alla storia; lo scontro tra l'idealismo
libertario ed egualitario e la tetra realta' del sistema
autoritario-burocratico, delle sue violenze e dei privilegi di cui gode la
"nuova classe".
Si puo' affermare che con queste quattro opere - assieme a preziosi racconti
come La casa di Matriona - Solzhenitsyn raggiunge i risultati artistici e
letterari piu' alti. Mai piu' raggiunti nelle opere successive, tra cui
spicca per la mole - e per il totale insuccesso di critica e di pubblico -
del grande ciclo narrativo in quattro volumi di circa cinquemila pagine, La
ruota rossa, scritto durante l'esilio nel Vermont e incentrato sulle origini
della Rivoluzione d'Ottobre e della sua affermazione. E' un severo processo
intentato dall'autore alla classe politica russa prerivoluzionaria, alla
dinastia e soprattutto all'intelligentsija radicale (e liberale),
responsabili della catastrofe in cui dal 1917 sprofonda la Russia.
*
Altre opere
Solzhenitsyn, il cui Ivan Denisovic fa da battistrada alla memorialistica
sui tempi di Stalin e alla "letteratura campagnola" (Mozhaev, Rasputin,
Abramov), ha al suo attivo una vastissima opera di documentazione storica e
una vasta pubblicistica di carattere storico, etico e politico sui temi piu'
diversi. La sua vis polemica non risparmia nessuno. Serrata e' la critica
alle filosofie illuministe e radicali, in nome dei valori tradizionali e
religiosi. E ancor piu' veementi sono gli attacchi al sistema mediatico, al
consumismo e all'"onnipermissivismo" occidentali (si veda il suo Discorso di
Harvard), oltre alla continue critiche ai limiti del sistema democratico
occidentale.
Tutto questo gli inimica i circoli "liberal" americani, oltre a quelli
perennemente ostili delle diverse e cangianti sinistre europee. E infine, i
"liberali" russi post-sovietici.
Nel 1994 ritorna da trionfatore in Russia. Alla fine della perestrojka
gorbacioviana erano state pubblicate in Urss le sue opere principali.
Atterra a Magadan, citta' della Kolyma, simbolo del Gulag.
Quell'anno in un duro e poco applaudito discorso alla Duma definisce (per
primo) "oligarchico" il sistema installato da Eltsin: vi dominano i pochi
che si stanno spartendo le ricchezze del Paese, in un quadro di miseria
generalizzata. Seguono insuccessi editoriali e televisivi, ostilita' e
attacchi feroci. Pochi anni prima, aveva pubblicato un pamphlet, Come
ricostruire la Russia, in cui auspica la costruzione graduale di un sistema
politico basato sull'autogoverno locale e di un'economia mista, di
ispirazione solidaristico-cristiana. Auspica l'unione tra Russia, Ucraina e
Bielorussia, i fratelli slavi uniti - secondo lui - dalla comune storia e
dal comune credo religioso: l'ortodossia.
*
Le ultime accuse
L'ultima grande opera (per mole e impegno storico) di Solzhenitsyn e' il
saggio in due volumi Duecento anni insieme (2001-2002). Vi descrive i
difficili rapporti tra ebrei e russi negli ultimi due secoli. Il libro si
propone come "una ricerca di tutti i punti di comprensione comune e di tutte
le possibili strade verso il futuro, purificate dalle amarezze del passato".
Seguono pochi consensi, ancor meno lettori e molti attacchi velenosi.
Riaffiorano le vecchie accuse di antisemitismo, gia' emerso, secondo i
critici, nella sulfurea rappresentazione del rivoluzionario
ebreo-russo-tedesco Helphand, alias Parvus, in un volume della Ruota rossa.
Infine, a un anno della morte, Solzhenitsyn si rende colpevole, agli occhi
dei liberali occidentali e russi, di un altro delitto imperdonabile. Lo ha
commesso nella sua ultima intervista (concessa al settimanale "Der
Spiegel"), in cui attribuisce a Putin il merito di "una lenta e graduale
ripresa della Russia... dopo aver ereditato un paese saccheggiato e
disorientato, con un popolo povero e demoralizzato". A noi sembra che ancora
una volta, anche su questo controverso tema, Solzhenitsyn abbia dimostrato
di volere e sapere andare controcorrente, forte dei suoi convincimenti,
sempre fermi e severi. Come sempre ha fatto nella sua lunga esemplare
esistenza.

5. ANNA ZAFESOVA RICORDA ALEKSANDR SOLZENICYN
[Dal sito del quotidiano "La stampa" col titolo "Solzenicyn, un uomo contro
il Gulag" e il sommario "Simbolo della resistenza alla repressione
sovietica. Alexandr Solzhenitsyn, aveva 89 anni"]

Erano in molti a sospettare che in realta' fosse immortale. Era
sopravvissuto a tutto: la rivoluzione, la guerra, il Gulag, il cancro, il
Kgb, l'esilio, tutte le cose peggiori che potevano capitare a un essere
umano, in particolare a un russo, nell'ultimo secolo. Ma il suo non sembrava
un destino comune, e certamente nei suoi lunghi anni di lotta personale al
comunismo Aleksandr Isaevich Solzenicyn probabilmente avrebbe considerato
improbabile morire come e' morto ieri sera tardi: a Mosca, a casa sua,
stroncato da un ictus a 89 anni.
Oggi tocchera' agli onori di Stato, ai funerali solenni, alle condoglianze
di leader politici e mostri sacri della letteratura. Ma l'uomo che e' morto
ieri a Mosca non era solo il Nobel per la letteratura, il piu' grande
scrittore russo vivente, il padre del dissenso sovietico. Era il Novecento
russo, dalla sua nascita nel 1918, a rivoluzione appena compiuta, a
Krasnodar, figlio di contadini e di ufficiali imperiali, di quella vecchia
Russia che veniva demolita proprio in quei giorni. Non c'e' tragedia che non
avesse vissuto sulla propria pelle: dal padre "nascosto" perche' ufficiale
dello zar, alla repressione di quella fede ortodossa nella quale era stato
allevato dalla madre, all'incubo della guerra fatta da ufficiale di
artiglieria, fino al Gulag - parola che proprio lui introdusse nel
vocabolario di tutte le lingue - nel quale fini' per aver criticato in una
lettera Stalin, chiamandolo "baffone" e "capobanda". Otto anni di lager in
base all'infame articolo 58 del codice penale, attivita' antisovietica, poi
il confino "eterno" nelle steppe asiatische, dal quale e' stato liberato da
Krusciov, che nel 1962 da' il suo consenso personale alla pubblicazione di
Una giornata di Ivan Denisovich.
Aleksandr Isaevich viveva la sua battaglia contro il comunismo come una
faccenda personale, decine di suoi critici l'hanno accusato di narcisismo e
megalomania, eppure la denuncia dell'Arcipelago Gulag fu un colpo mortale al
sistema, sia quando usci' in Occidente - comportando per lo scrittore il
Nobel nel 1970 e l'arresto e l'esilio forzato per "alto tradimento" nel
1974 - sia quando, nel 1990, venne pubblicato per la prima volta in Russia,
ancora sovietica, e nei vagoni della metropolitana non c'era nessuno che non
avesse in mano la rivista sulla quale usciva a puntate.
Ma la Russia nella quale torno' nel 1994, in un lunghissimo viaggio in treno
su tutta la Transiberiana, lo dimentico'. Era in piena ebolizione il
capitalismo di marca eltsiniana, di caos e kalashnikov, di sogno americano e
delusione postsovietica, e il grande vecchio non tardo' a mostrare tutto il
suo disgusto. La sua trasmissione tv in prima serata, dove lui predicava la
morale, la paziente ricostruzione del Paese a cominciare dal suo cuore
rurale, il recupero dei valori della comunita', venne chiusa, ufficialmente
per mancanza di audience. I suoi saggi di denuncia e disperazione come La
Russia al collasso non facevano piu' discutere ne' nella metropolitana, ne'
nei salotti. La Russia era troppo impegnata a sopravvivere.
Quello degli ultimi anni di Solzenicyn e' stato forse un ennesimo esilio,
stavolta non voluto da nessuno e per questo ancora piu' doloroso. Nel 1998
rifiuto' clamorosamente la medaglia di Sant'Andrea dalle mani di Boris
Eltsin, dicendo che non voleva l'onorificenza piu' alta della nuova Russia
da un potere che "aveva distrutto il Paese". Ma questo gesto di estrema
sfida passo' quasi inosservato. Non poteva piu' fare battaglie col potere
perche' lo ignorava. Non era piu' al centro del dibattito letterario, al
massimo qualche vecchia scaramuccia ereditata dagli anni '70, come il
cattivissimo pamphlet di Vladimir Voinovich, Ritratto sullo sfondo del mito,
che ridicolizzava il vate della letteratura russa come egocentrico,
monarchico, autoritario, antisemita, e soprattutto convinto di avere una
missione superiore. Ma soprattutto non aveva piu' lettori: per i liberali
era troppo reazionario con le sue denunce di "degrado dell'Occidente", la
predica della religione e il suo saggio controverso Duecento anni insieme
sulla storia degli ebrei in Russia, per i nazionalisti troppo lucido e
moderato, per tutti gli altri troppo complicato e antiquato, incaponito a
scrivere e riscrivere la sua sterminata epopea sul 1917, La ruota rossa, un
groviglio di dettagli storici minuzioni, in un Paese che non voleva piu'
lezioni di storia.
Negli ultimi anni Solzenicyn quasi non lo si vedeva. Un isolamento rotto, un
anno fa, da Vladimir Putin, che ando' personalmente dal grande vecchio,
ormai in carrozzella, a consegnargli il Premio di Stato per la sceneggiatura
del Primo cerchio. Solzenicyn era diventato una fiction, e probabilmente si
era rassegnato a questa nuova Russia, se non altro perche' aveva fatto
entrare in casa quel giovane presidente che era stato ufficiale di quel Kgb
che lo aveva perseguitato. Fu l'ultima volta che i russi lo videro vivo.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 209 del 5 agosto 2008

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