Voci e volti della nonviolenza. 164



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 164 del 4 aprile 2008

In questo numero:
1. Martin Luther King: Oltre il Vietnam
2. Martin Luther King: Noi vi ameremo ancora
3. Martin Luther King: La scelta della nonviolenza
4. Et coetera

1. MARTIN LUTHER KING: OLTRE IL VIETNAM
[Riproponendo questo testo, nuovamente ringraziamo Fulvio Cesare Manara per
averci messo a disposizione l'antologia di scritti e discorsi di Martin
Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King,
Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo,
Bergamo 2002. Il testo seguente e' quello del discorso tenuto nella chiesa
di Riverside, New York, 4 aprile 1967]

Credo che il cammino dalla chiesa battista di Dexter Avenue - la chiesa  di
Montgomery, nell'Alabama, dove ho cominciato il ministero pastorale -,
conduca proprio qui, al santuario dove ci troviamo stasera.
C'e' un nesso molto evidente e quasi elementare fra la guerra in Vietnam e
la lotta che io e altri abbiamo intrapreso in America. Qualche anno fa,
quella lotta ha visto un momento luminoso: e' sembrato che per i poveri ?
neri e bianchi ? ci fosse una promessa concreta di speranza, grazie al
programma contro la poverta'. Ci furono esperimenti, speranze, nuove
aperture. Poi comincio' a crescere la tensione nel Vietnam, e io ho visto
questo programma frantumarsi e svuotarsi, come se fosse l'ozioso balocco
politico di una societa' impazzita per la guerra. E ho capito che l'America
non avrebbe mai investito i fondi e le energie necessarie a riabilitare i
suoi poveri, finche' le avventure come il Vietnam avessero continuato a
risucchiare uomini e talenti e denaro come una sorta di pompa aspirante,
demoniaca e distruttiva. Percio' mi sono visto sempre piu' costretto a
considerare la guerra un nemico dei poveri e in quanto tale ad attaccarla.
Forse e' stato un piu' tragico riconoscimento della realta' quando ho capito
che la guerra faceva assai di piu' che devastare le speranze dei poveri in
patria. La guerra mandava i loro figli e fratelli e mariti a combattere e a
morire in una percentuale straordinariamente superiore alla loro consistenza
proporzionale nella popolazione. Stavamo prendendo i giovani neri che la
nostra societa' aveva mutilato, e li mandavamo a quindicimila chilometri di
distanza, per garantire nel Sudest asiatico liberta' a cui essi stessi non
avevano accesso nel Sudovest della Georgia o a Harlem est. E cosi' ci siamo
trovati piu' volte di fronte alla crudele ironia di vedere sugli schermi
televisivi ragazzi neri e bianchi che uccidono e muoiono insieme, per un
paese incapace di farli sedere insieme nei banchi delle stesse scuole. E
cosi' li vediamo affiancati e solidali nella brutalita', mentre incendiano
le capanne di un povero villaggio, ma ci rendiamo conto che a Chicago
difficilmente potrebbero abitare nello stesso isolato. Io non potevo restare
in silenzio di fronte a una cosi' crudele manipolazione dei poveri.
Mentre camminavo circondato di giovani arrabbiati, disperati, rifiutati,
dicevo loro che i fucili e le bombe molotov non avrebbero risolto i loro
problemi. Ho cercato di far sentire loro la mia piu' profonda compassione,
insieme sostenendo la convinzione che i mutamenti sociali si producono nel
modo piu' significativo attraverso l'azione nonviolenta. Ma loro mi
chiedevano, e giustamente: "E il Vietnam, allora?". Mi chiedevano se non era
forse vero che il nostro paese impiegava la violenza in dosi massicce per
risolvere i problemi, per produrre i cambiamenti desiderati. Le loro domande
coglievano nel segno; io sapevo che non avrei mai piu' potuto alzare la voce
contro la violenza degli oppressi nei ghetti senz'aver prima parlato chiaro
al maggior fornitore di violenza del mondo di oggi: il mio stesso governo.
Per amore di quei ragazzi, per amore di questo governo, per amore delle
centinaia di migliaia di esseri umani che tremano sotto la nostra violenza,
non posso tacere.
*
Ora, dovrebbe essere chiaro fino all'incandescenza come nessuno, che abbia
in qualche modo a cuore l'integrita' e la vita dell'America di oggi, possa
ignorare questa guerra. Se l'anima dell'America restera' del tutto
avvelenata, nell'autopsia si potra' leggere anche la parola "Vietnam".
L'anima dell'America non si potra' salvare finche' continua a distruggere le
piu' radicate speranze degli uomini di tutto il mondo. E cosi', quelli fra
noi che sono ancora convinti che l'"America deve esistere" devono
incamminarsi sul sentiero della protesta e del dissenso, lavorare per la
salvezza della nostra terra.
Come se non bastasse il peso di un simile impegno in nome della vita e della
salvezza dell'America, nel 1964 mi e' stato imposto un nuovo fardello di
responsabilita'; e non posso dimenticare che il premio Nobel per la pace era
anche un incarico, l'incarico di lavorare con piu' impegno che mai per la
fratellanza degli uomini. Questa vocazione mi porta a superare i doveri
della fedelta' nazionale.
Ma anche in mancanza di questo, dovrei pur sempre vivere con il senso del
mio impegno di ministro di Gesu' Cristo. Per me e' talmente evidente il
rapporto che lega questo ministero al dovere di costruire la pace, che
talvolta mi stupisco che mi si domandi come mai parlo contro la guerra.
Com'e' possibile che i miei interlocutori non sappiano che la Buona Novella
si rivolge a tutti gli uomini: ai comunisti e ai capitalisti, ai loro figli
e ai nostri, ai neri e ai bianchi, ai rivoluzionari e ai conservatori? Hanno
dimenticato che il mio ministero e' istituito in obbedienza a Colui che ha
amato i suoi nemici al punto di morire per loro? E allora, che cosa posso
dire ai vietcong, o a Castro, o a Mao, in qualita' di ministro fedele di
Costui? Posso minacciarli di morte, o non dovro' invece condividere con loro
la mia vita?
Infine, mentre cerco di spiegare a voi e a me stesso il percorso che da
Montgomery conduce a questo luogo, darei la spiegazione piu' valida se
dicessi semplicemente che devo restare fedele alla mia convinzione di
condividere con tutti gli uomini la vocazione a essere figlio del Dio
vivente. Al di la' del richiamo della razza o della nazione o del credo
religioso, vale questa vocazione filiale e fraterna. Proprio perche' credo
che il Padre si prende cura in modo particolare dei suoi figli sofferenti e
impotenti e reietti, stasera sono venuto a parlare per loro. Credo che in
questo consista il privilegio e il fardello che tutti noi, che ci riteniamo
vincolati da fedelta' e lealta' piu' vaste e piu' profonde del nazionalismo
e tali da oltrepassare e sopravanzare le mete e le posizioni che la nostra
nazione fissa per se stessa, dobbiamo aspettarci. Siamo chiamati a parlare
per i deboli, per chi non ha voce, per le vittime della nostra nazione, per
coloro che essa definisce "il nemico", perche' non esiste documento di mano
umana che possa rendere questi esseri umani meno che nostri fratelli.
*
La guerra in Vietnam non e' che il sintomo di un malessere assai piu'
radicato nello spirito americano, e se ignoreremo queste realta' che ci
obbligano a riflettere, nella prossima generazione ci ritroveremo a
organizzare altri "comitati del clero e dei laici preoccupati": si
preoccuperanno per il Guatemala e il Peru', per la Thailandia e la Cambogia,
per il Mozambico e il Sudafrica. Ci tocchera' scendere in corteo per questi
nomi e per una dozzina d'altri, andare a infiniti raduni e manifestazioni,
se non si verifichera' un cambiamento significativo e radicale nella vita e
nella politica americana. E dunque questi pensieri ci portano oltre il
Vietnam, ma non oltre la nostra vocazione di figli del Dio vivente.
Nel 1957, un funzionario americano dotato di sensibilita' disse che secondo
lui il nostro paese sembrava situato sul versante meno vantaggioso di una
rivoluzione mondiale. Negli ultimi dieci anni abbiamo visto affiorare uno
schema di repressione che oggi giustifica la presenza di consulenti militari
statunitensi in Venezuela. La necessita' di mantenere la stabilita' sociale
per favorire i nostri investimenti spiega l'opera controrivoluzionaria
compiuta dalle forze americane nel Guatemala; spiega come mai contro i
guerriglieri cambogiani si usino elicotteri americani, come mai contro i
ribelli in Peru' siano gia' stati usati napalm americano e le truppe dei
Berretti Verdi.
Riflettendo su queste attivita', le parole del compianto John F. Kennedy
tornano a ossessionarci; cinque anni fa Kennedy disse: "Coloro che rendono
impossibile la rivoluzione pacifica renderanno inevitabile la rivoluzione
violenta".
Per scelta o per caso, la nostra nazione si e' investita sempre piu' spesso
di questo ruolo: il ruolo di coloro che rendono impossibile una rivoluzione
pacifica, rifiutandosi di rinunciare ai privilegi e ai piaceri derivanti
dagli immensi profitti degli investimenti in tutto il mondo.
*
Io sono persuaso che se vogliamo passare al versante positivo della
rivoluzione mondiale, come nazione dobbiamo compiere una radicale
rivoluzione dei valori. Dobbiamo al piu' presto cominciare a passare da una
societa' orientata alle cose a una societa' orientata alle persone. Finche'
considereremo le macchine e i computer, le motivazioni del profitto e i
diritti di proprieta' piu' importanti delle persone, i tre giganti del
razzismo, del materialismo estremo e del militarismo non potranno mai essere
sconfitti.
Una vera rivoluzione dei valori ci indurrebbe ben presto a mettere in
discussione l'equita' e la giustizia di molte nostre scelte politiche del
presente e del passato. Da un lato siamo chiamati a operare come il buon
samaritano sul ciglio della strada della vita, ma questo e' soltanto il
principio: un giorno dovremo arrivare a capire che bisogna trasformare
l'intera strada per Gerico, in modo che gli uomini e le donne non continuino
ad essere picchiati e rapinati mentre sono in viaggio sull'autostrada della
vita. La vera compassione non si limita a gettare una moneta al mendicante,
ma arriva a capire che, se produce mendicanti, un edificio ha bisogno di una
ristrutturazione.
Una vera rivoluzione dei valori guarderebbe ben presto con disagio al
violento contrasto fra poverta' e ricchezza. Con l'indignazione del giusto,
getterebbe lo sguardo oltre i mari, e vedrebbe i singoli capitalisti
dell'Occidente investire immense somme di denaro in Asia, in Africa,
nell'America del Sud, soltanto per ricavarne profitto, senza curarsi affatto
del progresso sociale di questi paesi, e direbbe: "Questo non e' giusto".
Guarderebbe alla nostra alleanza con i proprietari terrieri dell'America
Latina e direbbe: "Questo non e' giusto". Il senso di arroganza tipico
dell'Occidente, che crede di avere tutto da insegnare agli altri, e nulla da
imparare da loro, non e' giusto.
Una vera rivoluzione dei valori mettera' mano all'ordinamento mondiale, e
della guerra dira': "Questo modo di comporre i dissidi non e' giusto".
Bruciare gli esseri umani con il napalm, riempire le nostre case di orfani e
di vedove, iniettare germi velenosi di odio nelle vene di popoli che di
norma sarebbero pieni di umanita', rimandare a casa uomini che hanno
combattuto in campi di battaglia tenebrosi e sanguinosi e tornano menomati
nel fisico e turbati nella psiche: tutti questi atti non possono conciliarsi
con la saggezza, la giustizia, l'amore. Una nazione che continua, un anno
dopo l'altro, a spendere piu' denaro per la difesa militare che per i
programmi di elevazione sociale, si avvicina alla morte dello spirito.
L'America, che e' la nazione piu' ricca e potente del mondo, in una
rivoluzione dei valori potrebbe certo fare da battistrada. Soltanto un
tragico desiderio di morte ci puo' impedire di riordinare la nostra scala di
priorita', in modo che il perseguimento della pace abbia la precedenza sul
perseguimento della guerra. Niente ci puo' impedire di usare le mani ferite
per plasmare uno status quo recalcitrante fino a trasformarlo in
fraternita'.
I nostri sono tempi rivoluzionari. In tutto il mondo gli uomini si ribellano
contro antichi regimi di sfruttamento e di oppressione; dalle piaghe di un
mondo fragile nascono regimi nuovi ispirati alla giustizia e
all'uguaglianza. I popoli scamiciati e scalzi della terra si stanno
sollevando come non mai. Il popolo che era nelle tenebre ha visto una grande
luce [Is, 9, 2]. Noi in Occidente dobbiamo sostenere queste rivoluzioni.
E' una triste realta' che a causa dell'amore per le comodita',
dell'autocompiacimento, di una paura morbosa del comunismo, della tendenza
ad adeguarci all'ingiustizia, le nazioni occidentali, che hanno avuto un
ruolo da iniziatori per quanto riguarda gran parte dello spirito
rivoluzionario del mondo moderno, oggi siano diventate arcicontrarie alle
rivoluzioni. Percio' molti sono stati indotti a credere che soltanto il
marxismo possieda spirito rivoluzionario; e, di conseguenza, il comunismo e'
la punizione che abbiamo meritato per non essere riusciti a tradurre in
realta' la democrazia e a portare fino in fondo le rivoluzioni che avevamo
iniziato. Oggi abbiamo una sola speranza: riuscire a riconquistare lo
spirito rivoluzionario e uscire in un mondo talvolta ostile dichiarando
eterna ostilita' alla poverta', al razzismo, al militarismo. Questo impegno
potente ci permettera' di lanciare una audace sfida allo status quo e alle
consuetudini ingiuste, e cosi' avvicineremo il giorno in cui "si colmi ogni
valle, ogni monte o colle si abbassi, l'erta si cambi in piano e la
scabrosita' in liscio suolo" [Is, 40, 4].
Un'autentica rivoluzione dei valori significa in ultima analisi che dobbiamo
avere una forma di lealta' ecumenica e non settoriale. Ogni nazione, ormai,
deve sviluppare sopra ogni altra cosa una lealta' verso l'umanita', verso
l'umanita' nel suo insieme, in modo da riuscire a conservare il meglio delle
singole societa'.
*
Dobbiamo superare l'indecisione passando all'azione. Dobbiamo trovare nuovi
modi per parlare a favore della pace nel Vietnam e della giustizia in tutti
i paesi in via di sviluppo, il cui confine comincia alla soglia delle nostre
case. Se non agiremo, saremo certo trascinati lungo gli oscuri, lunghi e
infamanti corridoi del tempo riservati a quanti possiedono potere ma non
compassione, potenza ma non moralita', forza ma non giudizio.
Cominciamo. Rinnoviamo la nostra dedizione alla battaglia per un mondo
nuovo, lunga e aspra ma bellissima. Questa e' la vocazione a cui sono
chiamati i figli di Dio, e i nostri fratelli aspettano con ansia la nostra
risposta. Diremo che siamo troppo svantaggiati in partenza? Diremo che la
lotta e' troppo aspra? Il nostro messaggio sara' che le forze della vita
americana militano contro la loro possibilita' di diventare uomini in senso
pieno, e noi inviamo i sensi del piu' profondo rammarico? Oppure ci sara' un
messaggio diverso: di desiderio, di speranza, di solidarieta' con le loro
aspirazioni, di impegno verso la loro causa, a qualsiasi costo? Tocca a noi
scegliere, e anche se forse preferiremmo che non fosse cosi', dobbiamo
scegliere in questo momento cruciale della storia umana.

2. MARTIN LUTHER KING: NOI VI AMEREMO ANCORA
[Riproponendo questo testo, nuovamente ringraziamo Fulvio Cesare Manara per
averci messo a disposizione l'antologia di scritti e discorsi di Martin
Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King,
Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo,
Bergamo 2002. Il testo seguente e' tratto da La forza di amare, Torino, Sei,
1968, 1973 e successive ristampe, pp. 86-88 (la traduzione e'
dell'indimenticabile padre Ernesto Balducci)]

Amici miei, abbiamo seguito la cosiddetta via pratica gia' per troppo tempo,
ormai, ed essa ci ha condotti inesorabilmente ad una piu' profonda
confusione ed al caos. Il tempo risuona del fragore della rovina di
comunita' che si abbandonarono all'odio e alla violenza. Per la salvezza
della nostra nazione e per la salvezza dell'umanita', noi dobbiamo seguire
un'altra via. Questo non significa che noi abbandoniamo i nostri giusti
sforzi: con ogni grammo della nostra energia dobbiamo continuare a liberare
questa nazione dall'incubo della segregazione; ma, nel far questo, non
dobbiamo rinunziare al nostro privilegio ed al nostro dovere di amare. Pur
aborrendo la segregazione, dovremo amare i segregazionisti: questo e'
l'unica via per creare la comunita' tanto desiderata.
Ai nostri piu' accaniti oppositori noi diciamo: "Noi faremo fronte alla
vostra capacita' di infliggere sofferenze con la nostra capacita' di
sopportare le sofferenze; andremo incontro alla vostra forza fisica con la
nostra forza d'animo. Fateci quello che volete, e noi continueremo ad
amarvi. Noi non possiamo, in buona coscienza, obbedire alle vostre leggi
ingiuste, perche' la non?cooperazione col male e' un obbligo morale non meno
della cooperazione col bene. Metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora.
Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli, e noi vi
ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case,
nell'ora di mezzanotte, batteteci e lasciateci mezzi morti, e noi vi ameremo
ancora. Ma siate sicuri che vi vinceremo con la nostra capacita' di
soffrire. Un giorno, noi conquisteremo la liberta', ma non solo per noi
stessi: faremo talmente appello al vostro cuore ed alla vostra coscienza che
alla lunga conquisteremo voi, e la nostra vittoria sara' una duplice
vittoria".
L'amore e' il potere piu' duraturo che vi sia al mondo. Questa forza
creativa, cosi' splendidamente esemplificata nella vita del nostro Signore
Gesu' Cristo, e il piu' potente strumento disponibile nell'umana ricerca
della pace e della sicurezza. Napoleone Bonaparte, il grande genio militare,
si dice che abbia detto, guardando indietro ai suoi anni di conquista:
"Alessandro, Cesare, Carlo Magno ed io abbiamo costruito grandi imperi, ma
appoggiati su che cosa? Appoggiati sulla forza. Ma tanti secoli fa Ges'
diede inizio ad un impero che fu costruito sull'amore, e anche al giorno
d'oggi vi sono milioni di uomini pronti a morire per lui". Chi puo' dubitare
della veracita' di queste parole? I grandi capi militari del passato sono
scomparsi, i loro imperi sono crollati e ridotti in cenere: ma l'impero di
Gesu', costruito solidamente e maestosamente sul fondamento dell'amore,
cresce ancora. Comincio' con un piccolo gruppo di uomini devoti che, per
ispirazione del loro Signore, furono capaci di scuotere le fondamenta
dell'impero romano e di portare il Vangelo in tutto il mondo. Oggi l'immenso
regno terreno del Cristo conta piu' di novecento milioni di uomini e si
estende ad ogni paese e ad ogni nazione. Oggi noi udiamo di nuovo la
promessa della vittoria. "Gesu' regnera' dovunque il sole / Si volge nei
suoi viaggi regolari; / Il suo regno si stende da sponda a sponda / Finche'
la luna crescera' per non scemare piu'". E un altro coro gioiosamente
risponde: "In Cristo non vi e' ne' Est ne' Ovest / In Lui non vi e' ne' Sud
ne' Nord, / Ma una grande comunione d'amore / Attraverso l'intero orbe
terrestre".
Gesu' ha eternamente ragione. La storia e' piena delle ossa imbiancate dei
popoli che rifiutarono di ascoltarlo. Possiamo noi nel ventesimo secolo
ascoltare e seguire le sue parole, prima che sia troppo tardi. Possiamo noi
solennemente renderci conto che non saremo mai veri figli del nostro Padre
celeste finche' non ameremo i nostri nemici e non pregheremo per coloro che
ci perseguitano.

3. MARTIN LUTHER KING: LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA
[Riproponendo questo testo, nuovamente ringraziamo Fulvio Cesare Manara per
averci messo a disposizione l'antologia di scritti e discorsi di Martin
Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King,
Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo,
Bergamo 2002. Il testo seguente e' tratto da La forza di amare, Torino, Sei,
1968, 1973 e successive ristampe, pp. 268-274 (la traduzione e'
dell'indimenticabile padre Ernesto Balducci)]

Dopo aver letto Rauschenbusch [Cristianesimo e crisi sociale] mi volsi ad
uno studio serio delle teorie sociali ed etiche dei grandi filosofi. Durante
quel periodo, disperai quasi del potere dell'amore di risolvere i problemi
sociali. La filosofia del porgere?l'altra?guancia e
dell'amare?i?propri?nemici sono valide, pensavo, solo quando individui sono
in conflitto con altri individui; ma quando sono in conflitto gruppi
razziali e nazioni, e' necessario un comportamento piu' realistico.
Allora, venni in contatto con la vita e con l'insegnamento del Mahatma
Gandhi. Leggendo le sue opere, rimasi profondamente affascinato dalle sue
campagne di resistenza nonviolenta. Tutto il concetto gandhiano di
satyagraha (satya e' verita' che equivale ad amore e agraha e' forza;
satyagraha, percio', significa verita'?forza, o amore?forza) era
profondamente significativo per me. Via via che scavavo a fondo nella
filosofia di Gandhi, il mio scetticismo riguardo al potere dell'amore
diminuiva gradualmente, ed io arrivai a vedere per la prima volta che la
dottrina cristiana dell'amore, operante attraverso il metodo gandhiano della
nonviolenza, e' una delle armi piu' potenti a disposizione di un popolo
oppresso nella sua lotta per la liberta'. A quel tempo, comunque, io
acquistai solo una comprensione intellettuale ed una stima di quella
posizione, e non avevo alcuna ferma decisione di organizzarla in una
situazione socialmente effettiva.
Quando, nel 1954, mi recai a Montgomery, Alabama, come pastore, non avevo la
minima idea che piu' tardi mi sarei trovato coinvolto in una crisi in cui la
resistenza nonviolenta avrebbe potuto essere applicabile. Dopo che ebbi
vissuto in quella comunita' per circa un anno, ebbe inizio il boicottaggio
degli autobus. I neri di Montgomery, esasperati dalle umilianti esperienze
che avevano costantemente subito negli autobus, espressero con una massiccia
azione di noncooperazione la loro decisione di essere liberi: giunsero ad
accorgersi che, in fin dei conti, era piu' onorevole camminare
dignitosamente per le strade che farsi trasportare in autobus in quella
forma umiliante. All'inizio della protesta, essi si rivolsero a me perche'
servissi loro da portavoce. Accettando tale responsabilita', il mio
pensiero, consciamente o inconsciamente, veniva riportato al Discorso della
Montagna e al metodo gandhiano della resistenza nonviolenta: questo
principio divenne la luce che guidava il nostro movimento: Cristo forniva lo
spirito e i motivi, Gandhi forniva il metodo.
L'esperienza di Montgomery servi' a chiarire il mio pensiero riguardo alla
questione della nonviolenza piu' di tutti i libri che avevo letti. Via via
che i giorni si susseguivano, mi convincevo sempre piu' del potere della
nonviolenza. La nonviolenza divenne piu' che un metodo a cui io davo il mio
assenso intellettuale: divenne dedizione ad una forma di vita. Molte
questioni che non avevo chiarito intellettualmente riguardo alla nonviolenza
venivano ora risolte entro la sfera dell'azione pratica.
Il privilegio che ebbi di fare un viaggio in India lascio' una grande
impronta su di me personalmente, perche' era corroborante vedere di prima
mano gli impressionanti risultati di una lotta nonviolenta per la conquista
dell'indipendenza. La messe di odio e di risentimento che ordinariamente
segue una campagna violenta non si riscontrava da nessuna parte in India, e
un'amicizia reciproca, basata sulla completa uguaglianza, esisteva tra
indiani e inglesi entro il Commonwealth.
*
Non vorrei dare l'impressione che la nonviolenza possa compiere miracoli da
oggi a domani: gli uomini non si lasciano facilmente smuovere dai loro
binari mentali o liberare dai loro sentimenti irrazionali, frutto di
pregiudizi. Quando i non privilegiati chiedono liberta', i privilegiati
dapprima reagiscono con risentimento e resistenza: anche quando le richieste
sono presentate in termini nonviolenti, la risposta iniziale e'
sostanzialmente la stessa. Io sono sicuro che molti dei nostri fratelli
bianchi a Montgomery e attraverso il Sud sono ancora pieni di risentimento
contro i dirigenti neri, anche se questi hanno cercato di seguire una via di
amore e di nonviolenza. Ma l'azione nonviolenta ha un'influenza sui cuori e
sulle anime di coloro che sono impegnati in essa: da' loro un nuovo rispetto
di se stessi; suscita risorse di forza e di coraggio che essi non sapevano
di possedere; infine, scuote a tal punto la coscienza dell'oppositore che la
riconciliazione diviene una realta'.
*
Piu' recentemente, sono giunto a riconoscere la necessita' del metodo della
nonviolenza nelle relazioni internazionali. Pur non essendo convinto della
sua efficacia nei conflitti tra nazioni, io pensavo che, pur non potendo mai
essere un bene positivo, la guerra potrebbe servirci come bene negativo,
prevenendo la diffusione e la crescita di una forza malvagia: la guerra, per
quanto orribile potrebbe essere preferibile all'arrendersi ad un sistema
totalitario. Ora, pero', io vedo che la distruttivita' potenziale delle armi
moderne elimina totalmente la possibilita' che la guerra rappresenti mai
piu' un bene negativo. Se ammettiamo che l'umanita' ha il diritto di
sopravvivere, allora dobbiamo trovare un'alternativa alla guerra ed alla
distruzione. Nella nostra epoca di veicoli spaziali e di missili balistici
telecomandati, la scelta e' tra la nonviolenza e la nonesistenza.
Io non sono un pacifista dottrinario, ma ho cercato di abbracciare un
pacifismo realistico, che considera la posizione pacifista come il male
minore nelle circostanze attuali. Io non proclamo di essere libero dal
dilemma morale che il cristiano non pacifista deve affrontare, ma sono
convinto che la Chiesa non puo' rimanere in silenzio mentre il genere umano
e' di fronte alla minaccia dell'annientamento nucleare. Se e' fedele alla
sua missione, la Chiesa deve chiedere la fine della gara degli armamenti.
*
Alcune mie personali sofferenze di questi ultimi anni sono pure servite a
formare il mio pensiero. Esito sempre a menzionare tali esperienze, per
timore di suscitare una falsa impressione: una persona che  continuamente
richiama l'attenzione sulle sue prove e sofferenze, corre il rischio di
acquistare un complesso di martire e di dare agli altri l'impressione di
cercare consapevolmente simpatia. E' possibile che uno sia egocentrico nel
sacrificio di se'. Percio' sono sempre riluttante a citare i miei sacrifici
personali. Mi sento, pero', in certo modo giustificato di menzionarli in
questo saggio, a motivo dell'influenza che essi hanno avuto sul mio
pensiero.
A causa del mio impegno nella lotta per la liberta' della mia gente, in
questi ultimi anni ho conosciuto ben pochi giorni tranquilli. Sono stato
rinchiuso nelle prigioni dell'Alabama e della Georgia dodici volte; due
volte la mia casa e' stata colpita dalle bombe. Raramente passa un giorno
che la mia famiglia ed io non riceviamo minacce di morte; io sono stato
vittima di un'aggressione quasi fatale: in senso molto reale, dunque, sono
stato percosso dalle tempeste della persecuzione. Devo ammettere di aver
pensato, a volte, che non potevo piu' sopportare un cosi' pesante fardello,
e di essere stato tentato di ritirarmi ad una vita piu' tranquilla e serena.
Ma, ogni volta che mi si e' presentata una tale tentazione, qualcosa veniva
a rafforzare e a sorreggere la mia decisione. Ormai ho imparato che la soma
del Maestro e' leggera precisamente quando noi prendiamo su di noi il suo
giogo.
Le prove personali mi hanno anche insegnato il valore di una immeritata
sofferenza. Quando le mie sofferenze aumentarono, io mi resi subito conto
che vi erano due maniere in cui potevo rispondere alla mia situazione: o
reagire con risentimento, o cercare di trasformare la sofferenza in una
forza costruttiva. Decisi di seguire la seconda maniera. Riconoscendo la
necessita' della sofferenza, avevo cercato di fame una virtu': foss'anche
solo per salvarmi dall'amarezza, avevo cercato di vedere le mie prove
personali come un'occasione per trasfigurare me stesso e per salvare il
popolo implicato nella tragica situazione che ora prevale. Ho vissuto questi
ultimi anni con la convinzione che la sofferenza immeritata e' redentiva. Vi
sono alcuni che ancora considerano la croce come un ostacolo, altri la
considerano follia, ma io sono convinto, piu' di quanto lo sia mai stato
prima, che essa e' la potenza di Dio per la salvezza sociale e individuale.
Cosi', come l'apostolo Paolo, io posso dire, umilmente ma con fierezza: "Io
porto nel mio corpo i segni del Signore Gesu'".
*
Gli angosciosi momenti che ho passati durante questi ultimi anni mi hanno
anche portato piu' vicino a Dio. Piu' che mai prima, sono convinto della
realta' di un Dio personale. Certo, ho sempre creduto nella personalita' di
Dio: ma, in passato, l'idea di un Dio personale era poco piu' di una
categoria metafisica che io trovavo teologicamente e filosoficamente
soddisfacente; ora, essa e' una realta' vivente che e' stata convalidata
dall'esperienza della vita quotidiana. Negli ultimi anni, Dio e' stato
profondamente reale per me. In mezzo ai pericoli esterni, ho sentito una
calma interiore; in mezzo a giorni desolati e a notti di terrore, ho udito
una voce interiore che diceva: "Ecco, io saro' con te". Quando le catene
della paura e i ceppi della frustrazione avevano quasi ridotto all'impotenza
i miei sforzi, ho sentito la potenza di Dio che trasformava il travaglio
della disperazione nell'allegria della speranza. Io sono convinto che
l'universo e' sotto il controllo di un'intenzione amorosa e che nella lotta
per la giustizia l'uomo ha alleati cosmici. Dietro le dure apparenze del
mondo, vi e' un potere benigno. Dire che questo Dio e' personale non
significa renderlo un oggetto finito accanto ad altri oggetti o attribuirgli
le limitazioni della personalita' umana: significa prendere quello che vi e'
di piu' alto e di piu' nobile nella nostra coscienza e affermarne la
perfetta esistenza in lui. E' certamente vero che la personalita' umana e'
limitata, ma la personalita' in quanto tale non implica necessariamente
delle  limitazioni: essa significa semplicemente autocoscienza e
autodirezione. Cosi', nel piu' vero senso della parola, Dio e' un Dio
vivente. In lui sono sentimento e volonta', responsivi alle piu' profonde
emozioni del cuore umano: questo Dio evoca la preghiera e insieme vi
risponde.
*
L'ultima decade e' stata quanto mai eccitante. A dispetto delle tensioni e
incertezze di questo periodo, qualcosa di profondamente significativo si sta
facendo strada. I vecchi sistemi di sfruttamento e di oppressione stanno
scomparendo; nuovi sistemi di giustizia e di uguaglianza stanno nascendo.
Realmente, questo e' un gran tempo per vivere. Percio', io non sono ancora
scoraggiato riguardo al futuro. D'accordo che il facile ottimismo di ieri e'
impossibile; d'accordo che ci troviamo di fronte ad un  a crisi mondiale che
cosi' spesso ci lascia eretti in mezzo al crescente mormorio dell'agitato
mare della vita. Ma ogni crisi ha al tempo stesso i suoi rischi e le sue
possibilita': puo' significare salvezza o condanna. In un mondo buio e
confuso, il Regno di Dio puo' ancora regnare nel cuore degli uomini.

4. ET COETERA

Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi
all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo
stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama.
Dal 1955 (il primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta
nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti
degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di
attentati e repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther
King: tra i testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994
(edizione italiana curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di
Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona
1993; L'"altro" Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993 (antologia a cura
di Paolo Naso); "I have a dream", Mondadori, Milano 2001; Il sogno della
nonviolenza. Pensieri, Feltrinelli, Milano 2006; cfr. anche: Marcia verso la
liberta', Ando', Palermo 1968; Lettera dal carcere, La Locusta, Vicenza
1968; Il fronte della coscienza, Sei, Torino 1968; Perche' non possiamo
aspettare, Ando', Palermo 1970; Dove stiamo andando, verso il caos o la
comunita'?, Sei, Torino 1970. Presso la University of California Press, e'
in via di pubblicazione l'intera raccolta degli scritti di Martin Luther
King, a cura di Clayborne Carson (che lavora alla Stanford University). Sono
usciti sinora sei volumi (di quattordici previsti): 1. Called to Serve
(January 1929 - June 1951); 2. Rediscovering Precious Values (July 1951 -
November 1955); 3. Birth of a New Age (December 1955 - December 1956); 4.
Symbol of the Movement (January 1957 - December 1958); 5. Threshold of a New
Decade (January 1959 - December 1960); 6. Advocate of the Social Gospel
(September 1948 - March 1963); ulteriori informazioni nel sito:
www.stanford.edu/group/King/ Opere su Martin Luther King: Arnulf Zitelmann,
Non mi piegherete. Vita di Martin Luther King, Feltrinelli, Milano 1996;
Sandra Cavallucci, Martin Luther King, Mondadori, Milano 2004. Esistono
altri testi in italiano (ad esempio Hubert Gerbeau, Martin Luther King,
Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a nostra conoscenza sono perlopiu' di
non particolare valore: sarebbe invece assai necessario uno studio critico
approfondito della figura, della riflessione e dell'azione di Martin Luther
King (anche contestualizzandole e confrontandole con altre contemporanee
personalita', riflessioni ed esperienze di resistenza antirazzista in
America). Una introduzione sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile
1998 (alle pp. 3-9), con una buona bibliografia essenziale.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 164 del 4 aprile 2008

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