Minime. 432



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 432 del 21 aprile 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Una sinistra unita e plurale
2. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
3. Antonella Litta: Una segnalazione al prefetto di Viterbo
4. Jack Goody: Un estratto da "Il furto della storia"
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA SINISTRA UNITA E PLURALE

Una sinistra unita e plurale e' possibile, ma e' possibile ad alcune precise
condizioni.
1. Che si opponga alla guerra e al razzismo.
2. Che si opponga al patriarcato e al femminicidio.
3. Che si opponga alla distruzione della biosfera.
4. Che si opponga ai poteri criminali e al regime della corruzione.
5. Che si opponga allo sfruttamento onnicida.
6. Che difenda tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani.
*
I partiti politici che hanno governato l'Italia negli ultimi due anni nella
loro concreta ed effettuale azione di governo non hanno adempiuto a nessuna
di queste condizioni.
Non e' con quel personale politico che si puo' fare una sinistra, ne' unita
e plurale, ne' sparpagliata e singolare.
Singolare come la pretesa di quel personale politico, le cui mani grondano
del sangue delle vittime della guerra e del razzismo, di voler rappresentare
la sinistra italiana, quando dalla sinistra come movimento storico di lotta
delle oppresse e degli oppressi per la liberazione del'umanita' e la
salvaguardia dell'unica casa comune, quei messeri sono usciti nel momento
stesso in cui alla guerra - nemica dell'umanita' -, e al razzismo -
ideologia dei protervi e degli imbecilli -, si sono asserviti.
*
Diceva Iaiotto a Scarpante: Oh, che brutte parole che dici, fratello.
Rispondeva Scarpante a Iaiotto: Brutta, fratello, e' la realta' che vedo e
che descrivo.
Poi chiamavano l'oste della malora e si facevano un altro litro di rosso a
testa. E solo allora tornavano a intonare: Noi siamo gli ultimi del mondo...
*
Una sinistra unita e plurale e' possibile: se sara' femminista ed
ecologista, socialista e libertaria, antirazzista e antimafia. Povera e
sobria, responsabile e solidale. Internazionalista. Nonviolenta.

2. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per
molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per
la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza.
Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del
commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di'
chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

3. INIZIATIVE. ANTONELLA LITTA: UNA SEGNALAZIONE AL PREFETTO DI VITERBO
[Riportiamo la seguente lettera inviata il 19 aprile 2008 a varie
istituzioni locali da Antonella Litta, a nome dell'Associazione italiana
medici per l'ambiente.
Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla
realizzazione dell'aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di
medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in
Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica
presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione
di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani
sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato
sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11,
pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per
l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia).
Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale
ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni
medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi
africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di
programmi di solidarieta' nazionale ed internazionale. Presidente del
Comitato "Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla
pace, alla legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente]

Al prefetto di Viterbo, al direttore generale della Asl, al presidente
dell'Amministrazione provinciale di Viterbo, al sindaco del Comune di
Tuscania, al sindaco del Comune di Vetralla, al commissario prefettizio del
Comune di Viterbo, all'Arpa del Lazio - sezione di Viterbo, e per opportuna
conoscenza: all'assessore all'ambiente della Regione Lazio, all'assessore
all'ambiente della Provincia di Viterbo.
Oggetto: richiesta di messa in sicurezza e rimozione immediata di materiale
contenente amianto.
Egregi signori,
da diversi mesi sono state abbandonate lungo la via Vetrallese, in direzione
Tuscania, lastre di eternit composte da amianto, un noto e pericolosissimo
inquinante ambientale capace di provocare il cancro anche a distanza di
molti anni dalla esposizione ad esso.
Sollecitata da molti cittadini che non hanno visto alcun riscontro alle loro
precedenti segnalazioni, mi sono recata sul luogo indicato in data 19 aprile
2008, ed ho potuto constatare che il materiale giace in completo abbandono
senza alcuna indicazione della sua pericolosita' e senza alcuna misura che
lo ponga in sicurezza. Di questa pericolosissima situazione ambientale ho
provveduto a realizzare una documentazione fotografica.
Chiedo a tutte le autorita' competenti che siano adottate immediatamente le
misure necessarie per mettere in sicurezza l'area interessata e predisporre
il rapido allontanamento e l'idoneo smaltimento di questo materiale che
rappresenta una grave minaccia alla salute e all'ambiente.

4. RIFLESSIONE. JACK GOODY: UN ESTRATTO DA "IL FURTO DELLA STORIA"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 marzo 2008, col titolo "Orientamenti
obliqui per la freccia del tempo" e il sommario "La cultura occidentale si
e' appropriata del tempo e dello spazio e ha rivendicato (a torto)
l'invenzione di istituzioni come la democrazia: e' questa la tesi avanzata
da Jack Goody nel saggio Il furto della storia, in uscita per Feltrinelli.
Anticipiamo uno stralcio. Allo scopo di contrastare il carattere
etnocentrico di ogni tentativo di descrizione del mondo, e' necessario
elaborare una nuova metodologia che sia fondata su una prospettiva piu'
critica...".
Jack Goody e' uno dei piu' noti antropologi contemporanei. Ancora dal
quotidiano "Il manifesto" del 29 marzo 2008 riprendiamo anche la seguente
breve scheda ivi apparsa col titolo "Antropologia comparata. Fertili
intrecci fra Oriente e Occidente": "Conosciuto in Italia soprattutto per le
sue ricerche sulla famiglia e sulle forme di trasmissione culturale,
l'antropologo britannico Jack Goody e' nato nel 1919 e ha compiuto i suoi
studi presso l'universita' di Cambridge, dove e' attualmente Fellow al St.
John's College, dopo essere stato per molti anni William Wise Professor di
Antropologia Sociale. All'inizio della sua attivita' scientifica, Goody ha
condotto ricerche sul campo nel Ghana settentrionale e successivamente in
India e Cina meridionale. Analizzando in chiave comparativa l'evoluzione
delle strutture sociali, lo studioso si e' soffermato in particolare sulle
origini della scrittura considerata come una 'tecnologia dell'intelletto'.
Tra le sue numerose pubblicazioni, vale la pena citare almeno La famiglia
nella storia europea (Laterza 2000), L'ambivalenza della rappresentazione.
Cultura ideologia religione (Feltrinelli 2000) e Il potere della tradizione
scrittaª (Bollati Boringhieri 2002)". Dal sito della casa editrice
Feltrinelli riprendiamo la seguente scheda: "Jack Goody (1919) e' professore
emerito di Antropologia sociale presso l'Universita' di Cambridge e Fellow
del St. John's College. I suoi studi sulle origini della scrittura e sul suo
ruolo rispetto all'organizzazione sociale sono divenuti un classico
dell'antropologia. Ha inoltre messo in luce l'evoluzione delle strutture
familiari nella storia europea, ricostruendo in chiave comparativa il modo
in cui i diversi sistemi di parentela hanno inciso sulla razionalita'
economica in Occidente e in Oriente. Tra le sue pubblicazioni recenti: La
famiglia nella storia europea (Laterza 2000), L'ambivalenza della
rappresentazione. Cultura ideologia religione (Feltrinelli 2000), Il potere
della tradizione scritta (Bollati Boringhieri 2002)". Dalla Wikipedia,
edizione italiana, riprendiamo la seguente scheda (in alcuni punti ad un
tempo prolissa e frettolosa - e discutibile, ma comunque utile): "Jack
Rankine Goody (27 luglio 1919) e' un antropologo britannico. Formatosi al
prestigioso St. John College di Cambridge, partecipo' alle missioni in
Africa durante la seconda guerra mondiale e fu catturato dai tedeschi e
internato in un campo di concentramento a Sulmona. Rientrato in Inghilterra,
ispirato alla lettura de Il Ramo d'oro di James Frazer, decise di
intraprendere gli studi in antropologia sociale con Meyer Fortes a Cambridge
e si dedico' alla sua prima ricerca sul campo, destinata alla tesi
dottorale, in un'area attigua a quella del maestro, tra Costa d'Avorio,
Ghana e Burkina Faso (allora Alto Volta). A partire dalla seconda meta'
degli anni '50, Goody si dedica allo studio delle culture di questa regione,
in particolare lavora presso i Lodagaa, i Lowiili e i Gonja, pubblicando
numerosi saggi. Dal 1973 al 1985 e' professore emerito in antropologia
sociale all'Universita' di Cambridge, in questi anni i suoi interessi si
ampliano notevolmente, dalla famiglia, alla memoria, alla tradizione scritta
e a quella orale, esaminando fenomeni e dinamiche assai diversi tra loro.
Attualmente professore emerito nonche' membro del St. John College di
Cambridge, nel 2005 e' stato insignito del titolo nobiliare di baronetto.
L'antropologia britannica si e' sviluppata nella prima meta' del '900 grazie
alla compresenza di tre fattori decisivi: l'arrivo di Radcliffe-Brown ad
Oxford, l'esigenza di raccogliere dati etnografici attraverso la metodologia
malinowskiana e la presenza di un gruppo di giovani studenti, brillanti e
capaci, tra cui si ricordano in particolare Edward E. Evans-Pritchard e
Meyer Fortes. Le tesi dello struttural-funzionalismo si pongono in contrasto
rispetto a quelle sostenute dall'evoluzionismo, cercando di dimostrare la
razionalita' del sistema di pensiero "tribale": innanzitutto il concetto di
struttura sociale, intesa come trama complessa delle relazioni tra gli
individui appartenenti ad una medesima comunita' culturale, divenne il punto
di riferimento della Social Anthropology per individuare le funzioni
dell'agire sociale, indi dell'organizzazione che gli individui danno alla
societa' stessa. Appare piuttosto evidente l'influenza del pensiero di Emile
Durkheim che permette di fare una distinzione netta tra lo
struttural-funzionalismo di Radcliffe-Brown e il funzionalismo economico di
Malinowski. Nel primo caso, l'interesse era rivolto al valore epistemologico
della funzione sociale e il contributo piu' importante fu senz'altro quello
agli studi di parentela, anche se non mancarono affatto riferimenti ad altre
sfere culturali, come la religione e i sistemi politici. Le attivita'
dell'International African Institute di Londra, del Rhodes-Livingstone
Institute e dell'East African Institute of Social Research in Uganda
promossero le ricerche antropologiche di importanti esponenti della storia
della disciplina nell'ambito dell'africanistica (Audrey Richards, Meyer
Fortes, Daryll Forde, Max Gluckman, Victor Turner, i coniugi Wilson) sotto
la guida di Radcliffe-Brown ed Evans-Pritchard: quest'ultimo pubblico' nel
'40 insieme a Fortes un volume pionieristico fondamentale per lo studio
delle culture africane. Entrambi si occupavano della strutturazione politica
su larga scala delle societa' a potere diffuso e Fortes in particolare
sottolineo' come la parentela costituisse una rete di rapporti e di tensioni
che si amplificano nella dinamica sociale. Le alleanze tra gruppi, i
rapporti di parentela e di discendenza e il sistema di classificazione dei
ruoli sociali vengono concepiti come ambiti interdipendenti in cui grande
importanza riveste il fattore tempo. Quest'aspetto sara' notevolmente preso
in esame e ampliato da Jack Goody che avvalora la tesi di Fortes,
dimostrando il ciclo di espansione e contrazione della forza lavoro
disponibile in ambito domestico. Gli studi sulla parentela e sulla famiglia
vengono affiancati a quelli sulla scrittura, sull'oralita' e sul linguaggio
in una prospettiva comparativa via via sempre piu' allargata, finalizzata
alla individuazione delle variabili correlate ai diversi sistemi parentali e
culturali delle societa'. Negli anni '60, dapprima in Francia, l'interesse
si sposta verso i sistemi religiosi e cosmogonici, sulla scorta degli studi
e delle esperienze sul campo di Marcel Griaule e Claude Levi-Strauss;
attraversata la Manica, un rinnovato slancio pervade anche le accademie
inglesi, in particolare, con la pubblicazione del volume curato da Fortes e
Germaine Dieterlen che determina una sorta di crisi del paradigma, nascono
nuovi e differenti approcci che vengono discussi tra gli antropologi
dell'ultima generazione, ponendo spesso l'attenzione sulla teoria
dell'ordine simbolico nascosto e codificato: Goody, in prima linea,
definisce il principio dell'ordine simbolico come un'invenzione a posteriori
della stessa letteratura etnografica e tra le voci autorevoli del periodo
emerge anche quella di un'altra antropologa britannica, allieva di
Evans-Pritchard, Mary Douglas, che nel suo primo lavoro teorico esprime la
tesi di fondo per cui queste definizioni simboliche, nella loro diversita'
formale e intrinseca, sono necessarie alle strutture sociali esistenti
praticamente in ogni tipo di societa'. Il parallelo e' costituito dalle
prescrizioni adottate dalla popolazione dei Lele e i divieti alimentari
dell'Antico Testamento: in entrambi i casi non si tratta semplicemente di
igiene ma ad un livello piu' profondo l'istituzione che definisce cio' che
si puo' accettare e cio' che e' inaccettabile rimanda ad un senso morale
collettivo che si traduce attraverso un sistema simbolico in ordine sociale.
La vivacita' delle nuove metodologie di ricerca elaborate dalla scuola di
Manchester e dall'antropologia statunitense, nonche' le nuove
specializzazioni della disciplina, come la nascita dell'antropologia visuale
dalle esperienze di Jean Rouch e Maya Deren, e i contributi importanti degli
studiosi americani fanno pertanto da background alla ricerca teorica e
sperimentale di Jack Goody. Dopo essersi a lungo dedicato alla ricerca
etnografica e all'analisi comparativa, la prospettiva dello studioso diventa
talmente ampia da abbracciare moltissimi ambiti culturali disparati,
dall'Africa all'Eurasia, proponendo argomenti quanto mai variegati e urgenti
per la situazione storica mondiale: il suo lavoro sulla scrittura assegna un
ruolo specifico alla comunicazione scritta e alle sue rappresentazioni, in
quanto strumento precipuo delle istituzioni culturali, sociali e politiche,
praticamente in qualunque tipo di societa' umana. Goody definisce la
scrittura come "tecnologia dell'intelletto", invenzione che permette la
transizione dalla forma orale, pre-letteraria a quella della modernita'. La
ricchezza simbolica della cultura scritta e' data dalle possibili
applicazioni grafiche o alfabetiche, nonche' dall'uso rappresentativo
dell'immagine, del simbolo e dell'icona. Dal concetto di scrittura come
tecnologia e dalle differenti forme di sviluppo dei segni aritmetici e
logici, l'antropologo riflette sui comportamenti sociali, dimostrando
l'influenza dei sistemi di pensiero nella vita quotidiana. Nel caso della
scrittura logografica, lo spazio e la funzione dei simboli acquistano una
portata notevolmente differente rispetto alla scrittura alfanumerica. Nel
caso di societa' prive di scrittura, dell'antichita' o della modernita', le
cose cambiano ancora anche se, sottolinea Goody, bisogna probabilmente
distinguere le forme di scrittura in senso stretto dalla diffusione
dell'idea di scrittura, dunque di uno stimolo al processo di conservazione e
di memoria. Le abilita' psicogenetiche di base degli individui sono
pressoche' le stesse: l'esempio significativo e' quello dell'automobile, che
in teoria chiunque puo' imparare a guidare, indipendentemente dalla sua
provenienza culturale, sociale o religiosa ma che certamente ha funzioni
pratiche e valori simbolici differenti a seconda del contesto di
riferimento. La dicotomia Oriente/Occidente, nonche' lo scontro dato per
inevitabile tra Islam ed Europa sono al centro della ricerca antropologica
di Goody sin dai primi anni '90: in particolare, l'antropologo analizza come
il pensiero storico e sociologico, ma spesso anche quello antropologico,
abbiano attribuito all'Occidente un ruolo di primo piano nel processo di
modernizzazione messo in atto dalle rivoluzioni scientifiche, economiche e
culturali. Acutamente, l'autore nota come sicuramente le cose non siano
sempre state a favore dell'Europa, pur ammettendo che, a partire dalla
seconda meta' del XVIII secolo, le regioni nordiche del vecchio continente
abbiano effettivamente vissuto una serie di circostanze favorevoli che ne
hanno incrementato l'attivita' e il benessere. L'argomentazione di fondo e'
la creazione, ad opera di studiosi ed intellettuali, di un contrasto - uno
scontro, per dirla alla Huntington - che si e' fortemente acutizzato dopo il
1989 tra l'Occidente dell'individualismo e l'Oriente della
collettivizzazione: la radicalizzazione di questo rapporto non ha consentito
ne' di comprendere le dinamiche e gli sviluppi storici delle societa'
orientali ne' tantomeno di approfondire le conoscenze relative al nostro
passato e alla nostra contemporaneita'. Gli studi sulla parentela hanno
trascurato, secondo l'antropologo, il ruolo che essa ha giocato nello
sviluppo del sistema di produzione e di scambio dei beni, primitivizzando
l'Oriente e valorizzando il mondo occidentale; inoltre, secondo Goody, non
si stanno sufficientemente considerando i rapporti esistenti tra individuo e
Stato, nonche' il ruolo sempre centrale assicurato dalla famiglia e dai
rapporti di familiarita' estesa. Il riferimento alla realta' sociale
italiana pare piu' che mai convincente ed appropriato. Recentemente, Goody
ha ampliato questa prospettiva di studio, dedicando un importante saggio
allo studio della rappresentazione e della sua assenza intermittente presso
alcune societa'. Si tratta di uno dei piu' importanti studi sull'ambivalenza
culturale, ideologica e religiosa degli ultimi anni. L'attenzione di Goody
si sofferma in particolare sulle rappresentazioni e contraddizioni ad esse
associate, sull'uso e sull'abuso di icone e sui conseguenti fenomeni
iconoclastici, sulla pratica di conservazione e di culto delle reliquie e
sul fenomeno del pellegrinaggio, sul teatro e sui riti nonche' sulla
diffusione e distribuzione irregolare del mito, della fiction, del romanzo;
infine si prendono in esame le rappresentazioni del sesso e il loro rifiuto
in una prospettiva comparata che pone sullo stesso piano speculativo culture
dell'India, dell'Europa, della Cina e dell'Africa. La rappresentazione -
intesa etimologicamente, come ri-presentazione - e' una delle componenti
fondamentali della cultura e della societa' umana: si tratta di un elemento
fondamentale, tanto da essere considerato primariamente per quanto concerne
gli studi socio-antropologici, sin dai tempi di Durkheim. L'interesse di
Goody si sviluppa attraverso due aspetti che secondo l'antropologo
presentano praticamente in tutte le societa' una forte interconnessione: da
un lato la distribuzione irregolare che le rappresentazioni hanno nelle
societa' del mondo, il fatto che compaiano con tempi e caratteristiche
diverse e pertanto, in determinati casi, siano addirittura assenti;
dall'altro, Goody mette in luce le dinamiche entro cui avviene il rifiuto di
una pratica rappresentativa (sia essa un'immagine, una fiction o una piece
teatrale). Il precedente studio sui fiori e sulla cultura relativa ad essi
che si e' particolarmente sviluppata in certi contesti storici e culturali,
evidenziava l'assenza di fiori domestici e coltivati in Africa nera, a causa
delle condizioni ambientali e dello sviluppo dell'agricoltura: secondo lo
studioso, pero', non ci si era ancora posti il problema del perche', in
certi contesti, le rappresentazioni floreali siano state ripudiate
volontariamente. La sola spiegazione materiale non e' sufficiente a motivare
quest'assenza nel continente africano, laddove anche in altri contesti che
presentano caratteristiche ambientali ed economiche simili, la decorazione
floreale si e' sviluppata comunque attraverso l'uso di rappresentazioni
piuttosto che di fiori artificiali. Allo stesso modo, fiction, teatro,
romanzo e icona hanno oscillato nello spazio e nel tempo, vivendo momenti di
grande diffusione ed altri di totale censura che mostrano implicazioni
cognitive e culturali assai complesse e poco studiate. Il problema della
rappresentazione sta proprio nella sua essenza intrinseca di
ri-presentazione di qualcos'altro, dunque per quanto simile, essa non sara'
mai uguale all'originale; la mimesis era finta ed ingannevole per Platone,
in quanto non e' la cosa in se', ma un suo surrogato. Di conseguenza,
l'umanita' si ritrova sempre dubbiosa nell'accogliere o respingere cio' che
essa stessa ha creato. Se da un lato la rappresentazione svolge un ruolo
primario nelle societa' umane, com'e' evidente, ad esempio, nel caso del
linguaggio e della tradizione scritta, dall'altro e' sempre in una
condizione di labilita', di instabilita' che puo' manifestarsi sotto forma
di assenza o, nei casi piu' estremi, come vera e propria iconoclastia. Il
problema si pone ancor piu' nel caso delle rappresentazioni rituali e
teatrali: questo genere di performance presenta piu' che mai il carattere di
ambivalenza e di ambiguita'. Cio' che viene messo in scena ha una portata
talmente vasta sugli individui che ne condividono i codici da diventare
pericolosa e in alcune circostanze, estremamente controversa. La
contraddizione cognitiva intrinseca alla rappresentazione puo' essere
accostata al concetto di "dissonanza cognitiva" elaborato in psicologia:
essa si produce nel momento in cui un'aspettativa non trova riscontro nella
realta', nonostante si siano messi in atto diversi procedimenti a tal fine.
Analizzando le fasi e gli elementi principali del processo di creazione
cognitiva dell'essere umano, Goody afferma che si tratta di un fenomeno
interattivo talmente complesso che non porta solo all'invenzione e
all'istituzione delle tradizioni ma contiene in se' il dubbio,
l'ambivalenza, la contraddizione che puo' determinare in seguito non solo il
rifiuto ma addirittura l'adozione di forme totalmente opposte. Tra le opere
di Jack Goody: (1958) The Developmental Cycle in Domestic Groups, Cambridge
U. P., Cambridge; (1962) Death, Property and the Ancestors. A study of the
mortuary customs of the LoDagaa of West Africa, Sup California, Stanford;
(1967) The Social Organisation of the LoWiili, Oxford U. P., Londra; (1971)
Technology, Tradition and the State in Africa, Oxford U. P., Londra; (1972)
The Myth of Bagre, Oxford U. P., Londra; (con Tambiah, S. J.), (1973)
Bridewealth and Dowry, Cambridge U. P., Cambridge; (1976) Production and
Reproduction: a Comparative Study of the Domestic Domain, Cambridge U. P.,
Cambridge; (1977) The Domestication of the Savage Mind, Cambridge U. P.,
Cambridge; (1986) The Logic of Writing and the Organisation of Society,
Cambridge U.P., Cambridge; (1987) The Interface between the Written and the
Oral, Cambridge U. P., Cambridge; (1990) The Oriental, the Ancient and the
Primitive, Cambridge U.P., Cambridge; (1993) La cultura dei fiori. Le
tradizioni, i linguaggi, i significati dall'Estremo Oriente al mondo
occidentale, Einaudi, Torino 1993; (1996) The East in the West, Cambridge U.
P., Cambridge; (1997) Oltre i muri. La mia prigionia in Italia, Il Mondo 3,
Roma 1997; (1997) L'ambivalenza della rappresentazione. Cultura, ideologia,
religione, Feltrinelli, Milano 2000; (con Braimah) (1967) Salaga: the
Struggle of Power, Oxford U. P., Londra; (con Wilks I.) (1968) "Writing in
Gonja" in Literacy in Traditional Society, (Goody, J. ed.), Cambridge"]

Dall'inizio del XIX secolo, grazie alla presenza europea in tutto il mondo a
seguito delle conquiste coloniali e della Rivoluzione industriale, la
costruzione della storia mondiale e' stata dominata dall'Europa occidentale.
Anche presso altre civilta', come l'araba, l'indiana, la cinese, si sono
avute storie del mondo caratterizzate da parzialita' (tutte le storie sono
in qualche misura parziali); anzi, sono rare le culture prive dell'idea, sia
pure rudimentale, che il proprio passato e' in relazione con quello di
altri, anche se i piu' iscriverebbero tali resoconti nella categoria del
mito piuttosto che della storia.
*
Un indispensabile scetticismo
La caratteristica dei resoconti europei, comune del resto anche a societa'
molto piu' semplici, e' stata la tendenza a sovrapporre la propria storia al
mondo piu' ampio, a causa di una inclinazione etnocentrica, a sua volta
estensione dell'impulso egocentrico che sta alla base di gran parte della
percezione umana; e la possibilita' da parte dell'Europa di dare corso a
tale inclinazione e' dovuta al suo effettivo dominio in molte parti del
mondo. Ciascuno inevitabilmente vede il mondo con i propri occhi, non con
quelli altrui. E sebbene in tempi recenti siano emersi orientamenti contrari
in tema di storia mondiale, a mio parere questo indirizzo non e' stato
portato sufficientemente avanti a livello teoretico, soprattutto per cio'
che riguarda le grandi fasi in cui concepire la storia mondiale.
Per contrastare l'inevitabile carattere etnocentrico di qualunque tentativo
di descrizione del mondo, passato o presente, occorre porsi in una
prospettiva piu' critica. Questo significa innanzitutto assumere un
atteggiamento di scetticismo riguardo alla pretesa occidentale, in
particolare da parte dell'Europa (ma, beninteso, anche dell'Asia), di avere
inventato pratiche e valori come la democrazia o la liberta'. In secondo
luogo, significa guardare la storia a partire dal basso anziche' dall'alto
(o dal presente). In terzo luogo, significa assegnare un peso adeguato al
passato extra-europeo. Infine, occorre prendere coscienza del fatto che la
stessa struttura portante della storiografia, la collocazione degli
avvenimenti nel tempo e nello spazio, e' variabile, soggetta a costruzione
sociale e dunque a cambiamento. Non e' fatta, cioe', di categorie
immutabili, che promanerebbero dal mondo stesso nella forma in cui esse sono
presenti alla coscienza storiografica occidentale.
*
Gli abitanti del "vecchio paese"
Le dimensioni temporale e spaziale oggi prevalenti furono tracciate
dall'Occidente. Cio' avvenne perche' l'espansione nel mondo rese necessarie
la notazione cronologica e la costruzione di mappe, le quali fornirono
l'intelaiatura non solo della geografia ma anche della storia. Beninteso,
tutte le societa' hanno conosciuto concetti spaziali e temporali intorno ai
quali organizzare la vita quotidiana. Tali concetti diventarono piu'
elaborati (e piu' precisi) con l'avvento dell'alfabetizzazione, che forni'
indicatori grafici per entrambe le dimensioni. Fu la prioritaria invenzione
della scrittura, piuttosto che il possesso di una qualche intrinseca verita'
circa l'organizzazione spazio-temporale del mondo, a conferire alle piu'
importanti societa' dell'Eurasia notevoli vantaggi nel computo del tempo e
nella creazione e nel perfezionamento della cartografia, rispetto, per
esempio, all'Africa, che aveva una cultura orale. (...)
Il "furto della storia" non e' soltanto l'appropriazione del tempo e dello
spazio, ma anche la monopolizzazione dei periodi storici. Quasi tutte le
societa' sembrano compiere qualche tentativo di classificare il proprio
passato secondo differenti periodi di tempo di lunga durata, rapportati alla
creazione non tanto del mondo quanto dell'umanita'. Se, come e' stato detto,
per gli eschimesi il mondo e' sempre stato come e' ora, nella grandissima
maggioranza delle societa' gli esseri umani di oggi non sono considerati gli
abitatori primigeni del pianeta. La loro presenza sulla terra ha avuto un
momento di inizio, che presso gli aborigeni australiani era chiamato "il
tempo del sogno"; secondo i loDagaa del Ghana settentrionale, i primi esseri
umani abitavano "il vecchio paese" (come tengkuridem).
*
Calcoli cristiani
Con la comparsa della "lingua visibile", la scrittura, la periodizzazione
sembra farsi piu' complessa; troviamo l'idea di una primitiva eta' dell'oro
o paradiso, quando il mondo era un posto migliore in cui vivere, che
l'umanita' sarebbe stata costretta ad abbandonare a causa del suo
(peccaminoso) comportamento: il contrario dell'idea di progresso e di
modernizzazione. Altri ancora elaborarono una periodizzazione basata su
cambiamenti nella natura degli utensili usati dagli esseri umani, che
potevano essere di pietra, di rame, di bronzo o di ferro, una
periodizzazione delle eta' dell'uomo che fu assunta come modello scientifico
dagli archeologi europei del XIX secolo.
In epoca relativamente recente, l'Europa si e' appropriata del tempo in
maniera piu' decisa, applicando la propria versione al resto del mondo.
Beninteso, e' indispensabile inserire la storia mondiale in un'unica cornice
cronologica, se la si vuole considerare unitariamente. Ma si e' dato il caso
che il calcolo internazionale del tempo sia fondamentalmente cristiano, come
cristiane sono le piu' importanti festivita' - Natale e Pasqua - celebrate
da organismi mondiali come le Nazioni Unite, e questo vale anche per le
culture orali del Terzo Mondo, che pure non aderivano al sistema di calcolo
usato da quella che e' solo una tra le maggiori religioni.
Un certo grado di monopolizzazione e' necessario nella costruzione di
scienze universali come, poniamo, l'astronomia. Anche la globalizzazione
comporta un certo grado di universalita': non si puo' operare con concetti
meramente locali. Ma benche' lo studio dell'astronomia fosse nato altrove,
le modificazioni avvenute nella societa' dell'informazione e in particolare
nella tecnologia dell'informazione nella forma del libro a stampa
(proveniente peraltro, come anche la carta, dall'Asia) fecero si' che, nella
sua struttura evoluta, la cosiddetta scienza moderna fosse occidentale. In
questo caso, come in molti altri, globalizzazione ha voluto dire
occidentalizzazione.
L'universalizzazione diventa un problema molto maggiore nelle scienze
sociali, per cio' che riguarda la periodizzazione. Nella storiografia e
nelle scienze sociali, per quanto gli studiosi si sforzino di conseguire una
"oggettivita'" weberiana, i concetti usati sono piu' strettamente legati al
mondo che diede loro i natali. Per esempio, i termini "antichita'" e
"feudalesimo" furono chiaramente definiti alla luce di un contesto
esclusivamente europeo, pensando al particolare sviluppo storico di quel
continente. E nell'applicazione di quei concetti ad altre epoche e ad altri
luoghi, sorgono dei problemi perche' in quel caso vengono in primo piano i
loro limiti molto reali. Dunque, uno dei grandi problemi dell'accumulazione
del sapere riguarda il fatto che le categorie impiegate sono esse stesse in
larga misura europee, in molti casi definite per la prima volta durante la
grande fioritura di attivita' intellettuale che segui' al ritorno della
Grecia alla cultura scritta.
Fu allora che furono delineati i campi della filosofia e di discipline
scientifiche come la zoologia, poi riprese in Europa. Sicche' la storia
della filosofia, quale e' incorporata nei sistemi scolastici europei, e'
sostanzialmente la storia della filosofia occidentale dai greci in avanti.
In anni recenti, gli studiosi occidentali hanno marginalmente dedicato
qualche attenzione a temi analoghi presenti nel pensiero (pensiero scritto,
cioe') cinese, indiano o arabo. Minore attenzione ricevono, comunque, le
societa' prive di scrittura, benche' si riscontrino tematiche a tutti gli
effetti "filosofiche" nelle narrazioni orali rituali, come il mito del Bagre
dei loDagaa del Ghana settentrionale. La filosofia e' pertanto quasi per
definizione una disciplina europea. Come e' avvenuto per la teologia e per
la letteratura, abbastanza di recente sono stati introdotti alcuni elementi
comparatistici, come concessione a interessi indotti dalla globalizzazione.
Ma, in realta', la storiografia comparata rimane in gran parte un'utopia.
(...)
La linearita' e' un elemento costitutivo dell'idea di "progresso", che noi
consideriamo "avanzata". Secondo alcuni, questa nozione e' tipica ed
esclusiva dell'Occidente, e in qualche misura effettivamente lo e', essendo
attribuibile alla velocita' delle trasformazioni avvenute principalmente in
Europa a partire dal Rinascimento, nonche' alle applicazioni della "scienza
moderna" come la definiscono Needham e altri. Io direi piuttosto che una
qualche nozione di progresso e' tipica di tutte le culture scritte, con la
loro introduzione di un calendario fisso, che per cosi' dire traccia una
linea di demarcazione. Ma questa non segnala affatto una progressione
unidirezionale. Quasi tutte le religioni scritte contengono l'idea di una
eta' dell'oro, di un paradiso o giardino naturale, dal quale l'umanita'
dovette in seguito ritirarsi. Tale nozione comportava un guardare
all'indietro, oltre che, in alcuni casi, un guardare in avanti verso un
nuovo inizio. Anzi, un'analoga idea di paradiso si riscontra anche in
culture orali. Ma nel passato si individuava una cesura netta; soltanto dopo
l'Illuminismo, con l'imporsi della secolarizzazione, troviamo un mondo
governato dall'attuale idea di progressione, non tanto verso una determinata
meta, quanto da uno stato precedente dell'universo a qualcosa di differente,
addirittura impensato, come nel caso dell'aeroplano, risultato insieme della
ricerca scientifica e dell'ingegno umano.
Uno degli assunti di fondo di molta storiografia occidentale e' che
nell'organizzazione delle societa' umane la freccia del tempo coincida con
un equivalente incremento di valore e desiderabilita', cioe' con il
progresso. La storia diventa una sequenza di stadi, ciascuno derivato dal
precedente e introducente al successivo, fino al culmine finale, che per il
marxismo, per esempio, e' il comunismo. Ma non occorre nutrire questo tipo
di ottimismo millenaristico per dare una lettura eurocentrica della
direzione della storia: per la maggior parte degli storici, il momento in
cui scrivono e' prossimo se non identico alla meta finale dello sviluppo
dell'umanita'. In tal modo, cio' che definiamo progresso riflette in realta'
valori che sono specifici della nostra cultura, e che oltretutto sono di
data relativamente recente.
*
Un dubbio progresso
Parliamo di progressi nel campo delle scienze, nella crescita economica,
nella civilta', nel riconoscimento dei diritti umani (la democrazia, per
esempio). Esistono tuttavia altri criteri in base ai quali misurare il
cambiamento, e in certa misura essi sono presenti come discorsi antagonisti
perfino nella nostra cultura. Se per esempio usiamo il criterio ambientale,
la nostra societa' rappresenta una catastrofe sul punto di verificarsi. Se
parliamo di progresso spirituale (la forma di progresso piu' importante per
alcune societa', anche se controversa nella nostra), si potrebbe dire che
stiamo attraversando una fase regressiva. A livello mondiale, non si vedono
molte prove di progresso dei valori, a dispetto degli assunti contrari che
dominano l'Occidente.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 432 del 21 aprile 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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