Minime. 500



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 500 del 28 giugno 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Dijana Pavlovic: L'impronta del razzismo
2. Elena Ribet intervista Anna Bravo
3. Bobby Ghosh: Storia di Hasna
4. Maria Serena Palieri intervista Simonetta Agnello Hornby (2004)
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. DIJANA PAVLOVIC: L'IMPRONTA DEL RAZZISMO
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 27 giugno 2008 col titolo "Schedatura etnica.
L'impronta del razzismo".
Dijana Pavlovic e' nata nel 1976 in Serbia, vi ha vissuto e studiato fino al
'99, laureandosi a Belgrado; dal 1999 vive e lavora a Milano; e' attrice
drammatica, docente, mediatrice culturale]

Egregio signor Maroni, ministro dell'Interno,
Lei annuncia che verranno "censiti" i bambini rom, ma ci rassicura non sara'
una "schedatura etnica", solo un semplice "censimento che riguardera' tutti
i nomadi che vivono in Italia, minori compresi".
Che io sappia, quando si fa un censimento questo riguarda tutti i cittadini
dello Stato, lo si fa secondo certe modalita' uguali per tutti e con
finalita' chiare a tutti. Ma Lei per censimento intende forse entrare in un
campo con 70 poliziotti, carabinieri, vigili urbani in assetto antisommossa
e un furgone della polizia scientifica per rilevare le impronte digitali
alle cinque di mattina della famiglia Bezzecchi, 35 cittadini italiani,
senza precedenti penali?
Questo e' ben altra cosa. Si chiama schedatura etnica e lo sappiamo bene
perche' l'abbiamo gia' vissuto nel passato. E dunque e' in atto una
schedatura su base etnica che vuol dire che si sta creando un archivio
parallelo. A cosa servira' l'archivio Rom? Nel passato, l'archivio che aveva
creato l'"Ufficio di polizia per zingari" di Monaco, che aveva schedato ed
arrestato piu' di 30.000 Rom tra il '35 e il '38, e' passato all'Rkpa di
Berlino, cioe' alla Centrale di polizia criminale del Reich, sotto il
controllo diretto di Himmler, il quale l'8 dicembre '38 ha emanato il
Zigeunererlass, decreto fondamentale nella storia dello sterminio zingaro,
perche' ha stabilito che, "in base all'esperienza e alle ricerche
biologico-razziali, la questione zingara andava considerata una questione di
razza".
Ma, se possibile, mi inquieta di piu' il Suo annuncio che i primi a essere
schedati saranno i minori e se sorpresi a elemosinare saranno sottratti ai
loro genitori. Un vero e proprio atto di violenza e discriminazione che
nessuna questione di sicurezza puo' giustificare, tanto piu' se si considera
che dei 152.000 rom presenti in Italia, secondo lo stesso Ministero degli
Interni, la meta' ha meno di 16 anni. Senza tener conto che in Italia sotto
i 14 anni non si e' punibili e che in questo modo si criminalizza un intero
popolo, senza distinzione. Come accade con gli adulti, cosi' anche le
migliaia di bambini Rom che vanno a scuola, che cercano faticosamente di
aprirsi una strada verso un futuro "normale", per Lei sono pericolosissimi
criminali da schedare e da tenere d'occhio.
Non e' anticostituzionale, illegale e contro la Convenzione dell'Onu sui
diritti dei fanciulli?
Ma a Lei dovrebbe importare della legge e del diritto, oppure e' solo
importante solleticare il ventre del Suo popolo? Prendersela con dei
bambini, anche se rubano o chiedono l'elemosina e' molto piu' facile che
avere a che fare con la piu' potente organizzazione criminale, la
'ndrangheta, che e' padrona del territorio negli ordinati vialetti della sua
Varese, come in tutta la Lombardia e il nord Italia. Secondo i dati della
commissione antimafia e dell'Eurispes questi bravi adulti hanno un fatturato
annuo di 36 miliardi di euro (altro che finanziarie di Tremonti), tra
traffico di droga, appalti, traffico d'armi e altri sciocchezze certo molto
meno gravi dei furtarelli di qualche ragazzino. Ma questo avveniva anche
pochi anni fa: cosa c'era di piu' facile di prendersela con ebrei e zingari?
Nessuno di loro reagiva e l'ordine era garantito.
Certo, Lei quando ci annuncia queste cose, sorridendo serafico dai salotti
tv parlando di sicurezza, forse non pensa ai forni crematori che invece
molti Suoi simpatici seguaci in camicia verde invocano impunemente nelle
ronde e negli agguati agli "zingari", ma forse a nuove forme di campi di
concentramento si'. Mi fa venire i brividi la Sua rassicurazione che questo
serve a garantire ai bambini rom "condizioni dignitose" in piena attuazione
dei patti di sicurezza di alcune citta'. In questi ghetti moderni uomini,
donne e bambini di etnia rom, che siano cittadini italiani, comunitari o no,
verranno sottoposti alla segregazione di un regime speciale che viola
qualunque norma di diritto, di umanita' e perfino di buon senso e nega un
futuro dignitoso ai nostri bambini.

2. RIFLESSIONE. ELENA RIBET INTERVISTA ANNA BRAVO
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Demolire i soffitti
di cristallo. Con i regolamenti" e il sommario "Sessantesimo anniversario
della Costituzione. Noi donne siamo molto fedeli in politica, sopportiamo.
Finche' non si rompe questo discorso sulla fedelta' e non si vedono i propri
compagni di partito anche come una controparte, io penso che non si ottenga
molto".
Elena Ribet e' nata nel 1973 a Roma, dove attualmente vive e lavora
occupandosi della comunicazione per una onlus che promuove l'integrazione
delle persone con disabilita' intellettiva. Si interessa di ecumenismo,
teologia e integrazione culturale. Ha presieduto il convegno interreligioso
Religione, pace e violenza (5 e 6 aprile 2003, Mappano, Torino). Il suo
intervento "La Marialis Cultus: una lettura evangelica" e' inserito negli
atti del XV Colloquio Internazionale di Mariologia, Patti (Messina), 16 e 18
aprile 2004 (Edizioni Ami, Roma, 2005). Ha partecipato all'allestimento del
musical Israel, dove vai? di Daniel Lifschitz sulle vicende e contraddizioni
del popolo ebraico nella storia, curandone anche l'ufficio stampa. Collabora
con riviste e periodici fra cui il settimanale delle chiese evangeliche
battiste, metodiste e valdesi "Riforma" e il mensile "Noidonne". E'
vincitrice del quinto concorso Le donne pensano, le donne scrivono, sezione
poesia, promosso dalla Citta' di Torino, VI Circoscrizione, e dal Centro
Donna, ed e' stata pubblicata nell'antologia del premio. Opere di Elena
Ribet: Diario dei quattro nomi, Edizioni Joker, 2005.
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha
insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e
genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non
omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni
nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha
diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione
nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle
storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza
in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni
culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della
verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli,
Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991;
(con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della
deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone),
In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995,
2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999;
(con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne
nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra
Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia
contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna
2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008]

Sull'intreccio tra i principi costituzionali e i diritti delle donne abbiamo
intervistato Anna Bravo, storica e docente universitaria, che si occupa di
storia delle donne, di deportazione e genocidio, di resistenza armata e
resistenza civile.
*
- Elena Ribet: L'articolo 3 della Costituzione dice "Tutti i cittadini hanno
pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali".
- Anna Bravo: "Senza distinzioni di sesso". Lo dice, il buffo e' che nella
riga precedente dice "tutti i cittadini". E "cittadini", e' ovvio, e'
maschile plurale, non e' neutro. Questa e' gia' una bella contraddizione.
Allo stesso modo, quando la Costituzione parla di "lavoratori" sembra che il
"lavorare", il lavoro produttivo, sia legato a una caratteristica
tipicamente maschile. Sarebbe auspicabile che la Costituzione si riferisse,
intanto, a tutti gli esseri umani e non a tutti i "cittadini", in questo
senso. "Tutti gli esseri umani" e' la dizione della Dichiarazione universale
dei diritti umani del 1948; inoltre, si dovrebbe includere la variabile
dell'eta', perche' anche bambini e neonati devono avere accesso
all'uguaglianza. Infine il "senza distinzioni" andava applicato anche alle
predilezioni sessuali: queste non vengono citate per motivi complessi da
riassumere, ma molte discriminazioni si fondavano e si fondano proprio sulle
preferenze sessuali.
*
- Elena Ribet: Che ruolo hanno avuto le donne nella Costituzione?
- Anna Bravo: Un ruolo importante; le donne c'erano, non erano tante, ma
erano molto brave. C'erano donne di tutti i partiti, comuniste, cattoliche,
socialiste, che hanno spinto molto perche' fosse una Costituzione aperta;
aver inserito la frase sulla "distinzione di sesso" per allora era qualcosa
di molto significativo. Poi hanno contribuito a promulgare leggi importanti,
ad esempio Teresa Noce, che era una dirigente del Pci e una grande
sindacalista, promosse quella sugli asili nido e sulla maternita'; poi ci fu
la legge Merlin per l'abolizione delle case chiuse; queste sono leggi
importanti, nonostante in politica ci fosse un livello di partecipazione
femminile piuttosto basso.
*
- Elena Ribet: In 60 anni molte cose sono cambiate per le donne...
- Anna Bravo: Basti pensare al diritto di famiglia, pero' i nodi oscuri
rimangono. Pensiamo ad esempio alle carriere. E' ancora vero che le donne
fanno piu' fatica nelle carriere politiche e lavorative; e' vero che una
donna madre ha ancora piu' difficolta' e che si arriva all'eccesso di far
firmare una lettera di dimissioni in bianco alle ragazze, ancora oggi. C'e'
poi il problema reale, da vedere con molto equilibrio, della sicurezza, in
casa e fuori di casa. Molti di questi aspetti sono ancora da risolvere.
*
- Elena Ribet: Oggi la situazione per le donne e' molto instabile e
complessa, ad esempio nel mercato del lavoro e in politica. Quale puo'
essere il ruolo delle donne nella difesa e nell'attuazione della
Costituzione?
- Anna Bravo: Penso che bisogna essere piuttosto "dure" per far passare
certi concetti. Bisogna essere dure per rompere il soffitto di cristallo,
oltre il quale le carriere femminili non salgono; oppure nel caso della
politica, in cui ci sono signori ultraottantenni, senatori o deputati, che
si attaccano al potere. L'unico modo per le donne di riuscire e' quello di
essere molto decise. Basta un regolamento, non c'e' bisogno di fare
centomila leggi e tanto meno una Costituzione. Serve che non si conceda
troppo alla coesione di partito e di schieramento: essere meno fedeli,
insomma. Noi donne siamo molto fedeli in politica, sopportiamo. Finche' non
si rompe questo discorso sulla fedelta' e non si vedono i propri compagni di
partito anche come una controparte, io penso che non si ottiene molto.
*
- Elena Ribet: Vale la pena per le donne mettere al centro delle loro
odierne battaglie la difesa della Costituzione? Quali sono i principi e gli
articoli che le donne non devono consentire che siano modificati?
- Anna Bravo: Io direi che la cosa importante riguardo alla Costituzione e'
di prenderla in parola. Si parla di rimuovere gli ostacoli? Allora andiamo a
vedere come vengono rimossi. Si parla di protezione del lavoro? Andiamo a
vedere come viene protetto. Insomma, bisognerebbe comportarsi come se lo
Stato fosse davvero preoccupato dei suoi cittadini, pronto ad aiutare,
pronto a riconoscere diritti. Se consideriamo che tante cose sono cambiate e
guardiamo all'aspetto propulsivo che hanno avuto certe leggi, non vedo altra
strada se non essere ostinate e impegnare lo Stato con altrettanta fermezza
sulle cose che dice e poi non fa. Io non vedo il bisogno di modificare gli
articoli: la Costituzione e' il prodotto di un'epoca, e' un po' la nostra
tavola della legge. Il problema e' di vedere dov'e' che non funzionano le
cose, dov'e' che un determinato articolo non offre la via per arrivare dove
vogliamo arrivare. Facciamo un esempio: se anche si togliesse la dizione
riguardo all'essenziale "funzione familiare" della donna (art. 37, primo
comma: "La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parita' di lavoro,
le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro
devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e
assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione")
riconoscendo che la donna ha tante altre funzioni, il punto e' un altro.
Possiamo anche togliere o modificare quell'affermazione, ma l'importante
sarebbe di fare in modo che questa funzione (cioe' quella familiare) fosse
supportata, appoggiata, condivisa, e che non ci fossero piu' casi come
quello della ragazza che ha detto "guadagno poco, devo abortire". Sarebbe
importante che la societa' fosse accogliente. A questo punto non importa che
rimangano degli articoli che magari a noi non piacciono: l'importante e' che
si facciano leggi giuste e che si applichino.

3. MONDO. BOBBY GHOSH: STORIA DI HASNA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo del 22
giugno 2008 di Bobby Ghosh, apparso sulla rivista "Time" col titolo "La
stupida donna ce l'ha fatta".
Bobby Ghosh e' corrispondente dall'Iraq per "Time"]

Nessuno ricorda che Hasna Maryi abbia mai aperto il Corano di famiglia.
Raramente frequentava la moschea, e diceva ad altri che l'imam locale era
lascivo. Percio' non e' stato l'estremismo religioso che ha condotto questa
abitante di un villaggio della provincia di Anbar a farsi saltare in aria ad
un checkpoint della polizia irachena.
La religione puo' non essere stata la sua motivazione, pure Hasna e' stata
una vittima volontaria dell'ultimissima tendenza della jihad, e cioe' l'uso
delle donne sui fronti della "guerra santa". Sebbene meno di 30 su circa
mille attentati suicidi commessi dalla fine ufficiale della guerra siano
attribuibili a donne, ufficiali iracheni e statunitensi sostengono che i
gruppi jihadisti stanno usando donne come bombe umane piu' di frequente, al
fine di oltrepassare pesanti cordoni di sicurezza (che sono la strategia
principale usata contro l'insorgenza). Domenica scorsa un'attentatrice
suicida ha ucciso 16 persone e ne ha ferite almeno altre 35 a Baquba. Solo
pochi giorni prima due uomini e quattro donne hanno fatto esplodere
un'autobomba in un affollato mercato di Baghdad, uccidendo 63 persone. In
ogni caso esaminato, le attentatrici sono riuscite a raggiungere il proprio
bersaglio, nonostante i dispositivi multipli di sicurezza. In una cultura
che proibisce ai poliziotti di sesso maschile di perquisire le donne, e che
nel contempo resiste all'arruolamento di donne nelle forze di sicurezza,
molte di esse arrivano facilmente ad obiettivi molto "appetibili", quali
appunto i mercati o le centrali di polizia. Possono arrivare senza controlli
dove nessun uomo oserebbe andare. Le bombe umane possono aver messo fine
alla propria vita nello stesso modo, ma sarebbe sciocco tirare conclusioni
sulle loro ragioni basandosi su una sola storia: pure, il modo in cui Hasna
si e' fatta saltare in aria getta un po' di luce sul circolo vizioso della
disperazione in cui alcune donne irachene si trovano. "Time" ha saputo della
storia di Hasna da sua sorella Sadiya e dalla loro madre Shafiqa, che ora
vivono nascoste in Siria (i nomi della suicida e dei suoi familiari sono
stati cambiati a loro richiesta). Alcuni aspetti della storia sono
impossibili da verificare, ma dettagli importanti combaciano con la versione
fornitami dalla polizia irachena di Anbar. L'esercito Usa mi ha solo
confermato che un'attentatrice suicida ha attaccato il checkpoint al
chilometro 5 il 23 luglio 2007.
Sadiya e Shafiqa hanno anche permesso a "Time" di visionare, ma non di
copiare, due dvd dati loro da un combattente di Al-Qaida: uno e' l'ultima
testimonianza di Hasna, l'altro e' la registrazione della sua missione
suicida. Il quadro che ne emerge e' quello di una donna un tempo forte,
condotta alla disperazione dalla sofferenza seguita alla morte del fratello,
Thamer. Costui ando' volontario come bomba umana al principio del 2007 ed
Hasna, che stravedeva per il fratello, lo aiuto' ossessivamente a
prepararsi. Una mattina di febbraio Thamer fu condotto al checkpoint del
chilometro 5 da alcuni altri jihadisti, ma una della cinture esplosive
detono' prima del tempo, uccidendo tutti i presenti sull'automobile. Hasna
sembro' impazzire: non perche' il fratello era morto, ma perche' non aveva
completato la sua missione. "Era pronta a sapere della sua morte", dice
Sadiya, "Ma l'idea che non sarebbe diventato un martire e' stato troppo, per
lei".
Hasna si chiuse in casa per una settimana, sino a che i vicini chiamarono
Sadiya, certi che la sorella fosse morta. Buttarono giu' la porta e la
trovarono, in stato semicomatoso e circondata da escrementi. Grazie alle
cure di Sadiya, Hasna si rimise un po' in salute, ma continuava ad essere
tormentata dalla vergogna per il fallimento di Thamer, a cui si riferiva
come al "martirio incompleto". Non ci volle molto prima che arrivasse alla
conclusione che l'unico modo per redimere il fratello era completarne la
missione. Poco dopo, Hasna contatto' i compagni del fratello con una
proposta. Se le fornivano una cintura esplosiva avrebbe fatto saltare in
aria il chilometro 5 lei stessa.
Il gruppo all'inizio era scettico. Non avevano mai lavorato con una donna, e
si sentivano sicuri che ad un certo punto avrebbe perso il controllo. Ma
Hasna li convinse con la sua insistenza, e cosi' la mandarono in Siria
affinche' fosse addestrata da comandanti jihadisti esperti e fornita di una
cintura esplosiva (la polizia irachena di Ramadi mi ha confermato che compi'
diversi viaggi in Siria). La volta successiva in cui Sadiya vide la sorella,
Hasna era resa frenetica dall'attesa. Le racconto' anche storie buffe sulle
sue esperienze siriane. Le credenze religiose proibivano ai jihadisti di
toccarla percio', disse, non avevano idea di come misurare la sua cintura.
Hasna si offri' di dar loro un suo reggiseno, ma prima bisogno' consultare
un imam per sapere se l'islam permetteva ad un uomo di toccare l'indumento
intimo di una donna.
Il mattino in cui si fece saltare in aria, nel luglio dell'anno scorso, vi
erano in servizio quaranta poliziotti (tutti uomini) al checkpoint. Alle
9.30 una Opel chiara si arresto' a circa cento metri dal posto di blocco, ne
lascio' uscire una passeggera e torno' indietro verso Ramadi. La donna era
bassa e ben piantata, indossava una lunga veste nera (l'abaya) ed era
velata. Mentre si avvicinava al checkpoint la donna sembro' inciampare
nell'abaya, e cadde. Secondo i testimoni, chiamo' gli agenti: "Soccorretemi,
mi sono ferita". Mentre due poliziotti si avvicinavano, la donna raggiunse
il grilletto all'interno della tunica e la cintura esplose immediatamente,
uccidendo i due agenti e ferendone seriamente un terzo. Una grossa palla di
fuoco colpi' un'auto parcheggiata al checkpoint, e i cinque civili al suo
interno ne risultarono gravemente ustionati.
Una settimana dopo la morte di Hasna, Sadiya ricevette i due dvd. Dice che a
stento riconosce come sua sorella la donna ripresa nel filmato: "E' Hasna,
ma e' Hasna senza Thamer", spiega, "Quando lui mori', lei divenne meta' di
se stessa, e nel video tu vedi solo meta' di lei". E' usuale per gli
attentatori suicidi registrare un filmato come testamento, o "wasiyeh": di
solito i filmati vengono postati sui siti web jihadisti. Vi si vedono gli
attentatori, mascherati, che recitano il Corano, esaltano le virtu' del
martirio e maledicono i loro nemici (tipicamente gli Usa) condannandoli
all'inferno.
Il wasiyeh di Hasna la mostra a volto scoperto, con i lunghi capelli scuri
sciolti. Guarda diritto in camera da presa e parla in tono basso, monocorde.
Sebbene non sembri consultare alcuna nota, il suo discorso dev'essere stato
preparato: non fa mai una pausa per raccogliere i pensieri. Il monologo,
lungo quindici minuti, parla solo del suo fratellino, di come fosse un bimbo
obbediente, e di come crebbe sino a diventare un giovanotto rispettoso, uno
che amava la sua famiglia e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per renderla
felice.
Hasna racconta aneddoti sulla bravura di Thamer a scuola, narra del suo
talento nel disegnare, della sua abilita' nel riparare elettrodomestici.
"Quando chiunque nel vicinato aveva un problema con il frigorifero o con la
tv, veniva da mio fratello", dice Hasna, "Era cosi' contento quando riusciva
ad aggiustare le cose". Non vi e' un solo riferimento religioso o politico
nell'intero monologo, il che spiega come mai non sia stato postato sui siti
jihadisti. Vi e' solo un fuggevole accenno alla presenza statunitense in
Iraq. "Quando gli americani arrivarono per la prima volta nel nostro
villaggio", racconta Hasna, "mio fratello fece un disegno dei loro mezzi e
lo diede al loro comandante. Costui fu molto impressionato da quanto
velocemente e accuratamente Thamer aveva disegnato l'immagine". Hasna
conclude con una dichiarazione semplicissima: "Ora vado a raggiungerlo in
paradiso".
L'altro video, girato dagli uomini che la condussero al checkpoint, mostra
Hasna che guarda impassibile dal finestrino sino a che l'auto non giunge in
prossimita' del chilometro cinque. Allora si vela e sistema la cintura
attorno alla vita prima di uscire. Uno degli uomini in macchina sussurra
"Dio e' grande!". Lei non risponde, ne' si volta indietro. Mentre l'auto si
allontana il video, girato attraverso il lunotto posteriore, la mostra
mentre avanza verso il posto di blocco. Presto la sua figura viene
inghiottita dalla polvere sollevata dall'automobile. Circa un minuto dopo si
vede un lampo e una colonna di fumo nero. "Dio e' grande!", dice il
cameraman, "La stupida donna ce l'ha fatta".

4. LIBRI. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA SIMONETTA AGNELLO HORNBY (2004)
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 6 settembre 2004 col titolo "Non chiamatela
Gattoparda".
Maria Serena Palieri (Roma, 1953) giornalista, dal 1979 scrive su
"L'Unita'", attualmente lavora alle pagine culturali e si occupa di
narrativa italiana e internazionale e mercato editoriale; ha collaborato con
diverse testate, tra cui "l'Espresso" e "Marie Claire", e' stata consulente
di Rai Educational e autrice-conduttrice per Radiodue; in campo editoriale
lavora anche come editor e traduttrice dal francese; un suo libro-intervista
con Domenico de Masi, Ozio creativo, sui tempi di vita, ha avuto quattro
edizioni (Ediesse, Rizzoli) ed e' stato pubblicato in Brasile da Sextante.
Simonetta Agnello Hornby e' nata a Palermo nel 1945 e vive dal 1972 a Londra
dove svolge la professione di avvocato ed e' presidente del Tribunale di
Special Educational Needs and Disability. Il suo studio legale nel quartiere
di Brixton lavora per lo piu' con le comunita' nera e musulmana. Opere di
Simonetta Agnello Hornby: La Mennulara, Feltrinelli, 2002; La zia marchesa,
Feltrinelli, 2004; Boccamurata, Feltrinelli, 2007]

"E' volgare come la Zia Marchesa. Cattiva come la Zia Marchesa. Si veste
male come la Zia Marchesa. Rossa di capelli, brutta, come la Zia Marchesa":
Simonetta Agnello Hornby spiega che il suo secondo romanzo, che s'intitola
appunto La zia marchesa, e' nato dal desiderio di riscattare la figura di
un'ava destinata, nei discorsi dei discendenti, a diventare la pietra di
paragone per ogni nequizia. Divenuta, nel male, proverbiale, probabilmente a
causa di un temperamento eccentrico. Visto che aveva gia' avuto la ventura
di ispirare una novella di Luigi Pirandello, Tutte e tre: storia d'una
signora che alleva come fosse suo il figlio di un'amante del marito e che,
quando lui muore, invita la mantenuta in casa. "E' un racconto che, quando
l'ho letto, non mi e' piaciuto, e' contro le donne", spiega. "In realta' non
era, quello della mia ava, un gesto generoso?". Cosi', ecco il nuovo romanzo
di questa avvocata agrigentina trapiantata da piu' di trent'anni in
Inghilterra, che si e' scoperta scrittrice a cinquantasei anni e, con il
primo titolo, La mennulara edito nel 2002 da Feltrinelli e arrivato alla
sesta edizione, si e' piazzata per mesi - a sorpresa - in testa alla
classifiche di vendita.
L'esordiente, quando fa il botto, sa di dover aver paura della gran prova:
l'opera seconda. La zia marchesa non deludera' chi ha letto con piacere La
mennulara. Anzi, diciamo che, in questo caso, se l'opera prima era un
romanzo originale ma sobrio, costruito con non frequente consapevolezza dei
propri mezzi di esordiente, l'opera seconda cresce e si ramifica come un
bell'albero poderoso. Simonetta Agnello Hornby, siciliana anglicizzata,
torna nella sua isola. Dal paese immaginario di Roccacolomba, dov'era
ambientata, negli anni Sessanta del Novecento, la vicenda della famiglia
Alfallipe governata da quella enigmatica figura di serva ribattezzata la
"mennulara" (la raccoglitrice di mandorle) eccoci, di nuovo,
nell'Agrigentino, ma nella seconda meta' dell'Ottocento, in pieno passaggio
dal regno borbonico all'unita' d'Italia. Di nuovo una serva, questa si
chiama Amalia e ci racconta la storia dei baroni Safamita di Serentini e
della bambina che ha tenuto a balia, Costanza, che sembrava destinata a
pagare per tutta la vita la "bruttura" dei suoi capelli rossi, come segnale
di una diversita' non redimibile. La lingua di Simonetta Agnello Hornby si
apre poi qui, sontuosa, a tutte la sonorita' del dialetto siciliano. E la
vicenda si dilata, tra l'Agrigentino e Palermo, a una coorte di personaggi:
gli aristocratici con i lori servi e accanto i "burgisi", la nuova classe in
attesa. In quei castelli, quei palazzi e quelle grotte si aggrovigliano
destini: storie di ricchezze e di alcolismo, amori e incesti, devozioni e
tradimenti.
Si pensera': un feuilleton. No, questa scrittrice - figlia di famiglia
aristocratica, i baroni Agnello, ma non esageratamente ricca, infanzia con
istitutrice privata fino alle scuole medie, poi studi di diritto a
Cambridge, matrimonio a Londra e un lavoro impegnato, importante, come
avvocata dei minori, per lo piu' con le famiglie di immigrati, e come
presidente del Tribunale di Special Educational Needs an Disability - taglia
la vicenda intrecciando con sapienza stilistica piani narrativi imprevisti.
E legge questi destini con occhio moderno, laico.
*
- Maria Serena Palieri: Lei sara' a Mantova, al Festivaletteratura. Alla
vigilia, e' in Sicilia, con la sua famiglia. In quale situazione?
- Simonetta Agnello Hornby: Sono a Mose', vicino ad Agrigento, con figli e
nipoti. E' la casa di campagna dove mio padre mi portava da piccola ogni
estate e dove mi rimproverava se non parlavo in siciliano con i figli dei
contadini. Salvo, quando tornavamo in citta' a settembre, rimproverarmi se
non parlavo in italiano. C'e' mia madre. Le ho dato il libro che mi e'
appena arrivato. Mentre scrivevo questo romanzo mi diceva "a Costanza non
puoi dare un raggio di sole?". Ma era un mondo intero di infelici, quello, a
quell'epoca. E in fondo Costanza ha la capacita' di costruirsi, con gli
anni, una serenita' a propria misura.
*
- Maria Serena Palieri: Erano infelici, i nobili come i servi, perche'
schiavi delle consuetudini sociali?
- Simonetta Agnello Hornby: Non potevano mai essere se stessi. L'infelicita'
nasceva da quella durezza.
*
- Maria Serena Palieri:  E' una fissita' di classi che lei ha sperimentato
in prima persona?
- Simonetta Agnello Hornby: No, poco, quello e' l'Ottocento. Quella che e'
rimasta uguale e' la vita di campagna, come la descrivo nel romanzo. E ho
vissuto, ma non in modo cosi' esasperato, quei rituali del lutto. Conosco,
anche, due o tre persone che hanno avuto il matrimonio combinato. Una mia
cugina di recente mi raccontava di una sua amica che s'era innamorata del
figlio di un contadino, lui fu radiato dal paese, ando' al Nord e divento'
medico, ma quando lei, alla morte della madre, e' tornata a casa, e' stata
cacciata dai fratelli. Ancora nel 2004: una situazione inconcepibile.
*
- Maria Serena Palieri: Eppure, i tabu' si ripetono: non e' quello in cui
incorre oggi chi si innamora dell'immigrato?
- Simonetta Agnello Hornby: Si', e' come innamorarsi oggi di un tunisino.
*
- Maria Serena Palieri: Campeggia, nei suoi due libri, il rapporto ambiguo e
potente che lega i padroni ai loro servi. Con un'eco di Losey: il servo che
e' l'altra faccia del padrone e il custode dei suoi segreti. Perche' e'
cosi' propensa a questo tema?
- Simonetta Agnello Hornby: Nel nostro mondo era un rapporto comunissimo,
quello con persone di servizio che, per generazioni, stavano dentro la
famiglia, anche se a distanza. Erano famiglie parallele. Mia madre, ultima
tra i suoi fratelli, e' stata la prima a essere allattata da sua madre: il
baliatico e' finito con la seconda guerra mondiale. Era un rapporto
difficile, sempre, ma con le sue norme non scritte. Funzionava ed era bello.
E non era esattamente subalterno: il servo dice cose importanti ai suoi
padroni, il padrone lo protegge. Specie nella piccola aristocrazia c'era
questa consuetudine di vita in comune, in simbiosi. Nel suo essere un
sistema sbagliato pure germinava forme d'affetto.
*
- Maria Serena Palieri: Sia la Mennulara, nel primo romanzo, che Amalia, in
questo secondo, vengono pero' accusate dai parenti di essersi snaturate, di
aver imparato a parlare come i padroni, in un modo incomprensibile ormai ai
loro uguali. Questo e' bello?
- Simonetta Agnello Hornby: No, questo e' terribile. Io, vede, l'ho visto
succedere in tutt'altro luogo in questi anni: tra i giovani che lavorano a
Londra nella City e che hanno accesso a ricchezze incredibili. Quando vanno
in pensione, e ci vanno giovanissimi, non si ritrovano piu'. Erano abituati
al lavoro sfrenato, a finire alle tre di notte e a ordinare a quell'ora la
cena nel ristorante piu' fastoso. Dopo, devono misurarsi, e non ce la fanno.
Mio figlio maggiore, ha trentacinque anni, lavorava alla City. Abbiamo
dovuto ridimensionarlo.
*
- Maria Serena Palieri: Il suo primo romanzo si svolgeva nella Sicilia che
assaggiava la modernita' del Cynar e degli sceneggiati in tv. Questo, in
quella che passa dai Borbone ai Savoia. Che cosa le suggeriscono le epoche,
come queste, di transizione?
- Simonetta Agnello Hornby: Non lo sono tutte le epoche? Sono arrivata a
questa conclusione pensando in quale ambientare La zia marchesa. Avrei
potuto ambientarla a fine Settecento, mi sarebbe piaciuto, ed era un'epoca
che fu un susseguirsi di rivoluzioni. Oppure a inizio Novecento, e sa che
sconquasso dovette essere la prima guerra mondiale? In realta' questa, dopo
la spedizione di Garibaldi, e' l'eta' piu' tranquilla. Si', c'e' la
rivoluzione del '66, i fasci siciliani...
*
- Maria Serena Palieri: E' inevitabile pensare all'altro libro ambientato
nella Sicilia di quegli anni, Il gattopardo. Ma anche a un altro romanzo, Il
cigno, in cui Sebastiano Vassalli ha raccontato un omicidio
mafioso-istituzionale che anche lei evoca, il delitto Notarbartolo. Qual e'
il suo rapporto con questi antecedenti?
- Simonetta Agnello Hornby: Vassalli non lo conosco, il libro non l'ho
letto. Il gattopardo muove da un'altra prospettiva: l'alta aristocrazia e il
rimpianto. Io, di rimpianto per quel mondo, non ne ho: come si fa ad averne?
E il baronello Domenico Sefamita, il mio personaggio, assomiglia solo in
apparenza al principe di Salina: il mio e' un uomo sensibile alle esigenze
degli altri e alle donne, ha una tolleranza enorme, come marito, arriva a
perdonare l'adulterio. Ha una sessualita' ambigua, poi, impensabile nella
Sicilia di quegli anni. E la modernita' l'affronta con spirito fattivo,
imprenditoriale. Il gattopardo e', mi sembra, un libro contemplativo.
*
- Maria Serena Palieri: Il baronello fa pero' un matrimonio dal sapore
d'incesto: sposa la figlia di suo fratello. E' un segno di decadenza?
- Simonetta Agnello Hornby: Sa che io ho annesso sapore d'incesto a questo
matrimonio, solo parlandone con i miei amici inglesi? Conosco tanti zii, in
Sicilia, che hanno sposato le loro nipoti: figli minori di famiglie numerose
che hanno sposato la figlia del fratello maggiore, quasi un coetanea.
*
- Maria Serena Palieri: Vuol dire che la sorpresa antropologica e' inutile
cercarla lontano, ce la ritroviamo in casa?
- Simonetta Agnello Hornby: Si'.
*
- Maria Serena Palieri: In questo romanzo la modernita' che arriva, sembra
legata implacabilmente alla mafia e alla sua crescita.
- Simonetta Agnello Hornby: E questo e' sconvolgente. Nel fare le ricerche
ho capito che tutto quello che e' successo in Sicilia negli ultimi vent'anni
era gia' successo negli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento: il racket,
la gente onesta che se ne andava, le commissioni parlamentari d'inchiesta e
le leggi a favore dei mafiosi. Tutto e' fiorito con l'unita' d'Italia. E
niente e' cambiato.
*
- Maria Serena Palieri: Davvero lei e' esplosa come scrittrice oltre i
cinquant'anni? Davvero prima non scriveva?
- Simonetta Agnello Hornby: Scrivevo solo come avvocato. La maggior parte
dei miei clienti sono accusati di aver trascurato i figli e io dovevo
scrivere le loro storie, cercando di dimostrare il perche' e, se e' cosi',
che sono disposti a cambiare.
*
- Maria Serena Palieri: Ora invece la sua vita e' invasa dalla scrittura?
- Simonetta Agnello Hornby: Dal 2000 mi ha scompigliato tutti i piani.
Procedevo bene con i miei tre lavori, di avvocato, di bannister e di
giudice, coi miei tre nipoti e il prossimo in arrivo. Avevo in mente una
ricerca sul diritto di famiglia islamico, dopo quella che abbiamo gia'
realizzato col mio studio sul diritto caraibico. Perche' i miei clienti
hanno bisogno di sentire che quando mi parlano io li capisco. Qualcosa
dovro' lasciare.
*
E, Simonetta Agnello Hornby lo dice, non sara' la scrittura.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 500 del 28 giugno 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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