La domenica della nonviolenza. 172



==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 172 del 13 luglio 2008

In questo numero:
1. David Grossman conversa con gli studenti a Firenze
2. Tony Judt: Il significato universale della Shoah
3. Peppe Sini e Tomas Stockmann: Una postilla al testo che precede
4. Umberto De Giovannangeli intervista Elie Wiesel
5. Umberto De Giovannangeli intervista Abraham Yehoshua

1. RIFLESSIONE. DAVID GROSSMAN CONVERSA CON GLI STUDENTI A FIRENZE
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 30 gennaio 2008 col titolo "Lo scrittore
israeliano parla ad una platea di 7.500 giovani toscani" e il sommario
"Grossman: La speranza va creata, l'importante e' saper fare la scelta
giusta tra il bene e il male".
David Grossman, nato a Gerusalemme nel 1954, e' uno dei maggiori scrittori
contemporanei, da sempre impegnato per la pace e i diritti umani; suo figlio
Uri e' morto nella guerra del 2006. Tra le opere di David Grossman: Vedi
alla voce: amore (1986); Il libro della grammatica interiore (1991); Ci sono
bambini a zigzag (1994); Che tu sia per me il coltello (1998); tutti presso
Mondadori. Cfr. anche il libro-intervista curato da Matteo Bellinelli: David
Grossman, La memoria della Shoah, Casagrande, Bellinzona 2000]

"Vorrei dire come sono stato influenzato dalla Shoah come persona. Quando
ero un bambino mio padre mi ha raccontato per la prima volta dell'orrore
della Shoah. E mi ricordo che pensavo 'non voglio piu' vivere in un mondo
dove una cosa cosi' terribile puo' succedere, non voglio vivere in un mondo
dove le persone possono comportarsi in questo modo con altre persone'. Un
po' piu' di venti anni dopo, quando il mio figlio maggiore aveva tre anni e
cominciava a parlare di queste cose all'asilo, un giorno torno' a casa e mi
chiese 'papa' cosa e' successo? E' vera questa cosa? Cosa hanno fatto i
nazisti? La Shoah che cosa e'?'. Io non glielo volevo dire perche' avevo
paura di contaminare la sua innocenza, la sua purezza. Pensavo che quando
lui avesse saputo che queste cose possono succedere qualcosa sarebbe
cambiato in lui, non sarebbe piu' stato la stessa persona. Quando ho
cominciato a scrivere pensavo che la cosa piu' importante fosse scrivere un
racconto ambientato nel periodo della Shoah, ma volevo scriverlo dal punto
di vista di un bambino. Non e' un caso se gli scrittori e i registi che si
trovano qui hanno voluto raccontare la Shoah dal punto di vista di un
bambino, perche' di fronte alle atrocita' della Shoah siamo tutti un po'
bambini".
E' David Grossman che parla di fronte ai settemilacinquecento studenti
toscani, che ieri hanno gremito il Mandela Forum di Firenze. Lo scrittore
risponde alle domande del pubblico.
*
"In Toscana ricordiamo il giorno della memoria tutto l'anno - dice un
ragazzo - e ogni due anni portiamo un treno carico di ragazzi ad Auschwitz e
Birkenau. Lo facciamo ormai da sette anni. Naturalmente abbiamo un problema:
riuscire a togliere dalla ritualita' questo giorno. Cosa pensa
dell'efficacia di quanto facciamo?".
"Certo che e' importante e impressionante vedere cosi' tanti ragazzi oggi
che ascoltano e raccontano le storie della Shoah - risponde Grossman -. Ma
la cosa piu' importante che vorrei che ciascuno di voi facesse oggi quando
torna a casa e' riflettere un attimo e pensare: 'che cosa avrei fatto io se
avessi vissuto in quel periodo?'. Ognuno di voi si fermi a pensare: 'come
sarei riuscito a conservare la mia umanita', sia che io fossi stato la
vittima o l'assassino, il carnefice?'. Qual e' la cosa piu' forte dentro di
voi che vi avrebbe potuto aiutare a mantenere la vostra umanita' in un posto
dove l'umanita' e' stata cancellata? Come avreste fatto ad evitare di
partecipare alla forza del male?".
*
"Abbiamo intitolato questo convegno 'Sterminio e stermini' con un
sottotitolo preso da Primo Levi: 'E' successo, puo' succedere ancora'.
Vorremmo da lei qualche parola di speranza perche', se tra mille anni
dovesse succedere ancora, tutta la nostra forza non sara' sufficiente",
chiede un altro studente.
"E' successo e puo' succedere ancora, e' nelle possibilita' dell'umanita' -
dice lo scrittore -. La speranza non e' una cosa che succede da se', la
speranza va creata. Bisogna stare sempre attenti, e' una guerra infinita.
Fra la riflessione dell'uomo moderno e il pensiero c'e' la barbarie, c'e' il
male. Per una mattina intera avete visto i film, avete ascoltato i
testimoni. Vorrei credere che la prossima volta che vi capitera' di stare in
una situazione in cui dovrete scegliere tra l'umanita' e il male saprete
cosa scegliere. Queste condizioni ci sono in ogni momento della nostra vita.
Vi capita in classe, vi capita in famiglia, fra amici, in ogni momento
dovete decidere che parte prendete. E vi auguro con tutto il cuore che non
sarete mai piu' qui in Europa dalla parte di quel periodo terribile. Ma
dipende solo da voi".

2. RIFLESSIONE. TONY JUDT: IL SIGNIFICATO UNIVERSALE DELLA SHOAH
[Dal quotidiano "Il Sole - 24 Ore" del 27 gennaio 2008 col titolo "La vera
lezione di Auschwitz" e il sommario "La Shoa' oggi viene troppo legata alla
difesa di Israele. Perdendo il suo significato universale. Testo tratto dal
discorso tenuto dall'autore a Brema, in occasione del ricevimento del premio
Hannah Arendt".
Tony Judt (Londra, 1948), storico, docente universitario, e' direttore del
Remarque Institute dell'Universita' di New York; interventi di Judt
compaiono sulla "New York Review of Books". Tra le opere di Tony Judt:
Socialism in Provence 1871-1914: A Study in the Origins of the Modern French
Left. Cambridge University Press, 1979; Marxism and the French Left: Studies
on Labour and Politics in France 1830-1982, Clarendon, 1990; Past Imperfect:
French Intellectuals 1944-1956, 1992; A Grand Illusion?: An Essay on Europe.
Douglas & McIntyre, 1996; The Burden of Responsibility: Blum, Camus, Aron,
and the French Twentieth Century. University of Chicago Press, 1998;
Identity Politics In A Multilingual Age. Palgrave, 2004; Postwar: A History
of Europe Since 1945. Penguin Press, 2005; Reappraisals: Reflections on the
Forgotten Twentieth Century. Penguin Press, 2008. In italiano: Dopoguerra,
Mondadori, Milano 2007]

Negli ultimi anni il rapporto tra Israele e l'Olocausto e' mutato.
All'inizio l'identita' di Israele fu costruita sul rifiuto del passato,
trattando l'Olocausto come una prova di debolezza, una debolezza che era
compito di Israele superare dando vita a un nuovo tipo di ebreo. Oggi,
quando Israele e' esposto al biasimo internazionale per il modo di gestire i
rapporti con i palestinesi e per l'occupazione del territorio conquistato
nel 1967, i suoi difensori tendono a chiamare in causa la memoria
dell'Olocausto. Attenti, dicono, se criticate Israele con troppa veemenza,
sveglierete i demoni dell'antisemitismo. Anzi, il messaggio e' che un
atteggiamento fortemente critico nei confronti di Israele non si limita a
risvegliare l'antisemitismo: e' di per se' antisemitismo. E con
l'antisemitismo si apre la strada che porta - o ritorna - al 1938, alla
"notte dei cristalli" e di la' a Treblinka e ad Auschwitz. Se volete sapere
dove va a finire, dicono costoro, non avete che da visitare Yad Vashem a
Gerusalemme, l'Holocaust Museum a Washington o i monumenti commemorativi e i
musei sparsi in tutta Europa.
Comprendo i sentimenti che dettano queste affermazioni. Ma queste
affermazioni in se' sono molto pericolose. Quando a me e ad altri, con la
scusa che non vanno risvegliati gli spettri del pregiudizio, viene
rimproverato il dissenso nei confronti di Israele, rispondo che il problema
va posto al contrario. E' proprio un tabu' del genere che puo' stimolare
l'antisemitismo. Da qualche anno visito universita' e scuole superiori,
negli Stati Uniti e altrove, per tenere conferenze sulla storia europea del
dopoguerra e la memoria della Shoah. Sono gli argomenti che tratto anche
nell'universita' dove insegno. E posso dire quali conclusioni ne ho
derivate. Oggi non c'e' bisogno di ricordare agli studenti il genocidio
degli ebrei, le conseguenze storiche dell'antisemitismo e il problema del
male. Tutti conoscono queste cose, con un'ampiezza ignota ai loro genitori.
Ed e' cosi' che dev'essere. Ma mi ha colpito recentemente la frequenza con
cui affiorano nuove domande: "Perche' ci fissiamo sull'Olocausto?", "Perche'
(in certi Paesi) e' illegale negare l'Olocausto ma non altri genocidi?",
"Non si sta esagerando la minaccia dell'antisemitismo?". E ancora, sempre
piu' spesso: "Non e' che Israele sta usando l'Olocausto come scusa?".
Due sono i miei timori: che sottolineando l'eccezionalita' storica
dell'Olocausto e al contempo invocandolo costantemente in riferimento alle
vicende contemporanee, abbiamo creato confusione nei giovani; e che gridando
all'antisemitismo ogni volta che qualcuno attacca Israele o difende i
palestinesi stiamo allevando una generazione di cinici. Perche' la verita'
e' che oggi l'esistenza di Israele non e' in pericolo. E oggi, qui in
Occidente, gli ebrei non si trovano ad affrontare minacce e pregiudizi
neppure lontanamente paragonabili a quelli del passato, ne' paragonabili ai
pregiudizi attualmente nutriti nei confronti di altre minoranze. Facciamo un
piccolo esercizio. Vi sentireste al sicuro, accettati e benvenuti, negli
Stati Uniti, oggi, se foste un musulmano o un immigrato clandestino? E se
foste un "Paki" in certe zone dell'Inghilterra? O un marocchino in Olanda?
Un "beur" in Francia? Un nero in Svizzera? Uno "straniero" in Danimarca? Un
rumeno in Italia? Uno zingaro ovunque in Europa? E non vi sentireste piu' al
sicuro, piu' integrati, piu' accettati come ebrei? Credo che siamo tutti in
grado di rispondere.
In molti di quei Paesi - Olanda, Francia, Stati Uniti, per non parlare della
Germania - la minoranza ebraica locale e' fortemente rappresentata nel mondo
degli affari, dei media e delle arti. In nessuno di quei Paesi gli ebrei
sono stigmatizzati, minacciati o emarginati.
Il pericolo di cui gli ebrei - e non solo loro - dovrebbero preoccuparsi, se
c'e', viene da un'altra direzione. Abbiamo agganciato la memoria
dell'Olocausto cosi' saldamente alla difesa di un unico Paese - Israele -
che rischiamo di provincializzarne il significato morale.
E' vero, il problema del male nel secolo scorso, per citare Hannah Arendt,
ha preso la forma del tentativo tedesco di sterminare gli ebrei. Ma non si
tratta solo dei tedeschi e non si tratta solo degli ebrei. Non si tratta
neppure solo dell'Europa, anche se e' la' che quel tentativo e' avvenuto. Il
problema del male - del male totalitario, del male del genocidio - e' un
problema universale. Ma se lo si manipola per trarne un vantaggio locale,
cio' che accadra' (e io credo stia gia' accadendo) e' questo: coloro che
vivono in contesti lontani da quel crimine - o perche' non sono europei o
perche' sono troppo giovani perche' per loro il ricordo di quell' evento
abbia rilevanza - non capiranno che rapporto abbia con loro la memoria che
ne viene coltivata e smetteranno di ascoltare quando cercheremo di
spiegarglielo.
In altre parole l'Olocausto perdera' la sua risonanza universale. Dobbiamo
sperare che cio' non avvenga e dobbiamo trovare il modo per mantenere
intatta la lezione centrale che davvero puo' venirci dalla Shoah: e cioe' la
facilita' con cui le persone - un popolo intero - possono essere diffamate,
demonizzate e annientate. Ma non approderemo a nulla, se non riconosciamo
che questa lezione potra' anche essere messa in dubbio e dimenticata. Se non
mi credete, andate a chiedere, fuori dai paesi sviluppati dell'Occidente,
qual e' la lezione di Auschwitz. Avrete riposte ben poco rassicuranti.
Non c'e' una soluzione facile a questo problema. Cio' che pare chiaro agli
europei dell'Europa occidentale e' ancora oscuro per gli europei dell'Est,
come era oscuro agli stessi europei dell'Ovest quarant'anni fa. Il monito
morale di Auschwitz, che campeggia a caratteri cubitali sullo schermo della
memoria europea, e' quasi invisibile per africani e asiatici. E ancora - e
forse soprattutto - cio' che sembra lampante alle persone della mia
generazione avra' sempre meno senso per i nostri figli e i nostri nipoti.
Possiamo preservare un passato europeo che la memoria sta sfumando in
storia? Non siamo condannati a perderlo, anche solo in parte?
Forse tutti i nostri musei, i nostri monumenti commemorativi, le nostre gite
scolastiche obbligatorie non sono il segno che oggi siamo pronti a
ricordare, ma indicano invece che riteniamo di esserci lavati la coscienza e
di poter cominciare a mollare e a dimenticare, delegando alle pietre il
compito di ricordare al posto nostro. Non so: l'ultima volta che sono stato
al Monumento agli ebrei d'Europa assassinati, a Berlino, annoiati ragazzini
in gita scolastica giocavano a rimpiattino tra le steli. Quello che so per
certo e' che se la storia deve svolgere il compito che le compete, e
conservare per sempre traccia dei crimini passati e di tutto il resto, e'
meglio lasciarla stare. Qµando andiamo a saccheggiare il passato per
profitto politico - scegliendone i pezzi che fanno al caso nostro e
reclutando la storia a insegnare opportunistiche lezioni morali - ne caviamo
cattiva morale e anche cattiva storia.
Nel frattempo, forse dovremmo, tutti quanti, fare attenzione quando parliamo
del problema del male. Perche' di banalita' ce n'e' piu' di un tipo. C'a' la
notoria banalita' di cui parlava Hannah Arendt: l'inquietante, normale,
familiare, quotidiano male dentro gli esseri umani. Ma c'e' anche un'altra
banalita', quella dell'abuso: l'effetto di appiattimento e
desensibilizzazione del vedere o dire o pensare la stessa cosa troppe volte,
fino a stordire chi ci ascolta e a renderlo sordo al male che descriviamo.
Questa e' la banalita' - la banalizzazione - che rischiamo oggi.
Dopo il 1945 la generazione dei nostri genitori accantono' il problema del
male perche' per loro aveva troppo significato. La generazione che verra'
dopo di noi corre il pericolo di accantonare il problema perche' ora
contiene troppo poco significato. Come si puo' impedire che cio' avvenga? In
altre parole, come si puo' fare in modo che il problema del male resti la
questione fondamentale della vita intellettuale, e non solo in Europa? Non
ho una risposta ma sono sicuro che questa e' la domanda giusta. E' la
domanda che Hannah Arendt ha posto sessant'anni fa. E sono certo che la
porrebbe ancora oggi.

3. RIFLESSIONE. PEPPE SINI E TOMAS STOCKMANN: UNA POSTILLA AL TESTO CHE
PRECEDE

Questo discorso di Tony Judt reca molte riflessioni ed implicazioni
interessanti, ed alcune che vorremmo discutere.
Che la Shoah abbia un significato universale e' indubitabile.
Il fatto che vi sia stata la Shoah ovviamente non autorizza le vittime
sopravvissute ad essa ad opprimere o perseguitare ingiustamente altre
persone ed altri popoli. E che la politica governativa dello stato di
Israele nei confronti del popolo palestinese non possa essere giustificata
ci sembra altrettanto indubitabile, ed e quindi giusto e legittimo criticare
una politica iniqua e crudele ed i governi che la perpetrano. Ma una cosa
sono i governi e un'altra sono le popolazioni. E naturalmente non si puo'
neppure dimenticare che per i superstiti ebrei della Shoah (e di duemila
anni di persecuzione antisemita, che nella Shoah e' culminata, ma che non e'
cessata con la fine dell'orrore nazista) l'esistenza dello stato di Israele
e' anche forse l'unica garanzia - l'unica garanzia - che vi sia almeno un
luogo sulla terra in cui essi possano non essere perseguitati: chi dimentica
questo si condanna a non capire un elemento decisivo della situazione.
Ahinoi, non ci sembra invece - al contrario di quello che sostiene, sia pure
en passant, l'illustre storico - che l'esistenza di Israele e della sua
popolazione non sia minacciata: sara' pur vero che le organizzazioni
criminali e i regimi totalitari che ogni giorno proclamano la volonta' di
una nuova Shoah in Medio Oriente potrebbero non avere le risorse per
eseguirla, ma anche con risorse limitate e' possibile commettere stragi
immani.
E non ci sembra neppure che in Europa occidentale o in Nord America non ci
siano piu' pericoli per l'ebraismo della diaspora: vi e' invece, a noi pare,
una recrudescenza di antisemitismo, molto piu' virulenta, molto piu'
diffusa, molto piu' profonda e vasta di quanto non si ammetta. Una
recrudescenza che si esprime non solo nella crescita del neonazismo e del
razzismo che si presentano esplicitamente come tali, ma anche nelle
sciagurate retoriche di tanti scellerati - dislocati lungo tutto l'arco
delle posizioni politiche tradizionali - che pensano che sia un buon modo
per solidarizzare con il popolo palestinese il far propri e ripetere gli
slogan nazisti (eventualmente ignorando che di slogan nazisti si tratta, ma
di fatto riproponendoli tali e quali - e quindi ad essi aderendo, ed aderire
a quelle parole d'ordine naziste significa di fatto condividere quei
pensieri nazisti che quelle parole esprimono, e quindi in qualche modo e
misura farsi complici delle prassi conseguenti - e sappiamo quali esse siano
state); una recrudescenza che si esprime proprio anche nel corto circuito
logico (ovvero illogico) per cui insensatamente e criminalmente si passa
dalla doverosa solidarieta' col popolo palestinese oppresso e dalla
legittima critica della politica del governo dello stato di Israele al
pregiudizio razzista, alla condivisione di elementi decisivi dell'ideologia
hitleriana.
Sta avvenendo, sta avvenendo qui, sta avvenendo oggi, non nascondiamocelo.
La celebrazione della Giornata della memoria della Shoah nelle scuole ha
anche questo merito: che coloro che vengono invitati a parlare a ragazze e
ragazzi hanno modo di percepire - e con sgomento - quanto diffusa sia, e
quanto a fondo scavi, la condivisione di ampi segmenti del discorso
antisemita tra gli studenti, gli insegnanti e i dirigenti scolastici. E
quanto difficile e necessario e urgente sia contrastare la crescita del
razzismo che adottando strategie argomentative sovente assai subdole ed
efficaci sta diventando una sorta di koine' in una societa' - questa
italiana - che imbarbarisce ogni giorno di piu'.
E dunque diciamolo con chiarezza e nettezza ancora una volta: contrastare il
razzismo, contrastare l'antisemitismo, contrastare le ideologie del
pregiudizio e della persecuzione, dei totalitarismi e dei genocidi, e' qui e
adesso necessario; contrastare e' necessario come l'aria per respirare.
E dunque diciamo anche con chiarezza e nettezza ancora una volta: la nostra
solidarieta' col popolo palestinese e' anche la nostra solidarieta' con la
popolazione israeliana; la nostra richiesta che finalmente vi sia uno stato
palestinese indipendente, libero e democratico e' anche la nostra richiesta
che lo stato di Israele possa finalmente esistere in sicurezza, liberta' e
democrazia; il nostro sostegno va a tutte le operatrici e tutti gli
operatori di pace che con la scelta della nonviolenza stanno lottando per la
fine dell'occupazione militare, per la fine delle stragi, per la fine delle
violenze e delle discriminazioni, per l'esistenza e il diritto e la
liberazione e la sicurezza di tutti i popoli e tutte le persone; la nostra
opposizione al razzismo non piu' essere dimidiata: il riconoscimento e il
rispetto dei diritti umani deve valere per tutti gli esseri umani.

4. RIFLESSIONE. UMBERTO DE GIOVANNANGELI INTERVISTA ELIE WIESEL
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 28 gennaio 2008 col titolo "Elie Wiesel: La
Shoah resta il male assoluto" e il sommario "Giorno della memoria. Parla lo
scrittore premio Nobel nel 1986: Dimenticare e' impossibile e
significherebbe uccidere una seconda volta le vittime. Ma non c'e' solo il
rischio dell'oblio: Ahmadinejad e il terrorismo sono pericoli reali".
Umberto De Giovannangeli e' giornalista e saggista, esperto conoscitore
della situazione mediorientale. Opere di Umberto De Giovannangeli: (con
Rachele Gonnelli, a cura di), Hamas: pace o guerra?, Nuova iniziativa
editoriale, Roma 2005; Terrorismo. Al Quaeda e dintorni, Nuova iniziativa
editoriale, Roma 2005.
Elie Wiesel, nato nel 1928 a Sighet in Transilvania, venne deportato ad
Auschwitz e Buchenwald. Dopo la guerra e' stato giornalista, scrittore,
testimone impegnato per i diritti umani. Ha ricevuto il premio Nobel per la
pace. Tra le opere di Elie Wiesel si vedano in particolare i due volumi
delle memorie Tutti i fiumi vanno al mare, Bompiani, Milano 1996; ... E il
mare non si riempie mai, Bompiani, Milano 1998, 2003. Tra i suoi molti libri
e' indispensabile leggere innanzitutto almeno La notte, Giuntina, Firenze
1980. Segnaliamo anche almeno il colloquio tra Jorge Semprun ed Elie Wiesel,
Tacere e' impossibile, Guanda, Parma 1996]

"Non possiamo, non dobbiamo dimenticare cio' che accadde nei lager nazisti.
E che al fondo dell'Olocausto vi era il proposito di annientare gli ebrei,
colpevoli di esistere: chi lo nega infligge alle vittime dei campi di
sterminio una seconda morte". A parlare, nella Giornata delle Memoria, e'
Elie Wiesel, premio Nobel per la pace 1986, che nei campi di sterminio di
Auschwitz (vi perse la madre, il padre e la sorellina) e Buchenwald
trascorse undici mesi.
Ricordare non e' solo un tributo ai milioni di donne e uomini annientati nei
lager. "L'antisemitismo e l'odio razziale - riflette Wiesel - segnano anche
questo inizio secolo. Non posso perdonare gli aguzzini e coloro che ne
esaltano le gesta". Parla a ragion veduta, il grande scrittore, lui il
mostro nazista l'ha visto negli occhi: "Non credo - afferma - che esista il
Bene assoluto, nella mia vita, almeno, non l'ho mai incontrato. Ma il Male
assoluto l'ho conosciuto e da allora non mi ha piu' abbandonato: l'ho visto
negli occhi dei nostri carnefici, e nelle pietose giustificazioni di chi
ripeteva: "Io non c'entro, non sapevo" e lo ritrovo anche oggi in chi nega
che l'Olocausto fu innanzitutto il tentativo di annientare gli ebrei". Oggi,
ricorda Elie Wiesel, lo spettro di una nuova Shoah torna ad essere agitato
da "una figura che non puo' avere un posto nel panorama dei leader politici
internazionali. Dovrebbe diventare 'persona non grata', per cio' che sta
facendo al suo Paese, al suo popolo, a tutta l'umanita'. Il nome di questa
persona e' Mahmoud Ahmadinejad: costui rappresenta la parte piu' buia
dell'orizzonte politico odierno". "Spero che il 2008 - afferma Elie Wiesel -
possa essere davvero l'anno della pace in Medio Oriente", ma lo scenario
internazionale, e non solo quello mediorientale, e' segnato pesantemente
dalla crescente insicurezza globale dovuta al terrorismo. "Stiamo lasciando
alle nuove generazioni un mondo pieno di paura - riflette il grande
scrittore della Memoria - cosa ne faremo, lo trasformeremo in una
fortezza?".
*
- Umberto De Giovannangeli: Nella Giornata della Memoria e' importante
raccontare soprattutto ai giovani cosa e' stato l'Olocausto. Compito a cui
lei non si e' mai sottratto. A un ragazzo di oggi che le chiedesse: cosa e'
stato l'Olocausto?, che risposta darebbe?
- Elie Wiesel: E' stato il Male assoluto. Ecco cosa e' stato. Cio' che ha
caratterizzato quel periodo fu una determinazione assoluta nel pianificare e
condurre a compimento l'annientamento di un popolo. Questo e' stato
l'Olocausto, in questo consiste la sua novita' rispetto al passato: per la
prima volta nella storia, si intendeva eliminare completamente dalla faccia
della terra un popolo. Gli ebrei non furono perseguitati e sterminati per
motivi specifici, perche' credevano o non credevano in Dio, perche' erano
ricchi o poveri, o perche' professavano ideologie nemiche: no, gli ebrei
venivano uccisi, umiliati, torturati per il semplice fatto di essere tali.
Perche' erano colpevoli di esistere: questo e' l'orrore incancellabile della
Shoah.
*
- Umberto De Giovannangeli: La memoria dell'Olocausto sembra smarrirsi: c'e'
chi afferma che cio' e' un bene, che ricordare serve solo a perpetuare
antiche divisioni.
- Elie Wiesel: No, no, sono assolutamente contrario. Dimenticare le vittime
significa null'altro che infliggere loro una seconda morte! Una vera
riconciliazione, inoltre, non puo' avvenire che a partire dal ricordo,
preservando la memoria di cio' che furono quegli anni. E' vero: oggi c'e'
chi esalta l'oblio, chi ritiene giunto il momento di archiviare il passato.
A questa operazione sento il dovere morale di ribellarmi, ieri come oggi:
perche' per nessuna ragione al mondo e' possibile cancellare la distinzione
tra il carnefice e la sua vittima. Ed ancor oggi l'Olocausto insegna che
quando una comunita' viene perseguitata tutto il mondo ne risulta colpito.
*
- Umberto De Giovannangeli: Molti dei suoi libri hanno trattato il tema
della memoria, del ricordo e dell'oblio, e di come la tragedia
dell'Olocausto si e' trasmessa di padre in figlio nel popolo ebraico, in
Israele e nella Diaspora.
- Elie Wiesel: E' il tema dell'identita' ebraica, della sua specificita' che
non va smarrita ma che non deve mai essere vissuta come "separazione" dal
mondo dei "Gentili". In uno dei miei libri, L'oblio, (Bompiani), il
protagonista sintetizza cosi' il suo essere ebreo: "Se sono ebreo, sono un
uomo. Se non lo sono, non sono nulla. Solo cosi' potro' amare il mio popolo
senza odiare gli altri". Questo mi ripetevo allora, nei giorni di
Buchenwald, quando i nostri aguzzini volevano cancellare la nostra
identita', prima di negarci la vita, per ridurci solo a numeri, quelli
marchiati a fuoco sulle nostre braccia. Ma non ci sono riusciti: hanno
ucciso sei milioni di ebrei ma non sono riusciti a cancellare la nostra
identita'. Ed e' per questo che oggi, nella Giornata della Memoria, posso
dire con il mio Malkiel (il protagonista dell'Oblio, ndr.): e' proprio
perche' amo il popolo ebraico che trovo in me la forza per amare quelli che
seguono altre tradizioni. Un ebreo che nega se stesso non fa che scegliere
la menzogna.
*
- Umberto De Giovannangeli: Signor Wiesel, per chi ha vissuto l'esperienza
dei lager nazisti ha un senso la parola "perdono"?
- Elie Wiesel: E' la domanda che ha accompagnato la mia esistenza di
sopravvissuto. Ma parole come perdono o misericordia non trovano posto
nell'inferno di Auschwitz, di Buchenwald, di Dachau, di Treblinka... No, non
e' possibile perdonare gli aguzzini di un tempo e coloro che ancora oggi ne
esaltano le gesta. In questi sessantatre anni, ho pregato piu' volte Dio e
la preghiera e' la stessa che recitavo quando ero rinchiuso nel lager: "Dio
di misericordia, non avere misericordia per gli assassini di bambini ebrei,
non avere misericordia per coloro che hanno creato Auschwitz, e Buchenwald,
e Dachau, e Treblinka, e Bergen-Belsen... Non perdonare coloro che qui hanno
assassinato. Ma questo non vuol dire condannare per sempre il popolo
tedesco, perche' noi ebrei, le vittime, non crediamo nella colpa collettiva.
Solo il colpevole e' colpevole.
*
- Umberto De Giovannangeli: Dal passato che non passa, ad un presente
inquietante. Lei ha usato parole durissime contro il presidente iraniano
Ahmadinejad. Perche'?
- Elie Wiesel: Perche' costui, nel ridicolizzare le verita' storicamente
accertate, nell'offendere la memoria dei sopravvissuti all'Olocausto ancora
vivi, glorifica l'arte della menzogna. Da numero uno dei negazionisti al
mondo, da antisemita con una mente disturbata, dichiara che la "soluzione
finale" di Hitler non e' mai esistita. E non basta. Secondo Ahmadinejad, non
c'e' stato un Olocausto nel passato, ma vi sara' nel futuro. Elucubrazioni
di un fanatico? Si', ma il fanatico si rivolge a folle che plaudono alle sue
idee. Parole vuote? Lui non parla per nulla. Sembra impegnato nel mantenere
le sue "promesse". Sarebbe un errore mettere in dubbio la sua
determinazione. Una persona non predica odio per niente. Appartengo a una
generazione che ha imparato a prendere sul serio le parole del nemico. Anche
perche' queste parole sono accompagnate da fatti: chi c'e' dietro
l'organizzazione terrorista degli Hezbollah? L'Iran. L'Iran li fornisce di
tutte le armi piu' sofisticate e degli ufficiali che addestrano le loro
milizie. Ma cosa vogliono gli Hezbollah? Concessioni territoriali? No. La
creazione di uno Stato palestinese che viva fianco a fianco con Israele,
cosa che personalmente mi auguro? No. L'unico obiettivo di questo
movimento - e del presidente iraniano - e' la distruzione di Israele. Ecco
perche' io sostengo che Ahmadinejad non puo' avere un posto nel panorama dei
leader politici internazionali. Dovrebbe diventare "persona non grata", per
quello che sta facendo al suo Paese, al suo popolo, a tutta l'umanita'.
*
- Umberto De Giovannangeli: Nella sua visita in Israele, il presidente Usa
Bush, al museo dello Yad Vashem, si e' chiesto perche' gli Alleati non
avessero bombardato prima Auschwitz. Secondo un filone storiografico, cio'
non avvenne perche' gli Alleati temevano che bombardando avrebbero ucciso
migliaia di prigionieri del campo.
- Elie Wiesel: Questa motivazione non regge. Prima pero' mi lasci dire che
ho molto apprezzato le parole del presidente Bush. Il suo e' stato un atto
di coraggio che e' mancato ai suoi predecessori...
*
- Umberto De Giovannangeli: Lei parlava di una scusa...
- Elie Wiesel: Io ero ad Auschwitz. E posso dirle che ogni volta che assieme
ai miei compagni di sventura sentivamo gli aerei sorvolare Auschwitz,
pregavamo che bombardassero: sarebbe stata una morte preferibile alle camere
a gas. La verita' e' che non solo gli angloamericani ma anche i russi,
avrebbero potuto bombardare i binari della ferrovia che portava ad
Auschwitz. In tal modo si poteva salvare la vita di decine di migliaia di
ebrei. Cosi' non e' stato. E credo che il rimorso per non aver dato l'ordine
di bombardare abbia accompagnato i responsabili per tutta la loro vita.

5. RIFLESSIONE. UMBERTO DE GIOVANNANGELI INTERVISTA ABRAHAM YEHOSHUA
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 27 gennaio 2008 col titolo "Yehoshua:
l'Europa ci aiuti a battere l'antisemitismo anche nell'Islam" e il sommario
"Non nego la gravita' degli altri genocidi, Ruanda o Cambogia, ma temo che
lo specifico di ognuno sia offuscato. Olmert, su Gaza pensa ai 'padri' che
non ritennero debolezza ma forza la ricerca di un'intesa".
Avraham (Abraham) B. Yehoshua, scrittore israeliano nato a Gerusalemme nel
1936, docente di letteratura comparata all'Universita' di Haifa, e'
impegnato per la pace e i diritti umani. Tra le opere di Abraham B.
Yehoshua: i suoi romanzi sono: L'amante (1977), Un divorzio tardivo (1982),
Cinque stagioni (1987), Il signor Mani (1990), Ritorno dall'India (1994),
Viaggio alla fine del millennio (1997), La sposa liberata (2002), Tre giorni
e un bambino (2003) e Il responsabile delle risorse umane (2004), tradotti
in Italia da Einaudi, che ha anche pubblicato Il lettore allo specchio
(2003), Tutti i racconti (1999), i saggi Il potere terribile di una piccola
colpa, Etica e letteratura (2000), la commedia Possesso (2001), gli articoli
Diario di una pace fredda (1996) e il saggio Antisemitismo e sionismo
(2004). Presso altri editori italiani sono apparsi: Il poeta continua a
tacere, La Giuntina, Firenze 1987, poi anche Mondadori e Leonardo; Elogio
della normalita', La Giuntina, Firenze 1991; Ebreo, israeliano, sionista:
concetti da precisare, Edizioni e/o, Roma 2000 (saggio estratto da Elogio
della normalita')]

La forza della memoria nella Giornata della Memoria. Una cavalcata nel
tempo. Per non dimenticare. E' quella condotta dal piu' grande scrittore
israeliano contemporaneo: Abraham Bet Yehoshua.
*
- Umberto De Giovannangeli: Oggi viene commemorata in Europa la Giornata
della Memoria. Qual e', ai suoi occhi, il valore di questo evento?
- Abraham Yehoshua: Ho un grande rispetto per questa decisione dell'Europa,
e penso sia giusto che la commemorazione della Shoah avvenga proprio la',
nei luoghi, nelle strade, nelle foreste, in cui tutto cio' e' fisicamente
avvenuto. La Shoah non e' una questione limitata alla Germania. I popoli
europei che vi hanno preso parte sono molti, ed e' quindi giusto che questa
consapevolezza penetri nelle coscienze di tutti gli europei. Penso poi che
sia giusto dare una propria identita' ad ognuna delle tragedie che rientrano
nella triste categoria del genocidio. E sia chiaro che dico questo non per
diminuire la gravita' degli altri genocidi - come ad esempio quelli avvenuti
in Ruanda o in Cambogia - ma per evitare che la specificita' di ognuno di
questi venga offuscata o confusa. La specificita' della Shoah sta - fra
l'altro - nella sua incomprensibilita', a meno che non si faccia un
semplicistico ricorso alla malvagita' umana. Nel caso degli ebrei, non
questioni territoriali, ideologiche, etniche, economiche o religiose hanno
rappresentato il sostrato del genocidio, come e' avvenuto in tutti gli altri
casi. Gli ebrei europei aspiravano all'integrazione nelle societa' in cui
vivevano; non rappresentavano alcuna minaccia teologica o religiosa ne' per
le societa' piu' vicine alla religione ne' tanto meno per un regime come
quello nazista che era laico e perfino anticlericale; economicamente
parlando, lo sfruttamento degli ebrei vivi sarebbe senz'altro stato
enormemente piu' vantaggioso rispetto all'annientamento deciso nei loro
confronti. L'inafferrabilita' delle motivazioni che hanno portato alla Shoah
non puo' che rafforzare l'idea che - dopo quanto e' avvenuto - solo il
popolo ebraico puo' essere responsabile del proprio futuro.
*
- Umberto De Giovannangeli: Quindi Israele come patria del popolo ebraico e'
l'unica soluzione all'antisemitismo?
- Abraham Yehoshua: E' cosi'. Le nazioni europee lo avevano gia' cominciato
a capire prima dell'Olocausto, ma purtroppo non abbastanza da precederlo.
Dopo la Shoah in parte per convinzione e in parte per l'orrore di cui erano
stati testimoni, tutti - tanto l'Europa occidentale quanto quella
orientale - in un periodo molto problematico dei loro rapporti, hanno avuto
fra i pochi punti di concordia, il supporto alla nascita e allo sviluppo
dello Stato d'Israele. Avevano visto a che cosa aveva portato
l'antisemitismo, ne sono rimasti inorriditi e hanno compreso che
l'antisemitismo non era da combattere solo per salvare le vittime dalla
propria sorte di vittime, ma anche per salvare i carnefici dalla propria
sorte di carnefici.
*
- Umberto De Giovannangeli: E la Giornata della Memoria deve aiutare ad
approfondire questo aspetto della Shoah?
- Abraham Yehoshua: Questo e tanti altri. Il valore dell'assunzione di
responsabilita' e' importante ma soprattutto per quanto concerne
l'approfondimento del significato degli atti del proprio popolo, della
comprensione delle motivazioni per cui le cose sono avvenute. In quanto a
noi ebrei, dobbiamo scavare nella nostra identita' per capire in che modo la
nostra presenza nella storia possa avere creato quell'oscuro spazio
ideologico che e' stato colmato da quelle idee insane e farneticanti che
sono state fatte proprie da tanti e che hanno portato alla tragedia
dell'Olocausto. Ma di quella tragedia c'e' un aspetto che non va
sottovalutato.
*
- Umberto De Giovannangeli: Quale?
- Abraham Yehoshua: Riusciamo a capire meglio l'uomo, dopo l'Olocausto. E'
vero, abbiamo sempre saputo che l'uomo e' capace di compiere il male piu'
efferato e il bene piu' straordinario; ma nonostante questo l'Olocausto ci
ha svelato un nuovo abisso di male a cui l'uomo puo' giungere, ma anche la
forza della sua resistenza. Degli scheletri ambulanti nei campi di
concentramento, che da un punto di vista biologico dovevano quasi
considerarsi come morti, davano ancora delle prove di moralita', dividendo
con gli altri l'ultimo pezzo di pane che restava. Dalla disperazione piu'
tremenda puo' percio' nascere anche la speranza. Noi che siamo stati li', e
che ne siamo usciti, possiamo e secondo me dobbiamo alzare il vessillo della
fede nell'uomo.
*
- Umberto De Giovannangeli: Questo evento - la stessa decisione di celebrare
una Giornata della Memoria - e' senz'altro un passo importante sul piano
della memoria storica, ma i dati di indagini riportano che, nonostante
tutto, l'antisemitismo e' in espansione. Quali misure si aspetta dall'Europa
per debellare questo virus?
- Abraham Yehoshua: Sono preoccupato del fatto che, purtroppo, il virus
dell'antisemitismo non e' stato debellato. Si e' indebolito; oggi non puo'
mostrarsi in tutta la sua virulenza perche' considerato inadatto,
sconveniente; ma nelle sue nuove mutazioni continua ad essere presente e a
lanciare anatemi e accuse spesso ingiuste contro Israele. Io sono il primo a
sollevare critiche sugli errori dei governi israeliani, ma nello stesso
tempo individuo spessissimo in molti degli attacchi portati a Israele cose
che con le divergenze politiche non hanno nulla a che fare e che riportano
invece a meccanismi che vorremmo cancellati. So che debellare completamente
l'antisemitismo e' un obiettivo proibitivo. Ma non lo e' il combatterlo
sotto ogni sua forma. L'Europa lo deve combattere con tutta la sua forza.
Non per il bene degli ebrei ma per il proprio bene. Per la salute delle
proprie societa'. Per non permettere che questo virus si espanda e colpisca
le parti vitali del proprio organismo. La Giornata della Memoria ha dietro
di se' una storia breve, ma mi sembra gia' di individuare la sua importanza.
Una importanza che non sta, ovviamente, nelle cerimonie che avvengono quel
giorno, ma in tutto quello che c'e' intorno, che la prepara: le azioni
educative; la trattazione dell'argomento da parte dei mass media. Con il
bombardamento di informazioni che ognuno vive ogni giorno, solo un
approfondimento morale e intellettuale del tema ha la possibilita' di
penetrare il cuore e le menti. E gli ebrei continueranno ad aggiungere a
questo approfondimento il proprio lutto, individuale e di popolo.
*
- Umberto De Giovannangeli: Oggi - con tutte le divergenze politiche
esistenti e perfino con il sopra ricordato aumento dell'antisemitismo -
l'Europa non e' certo ostile a Israele. I pericoli all'esistenza di Israele
vengono da altre direzioni, soprattutto dall'Islam radicale e
fondamentalista, che spesso abbraccia le tesi negazioniste sull'Olocausto.
Come va trattato questo singolare antisemitismo?
- Abraham Yehoshua: In questo sta il doppio impegno dell'Europa. Capire per
se stessa - per il proprio passato e per il proprio futuro - e dall'altra
parte aiutare altri - in questo caso il mondo islamico e arabo - a capire
fin dove puo' portare l'estremizzazione. Il Museo dell'Olocausto di
Gerusalemme - lo Yad Vashem - ha messo in rete alcuni giorni fa il proprio
sito in arabo. E' un'iniziativa lodevole, importante, ma che avra' un senso
solo se sara' l'Europa a sostenere la tesi della pericolosita'
dell'antisemitismo per le societa' che vogliono progredire civilmente. Solo
l'Europa puo' convincere il mondo arabo degli effetti distruttivi della
demonizzazione e della volonta' di annientare un altro popolo. E qui entra
in gioco la politica. Ma quella buona; quella che potrebbe portare alla
soluzione del conflitto fra arabi e israeliani. Con un'Europa che nella sua
equidistanza faccia capire al mondo arabo la legittimita' dell'esistenza di
Israele come patria del popolo ebraico, e a Israele la necessita' di dare ai
palestinesi un proprio Stato in cui non ci sia alcuna sua ingerenza nelle
loro vite. Dopo aver giocato durante la Shoah il ruolo di portatrice di
guerra, l'Europa deve ora cercare di essere portatrice di pace. L'impegno in
Libano alimenta questa speranza.
*
- Umberto De Giovannangeli: Il tema della pace ci porta alla piu' stretta
attualita'. E al dramma di Gaza. Come uscirne?
- Abraham Yehoshua: Con una tregua. Da negoziare. Subito. Non vedo altre
strade, ne' per noi, tanto meno per i palestinesi. Sia chiaro: lungi da me
sottovalutare le responsabilita' pesantissime che i capi di Hamas hanno
nell'aver determinato questa situazione. Penso che quell'umanita' disperata
che si trascina in Egitto alla ricerca di cibo debba chiedere conto dei
propri patimenti ai leader di Hamas. I lanci continui, martellanti, di razzi
contro Sderot, Ashqelon e le altre citta' del sud di Israele sono alla base
di questa situazione. Riconosciuto cio', resto convinto che la risposta
militare, da sola, sia una non risposta. Con Hamas occorre ricercare un
cessate il fuoco. E non vale il discorso, riproposto piu' volte dal primo
ministro Ehud Olmert, che Israele non negozia con chi non ci riconosce o
vuole distruggerci. Non vale perche' e' la storia a smentirlo. La storia
d'Israele, dalla sua fondazione ai giorni nostri, e' segnata da guerre ma
anche da accordi fatti con chi non nascondeva, e spesso praticava, il
proposito di rigettare a mare gli ebrei. A Olmert dico: segui l'esempio non
solo di un padre della patria, come David Ben Gurion, ma anche di leader
conservatori, come Menachem Begin, che non considerarono prova di debolezza,
ma semmai di forza, la ricerca di un accordo, fosse anche una tregua, con il
nemico.
*
- Umberto De Giovannangeli: In ultimo, tornerei sul valore della memoria. In
un suo libro, lei ha affermato, cito testualmente, che "come figli delle
vittime, ci incombe l'obbligo di enunciare al mondo alcuni insegnamenti
fondamentali". Qual e' quello piu' attuale?
- Abraham Yehoshua: La profonda repulsione, il rigetto piu' fermo, per il
razzismo e per il nazionalismo oltranzista. Abbiamo visto sulle nostre carni
il prezzo del razzismo e del nazionalismo estremisti, e percio' dobbiamo
respingere queste manifestazioni non solo per quanto riguarda il passato e
noi stessi, ma per ogni luogo e per ogni popolo.

==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 172 del 13 luglio 2008

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it