La domenica della nonviolenza. 173



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 173 del 20 luglio 2008

In questo numero:
1. Alex Zanotelli: Una lettera agli amici
2. Furio Colombo: Razzismo
3. Stefano Rodota': Politica prepotente
4. Wanda Tommasi presenta "Oltre i propri confini" di Luce Irigaray

1. APPELLI. ALEX ZANOTELLI: UNA LETTERA AGLI AMICI
[Riceviamo e volentieri diffondiamo.
Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, ha diretto per anni la rivista
"Nigrizia" conducendo inchieste sugli aiuti e sulla vendita delle armi del
governo italiano ai paesi del Sud del mondo, scontrandosi con il potere
politico, economico e militare italiano: rimosso dall'incarico e' tornato in
Africa a condividere per molti anni vita e speranze dei poveri, solo
recentemente e' tornato in Italia; e' direttore responsabile della rivista
"Mosaico di pace" promossa da Pax Christi; e' tra i promotori della "rete di
Lilliput" ed e' una delle voci piu' prestigiose della nonviolenza nel nostro
paese. Tra le opere di Alessandro Zanotelli: La morte promessa. Armi, droga
e fame nel terzo mondo, Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia,
Publiprint, Trento 1988; I poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno
1996; Leggere l'impero. Il potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana,
Molfetta 1996; Sulle strade di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita,
Emi, Bologna 1998; Ti no ses mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La
solidarieta' di Dio, Emi, Bologna 2000; R...esistenza e dialogo, Emi,
Bologna 2001; (con Pietro Ingrao), Non ci sto!, Piero Manni, Lecce 2003;
(con Mario Lancisi), Fa' strada ai poveri senza farti strada. Don Milani, il
Vangelo e la poverta' nel mondo d'oggi, Emi, Bologna 2003; Nel cuore del
sistema: quale missione? Emi, Bologna 2003; Korogocho, Feltrinelli, Milano
2003. Opere su Alessandro Zanotelli: Mario Lancisi, Alex Zanotelli. Sfida
alla globalizzazione, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2003]

Napoli, 12 luglio 2008
Carissimi,
e' con la rabbia in corpo che vi scrivo questa lettera dai bassi di Napoli,
dal Rione Sanita' nel cuore di quest'estate infuocata. La mia e' una rabbia
lacerante perche' oggi la Menzogna e' diventata la Verita'. Il mio lamento
e' cosi' ben espresso da un credente ebreo nel Salmo 12:
"Solo falsita' l'uno all'altro si dicono:
bocche piene di menzogna,
tutti a nascondere cio' che tramano in cuore.
Come rettili strisciano,
e i piu' vili emergono,
e' al colmo la feccia".
*
Quando, dopo Korogocho, ho scelto di vivere a Napoli, non avrei mai pensato
che mi sarei trovato a vivere le stesse lotte. Sono passato dalla discarica
di Nairobi, a fianco della baraccopoli di Korogocho, alle lotte di Napoli
contro le discariche e gli inceneritori. Sono convinto che Napoli e' solo la
punta dell'iceberg di un problema che ci sommerge tutti. Infatti, se a
questo mondo gli oltre sei miliardi di esseri umani vivessero come viviamo
noi ricchi (l'11% del mondo consuma l'88% delle risorse del pianeta!)
avremmo bisogno di altri quattro pianeti come risorse e di altro quattro
come discariche ove buttare i nostri rifiuti.
I poveri di Korogocho, che vivono sulla discarica, mi hanno insegnato a
riciclare tutto, a riusare tutto, a riparare tutto, a rivendere tutto, ma
soprattutto a vivere con sobrieta'.
E' stata una grande lezione che mi aiuta oggi a leggere la situazione dei
rifiuti a Napoli e in Campania, regione ridotta da vent'anni a sversatoio
nazionale dei rifiuti tossici. Infatti  esponenti della camorra in combutta
con logge massoniche coperte e politici locali, avevano deciso nel 1989, nel
ristorante "La Taverna" di Villaricca, di sversare i rifiuti tossici in
Campania. Questo perche' diventava sempre piu' difficile seppellire i nostri
rifiuti in Somalia. Migliaia di Tir sono arrivati da ogni parte d'Italia
carichi di rifiuti tossici e sono stati sepolti dalla camorra nel Triangolo
della morte (Acerra-Nola-Marigliano), nelle Terre dei fuochi (Nord di
Napoli) e nelle campagne del Casertano. Questi rifiuti tossici "bombardano"
oggi, in particolare i neonati, con diossine, nanoparticelle che producono
tumori, malformazioni, leucemie... Il documentario "Biutiful Cauntri"
esprime bene quanto vi racconto.
*
A cio' bisogna aggiungere il disastro della politica ormai subordinata ai
potentati economici-finanziari. Infatti questa regione e' stata gestita dal
1994 da 10 commissari straordinari per i rifiuti, scelti dai vari governi
nazionali che si sono succeduti. (E' sempre piu' chiaro, per me, l'intreccio
fra politica, potentati economici-finanziari, camorra, logge massoniche
coperte e servizi segreti!). In 15 anni i commissari straordinari hanno
speso oltre due miliardi di euro, per produrre oltre sette milioni di
tonnellate di "ecoballe", che di eco non hanno proprio nulla: sono rifiuti
tal quale, avvolti in plastica, che non si possono ne' incenerire (la
Campania e' gia' un disastro ecologico) ne' seppellire perche'
inquinerebbero le falde acquifere. Buona parte di queste ecoballe,
accatastate fuori la citta' di Giugliano, infestano con il loro percolato
quelle splendide campagne denominate "Taverna del re".
E cosi' siamo giunti al disastro! Oggi la Campania ha raggiunto gli stessi
livelli di tumore del Nord-Est, che pero' ha fabbriche e lavoro. Noi, senza
fabbriche e senza lavoro, per i rifiuti siamo condannati alla stessa sorte.
Il nostro non e' un disastro ecologico - lo dico con rabbia - ma un crimine
ecologico, frutto di decisioni politiche che coprono enormi interessi
finanziari. Ne e' prova il fatto che Prodi, a governo scaduto, abbia firmato
due ordinanze: una che permetteva di bruciare le ecoballe di Giugliano
nell'inceneritore di Acerra, l'altra che permetteva di dare il Cip 6 (la
bolletta che paghiamo all'Enel per le energie rinnovabili) ai tre
inceneritori della Campania che "trasformano la merda in oro - come dice
Guido Viale -. Quanto piu' merda, tanto piu' oro".
*
Ulteriore rabbia quando il governo Berlusconi ha firmato il nuovo decreto n.
90 sui rifiuti in Campania. Berlusconi ci impone, con la forza militare, di
costruire dieci discariche e quattro inceneritori. Se i quattro inceneritori
funzionassero, la Campania dovrebbe importare rifiuti da altrove per farli
funzionare. Da solo l'inceneritore di Acerra potrebbe bruciare 800.000
tonnellate all'anno! E' chiaro allora che non si vuole fare la raccolta
differenziata, perche' se venisse fatta seriamente (al 70%), non ci sarebbe
bisogno di quegli inceneritori. E' da 14 anni che non c'e' volonta' politica
di fare la raccolta differenziata. Non sono i napoletani che non la
vogliono, ma i politici che la ostacolano perche' devono ubbidire ai
potentati economici-finanziari promotori degli inceneritori. E tutto questo
ci viene imposto con la forza militare vietando ogni resistenza o dissenso,
pena la prigione.
Le conseguenze di questo decreto per la Campania sono devastanti. "Se tutti
i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono uguali davanti alla legge
(articolo 3 della Costituzione), i campani saranno meno uguali, avranno meno
dignita' sociale - cosi' afferma un recente Appello ai parlamentari
campani -. Cio' che e' definito 'tossico' altrove, anche sulla base
normativa comunitaria, in Campania non lo e'; cio' che altrove e'
considerato 'pericoloso' qui non lo sara'. Le regole di tutela ambientale e
salvaguardia e controllo sanitario, qui non saranno in vigore. La polizia
giudiziaria e la magistratura in tema di repressione di violazioni della
normativa sui rifiuti hanno meno poteri che nel resto d'Italia e i nuovi
tribunali speciali per la loro smisurata competenza e novita', non saranno
in grado di tutelare, come altrove accade, i diritti dei campani".
Davanti a tutto questo, ho diritto ad indignarmi. Per me e' una questione
etica e morale. Ci devo essere come prete, come missionario. Se lotto contro
l'aborto e l'eutanasia, devo esserci nella lotta su tutto questo che
costituisce una grande minaccia alla salute dei cittadini campani. Il
decreto Berlusconi straccia il diritto alla salute dei cittadini campani.
*
Per questo sono andato con tanta indignazione in corpo all'inceneritore di
Acerra, a contestare la conferenza stampa di Berlusconi, organizzata nel
cuore del Mostro, come lo chiama la gente. Eravamo pochi, forse un centinaio
di persone (la gente di Acerra, dopo le botte del 29 agosto 2004 da parte
delle forze dell'ordine e' terrorizzata e ha paura di scendere in campo).
Abbiamo tentato di dire il nostro no a quanto stava accadendo. Abbiamo
distribuito alla stampa i volantini "Lutto cittadino. La democrazia e' morta
ad Acerra. Ne danno il triste annuncio il presidente Berlusconi e il
sottosegretario Bertolaso". Nella conferenza stampa (non ci e' stato
permesso parteciparvi) Berlusconi ha chiesto scusa alla Fibe per tutto
quello che ha "subito" per costruire l'inceneritore ad Acerra (ricordo che
la Fibe e' sotto processo oggi!). Uno schiaffo ai giudici! Bertolaso ha
annunciato che aveva firmato il giorno prima l'ordinanza con la Fibe perche'
finisse i lavori. Poi ha annunciato che avrebbe scelto con trattativa
privata, una delle tre o quattro ditte italiane e una straniera, a gestire i
rifiuti. Quella italiana sara' quasi certamente la A2A (la multiservizi di
Brescia e Milano) e quella straniera e' la Veolia, la piu' grande
multinazionale dell'acqua e la seconda al mondo per i rifiuti. Sara' quasi
certamente Veolia a papparsi il bocconcino e cosi', dopo i rifiuti, si
pappera' anche l'acqua di Napoli.
Che vergogna! E' la stravittoria dei potentati economici-finanziari, il cui
unico scopo e' fare soldi in barba a tutti noi che diventiamo le nuove
cavie. Sono infatti convinto che la Campania e' diventata oggi un ottimo
esempio di quello che Naomi Klein nel suo libro Shock Economy chiama appunto
l'economia di shock! Li' dove c'e' emergenza grave viene permesso ai
potentati economico-finanziari di fare cose che non potrebbero fare in
circostanze normali. Se funziona in Campania, lo si ripetera' altrove (New
Orleans dopo Katrina insegna).
E per farci digerire questa pillola amara, O' Sistema ci inviera' un
migliaio di volontari per aiutare gli imbecilli dei napoletani a fare la
raccolta differenziata, un migliaio di alpini per sostenere l'operazione e
trecento psicologi per oleare questa operazione! Ma a che punto siamo
arrivati in questo paese? Mi indigno profondamente. E proclamo la mia
solidarieta' a questo popolo massacrato. "Padre Alex e i suoi fratelli" era
scritto in una fotografia apparsa su "Tempi" (inserto de "La Repubblica").
Si', sono fiero di essere a Napoli in questo momento cosi' tragico con i
miei fratelli (e sorelle) di Savignano Irpino, espropriati del loro terreno
seminato a novembre, con i miei fratelli di Chiaiano, costretti ad accedere
nelle proprie abitazioni con un pass perche' sotto sorveglianza militare.
Per questo, con i comitati come "Allarme rifiuti tossici", con le reti come
Lilliput e con tanti gruppi, continueremo a resistere in Campania. Non ci
arrenderemo. Vi chiedo di condividere questa rabbia, questa collera contro
un Sistema economico-finanziario che ammazza ed uccide non solo i poveri del
Sud del mondo, ma anche i poveri nel cuore dell'Impero. Trovo conforto nelle
parole del grande resistente contro Hitler, il pastore luterano danese Kaj
Munk, ucciso dai nazisti nel 1944. "Qual e' dunque il compito del
predicatore oggi? Dovrei rispondere: fede, speranza e carita'. Sembra una
bella risposta. Ma vorrei dire piuttosto: coraggio. Ma no, neppure questo e'
abbastanza provocatorio per costituire l'intera verita'... Il nostro compito
oggi e' la temerarieta'. Perche' cio' di cui come Chiesa manchiamo non e'
certamente ne' di psicologia ne' di letteratura. Quello che a noi manca e'
una santa colleraî.
*
Davanti alla Menzogna che furoreggia in questa regione campana, non ci resta
che una santa collera. Una collera che vorrei vedere nei miei concittadini,
ma anche nella mia Chiesa. "I simboli della chiesa cristiana sono sempre
stati il leone, l'agnello, la colomba e il pesce -diceva sempre Kaj Munk -,
mai il camaleonte".
Vi scrivo questo al ritorno della manifestazione tenutasi nelle strade di
Chiaiano, contro l'occupazione militare della cava. Invece di aspettare il
giudizio dei tecnici sull'idoneita' della cava, Bertolaso ha inviato
l'esercito per occuparla. La gente di Chiaiano si sente raggirata,
abbandonata e tradita.
Non abbandonateci. E' questione di vita o di morte per tutti. E' con tanta
rabbia che ve lo scrivo.
Resistiamo!
Alex Zanotelli

2. RIFLESSIONE. FURIO COLOMBO: RAZZISMO
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 19 luglio 2008 col titolo "Razzismo. Ieri gli
ebrei oggi le impronte ai bambini rom".
Furio Colombo (Chatillon, 1931), giornalista (alla Rai, "La Stampa", "La
Repubblica", "L'Unita'" e per il "New York Times" e la "New York Review of
books"), scrittore, docente universitario (al Dams di Bologna e alla
Columbia University), parlamentare; e' stato il proponente e primo
firmatario della legge istitutiva del Giorno della memoria, approvata
all'unanimita' dal Parlamento italiano. Tra le opere recenti di Furio
Colombo: Il destino del libro e altri destini, Bollati Boringhieri, 1990; La
citta' profonda. Saggi immaginari su New York, Feltrinelli, 1994; Ultime
notizie sul giornalismo. Manuale di giornalismo internazionale, Laterza,
1995; (con Vittorio Foa), Il sogno di una destra normale, Donzelli, 1995; Il
treno della Cina. Dispacci di un viaggio, Laterza, 1995; Gli altri che
farne, Rizzoli, 1997; Il candidato. La politica senza il potere, Rizzoli,
1997; Confucio nel computer. Memoria occidentale del futuro, Rizzoli, 1998;
Manuale di giornalismo internazionale. Ultime notizie sul giornalismo,
Laterza, 1999; Fine del villaggio globale. Notizie di guerra, PL, 1999; La
scoperta di nuovi mondi, Istituto Poligrafico dello Stato, 2001; Privacy,
Rizzoli, 2001; (con Antonio Padellaro), Il libro nero della democrazia.
Vivere sotto il governo Berlusconi, Baldini Castoldi Dalai, 2002; La citta'
e' altrove, Mancosu Editore, 2003; L'America di Kennedy, Baldini Castoldi
Dalai, 2004; America e liberta'. Da Alexis de Tocqueville a George W. Bush,
Baldini Castoldi Dalai, 2005; (con Gian Carlo Ferretti), L'ultima intervista
di Pasolini, Avagliano, 2005; (con Romano Prodi), Ci sara' un'Italia.
Dialogo sulle elezioni piu' importanti per la democrazia italiana,
Feltrinelli, 2006; Post giornalismo. Notizie sulla fine delle notizie,
Editori Riuniti, 2007; La fine di Israele, Il Saggiatore, 2007. Un sito in
cui compare una selezione dei suoi articoli recenti e': www.furiocolombo.it]

Abbiamo letto e riletto tante volte, in questi decenni resi liberi dalla
distruzione del fascismo e razzismo, dal sangue dei partigiani, dalle
rivisitazioni angosciate del Giorno della Memoria, il "Manifesto della
razza", firmato da una decina di personaggi sconosciuti (tra essi due
zoologi) detti, a quel tempo, "scienziati", ma anche da un illustre clinico
che ha poi compiuto il meglio della sua carriera e ricevuto gli onori piu'
alti nell'Italia libera, troppo presto smemorata dopo l'orrore del fascismo.
Ad ogni lettura ognuno di noi ha provato un senso di repulsione e di
ridicolo, di delittuoso e di assurdo, di estrema ignobilta' ma anche di
pauroso vuoto di cultura (parlo di cultura comune, generale) e di rispetto
per se stessi. Immaginate quegli "scienziati" nell'atto di firmare. E
intravedete un abisso di vilta' cosi' profondo da sfidare e disorientare
l'immaginazione. Chi puo' disprezzare a tal punto se stesso? e' la domanda
triste e inevitabile. Quello che non ci saremmo mai aspettati, neppure il
piu' pessimista o il piu' scettico di noi, sul mistero e le fenditure della
natura umana, era di rileggere il "Manifesto della razza" (allora
opportunamente ripubblicato sulla rivista "Difesa della razza" di Telesio
Interlandi e Giorgio Almirante) come un documento dei nostri giorni, del
nostro tempo. Per esempio, rileggete questa frase del "Manifesto", e
immaginatela scritta o pronunciata in un'ideale sequenza documentaria di
cio' che e' davvero accaduto nell'aula di Montecitorio alle ore 13 di
mercoledi' 16 luglio: "E' tempo che gli italiani si proclamino francamente
razzisti". Quel giorno, a quell'ora, i deputati di Berlusconi stavano
tributando uno scroscio di applausi a se stessi per avere approvato la legge
che autorizza a prelevare le impronte digitali ai bambini Rom, sia italiani
sia ospiti dell'Italia, esattamente come quella stessa Camera nel 1938,
aveva calorosamente applaudito l'approvazione dell'altro "pacchetto
sicurezza", quello delle "leggi per la difesa della razza" redatte da
Mussolini.
Il fatto che l'aberrante discriminazione di oggi contro i bambini Rom sia
stata voluta da un uomo storicamente irrilevante, non toglie nulla
all'umiliazione imposta a quei bambini. Mentre alla Camera, nel nuovo e
identico tuono di applausi, il ministro Carfagna e il deputato Bocchino
cercavano, una contro l'altro, di farsi vedere abbracciati al ministro
Maroni (che da oggi, nonostante la ben nota modestia umana e politica,
dovra' essere ricordato per la sua nuova legge che riporta l'Italia al prima
della Resistenza), ho immaginato lo scorrere del testo che ha sfregiato
l'Italia: "E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti.
Tutta l'opera che finora ha fatto il regime in Italia e' fondata sul
razzismo. Frequentissimo e' stato sempre nei discorsi del capo il richiamo
ai concetti di razza". Se il capo a cui adesso si fa riferimento e' Bossi
(con Borghezio, come scorta) le parole del "Manifesto" sull'immagine di
Maroni che mostra il pollice in alto nel gesto americano della vittoria,
sono il commento perfetto.
Non dobbiamo piu' domandarci: "Ma che gente era, quella che ha approvato e
sostenuto il 'pacchetto sicurezza' del 1938?". Basta osservare, con immensa
tristezza, i deputati di Berlusconi che applaudono se stessi per avere
approvato il loro "pacchetto sicurezza". Quello che proclama la pericolosa
estraneita' della razza Rom, e schiera i soldati a difesa della razza
italiana.

3. RIFLESSIONE. STEFANO RODOTA': POLITICA PREPOTENTE
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 19 luglio 2008 col titolo "Politica
prepotente davanti a Eluana".
Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente
all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e
seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo,
Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e'
Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e
Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste
"Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al
Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati
internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al
2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati
personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della
responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella
societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e
controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo
sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile
diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio
di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di
Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994;
Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia
e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997;
Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della
Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e
liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano
2006]

L'umana e drammatica vicenda di Eluana Englaro ha riportato al centro della
discussione pubblica le questioni di vita. Ma questo e' avvenuto nel modo
peggiore.
La' dove erano necessari rispetto e misura, e forse silenzio, assistiamo a
grida e strumentalizzazioni. E si e' creato un clima che di nuovo allontana
la consapevolezza che i nuovi diritti civili sono parte integrante delle
politiche di inclusione e innovazione, dunque della cittadinanza di questo
avvio di millennio.
Altrove non e' cosi', mentre in Italia vi e' stato un significativo
slittamento linguistico: riferendosi a molti temi, non si parla piu' di
diritti civili, ma di questioni "eticamente sensibili". Che cosa vuol dire?
Che le sconvolgenti novita' legate alle innovazioni scientifiche e
tecnologiche esigono una riflessione pubblica che tenga conto delle
trasformazioni profonde dell'umano che tutto questo comporta? Che questa
riflessione deve far nascere una maggiore responsabilita' individuale e
collettiva, una nuova coscienza del limite? O che si prende congedo da
un'idea dei diritti fondata sui principi costituzionali, dunque sull'unica
tavola di valori democraticamente legittimata, per entrare in un ambiguo
territorio dove l'invocazione dell'etica assume caratteri autoritari,
limitando l'autonomia e la liberta' delle persone, e l'affermazione di
"valori non negoziabili" esclude la possibilita' di seguire la via
democratica verso la soluzione dei problemi attraverso il confronto tra
punti di vista diversi, e tutti legittimi?
Torniamo allora sul caso Englaro, partendo dalla sentenza della Corte di
Cassazione dell'ottobre dell'anno scorso, ai cui principi si e' rifatta la
recente decisione della Corte d'appello di Milano che ha autorizzato
l'interruzione dei trattamenti che mantengono Eluana in stato vegetativo
permanente. Quella sentenza viene ora giudicata inaccettabile, addirittura
eversiva, perche' invaderebbe le competenze del Parlamento, si' che al
Senato, fatto davvero senza precedenti, si e' proposto di sollevare un
conflitto davanti alla Corte costituzionale perche' sanzioni il
comportamento della Cassazione.
Se quella sentenza venisse letta senza pregiudizi, se ne scoprirebbero la
qualita' e il rigore dell'argomentazione, il carattere analitico richiesto
dalla complessita' della materia, l'apertura e la consapevolezza della
discussione internazionale. I giudici non hanno "creato" diritto,
sostituendosi al legislatore. Com'era loro preciso dovere, hanno ragionato
in base a principi e norme gia' presenti nel nostro ordinamento: gli
articoli 2, 13 e 32 della Costituzione; la Convenzione sui diritti umani e
la biomedicina del Consiglio d'Europa; la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea; la legge sul Servizio sanitario nazionale del 1978; gli
articoli del Codice di deontologia medica. Hanno richiamato sentenze della
Corte costituzionale e numerosi precedenti della stessa Cassazione. Un
"pieno" di norme che smentisce la tesi del vuoto normativo e dell'indebita
supplenza. Se avessero argomentato diversamente, rifiutandosi di decidere,
vi sarebbe stato un caso clamoroso di "denegata giustizia". E invece i
giudici della Cassazione, e poi quelli di Milano, hanno fatto il loro dovere
si' che, con l'abituale sobrieta', il padre di Eluana ha commentato la
decisione della Corte d'appello osservando che essa conferma la sua fiducia
nello Stato di diritto.
I giudici di Milano non hanno "condannato a morte" Eluana. Hanno adempiuto
al loro difficile dovere, applicando principi e norme generali ad un caso
concreto, cosi' come, prima di loro, avevano fatto giudici di corti
nazionali e internazionali, dagli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla
Germania (tutte decisioni scrupolosamente ricordate dalla Cassazione).
Ricordate il caso di Terry Schiavo, la ragazza americana rimasta per sette
anni in stato vegetativo permanente? Dopo una lunga controversia, che vide
l'intervento dello stesso Bush, fu proprio un giudice ad autorizzare
l'interruzione dei trattamenti.
Il percorso seguito dai giudici italiani e' limpido, addirittura obbligato.
Non vi sono forzature, ma l'applicazione di principi ad una situazione in
cui non e' la "natura", ma l'artificio tecnologico a permettere la
sopravvivenza. Questi principi muovono dal consenso informato, dal quale
discende il "potere della persona di disporre del proprio corpo" (cosi' la
Corte costituzionale nel 1990) e quindi l'illegittimita' di qualsiasi
intervento che prescinda dalla sua volonta'. Da qui l'imperativa indicazione
dell'art. 32 della Costituzione, che vieta qualsiasi trattamento e qualsiasi
norma che possa violare "il rispetto della persona umana". Siamo sul terreno
consolidato del rifiuto di cure, che nulla ha a che vedere con l'omicidio
del consenziente o l'eutanasia.
Partendo da queste premesse, la Cassazione, con grande equilibrio, ha
indicato i due presupposti che legittimano l'interruzione del trattamento di
sopravvivenza: il rigoroso accertamento dell'irreversibilita' dello stato
vegetativo permanente; la possibilita' di individuare la volonta' della
persona sulla base di sue dichiarazioni esplicite o "attraverso i propri
convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento". Le
critiche rivolte a questi due criteri non sono convincenti. Non mancano
criteri scientifici per accertamenti oggettivi dell'effettiva condizione del
di chi si trovi in stato vegetativo permanente. E stabilire la volonta'
della persona puo' essere procedimento difficile, che esige grande prudenza,
ma che puo' essere fondato su una molteplicita' di elementi che consentono
di giungere a conclusioni univoche.
Due altri punti, anch'essi importanti, sono stati definiti dalla Cassazione.
Il primo riguarda la qualificazione dell'alimentazione e dell'idratazione
forzata come "trattamento terapeutico", al quale si puo' rinunciare,
opinione largamente condivisa dalla comunita' scientifica e che sta alla
base delle decisioni dei giudici di altri paesi. Il secondo riguarda
"l'applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica
nell'interesse del paziente", dunque la legittimita' della sedazione.
Scrupolo giuridico e comprensione umana riconoscono cosi' ad Eluana la
dignita' nel morire. Al riparo da crociate e agitazioni ideologiche,
dovremmo ricordare piuttosto le parole scritte nel 1970 da Paolo VI in una
lettera al cardinale Villot: "Pur escludendosi l'eutanasia, cio' non
significa obbligare il medico a utilizzare tutte le tecniche di
sopravvivenza che gli offre una scienza infaticabilmente creatrice. In tali
casi non sarebbe una tortura inutile imporre la rianimazione vegetativa,
nell'ultima fase di una malattia incurabile? Il dovere del medico consiste
piuttosto nell'adoperarsi a calmare le sofferenze, invece di prolungare piu'
a lungo possibile, e con qualunque mezzo e a qualunque condizione, una vita
che non e' piu' pienamente umana e che va verso la conclusione".
Una politica prepotente, che impugna la difesa della vita come una clava per
negare le ragioni profonde dell'umano e della sua dignita', sta perdendo il
respiro necessario per affrontare questioni cosi' impegnative. Il caso
Englaro si trasforma in occasione ulteriore nel duello tra politica e
giustizia. Nel pretestuoso conflitto davanti alla Corte costituzionale, che
mi auguro il Senato non voglia sollevare e che la Corte comunque
respingera', si coglie la volonta' di sovvertire legittime decisioni
giudiziarie, attentando alla radice all'autonomia e all'indipendenza della
magistratura, vera bestia nera del presidente del Consiglio. E, al di la' di
questo, si coglie un altro tassello della strisciante revisione
costituzionale in atto, che nega gli stessi principi contenuti nella prima
parte della Costituzione.
Di questo bisogna essere consapevoli se si affronteranno in Parlamento i
temi del testamento biologico. Il rischio e' evidente. Quella legge puo'
divenire l'occasione per fare un passo indietro, per restringere diritti che
gia' ci appartengono I chiarimenti sono benvenuti. Ma, ferma restando la
legittimita' delle opinioni e delle scelte diverse di ciascuno, nessuno puo'
essere espropriato della sua dignita', e non puo' essere imposta una
regressione culturale e istituzionale. L'alternativa e' ormai netta. Le
decisioni sulla vita devono essere prese sulla base dei principi
costituzionali, rispettando la liberta' delle persone, con gli interventi
giudiziari necessari per adattare quei principi alle singole situazioni
concrete? O prevarranno le pretese di variabili e aggressive maggioranze
parlamentari, che oggi si candidano a divenire padrone delle nostre vite?

4. LIBRI. WANDA TOMMASI PRESENTA "OLTRE I PROPRI CONFINI" DI LUCE IRIGARAY
[Dalla rivista della comunita' filosofica femminile Diotima "Per amore del
mondo", fascicolo della primavera 2008 col titolo "Un certain regard",
disponibile nel sito www.diotimafilosofe.it, riprendiamo la seguente
recensione.
Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima".
Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le
scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani,
Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano
1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori,
Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum.
L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del
deserto, Liguori, Napoli 2004.
Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e'
tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi decenni. Tra le opere di Luce
Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso
che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978;  Amante marina. Friedrich
Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981, Luca Sossella Editore, 2003; Passioni
elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale,
Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987,
Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007; Il tempo della differenza, Editori
Riuniti, Roma 1989; Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991;
Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati
Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La
democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L'oblio
dell'aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996; Tra Oriente e Occidente,
Manifestolibri, Roma 1997; Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano
1997, 2000; In tutto il mondo siamo sempre in due, Baldini Castoldi Dalai,
Milano 2006; Preghiere quotidiane, Heimat, 2007; La via dell'amore, Bollati
Boringhieri, Torino 2007; Oltre i propri confini, Baldini Castoldi Dalai,
Milano 2007; La via dell'amore, Bollati Boringhieri, Torino 2008]

L'ultimo libro di Luce Irigaray, Oltre i propri confini (Baldini Castoldi
Dalai, Milano 2007), raccoglie conferenze e dialoghi fra la pensatrice
francese e intelocutrici/interlocutori italiani: il titolo allude al
tentativo dell'autrice di oltrepassare i propri confini (nazionali,
culturali, linguistici), per intrecciare della relazioni con la cultura e
con il femminismo italiani, che, specialmente nelle pratiche e nel pensiero
della differenza sessuale, ha raccolto e sviluppato in modo fecondo
l'eredita' della pensatrice francese.
Nell'introduzione, Irigaray auspica un ritorno all'entusiasmo del '68, a
quello "stato divino" che aveva segnato il femminismo degli anni '70, quando
molte donne, uscite dall'isolamento in cui le aveva confinate la cultura
patriarcale, avevano trovato una parola pubblica condivisa ed erano state
toccate dalla grazia e dalla gioia dell'incontro fra loro, al di la' delle
differenze fra i percorsi singolari di ciascuna.
Allora, cio' che univa era piu' forte di cio' che poteva dividere le donne
fra loro: oggi, a quasi trent'anni di distanza da quel felice inizio, al di
la' dei numerosi conflitti, delle ferite e di molto negativo che spesso ha
reso difficili le relazioni fra donne, pur accomunate da un ideale
condiviso, Irigaray auspica che si riesca nuovamente ad attingere alla
freschezza degli inizi e a trovare la forza - la grazia? - per porre le basi
di una nuova cultura e civilta', a partire dalla consapevolezza che "in
tutto il mondo siamo sempre in due".
Fra le diverse piste di lettura che questo libro suggerisce, ne scelgo tre:
in primo luogo l'idea che la differenza sessuale e' il migliore passaporto
per varcare ogni confine, per entrare in contatto con tutte le altre
differenze; in secondo luogo, il tema del desiderio femminile, e infine
l'incrocio fra l'amore dell'altro essere umano e l'amore dell'Altro divino.
Lascio volutamente sullo sfondo, in questo mio percorso di lettura, le
questioni che riguardano "una democrazia da ripensare" (p. 56). Non che
queste ultime non siano importanti, a partire dalla basilare affermazione
che "imporre lo stesso modello ugualitario a tutti e tutte non tiene conto
dell'ideale della democrazia" (p. 63), ma ho l'impressione che, in questo
campo, le intuizioni migliori di Irigaray siano negli accenti profetici e
utopici, indubbiamente molto suggestivi, ma difficilmente traducibili in
proposte politiche concrete. Sorrette da grandi interrogativi, del tipo
"come aiutare il divenire umano delle donne, dei giovani e degli stranieri"
(p. 63), e dall'intento di fondo di favorire una cultura del desiderio,
queste indicazioni convergono verso un "abbozzo di una politica rispettosa
delle differenze" (p. 67), obiettivo che e' sicuramente auspicabile ma, a
mio parere, non altrettanto facilmente realizzabile.
*
Mi concentro dunque innanzitutto sulla prima delle questioni che ho scelto
di trattare, cioe' la differenza sessuale come apertura privilegiata per
entrare in contatto con tutte le altre differenze: nel ribadire che la
differenza fra i sessi e' il primo, "il piu' fondamentale e universale
incrocio da rispettare" (p. 116), Iragaray rilancia innanzitutto il senso
della differenza sessuale come intreccio di natura e cultura o, con le sue
parole, come "specifica articolazione fra corpo e parola" (p. 117), come
alfabeto di base di ogni cultura e civilta'. Mentre la tradizione
occidentale ha privilegiato il soggetto unico e ha operato sempre nel senso
della riconduzione dell'altro/a al Medesimo, una cultura che metta al centro
la differenza di essere donna/uomo e la relazione, inscritta nello stesso
corpo femminile e quindi particolarmente legata a quel soggetto
costitutivamente relazionale che la donna e', puo' porre le basi di un
dialogo con l'altro (l'uomo), e, a partire da li', con ogni altra differenza
(naturale, linguistica, culturale, ecc.). Una cultura della differenza
sessuale e' un invito a uscire dal proprio orizzonte per costruire un mondo
nuovo che lasci spazio a tutte le altre differenze: alla sua base, vi e' la
necessita' di disegnare i primi confini, quelli legati al fatto che siamo
donne oppure uomini, confini che dobbiamo al tempo stesso rispettare e
aprire per incontrare l'altro.
In questa prospettiva, che a mio parere e' pienamente condivisibile e che
dischiude per il pensiero e per le pratiche della differenza un grande
compito politico nel presente, Irigaray parla spesso di "differenza
sessuataî" piuttosto che di "differenza sessuale". Il motivo di questa
scelta terminologica deriva dalla convinzione che occorra anteporre cio' che
accomuna tutte le donne - cioe' la differenza femminile, nel suo significato
sia naturale sia culturale - a cio' che potrebbe invece dividerle, come gli
orientamenti sessuali. Secondo Irigaray, l'espressione "differenza sessuale"
suggerisce qualcosa che ha a che fare con le scelte sessuali, mentre la
scommessa dell'autrice e' di altro tipo. Essa e' duplice: si tratta di
tenere insieme natura e cultura, e al tempo stesso di evitare inutili
divisioni fra donne dovute a diversi modi di vivere la sessualita'. Di
fatto, proprio questo e' cio' che intende anche Diotima con il pensiero
della differenza sessuale; quindi, a mio avviso, si tratta di una divergenza
nelle scelte terminologiche piuttosto che di una questione di sostanza.
Analogo discorso si puo' fare a proposito dell'identita', che apparentemente
delinea un'altra divergenza rispetto a Diotima: l'autrice parla di identita'
sessuata, mentre io penso, con altre di Diotima, che occorra puntare non
sull'identita', ma sempre sulla differenza, nel suo gioco, da rilanciare
sempre, con l'identita' umana. L'identita' umana e' formata dal differire,
naturale e culturale, di donne e uomini, dal gioco sempre rinnovato della
differenza sessuale. Ho riluttanza a parlare, ad esempio, di identita'
femminile, perche' temo che l'identita' rischi di diventare una gabbia in
cui la donna sia nuovamente rinchiusa, e preferisco affidarmi al libero
gioco della differenza. Irigaray ritiene tuttavia che l'identita' femminile
consista in una propensione alla relazione, in un'apertura all'altro, che
impedisce ogni staticita' e ogni fissazione in un ruolo. Dunque, nella
sostanza, fra noi e Irigaray anche su questo punto la distanza non e'
grande, nonostante la divergenza terminologica. Nella scelta del termine
identita' da parte di Irigaray, pesa inoltre l'esigenza di sottolineare la
necessita' di una certa oggettivita', anche per la differenza femminile,
affinche' la donna possa ritornare a se' senza perdersi nell'altro,
affinche' possa rientrare nei suoi propri confini e rendersi cosi'
disponibile a un autentico incontro.
*
Il secondo filo conduttore che vorrei far risaltare in questo testo e' il
tema del desiderio femminile: dopo aver attraversato la questione della
crudelta' delle donne, di un'aggressivita' a lungo repressa, ma che
attualmente si esprime apertamente, spostandosi nella sfera pubblica e
facendo spesso corpo con le rivendicazioni emancipazioniste, promosse dallo
stesso femminismo, Irigaray si sofferma sulla difficile arte di condivisione
del desiderio: "Il desiderio rappresenta un in-piu' di vita che si ricava
dalla relazione con l'altro" (p. 92). Anziche' scaricare l'energia nata
dall'incontro, cosa che propone in generale la nostra cultura (valga come
esempio Freud), l'autrice suggerisce tre vie possibili per condividere il
desiderio, e anche per educarlo e coltivarlo: si tratta, in particolare per
le donne, di acquietare la propria avidita' nei confronti dell'altro/a, e di
venire a capo del circolo vizioso di rabbia e aggressivita', incentivato
dalla sensazione di dipendenza e dalla mancanza di autonomia. Cose queste
molto difficili da realizzare nella pratica: nel proprio percorso personale,
Irigaray dice di averle apprese appunto attraverso delle pratiche, in
particolare lo yoga e il respiro consapevole.
Indica infatti come strade per venire a patti con la violenza del desiderio
e per fare di quest'ultimo qualcosa di condiviso, in primo luogo la
condivisione del respiro: cantare insieme o respirare insieme la stessa aria
in campagna sono modi semplici di rendersi conto che e' possibile
"condividere nella differenza senza distruggere nessuno/a" (p. 93).
La seconda strada di condivisione del desiderio e' quella che si puo'
sperimentare nel creare insieme: un "fare insieme grazie all'energia nata
dal desiderio comune" (p. 93). Molte pratiche di donne, legate al pensiero
della differenza, in Italia e non solo, vanno proprio in questa direzione.
Infine, la terza strada di condivisione e' quella del "desiderio per l'altro
in quanto tale" (p. 94): e' la piu' promettente, ma anche la piu' difficile
da praticare, dal momento che la relazione amorosa si e' declinata nella
nostra cultura o come tendenza a fare uno, in una fusionalita' che non
rispetta l'essere due, oppure nella coppia attivo/passiva,
soggetto/oggett(a).
*
Con questo, siamo gia' passati alla terza pista di lettura che propongo in
questo mio itinerario, cioe' al tema dell'amore. A questo proposito,
Irigaray parla dell'incrocio fra l'amore dell'altro umano e l'amore
dell'Altro divino: "Amare l'altro come noi stessi equivarrebbe, secondo i
comandamenti cristiani, ad amare l'Altro. Questo mistero del cristianesimo
non e' stato realmente inteso. Implica, mi pare, che la singolarita' della
persona sia sempre considerata e rispettata prima dell'interesse collettivo.
Anteporre l'istituzione cristiana al divenire divino di ciascuno/a di noi
non fa parte del messaggio cristiano, secondo me. E questo impedisce  a
ognuno di camminare fino ai confini della terra, che lui, o lei, e'" (p.
126). Un amore dell'altro con la minuscola che consenta, in particolare alla
donna, di ritornare a se stessa, senza perdersi ne' perdere i propri
confini, e' la condizione per avvicinarsi all'Assoluto, lasciandosene
toccare. Come gia' in Etica della differenza sessuale, in cui Irigaray
elaborava il concetto di trascendentale sensibile, si auspica qui il
diventare parola della carne, e si fa riferimento all'esperienza delle
mistiche, in cui il lasciarsi toccare dalla grazia e' al tempo stesso un
toccare il divino, una carezza data e al tempo stesso ricevuta.
*
Trattando dell'amore per l'altro essere umano, l'autrice fra anche
riferimento al negativo, che viene in primo luogo inteso come mistero, come
territorio inappropriabile fra me e l'altro/a. Questo mistero va rispettato
e conservato: "L'esistenza di un mistero salvaguarda l'uno e l'altro" (p.
35). E' questo un significato di negativo che rimanda, implicitamente e
polemicamente, a Hegel: mentre in Hegel il negativo e' un modo di
appropriarsi dell'altro e di ricondurlo al Medesimo, invece in Irigaray il
negativo serve precisamente a preservare l'alterita' dell'altro, il mistero
della sua singolarita'.
Un altro significato del negativo che compare nel testo e' quello che nasce
dalla negazione maschile della madre, dal matricidio originario che, secondo
Irigaray, e' all'origine della cultura patriarcale. Questa seconda accezione
di negativo e' piu' vicina a quanto l'autrice affermava diversi anni fa nel
saggio "Il corpo a corpo con la madre", in Sessi e genealogie.
Richiamo questi due significati del negativo perche' la riflessione di
Diotima, negli ultimi due libri (La magica forza del negativo e L'ombra
della madre), si e' molto interrogata sul negativo: sia quello che capita
nelle nostre vite e che, se non viene lasciato fare il suo lavoro, rischia
di andare a male, e quello che spesso interviene pesantemente nelle
relazioni fra donne, facendole ammalare. Dietro quest'ultimo aspetto del
negativo, noi di Diotima abbiamo intravisto l'oscuro materno, i nodi non
risolti della relazione con la madre, un'ombra che pesa sui rapporti fra
donne e che provoca molti conflitti e sofferenze.
*
Su quest'ultimo nodo, cruciale per la politica delle relazioni fra donne,
Irigaray aveva detto cose molto importanti gia' in Etica della differenza
sessuale. In quest'ultimo libro, la questione e' ripresa quando si parla
della crudelta' delle donne, ma in generale l'attenzione dell'autrice va,
piuttosto che in direzione del negativo, verso il compito, che si puo'
definire etico, di coltivare la felicita', con accenti che volutamente
privilegiano il desiderio e il piacere, nella convinzione che solo una
cultura dell'energia, necessaria sul piano sia vitale sia spirituale sia
intellettuale, possa consentire alle donne di trovare una via d'uscita
rispetto alle molte, troppe ferite e sofferenze che nella storia passata
esse hanno ricevuto.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 173 del 20 luglio 2008

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