Voci e volti della nonviolenza. 208



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 208 del 2 agosto 2008

In questo numero:
1. Un confronto con Severino (parte terza)
2. Emanuele Severino: Europa e volonta' di potenza
3. Emanuele Severino: Potenza e tecnica. Europa e grande politica
4. Emanuele Severino: L'illusione del capitalismo eterno
5. Emanuele Severino: L'arma atomica
6. Et coetera

1. UN CONFRONTO CON SEVERINO (PARTE TERZA)

Per le persone amiche della nonviolenza un confronto con la meditazione di
Emanuele Severino e' nutriente, anche nel conflitto, anche nell'aporia,
anche nell'eventuale reciproco fraintendersi, inaudirsi, traudirsi e
tradirsi.
Dei pensatori dei tempi nostri ancora capaci di ascoltare la voce della
sapienza greca, Severino e' uno di quelli cosi' rigorosi, cosi' coerenti, da
apparirne talvolta pietrificato.
Chiunque abbia letto l'Essenza del nichilismo ne avra' certo tratto un
malessere prezioso, e sebbene a piu' riprese si abbia la sensazione di un
ripetere all'infinito un solo cruciale pensiero, che basterebbe una mezza
pagina per rendere intero, al contempo si avverte di esser di fronte a una
sfida insieme ineludibile e irresolubile. Ma sono questi pensieri la scuola
migliore, che non acquietano, che non assorbono, che non spengono. Ma
paradossalmente convitano alla pugna, al conflitto, alla lacerazione, a uno
sguardo secondo e ulteriore. Tutte cose che, ognuno lo sa, fanno un mare di
bene alla nonviolenza in cammino.

2. EMANUELE SEVERINO: EUROPA E VOLONTA' DI POTENZA
[Dal "Corriere della sera" del 22 marzo 2008 col titolo "Platone e la
globalizzazione" e il sommario "Lo scenario. Il futuro dell'Occidente, le
sfide del mercato, il ruolo della Chiesa e dell'economia: il filosofo
critica l'ultimo libro dell'ex ministro"]

Si dice: l'Europa si e' allontanata dalle proprie radici cristiane,
tuttavia, purche' lo si voglia, esse possono salvarla gia' qui sulla terra.
Ma si dice anche: nonostante il rinnovato vigore del cristianesimo nel mondo
cattolico, e negli Stati Uniti e in Russia, tale rinnovamento appartiene a
un processo dove quelle radici sono destinate alla decomposizione e dove la
tecnica e' la volonta' che, al culmine di tale processo, si presenta come la
suprema forza salvifica. Sostengo da tempo questa tesi, ma in un senso che
pero' differisce essenzialmente dalle varie forme di tecnocrazia.
La prima tesi e' invece propria della Chiesa cattolica e di quanti seguono
il suo insegnamento. Tra di essi, in Italia, ora anche Giulio Tremonti, nel
suo libro La paura e la speranza (Mondadori, pp. 112, euro 16): per salvare
l'Europa serve "una filosofia che ci sposti dal primato dell'economia al
primato della politica", "serve una leva" il cui "punto di appoggio puo'
essere uno solo: le radici giudaico-cristiane dell'Europa" (p. 62); e per
Tremonti questo discorso "coincide perfettamente" con la dottrina, di
Benedetto XVI, che "non si puo' governare la storia con mere strutture
materiali, prescindendo da Dio" (p. 81). Si vuole dunque governare la
storia, avere potenza su di essa; e, certo, lungo la tradizione occidentale
si pensa per lo piu' che la vera potenza sia ottenuta alleandosi a Dio.
Pertanto Tremonti aggiunge che "il principio della soluzione della crisi
europea non sta nella tecnica, non sta nella supposta forza salvifica della
tecnocrazia, sta nella politica e nel potere" (p. 62).
Egli non giustifica una cosi' rapida liquidazione della tecnica. Forse
perche', come altri, identifica cio' che non e' identico: economia (di cui,
certo, parla molto) e tecnica. Inoltre, nonostante l'intento di assegnare
alla filosofia una posizione fondamentale, l'affermazione che "punto di
appoggio" della "leva" filosofica siano le "radici giudaico-cristiane"
implica che la filosofia debba fondarsi sulla fede cristiana - la qual cosa,
come ho altre volte rilevato ("Corriere", 19 gennaio 2008) e' daccapo un
principio che, sebbene particolarmente sottolineato dall'attuale pontefice,
e' tuttavia una resa a quel "relativismo" da cui anche l'ortodossia
cattolica di Tremonti vorrebbe prendere le distanze.
Rifacendosi a Platone, egli aggiunge che i marinai non governano il vento,
ma le vele. Ma come soffia il vento? I pericoli dell'Europa - risponde -
sono la globalizzazione, la conseguente aggressivita' economica dell'Asia,
il "mercatismo" che riduce l'uomo a homo oeconomicus. E invece il pericolo
che minaccia la tradizione europea e' ben piu' profondo: il pensiero
filosofico degli ultimi due secoli (la cui forza, tendenzialmente nascosta,
dev'essere peraltro capita) mostra l'impossibilita' di ogni valore eterno, a
cominciare da Dio. Per le radici cristiane il pericolo e' ancora maggiore:
sin dall'inizio "Europa" e' la volonta' (si chiama "filosofia") di vedere
come stanno le cose al di la' del volere, proprio delle religioni, che esse
stiano in un certo modo. Tremonti afferma invece che per salvare l'Europa si
devono "conservare valori che per noi sono eterni", i valori cristiani (p.
87). Lo afferma in modo oscillante, perche' i valori eterni intendono essere
leggi che guidano e muovono la vita umana, mentre per lui e' da respingere
il principio "comunista" (e della sinistra europea) che "la vita degli
uomini sia mossa e possa essere mossa da una 'legge'" e tanto meno da una
"legge assoluta" (p. 35). Eppure le leggi marxiane della storia hanno la
stessa assolutezza della Provvidenza, della coscienza morale, delle "leggi
di natura", concetti centrali del cristianesimo.
Per salvare l'Europa, egli dice seguendo il pontefice, si deve "governare la
storia", aver "potere" su di essa. La salvezza e' potenza. (L'impotente non
si salva; chi si salva o chi salva e' potente). E la potenza e' la capacita'
di superare i limiti che ostacolano la volonta'. Ma i "valori eterni" sono i
limiti assoluti, che piu' degli altri ostacolano la volonta' di potenza e di
governo della storia. Eccoci al tratto decisivo: se l'essenza della
filosofia degli ultimi due secoli mostra l'impossibilita' di ogni valore
eterno, la volonta' di potenza che scorge questa impossibilita' e' piu'
potente e da ultimo e' inevitabilmente vincente rispetto alla volonta' di
potenza che invece non scorge quella impossibilita' e crede, illudendosi,
che la maggiore potenza sia data da Dio. Se la salvezza dell'Europa e' una
questione di potenza, allora la salvezza puo' farsi avanti solo se ci si
allontana dalla tradizione europea, dunque solo se si recidono le radici
giudaico-cristiane dell'Europa. Questo processo e' gia' in atto. Certo,
esiste lo sbandamento attuale dell'Europa (a cui anche Tremonti si
riferisce). Il quale e' pero' la conseguenza del fatto che anch'essa si
trova in mezzo al guado: tra la sponda della tradizione occidentale e la
sponda della volonta' di potenza vincente. Che non e' l'economia di mercato,
ma la tecnica guidata dalla scienza moderna.
Anche il capitalismo intende essere un valore eterno (mi sembra che anche
Tremonti lo ritenga tale, pur rifiutandosi di vedere in esso l'unico
valore). Non puo' quindi sentire la voce che mostra il tramonto di ogni
valore eterno. Sono un valore eterno, nel capitalismo, l'individuo, la
proprieta' privata, la liberta' e la sua applicazione al mercato, la
concorrenza (il cui fondamento e' la riduzione della potenza dei
concorrenti, con la conseguente riduzione della potenza globale a
disposizione dell'uomo), il carattere escludente della volonta'
capitalistica (come di ogni altra forma di volonta' della tradizione
occidentale), cioe' il carattere per il quale il tipo di potenza voluta
(cioe' un mondo capitalistico) esclude la realizzazione di altre forme di
potenza (cioe' un mondo comunista, cristiano, democratico, ecc.). Nonostante
le crisi, il capitalismo sembra oggi vincente perche' si serve della
tecnica. E' inevitabile che per continuare a vincere voglia rafforzare
sempre piu' lo strumento che gli consente di vincere. Ma con questa volonta'
il capitalismo non assume piu' come scopo l'incremento indefinito del
profitto, ma l'incremento indefinito della potenza della tecnica.
Inevitabile quindi che, rinunciando al proprio scopo, rinunci a se stesso,
ossia perda proprio perche' vuole vincere. Rinuncia a se stesso anche quando
si vuole che l'economia sia guidata dalla politica e la politica dalle
radici cristiane, come dice Tremonti - e in questo modo egli non si avvede
(peraltro in compagnia dei piu') che se il "bene comune" cristiano, cioe' la
potenza e la salvezza date da Dio, diventa lo scopo del capitalismo, il
capitalismo e l'uso capitalistico della tecnica cessano di vivere. Il
capitalismo, comunque, non e' la tecnica.
Se la salvezza e' una questione di potenza, l'Europa si salva alleandosi non
alla potenza di Dio, ma a quella della tecnica - qualora quest'ultima
ascolti la voce della filosofia del nostro tempo. Ma e' anche inevitabile
che la ascolti, perche' ascoltandola raggiunge la maggiore potenza - che
d'altra parte non e' data dalla semplice fede nell'inesistenza di Dio. E se
anche per Tremonti non tutto cio' che e' tecnicamente fattibile e'
moralmente lecito (p. 67), va rilevato che questa morale e' l'adeguazione ai
valori eterni, e quindi declina col loro declinare. La morale autentica e'
oggi l'adeguazione alla maggiore potenza, che non puo' piu' essere quella di
Dio, ma e' quella della tecnica. (Ne' con cio' abbiamo detto l'ultima parola
sul destino della tecnica).
Questo libro di Tremonti identifica la "sinistra" con il vizio capitale del
"mercatismo", ma non chiude la porta a una politica di "grossa coalizione"
(p. 87). E qui non sbaglia, perche' sinistra e destra restano accomunate,
anche a livello mondiale, dalla persistente incapacita' di comprendere il
senso autentico della destinazione della tecnica al dominio, cioe' il senso
autentico di cio' che possiamo chiamare "la grande politica". La politica
puo' modificare il contesto immediato del proprio agire, ma, ancora, sta
andando contro il vento dell'Occidente: o ha fede nelle radici cristiane,
oppure ha fede nella modernita', nella scienza, nella tecnica, senza
affrontare la tradizione europea ma voltandole semplicemente e ingenuamente
le spalle. Il pensiero non dice che cosa i popoli o l'Europa debbano fare,
ma mostra che cosa sono destinati a volere.

3. EMANUELE SEVERINO: POTENZA E TECNICA. EUROPA E GRANDE POLITICA
[Dal "Corriere della sera" del 6 aprile 2008 col titolo "La filosofia
salvera' l'Europa", il sommario "La vocazione del nostro continente e'
quella di superare i propri confini, anche ideologici. E' sufficiente che ne
prenda coscienza. Pensiero e scienza: condizioni fondamentali per costruire
una nuova 'potenza'" e la notizia "L'articolo pubblicato in questa pagina e'
un ampio stralcio del saggio di Emanuele Severino 'La potenza e l'Europa',
contenuto nel numero 7 del bimestrale 'Kos', rivista dell'Editrice San
Raffaele, in libreria da domani. Il fascicolo ospita, oltre a un portfolio
di Gianluigi Colin, interventi di Giovanni Reale, Luca Canali, Maria Grazia
Roncarolo e Gianvito Martino, nonche' il testo che il direttore e fondatore
Luigi Maria Verze' ha pronunciato il giorno del suo ottantottesimo
compleanno per la posa della statua dell'arcangelo Raffaele sulla cupola
della nuova struttura detta Basilikon"]

Per l'Europa, la sfavorevole congiuntura economica non e' il pericolo
maggiore. L'Europa e' militarmente debole. Tradizionalmente collocata nella
sfera della potenza militare statunitense, e' per molti versi - cioe' non
solo dal punto di vista geografico, peraltro rilevante - piu' vicina alla
Russia che agli Stati Uniti. Gia' dagli anni dell'implosione dell'Urss
osservavo che quanto sarebbe stato impossibile durante la guerra fredda,
stava diventando una possibilita' non utopica anche se estremamente
complessa e piena di incognite: quella collaborazione tra la ricchezza
economica europea e il potenziale atomico russo, che avrebbe potuto
prefigurare una vicinanza piu' profonda sul piano politico. Tale
possibilita' esiste tuttora. Ma dopo la guerra fredda l'Europa,
confrontandosi con la Russia, poteva mettere sul piatto della bilancia
un'economia forte, capace di aiutare la Russia in modo risolutivo.
Quest'ultima aveva (come ha tuttora) un arsenale atomico in grado di
distruggere qualsiasi nemico. Unica, insieme agli Usa, ad avere questa
potenza. Che pero' (a differenza di quella americana) era alimentata da
un'economia vacillante. Di qui l'importanza dell'aiuto europeo. Oggi,
invece, l'economia russa e' in forte ripresa ed e' capace di sostenere quel
potenziale atomico che separa la sorte di Stati Uniti e Russia da quella di
tutti gli altri Stati del pianeta. In un mondo sempre piu' pericoloso,
l'Europa tende pertanto a oscillare tra la consolidata protezione militare
degli Stati Uniti - convinti peraltro di non dover rendere conto a nessuno,
nemmeno ai loro alleati europei, delle loro decisioni di fondo - e una piu'
stretta collaborazione con una Russia che d'altra parte suscita molte
diffidenze nei governi dell'Unione. Tuttavia il discorso sull'Europa si fa
estremamente piu' complesso di quanto gia' non sia sul piano
economico-politico, quando ci si rivolga al significato della potenza.
La potenza che oggi consente agli Stati di sopravvivere - e che ha il
proprio culmine nella potenza atomica - e' dovuta alla tecnica guidata dalla
scienza moderna. La tecnica riesce piu' di ogni altra potenza a cambiare il
mondo. Giacche' non pensa solo a muovere le montagne, ma anche le anime. E,
daccapo, e' in virtu' di essa che il capitalismo e' la forma dominante di
produzione della ricchezza.
Tanto piu' si e' capaci di cambiare il mondo quanto piu' lo si sa far
diventare diverso da come esso e' gia'. Dio e' onnipotente perche' e' capace
di creare il mondo dal nulla, ex nihilo. Se con certi materiali si
costruiscono cose, si e' capaci di sottoporli a un cambiamento: si produce
una certa diversita' tra essi e le cose con essi prodotte. Ora, la
diversita' massima sussiste non tra una certa cosa e un'altra, ma tra il
nulla e una cosa, tra il nulla e l'essere. Dio e' onnipotente, possiede il
massimo della potenza, perche' produce la diversita' massima, cioe' fa
diventare cosa (mondo, essere) il nulla.
Se il senso dell'essere e del nulla rimane impensato, l'uomo non puo'
nemmeno proporsi di produrre la diversita' massima. Con questo pensiero la
filosofia rende possibile la volonta' di produrre la forma massima della
potenza. Ma lungo l'intera tradizione della storia europea il culmine di
tale forma e' riservato a Dio. Sino a che tiene per se' il culmine della
potenza massima, Dio limita il dispiegamento della forma massima della
potenza dell'uomo. Ma nella storia europea e' ancora una volta l'essenza del
pensiero filosofico a mostrare l'impossibilita' di ogni Dio eterno che si
ponga come il padrone del dispiegamento totale della massima potenza.
Soltanto per tale essenza, questo dispiegamento diviene accessibile
all'uomo, sebbene non come un che di definitivamente ottenuto, ma come uno
sviluppo infinito, dove l'uomo puo' progettare "nuovi" modi di essere uomo e
mondo. Sono "nuovi", appunto perche' sono ancora un nulla, un non essere, e
si tratta di crearli ex nihilo.
Soltanto all'interno e sul fondamento dell'essenza del pensiero filosofico
del nostro tempo la tecnica guidata dalla scienza moderna puo' essere il
dispiegamento infinito della massima potenza.
Per lo piu', scienza e tecnica non si curano del fondamento della loro
potenza. Cosi' facendo ignorano che la potenza massima e' possibile solo
producendo dal nulla e rendendo nulla le cose. Ma ignorandolo sono
effettivamente incapaci di realizzare tale potenza. E ignorando che non puo'
esistere alcun ordinamento assoluto e divino che stabilisca limiti
inviolabili all'agire dell'uomo, scienza e tecnica limitano effettivamente
il dispiegamento della potenza massima del proprio operare.
L'Europa e' il luogo dove sono apparse queste, ora richiamate, che sono le
condizioni fondamentali della massima potenza e del suo infinito
dispiegamento: tradizione filosofica, scienza, distruzione filosofica di
tale tradizione, tecnica. Non e' un caso che l'Europa abbia dominato il
mondo. Inoltre il mondo ha ereditato, con intensita' e in modi diversi e per
lo piu' separandole una dall'altra, quelle condizioni fondamentali. La
"grande politica", ossia la capacita' di sviluppare la forma massima della
potenza, e' la capacita' di tenerle autenticamente insieme. In questo senso,
se la grande politica non esiste ancora sulla Terra, l'Europa, nonostante la
sua debolezza attuale, puo' tuttavia candidarsi alla realizzazione di tale
politica non meno, e forse piu', delle altre grandi forze planetarie: Stati
Uniti, Russia, Cina, India. Questo discorso non ha nulla a che vedere con
una sorta di fantastica "egemonia" planetaria dell'Europa: ha invece a che
vedere col processo in cui la volonta' di potenza non puo' non volere la
potenza massima, superando cio' che la ostacola, e quindi ogni forma di
contrapposizione di natura religiosa, filosofica, economica, politica,
ideologica.
Per realizzare certi loro scopi, queste e altre simili contrapposizioni
(cioe' ogni forza contrapposta) si servono della forma massima della potenza
e del suo sviluppo, e quindi, proprio perche' essa non e' il loro scopo, ne
limitano la consistenza. Limitano e frenano cio' con cui esse intendono
realizzare i loro scopi: impediscono la grande politica, si rendono incapaci
di realizzarla. L'Europa, piu' di altri, puo' prendere e far prendere
coscienza del senso autentico della grande politica; ed e' questa coscienza
a liberare la potenza dai limiti in cui e' stata trattenuta lungo la storia
dell'Occidente. La grande politica: il dominio planetario da parte della
scienza e della tecnica che hanno saputo ascoltare la filosofia. La
vocazione dell'Europa: l'andare oltre i propri confini geografici,
religiosi, artistici, morali, filosofici, economici, giuridici, politici: la
produzione dell'onnipotenza planetaria. Ma a questo punto incomincia la
questione decisiva, quella che riguarda la verita' della potenza.

4. EMANUELE SEVERINO: L'ILLUSIONE DEL CAPITALISMO ETERNO
[Dal "Corriere della sera" del 3 giugno 2008 col titolo "L'illusione del
capitalismo eterno" e il sommario "Scenari. Un libro dello scienziato, edito
da Mondadori, riapre il dibattito sugli obiettivi della crescente
industrializzazione: profitto o miglioramento della vita. Effetto serra e
benessere: Severino replica all''ambientalista scettico' Lomborg". Mettera'
conto segnalare che stupisce che Severino (ma con lui anche molti altri, in
questa faccenda ingenui oltre ogni dire) prenda sul serio un servizievole
pubblicista devoto all'ideologia dei poteri dominanti - e spacciato dal
sistema dei media del dominante potere ecocida per una sorta di
"ambientalista pentito" ed ipso facto promosso a scienziato di vaglia e di
rango - che in materia di surriscaldamento del clima e di responsabilita'
del sistema industrialista si rivela in buona sostanza un propagandista del
"tout va tres bien, madame la marquise", atteggiamento che nella distretta
presente qualunque persona ragionevole sa come valutare (p. s.)]

Dopo la fine dell'Unione Sovietica e' divenuta dominante - sebbene da
qualche tempo discussa - la convinzione che il capitalismo sia la forma
sociale ormai incontrastabile. Molte le conferme. Ad esempio il fatto che
l'unica "superpotenza" mondiale rimasta in campo, gli Usa, sia insieme il
luogo per eccellenza dello sviluppo capitalistico. Oppure la paradossale
adozione del capitalismo da parte della stessa Cina "comunista". O, anche,
la consapevolezza che il supporto teorico del socialismo reale, cioe' il
marxismo, appartenga ormai al passato dell'indagine filosofica ed economica.
E' una conferma di questo modo di pensare la stessa mobilitazione contro il
capitalismo da parte delle forze che ne sentono l'incombere, tra le quali
l'Islam, la Chiesa cattolica, i movimenti ecologici e di sinistra che vedono
nel capitalismo il principale responsabile della devastazione della Terra.
Che cio' sia scientificamente provato e' pero' tutt'altro che pacifico.
Anzi, quanto piu' i mass-media, i politici, gli ambientalisti vanno da
qualche tempo additando all'opinione pubblica il pericolo di una catastrofe
imminente, provocata dalla crescente industrializzazione, tanto piu' la
scienza ufficiale tende a scagionare quest'ultima da tale responsabilita'.
Esempio notevole di questa tendenza il libro dello scienziato danese Bjorn
Lomborg, che Mondadori ha appena pubblicato con il titolo Stiamo freschi.
Perche' non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale. Chiaro,
compatto, impressionante per la mole e la qualita' delle informazioni. Se
non erro, l'autore non usa mai la parola "capitalismo", ma si preoccupa di
dissipare il sospetto che egli scriva per conto di qualche multinazionale
del petrolio. La sua tesi di fondo e', cioe', che l'accusa al capitalismo di
devastare la Terra e il conseguente proposito di detronizzarlo non abbiano
alcun fondamento scientifico.
Da piu' di trent'anni i miei scritti sviluppano invece la tesi che anche il
capitalismo e' destinato al tramonto, come lo era il socialismo reale e come
lo sono tutte le altre grandi forze della tradizione occidentale (e
orientale). In Declino del capitalismo (Rizzoli, 1993) rilevo che anche
supponendo che il carattere distruttivo del capitalismo non abbia alcun
riscontro scientifico, anche in questo caso la convinzione dell'esistenza di
questa distruttivita' sta pero' vistosamente diffondendosi (ne' Lomborg lo
nega, anzi lo depreca vivacemente), e a tal punto da prender piede
all'interno dello stesso mondo capitalistico, tanto da indurlo a cambiar
strada e, alla fine, a rinunciare a se stesso. Il maggior nemico del
capitalismo e' il capitalismo stesso, non i suoi avversari dichiarati. Ma
Lomborg ritiene, insieme a tanti altri, che la scienza possa aver partita
vinta sull'"oscurantismo" (e si da' in molti modi da fare per fargliela
vincere); il che implica che, contrariamente a quanto sostengo, non vi sia
alcuna destinazione del capitalismo al tramonto. E allora?
Egli mostra in modo persuasivo i gravi pericoli del fatto che a livello
mondiale l'unica iniziativa politica per ridurre il riscaldamento del
pianeta sia il protocollo di Kyoto (1997), che sara' probabilmente rinnovato
tra pochi anni. Esso stabilisce che tra il 2008 e il 2012 i Paesi
industriali riducano del 20% le emissioni di anidride carbonica. Lomborg
mostra dettagliatamente che, qualora sia attuata per tutto il XXI secolo,
l'applicazione del protocollo avra' un costo elevatissimo e un'efficacia
molto bassa, cioe' una riduzione molto bassa delle morti dovute al
riscaldamento globale, un pericolo peraltro certamente sempre piu' grave.
Molto bassa, tale riduzione, in rapporto al numero delle vittime della fame,
della poverta', delle malattie, del freddo: "problemi ben piu' urgenti",
questi, che pero' possono essere affrontati "con una spesa piu' bassa e
probabilita' di successo molto piu' elevate di quelle offerte dalle severe
politiche climatiche, che hanno un costo di miliardi e miliardi di dollari".
Evitando questo esborso irrazionale, l'umanita' puo' dotarsi delle
tecnologie specifiche capaci di ridurre il riscaldamento del pianeta, ma non
promosse dal protocollo di Kyoto. Alla base di tutto il discorso di Lomborg
sta infatti la tesi che "l'obiettivo finale non e' la riduzione dei gas
serra o del riscaldamento globale in se', ma il miglioramento della qualita'
della vita e dell'ambiente" e che la condizione fondamentale per realizzare
questo obiettivo e' costituita dalla tecnica.
Ma, quando il discorso e' impostato in questo modo, la convinzione di
proporre soluzioni che, sebbene piu' razionali, si muovano pur sempre
all'interno dell'orizzonte della produzione capitalistica e' un'illusione.
Lomborg la coltiva. L'"obiettivo finale" di ogni forma di capitalismo,
infatti, non e' "il miglioramento della qualita' della vita e
dell'ambiente", non e' il benessere dell'umanita', ma e' la crescita
indefinita del profitto, anche se, per ottenerla, la produzione
capitalistica deve portare sul mercato merci che diano o che i consumatori
ritengano che diano benessere e miglioramento della qualita' della vita e
dell'ambiente. Ma - eccoci al punto decisivo - se si agisce affinche'
l'"obiettivo finale" della produzione e distribuzione capitalistica delle
risorse sia il benessere dell'umanita', si agisce per far diventare il
capitalismo qualcosa di diverso da cio' che esso e', ossia si agisce per
distruggerlo. Si agisce cosi' anche quando non si e' consapevoli di cio' che
propriamente si sta facendo, come accade ad esempio alla Chiesa cattolica
quando sollecita il capitalismo ad assumere come obiettivo finale il "bene
comune" della societa'. (Si agisce cosi' anche quando, seguendo la Chiesa,
ci si oppone, come ha fatto Giulio Tremonti anche qualche giorno fa sul
"Corriere", all'"idea del primato del mercato su ogni altra forma sociale";
o quando si limita questo primato auspicando, come mi sembra abbia fatto
piu' volte Mario Monti, che l'"obiettivo" costituito dalla capacita' di
competere con gli altri Paesi industrializzati sia affiancato, almeno in
Italia, dagli "obiettivi di solidarieta'").
Si agisce cosi', perche' nell'agire umano un'azione o un sistema di azioni
sono cio' che esse sono proprio in virtu' dell'obiettivo che esse si
propongono; si' che, se quest'ultimo viene cambiato - e, nella fattispecie,
ci si adopera affinche' l'obiettivo del capitalismo sia il benessere
dell'uomo o il "bene comune", e quindi il mercato non abbia piu' il "primato
sulle altre forme sociali" -, tali azioni restano distrutte e ci si trova
davanti ad azioni diverse, anche se vengono chiamate con i vecchi nomi e si
crede che quelle di prima siano ancora in vita.
Questo discorso vale anche per Lomborg, che affida alla tecnica e alle
energie alternative il compito di evitare che la produzione capitalistica,
lasciata a se stessa, distrugga la Terra. Anch'egli si adopera quindi per un
"capitalismo" che abbia come obiettivo finale il benessere dell'uomo e,
insieme, la condizione ormai imprescindibile per la realizzazione di tale
benessere, cioe' lo sviluppo tecnologico. Anche qui, si assegna cioe' al
"capitalismo" un obiettivo diverso da quello che fa vivere il capitalismo
vero e proprio: anche qui si mira, senza rendersene conto, alla distruzione
del capitalismo. O anche, se - e poiche' - il capitalismo da' ascolto a
questo tipo di sollecitazione, e' esso stesso a cambiar strada, a rinunciare
a se stesso.
Anche accettando la tesi di Lomborg che la scienza ridimensiona fortemente
il carattere distruttivo della produzione capitalistica, questa tesi non e'
dunque una smentita di quel "declino del capitalismo" che da parte mia vado
sostenendo, non e' una smentita della destinazione del capitalismo al
tramonto. E riconoscendo che, su questa Terra, al nostro "obiettivo finale"
appartiene lo sviluppo tecnologico, quindi l'eliminazione dei limiti che lo
frenano, si riconosce che il tramonto del capitalismo (e di ogni altra forma
della tradizione) e' la stessa destinazione del mondo a un nuovo "primato":
quello della tecnica.

5. EMANUELE SEVERINO: L'ARMA ATOMICA
[Dal "Corriere della sera" del 28 luglio 2008 col titolo "La pace
impossibile e l'equilibrio atomico del non terrore" e il sommario "Oltre la
guerra fredda. Dopo la lettera di D'Alema, Fini, La Malfa, Parisi e Calogero
sulla possibilita' di eliminare le armi di distruzione di massa. Perche' Usa
e Russia si oppongono al disarmo ma possono frenare la proliferazione
nucleare. Senza illusioni. Chi oggi e' invincibile non rinuncera' mai allo
strumento principale del proprio potere"]

Il Corriere ha pubblicato in questi giorni una lettera - firmata dagli
onorevoli Massimo D'Alema, Gianfranco Fini, Giorgio La Malfa, Arturo Parisi
e dal premio Nobel Francesco Calogero - che ripresenta qui in Italia una
proposta da qualche tempo avanzata in Usa, Russia, Inghilterra, Francia,
Australia e promossa da esponenti di primo piano del mondo politico (quali,
oltre ai due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, George Shultz,
Henry Kissinger, William Perry, gia' ministri dei presidenti Reagan, Nixon e
Clinton). Si tratta della proposta di impegnarsi "per un mondo senza armi
nucleari", basata sulla convinzione che se i Paesi che ne dispongono "e
soprattutto i due principali, Stati Uniti e Russia, non prendono
l'iniziativa di avviare un processo tendente alla loro eliminazione,
diventera' sempre piu' difficile impedirne l'acquisizione da parte di altri
Paesi, con il rischio che prima o poi queste armi vengano usate con esiti
catastrofici per il mondo". E' importante che all'estero e in Italia abbiano
a concordare, su questo tema, personalita' di primo piano appartenenti a
opposti schieramenti politici. I grandi problemi spingono ai margini le
contrapposizioni di basso profilo. Ma esiste qualche possibilita' che la
proposta di eliminare le armi nucleari abbia a realizzarsi?
I firmatari della lettera riconoscono che "le superpotenze nucleari, Stati
Uniti e Russia, detengono tuttora - nonostante le recenti riduzioni - oltre
i nove decimi di tutte le armi nucleari del mondo". Il che significa,
osservo, che se Usa e Russia possono distruggersi, hanno pero' distanziato a
tal punto tutti gli altri Paesi del pianeta da essere diventati ormai, e per
un tempo incalcolabile, invincibili. Tale invincibilita' non esclude che
altre loro torri possano essere distrutte e i loro eserciti subire
sconfitte, ma significa che se ognuno di essi dovesse trovarsi con l'acqua
alla gola ad opera di un nemico che non fosse l'altro dei due, ognuno
avrebbe la capacita' di distruggerlo; e potrebbe farlo solo mobilitando il
proprio apparato nucleare. (Da tempo si sa, peraltro, che nessuna delle due
superpotenze metterebbe l'altra con l'acqua alla gola perche' la reazione e
controreazione farebbero affogare entrambe). Oltre un certo limite, anche la
crisi economica - oggi va detto soprattutto degli Usa - e' acqua alla gola.
In una intervista del 1975 al "Business Week" Kissinger dichiarava che "una
cosa e' usare la forza in caso di semplice litigio sui prezzi del petrolio,
un'altra usarla se esistesse il pericolo di una specie di strangolamento
economico del mondo industriale". Ma che efficacia puo' avere una forza
sprovvista di armi nucleari? Che deterrenza puo' avere la minaccia di
usarla?
Invincibili, dunque, Usa e Russia; e in forza del loro potenziale nucleare.
Ma chi e' diventato invincibile puo' rinunciare ad esserlo? Soprattutto se
ha attorno a se' Paesi che tentano in ogni modo di ridurre le distanze che
e' riuscito a porre tra se' e tutti gli altri? Lo scopo di un Paese
invincibile e' di perpetuare indefinitamente le condizioni della propria
invincibilita'. Chiedere a Usa e Russia di distruggere il proprio potenziale
nucleare equivale a chieder loro il suicidio. E anzi un doppio suicidio:
quello con cui si priverebbero della loro forza invincibile; e quello che li
esporrebbe alla forza di chi, dopo aver firmato tutti i trattati in favore
di un mondo senza armi nucleari, si dotasse poi lui di tali armi, che gli
consentirebbero di diventare lui la superpotenza capace di imporsi su Stati
Uniti e Russia, e di colpirli a morte. Su che cosa e' basata la convinzione
di poter acquisire la forza gigantesca capace di persuadere chi e'
invincibile a perdere la propria invincibilita'? E su che cosa e' basata la
convinzione che, qualora si trovasse questa inverosimile forza, e Usa e
Russia rinunciassero alla propria potenza e sicurezza, non ci possa essere
chi, approfittando della loro debolezza, abbia a dotarsi di un apparato
nucleare, diventando lui il padrone del mondo? E ancora: e' verosimile che
tutto questo non sia saputo dalle elites politiche (anche italiane)?
Secondo gli estensori di quella lettera, l'urgenza che il club atomico, Usa
e Russia in testa, prenda l'iniziativa di togliere dal mondo le armi
nucleari, e' dovuta al fatto che sara' sempre piu' difficile impedire la
loro acquisizione da parte di altri Paesi e quindi crescera' il rischio che
prima o poi esse vengano usate e devastino il mondo. Ora, e' indubbio che la
difficolta' di impedire la proliferazione nucleare e' crescente. Ma il
rimedio non puo' essere l'irrealizzabile decisione, da parte degli Usa e
della Russia, di rinunciare a se stessi. Ne' e' verosimile che chi detiene i
nove decimi di tutte le armi nucleari esistenti al mondo lasci che questa
disparita' si riduca fino al pareggio che, daccapo, distruggerebbe la sua
invincibilita'.
Il rimedio e' un altro. Non velleitario, perche' e' gia' in atto il processo
da cui e' realizzato (e di cui ho gia' scritto su queste colonne). E'
impossibile impedire la proliferazione nucleare; ma e' possibile
controllarla perche', nonostante tutto, Usa e Russia restano, proprio per la
loro potenza nucleare, i due punti di riferimento dell'intero pianeta. La
proliferazione nucleare tende cioe' a prodursi, piu' o meno direttamente,
all'interno delle loro rispettive "sfere di influenza". Una vecchia
espressione, questa, ma da quando l'Urss e' scomparsa, ho continuato a
sostenere che non per questo il bipolarismo era un capitolo chiuso. La
guerra fredda ha reso irrealizzabile lo scontro tra Usa e Urss ed ha
assicurato la pace in un mondo, allora privo di potenza atomica, gravitante
attorno a questi due poli. Ma la guerra fredda e' continuata e ora sta
assumendo una forma nuova dove, se la contrapposizione ideologica delle due
superpotenze non e' piu' cosi' marcata, esse stanno tuttavia diventando i
leader di due contrapposti schieramenti nucleari (Russia, Cina, Iran da una
parte; Usa, India, Inghilterra, Francia dall'altra) che sono interessati a
non far prender piede a quella forma ancora diversa di proliferazione
nucleare che intenda svilupparsi al di fuori della loro logica e dunque del
controllo da essi esercitato. La pace assicurata dalla forma tradizionale
della guerra fredda tende a perpetuarsi nella sua forma nuova e piu'
complessa. E, con la pace, anche quello sviluppo economico il cui
indebolimento coincide con gli anni in cui si e' creduto che il conflitto
planetario fosse ormai spento e che il destino del mondo, dopo la fine
dell'Urss, fosse di esser guidato dall'unica superpotenza rimasta. Il
conflitto vivo ma freddo favorisce la ripresa economica.
Infine, se le elites politiche mondiali vogliono un mondo senza armi
nucleari, e' pero' inverosimile che non sappiano che chi e' diventato
invincibile non rinuncera' mai a questa sua prerogativa. Propongono cioe'
qualcosa di cui conoscono l'irrealizzabilita'. E fanno bene: fanno il bene
di chi e' invincibile e dei suoi alleati. Infatti e' indispensabile che chi
e' potente tenti di far credere ai non potenti di voler rinunciare alla
propria potenza. Se ci riesce, alleggerisce la loro pressione.

6. ET COETERA

Emanuele Severino (Brescia, 1929) e' uno dei maggiori filosofi italiani
viventi. Tra le opere di Emanuele Severino: La struttura originaria, La
Scuola, Brescia 1958, Adelphi, Milano 1981; Per un rinnovamento nella
interpretazione della filosofia fichtiana, La Scuola, Brescia 1960; Studi di
filosofia della prassi, Vita e pensiero, Milano 1963, Adelphi, Milano 1984;
"Ritornare a Parmenide", in "Rivista di filosofia neoscolastica", LVI, n. 2,
1964 (poi in Essenza del nichilismo); Essenza del nichilismo. Saggi,
Paideia, Brescia 1972, Adelphi, Milano 1982; Gli abitatori del tempo.
Cristianesimo, marxismo, tecnica, Armando, Roma 1978, 1981; Techne. Le
radici della violenza, Rusconi, Milano 1979, 1988, Rizzoli, Milano 2002;
Legge e caso, Adelphi, Milano 1979; Destino della necessita'. Kata' to'
chreon, Adelphi, Milano 1980, 1999; A Cesare e a Dio, Rizzoli, Milano 1983,
2007; La strada, Rizzoli, Milano 1983, 2008; La filosofia antica, Rizzoli,
Milano 1984, 2004; La filosofia moderna, Rizzoli, Milano 1984, 2004; Il
parricidio mancato, Adelphi, Milano 1985; La filosofia contemporanea,
Rizzoli, Milano 1986, 2004; Traduzione e interpretazione dell'Orestea di
Eschilo, Rizzoli, Milano 1985; La tendenza fondamentale del nostro tempo,
Adelphi, Milano 1988, 2008; Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo,
Adelphi, Milano 1989; La filosofia futura, Rizzoli, Milano 1989, 2005; Il
nulla e la poesia. Alla fine dell'eta' della tecnica: Leopardi, Rizzoli,
Milano 1990, 2005; Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti,  3 voll.,
Sansoni, Firenze; Oltre il linguaggio, Adelphi, Milano 1992; La guerra,
Rizzoli, Milano 1992; La bilancia. Pensieri sul nostro tempo, Rizzoli,
Milano 1992; Il declino del capitalismo, Rizzoli, Milano 1993, 2007;
Sortite. Piccoli scritti sui rimedi (e la gioia), Rizzoli, Milano 1994;
Pensieri sul Cristianesimo, Rizzoli, Milano 1995; Tautotes, Adelphi, Milano
1995; La filosofia dai Greci al nostro tempo, Rizzoli, Milano 1996; La
follia dell'angelo, Rizzoli, Milano 1997, Mimesis, Milano 2006; Cosa arcana
e stupenda. L'Occidente e Leopardi, Rizzoli, Milano 1998, 2006; Il destino
della tecnica, Rizzoli, Milano 1998; La buona fede, Rizzoli, Milano 1999;
L'anello del ritorno, Adelphi, Milano 1999; Crisi della tradizione
occidentale, Marinotti, Milano 1999; La legna e la cenere. Discussioni sul
significato dell'esistenza, Rizzoli, Milano 2000; Il mio scontro con la
Chiesa, Rizzoli, Milano 2001; La Gloria, Adelphi, Milano 2001; Oltre l'uomo
e oltre Dio, Il melangolo, Genova 2002; Lezioni sulla politica, Marinotti,
Milano 2002; Tecnica e architettura, Cortina, Milano 2003; Dall'Islam a
Prometeo, Rizzoli, Milano 2003; Fondamento della contraddizione, Adelphi,
Milano 2005; Nascere, e altri problemi della coscienza religiosa, Rizzoli,
Milano 2005; La natura dell'embrione, Rizzoli, Milano 2005; Il muro di
pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Rizzoli, Milano 2006;
L'identita' della follia. Lezioni veneziane, a cura di Giorgio Brianese,
Giulio Goggi, Ines Testoni, Rizzoli, Milano 2007; Oltrepassare, Adelphi,
Milano 2007; Immortalita' e destino, Rizzoli, Milano 2008. Tra le opere su
Emanuele Severino: C. Scilironi, Ontologia e storia nel pensiero di Emanuele
Severino, Francisci, Abano Terme 1980; AA.VV., Cura e salvezza. Saggi
dedicati a Emenuele Severino, a cura di I. Valent, Moretti & Vitali, Bergamo
2000; A. Antonelli, Verita', nichilismo, prassi. Saggio sul pensiero di
Emanuele Severino, Armando, Roma 2003; AA.VV, Le parole dell'Essere. Per
Emanuele Severino, a cura di A. Petterlini, G. Brianese e G. Goggi,
Mondadori, Milano 2005; A. Sangiacomo, La sfida di Parmenide. Verso la
Rinascenza, Il Prato, Padova 2007; D. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero
Il crepuscolo della morte, Prefazione di E. Severino, Schena, Fasano di
Brindisi 2007; A. Sangiacomo, Scorci. Ontologia e verita' nella filosofia
del Novecento, Prefazione di G. Brianese, Il Prato, Padova 2008.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 208 del 2 agosto 2008

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