Nonviolenza. Femminile plurale. 162



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 162 del 28 febbraio 2008

In questo numero:
Alcuni estratti da "Ginocidio" di Daniela Danna (parte prima)

LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "GINOCIDIO" DI DANIELA DANNA (PARTE PRIMA)
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti (scelti da Angela
Razzini) dal libro di Daniela Danna, Ginocidio. La violenza contro le donne
nell'era globale, Eleuthera, Milano 2007.
Daniela Danna (Milano, 1967), ricercatrice, saggista, docente, insegna
presso la Facolta' di Sociologia dell'Universita' degli Studi di Milano. Dal
sito www.danieladanna.it riprendiamo il seguente profilo: "La mia
professione e' quella di ricercatrice presso il Dipartimento di Studi
Sociali della facolta' di Scienze Politiche dell'Universita' degli Studi di
Milano, dove tengo un corso di 'Sistemi sociali comparati' e una parte
monografica sul concetto di capitalismo in Marx, Weber e altri autori nel
corso di 'Storia del pensiero sociologico'. E' la facolta' dove mi sono
laureata nel 1991, con una tesi di laurea intitolata 'La teoria della
transizione demografica di John Caldwell e il caso della Danimarca', che ho
fatto durante un periodo ad Aarhus (la seconda citta' della Danimarca, anche
se non e' molto famosa), nel bel mezzo di un gelido inverno. Ancora prima di
laurearmi comincio a lavorare a 'Babilonia' con Giovanni Dall'Orto, tenendo
le (due) pagine lesbiche, la rubrica di notizie dall'estero, occupandomi
sotto la guida di Giovanni degli aspetti pratici della campagna in difesa di
don Crema, che era minacciato di 'licenziamento' per le sue posizioni poco
vaticane in materia di omosessualita' (teneva una rubrica su 'Babilonia',
che dovette abbandonare) e scrivendo articoli su temi vari. Subito dopo la
laurea parto per Berlino, dove continuo a scrivere per 'Babilonia', insegno
italiano, lavoro in bar e in un ristorante, insomma, mi arrangio a reddito
minimo ma con molto tempo libero. Agli archivi lesbici Spinnboden scopro
l'esistenza di uno scaffale intero di libri che parlano dell'amore tra donne
nella storia, in tedesco, inglese ed altre lingue, e comincio a lavorare a
una sintesi dei materiali per farli conoscere alle italiane. Dopo la fine di
questa ricerca propongo al mio editore un libro sul riconoscimento giuridico
e sociale delle unioni omosessuali. Mondadori accetta, ma poi in un momento
di difficolta' economica non pubblica il lavoro (contemporaneamente fa
uscire Praticamente normali di Andrew Sullivan sullo stesso tema, quindi non
sembra essere una censura sui contenuti). La scoperta di accadimenti
fantascientifici, come la pratica di emettere certificati di nascita con i
nomi delle co-madri della California, o lo sviluppo dei servizi di
inseminazione assistita per lesbiche, mi spinge (per tornare sulla Terra) a
intraprendere una ricerca sulla maternita' delle lesbiche in Italia,
realizzando interviste in tutta Italia, grazie all'aiuto di molte amiche del
movimento, in particolare Giovanna Olivieri. Stanca dell'isolamento (e anche
della scarsa considerazione) che la ricerca 'selvatica' ottiene, approdo
all'Universita' come dottoranda in sociologia nel 1998, e decido
(finalmente! dice il mio palato intellettuale) di cambiare argomento di
ricerca, dedicandomi alle politiche sulla prostituzione. Ora si e' chiuso
anche questo ciclo, sto preparando il mio corso e studiando autori che
occhieggiavano da un po' (magari solo parzialmente letti!) dai miei
scaffali: Wallerstein, Arrighi, Boutang, Tobin, Barrington Moore, Diamond,
Delphy e molti altri". Pubblicazioni di Daniela Danna: dalla medesima fonte
riprendiamo la seguente bibliografia: "a) Pubblicazioni recenti: (a cura
di), Prostituzione evita pubblica in quattro capitali europee, Carocci, Roma
2007; Ginocidio. La violenza contro le donne nell'era globale, Eleuthera,
Milano 2007. b) Pubblciazioni sulla prostituzione. 1. Saggi: Donne di mondo.
Costruzione sociale e realta' della prostituzione e del suo controllo
statale, Eleuthera, 2004; Cattivi costumi: Le politiche sulla prostituzione
nell'Unione Europea negli anni Novanta, Quaderni del Dipartimento di
Sociologia e Ricerca sociale, Universita' di Trento, n. 25, 2002; Le
politiche sulla prostituzione in Europa negli anni Novanta. Tesi di
dottorato di ricerca in Sociologia e ricerca sociale presso l'Universita'
degli studi di Trento, 2001. 2. Articoli: La prostituzione di strada
nell'Unione Europea: le stime piu' recenti, in "Polis", n. 2, 2000, pp.
301-321; Paradossi della prostituzione, in "Polis", n. 1, 2001, pp. 5-12; La
prostituzione come issue politica: l'abolizionismo della legge italiana e le
proposte di cambiamento, in "Polis", 1, 2001, pp. 55-75; Danish legislation
on prostitution in the context of the policy models in the E. U., in
Kvinder, koen og forskning, n. 3, 2001, pp. 34-47. Lo sfruttamento della
prostituzione, in La criminalita' in Italia, a cura di Marzio Barbagli e
Ubaldo Gatti, Il Mulino 2002, pp. 149-158; Le politiche prostituzionali in
Europa, in On the road: Manuale di intervento sociale nella prostituzione di
strada, Milano, Franco Angeli 2003; Italy, the never-ending debate in The
Politics of Prostitution: Women's Movements, Democratic States, and the
Globalisation of Sex Commerce, a cura di Joyce Outshoorn, Cambridge
University Press, in corso di pubblicazione. 3. Convegni. Organizzazione
della Giornata di studi sulla prostituzione in Italia dell'Istituto Cattaneo
(Bologna, 15.9.2000) e partecipazione con il paper La prostituzione di
strada nell'Unione Europa: le stime piu' recenti; The position of the
prostitutes in E. U. countries law and practice al workshop Ties that Bind:
the Law, Economics and the Labour Market della IV Conferenza europea di
ricerca femminista (Bologna, 28.9-1.10.2000), vedi in
www.women.it/cyberarchive ; Organisations active in the field of
prostitution in a comparative Western European perspective. Prostitution and
trafficking as political issues Joint sessions dell'Ecpr (14-19 aprile
2000Copenaghen), vedi in www.essex.ac.uk/ecpr/; Models of policies about
prostitution in the E. U. member states. Lezione tenuta al College di Vassar
23 aprile 2001; Danish legislation in a E. U. perspective. Sex til salg (28
settembre 2001 Copenaghen); Modelli di regolazione della prostituzione
nell'Unione Europea.Rompere il silenzio sulle nuove schiavitu' della strada
(17 maggio 2002 Cremona) in corso di pubblicazione negli Atti; Street
prostitution and public policies in Milan, Italy. Sex work and public health
Conference (18-20 gennaio 2002 Milton Keynes, UK); Trafficking and
prostitution of foreigners in the context of the E. U. countries' policy
about prostitution. Newr Workshop on Trafficking (25-26 aprile 2003
Amsterdam); Uno sguardo all'Europa. Convegno Nazionale Oltre le terre di
mezzo. Ipotesi per nuove politiche sulla prostituzione (22-23 settembre 2003
San Benedetto del Tronto). c) Pubblicazioni sul lesbismo: 1. Saggi: Amiche,
compagne, amanti. Storia dell'amore tra donne, Mondadori, Milano 1994
(ristampato nella collana Oscar, 1996). Pubblicato in edizione integrale e
aggiornata da Editrice Uni Service, 2003; Matrimonio omosessuale, Erre Emme
Edizioni, Roma 1997 (poi Massari Editore, Bolsena); "Io ho una bella
figlia..." Le madri lesbiche raccontano, Zoe Edizioni, Forli', 1998. 2.
Articoli: "Bisogna difendere la famiglia" Suggerimenti per un dibattito
sulla destra al governo e le lesbiche: perche' non ci vogliono bene?
Introduzione al dibattito in occasione della Giornata dell'orgoglio gay e
lesbico a Milano, giugno 2002; Pregiudizio e orgoglio: gli effetti italiani
del world pride, Incontro annuale dell'Associazione Americana di
Italianistica, Filadelfia 2001; Cronache recenti di lesbiche in movimento,
in "Quaderni viola", n. 4, 1996, pp. 6-17; Italy, in Lesbian motherhood in
Europe, a cura di Kate Griffin e Lisa A. Mulholland, London, Cassell 1997,
pp. 141-147; Lesbiche in movimento, in Pro/posizioni. Interventi alla prima
universita' gay e lesbica d'estate, a cura di Gigi Malaroda e Massimo
Piccione, Livorno, 24-30 agosto 1997. Universita' gay e lesbica d'estate,
Livorno, 2000, pp. 50-56; The Beauty and the Beast. Lesbian characters in
the turn-of-the-century Italian literature, in Queer Italia: Same-Sex Desire
in Italian Literature & Film, a cura di Gary P. Cestaro, Palgrave MacMillan,
2004. 3 Convegni: Lesbian mothers in contemporary Italy, alla sezione
"GenDerations" convegno internazionale "Women's Worlds '99" (Tromsoe
20-26.6.1999), vedi in www.skk.uit.no/WW99 ; Le modele italien: 20 ans de
luttes lesbiennes organisees, in "Espace lesbien. Rencontre et revue
d'etudes lesbiennes", n. 2, 2001 (Actes du colloque europeen d'etudes
lesbiennes, Toulouse 13-16.4.01), pp.179-194, intervento al convegno "La
grande dissidence et le grand effroi. Colloque europeen d'etudes
lesbiennes"; Effetti italiani del World Pride al convegno annuale
dell'American Association for Italian Studies (Filadelfia 19-22.4); Bisogna
difendere la famiglia La destra al governo e le lesbiche. Perche' non ci
vogliono bene? Giornata del Pride Glbt (21 giugno 2002 Cdm Milano); Non
osava esprimere il suo desiderio: Gertrude Stein anno 1903, intervento al
convegno "Dalle grandi madri alle grandi figlie. Storia della letteratura
lesbica dal Novecento ad oggi", Roma 26-28.6.02, in corso di pubblicazione
negli Atti"]

Indice del libro
Introduzione; I. Violenza ginocida e globalizzazione; II. Societa' senza
violenza; III. Gli stupri; IV. I maltrattamenti su mogli e figli; V. Gli
omicidi e i ginocidi; VI. Violenza culturale, istituzionale, economica; VII.
Uno sguardo comparativo; VIII. Italia: l'amore che uccide; IX. Scandinavia:
gente senza onore; X. Americhe: padroni e schiave del mondo; XI. Europa
dell'Est: il rinascimento del patriarcato; XII. Il mondo musulmano: "E
l'onore, l'avete poi salvato?", Conclusioni.
*
Introduzione (p. 7 e sgg.)
Forse c'e' stato un tempo in cui uomini e donne hanno vissuto in armonia.
Forse quando gli esseri umani veneravano la dea madre come simbolo di
fertilita', di continuita' della vita, questa devozione costituiva la
trasposizione sul piano ideale e rituale del rispetto esistente nelle
relazioni tra i sessi: il linguaggio della dea (Gimbutas 1990). Purtroppo lo
ignoriamo: di quell'epoca di caccia e raccolta restano pitture rupestri,
incisioni e statuette, troppo poco per non dover ricorrere a mere
supposizioni, a fantasie molto piu' rivelatrici del mondo culturale di chi
le propone che della vita sociale di quell'epoca preistorica. Nel nostro
tempo invece i luoghi in cui le regole sociali prescrivono il rispetto e la
reciproca stima tra il sesso maschile e quello femminile sono scarsi,
limitati, circoscritti. Le pessimiste dicono: inesistenti, o comunque in via
di estinzione, come piccole comunita' delle foreste dell'India o degli
altipiani della Nuova Guinea. Nella maggior parte delle culture, a chi
appartiene al gruppo degli uomini si insegna la superiorita' su chi
appartiene al gruppo delle donne e su quei maschi che assumono sembianze o
comportamenti etichettati come "femminili". Viceversa, a chi appartiene al
sesso femminile si insegnano sottomissione, docilita' e regole molteplici,
poi interiorizzate, che impongono di controllarsi, di modificarsi per
apparire desiderabili e innocue, e soprattutto di badare alla propria
castita'. Mentre al maschio tutto e' dovuto, la femmina non ha diritto a
nulla.
Questa rigida separazione tra i sessi con la prescrizione della
subordinazione del sesso femminile a quello maschile e' la radice della
violenza che vogliamo chiamare ginocida. E' la violenza rivolta contro il
femminile allo scopo di affermare la superiorita' maschile, e' lo stupro che
collega al piacere sessuale un'aggressione intima contro la vittima che
viene "posseduta", e' l'annichilimento della volonta' della partner nei
maltrattamenti familiari, e' l'omicidio per gelosia, per "passione", in cui
la pretesa di amare la vittima nasconde la manifestazione suprema del
possesso: la distruzione. Tale violenza e' presente, oltre che negli atti
individuali di aggressione, anche nelle norme sociali che giustificano
questi atti, ad esempio dandone la colpa alla "scarsa moralita'" della
vittima, punendola per non aver adempiuto al ruolo femminile, e in quelle
che prescrivono violenze espressamente mirate al sesso femminile, come
l'uccisione per adulterio, le mutilazioni genitali (che hanno proprio lo
scopo di costruire la versione socialmente accettata del sesso femminile),
la sistematica denutrizione e discriminazione delle figlie femmine. Ed e' il
risultato di un'educazione maschile che esalta l'aggressivita', di un ideale
di virilita' violenta in cui vengono cresciuti i maschi. La violenza
ginocida e' una categoria che comprende anche la violenza che i maschi
scatenano contro quegli uomini, adolescenti, bambini che non adempiono il
loro ruolo maschile e vengono giudicati deboli, perdenti, simili alle donne,
ovvero effeminati - forse ancora piu' degradati delle donne stesse, poiche'
hanno perso la loro posizione dominante mentre le femmine, per definizione,
non possono raggiungerla.
Le parole "ginocidio", "femicidio", "femminicidio" sono state coniate dal
femminismo negli anni Settanta - Jane Caputi, Mary Daly (2005), Andrea
Dworkin, Antoinette Fouque (1989), Diana Russell e molte altre - per
indicare non solo gli assassinii di donne ma anche tutta la violenza che si
rivolge contro l'essere donna, contro il femminile, a causa del disprezzo
sociale e della brama di controllo sui corpi femminili da parte del sistema
di potere maschile, il patriarcato. E dunque gli esecutori di questa
violenza, che certo puo' spingersi anche fino all'omicidio, possono essere
uomini ma anche donne (un esempio sono le anziane che eseguono le
mutilazioni genitali sulle bambine).
La creazione di una particolare categoria di "violenza ginocida" e'
importante perche' le statistiche mostrano una prevalenza di vittime
maschili di omicidio e di aggressioni: se ne dovrebbe concludere che sia il
sesso femminile a godere di vantaggi e protezione. Ma questa "protezione"
del genere femminile e' semplicemente la limitazione del movimento delle
femmine negli spazi pubblici da parte di norme sociali oppressive o
semplicemente della paura degli uomini.
Infatti, cosi' come la violenza sugli uomini viene esercitata in massima
parte da altri uomini, anche le donne vittime di violenza lo sono per mano
maschile. Gli stessi "protettori" delle donne, i loro compagni, familiari e
amici maschi, sono coloro che perpetrano la maggioranza delle violenze
ginocide. Le femmine vengono rinchiuse nelle case per proteggerle (o per
proteggerne "la virtu'"), ma per loro e' la casa il luogo piu pericoloso.
E' importante sottolineare il fatto che analizzeremo ruoli sociali, cioe'
norme generali prescritte nelle relazioni tra i sessi, e che il cambiamento
e' in atto: nel corso della storia la posizione delle donne e' piu' volte
mutata, le norme e le sanzioni relative alla trasgressione sono in continuo
mutamento aprendo o chiudendo spazi di liberta'.
Nel primo capitolo presenteremo il dibattito tra i due schieramenti
politico-intellettuali contrapposti. Se alcuni ritengono che
l'approfondimento dei legami economici e culturali tra le diverse aree del
mondo, la globalizzazione degli ultimi 20-30 anni, abbia portato benefici
alle donne, altri sono invece convinti che essa abbia peggiorato la
situazione in cui vivono gran parte delle donne del mondo. Il tentativo di
suffragare l'una o l'altra ipotesi attraverso prove empiriche sara' il filo
rosso che attraversa questo libro.
Ancora oggi esistono, in alcune parti del mondo poco popolate e
relativamente isolate, gruppi umani che mantengono modi di vita tradizionali
che discendono dalle societa' senza scrittura e nei quali non esiste
violenza ginocida: ce ne occuperemo in dettaglio nel secondo capitolo.
Proprio questa variabilita' nella posizione sociale delle donne, e nelle
circostanze in cui la violenza ginocida e' perpetrata, permette di
individuare in quali situazioni la violenza diminuisce, quali fattori
possono tenerla a freno. Questo sara' il tema dei quattro capitoli che
seguono, su stupri, maltrattamenti, omicidi e violenza culturale.
istituzionale ed economica, in cui esporremo le ricerche sull'incidenza e
sulle motivazioni di ciascuno di questi misfatti.
Dopo aver parlato di societa' senza violenza e delle forme della violenza
ginocida con un approccio tematico, nella seconda parte del libro passeremo
a un approccio geografico e presenteremo alcuni indicatori tratti da
ricerche internazionali comparate, per poi approfondire l'indagine su alcune
aree del mondo: l'Italia, la Scandinavia, le Americhe, l'Europa dell'Est, il
mondo musulmano, cercando i dati sulla violenza contro le donne
(un'approssimazione empirica del concetto analitico di violenza ginocida)
per formulare un giudizio sul miglioramento o il peggioramento della
condizione delle donne nella globalizzazione.
*
Violenza ginocida e globalizzazione (p. 11 e sgg.)
La violenza degli uomini contro le donne - violenza psicologica, fisica e
sessuale sia su donne adulte che su ragazze e bambine - ha tre importanti
dimensioni: 1) le circostanze in cui e' perpetrata; 2) i luoghi; 3) la sua
legittimita' o illegittimita'. Le circostanze del ginocidio si suddividono
analiticamente in situazioni di pace o di guerra. I diversi luoghi in cui
puo' avvenire sono il chiuso delle case, in strada, oppure i luoghi di
lavoro, dove la violenza varia in gravita' dai ricatti e dalle molestie
sessuali fino allo stupro e persino all'omicidio. E' una favola che i luoghi
pubblici siano i piu' pericolosi per le donne, mentre e' proprio nel privato
che si consumano piu' atti di violenza.
L'ultima dimensione analitica e' il contrasto tra la prescrizione culturale
o viceversa la punibilita' giuridica della violenza: l'obiettivo politico
delle donne e' quello di rendere la violenza ginocida illegale. Tra le
situazioni in cui le vittime sono designate come tali dall'intera societa',
che incoraggia o addirittura impone la violenza, vi sono i delitti d'onore,
i matrimoni imposti, il potere correzionale attribuito al marito.
Soprattutto in questi casi e' evidente come il fine della violenza sia la
legittimazione del dominio dell'uomo sulla propria donna, giustificato dal
concetto di onore e dal sentimento, cui non si vogliono porre freni o
limiti, della gelosia.
Prima della rivoluzione cinese, le famiglie ricche - poi sempre piu' anche
quelle degli strati sociali piu' bassi - deformavano i piedi delle proprie
bambine: "Per evitare che le donne corrano da un uomo all'altro in modo
vergognoso"; la clitoride viene mutilata perche' e' la principale sede del
piacere femminile e la radice degli impulsi sessuali (considerati indecenti
nelle femmine), e anche perche' rappresenta un "principio maschile" da cui
purificarle, ritenendolo velenoso e letale per l'uomo durante il rapporto
sessuale o per il bambino durante il parto; le mutilazioni sessuali vengono
eseguite anche su neonati di paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna...): sui
maschi "micropenici" e le femmine "iperclitoridee", nonche' sugli
ermafroditi, questa volta per confermare l'idea dell'esistenza di solo due
sessi ben distinti tra di loro e dunque gerarchizzabili (Poidimani 2006,
54); il burka o il chador, che riducono le donne a un ammasso informe e
provocano non solo problemi psicologici ma anche fisici alla vista, ai
capelli, alla pelle che non riceve mai la luce del sole, sono imposti per
non indurre gli uomini in tentazione; tra le prescrizioni che le donne
turche devono rispettare - perche' l'onore di un uomo e' nelle loro mani di
mogli, madri, sorelle, figlie (e se lo insozzano verranno uccise da lui o da
un altro congiunto di sesso maschile) - non vi e' solo la castita' ma anche
la modestia nei comportamenti: non stare troppo tempo affacciate alla
finestra, non salutare gli uomini, non camminare mai davanti al marito. E un
altro bersaglio della violenza ginocida sono coloro che deviano dall'obbligo
sociale all'eterosessualita' da viversi solo nel matrimonio: sono chiamate
puttane e lesbiche, inferiori tra le inferiori.
Vi e' inoltre la violenza legata alla procreazione, che colpisce
direttamente la capacita' riproduttiva femminile: la sterilizzazione
forzata, l'imposizione dell'aborto o la costrizione a portare a termine la
gravidanza. le proibizioni legali poste alla contraccezione e
all'interruzione di gravidanza, l'imposizione di rapporti sessuali in cui vi
e' il rischio di gravidanze non desiderate. Siccome in molte culture una
prole numerosa aumenta il prestigio virile, i mariti proibiscono alle mogli
l'uso di contraccettivi - e le maltrattano se scoprono che li usano lo
stesso. Le stesse leggi che proibiscono di abortire negli ospedali o di
ricorrere a metodi chimici esercitano violenza esponendo le donne ai rischi
dell'aborto clandestino, tra cui quello di una morte orribile per emorragia.
Violenza e' anche l'ignoranza sul proprio corpo, sulle conseguenze della
sessualita': non sapere come vengono concepiti i bambini, non sapere quali
sono i modi di trasmissione delle malattie veneree, non sapere che una
vergine non sempre ha l'imene chiuso, che non sempre durante il primo coito
esso si lacera sanguinando, e' un'ignoranza che puo' avere conseguenze
terribili.
La violenza apertamente esercitata e' comunque un indicatore molto
imperfetto della condizione femminile, che e' quello che realmente importa.
La' dove vi e' sottomissione assoluta, la' dove la donna non ha possibilita'
di vita se non si assoggetta, la' dove si identifica pienamente nel ruolo
subordinato socialmente imposto, la rassegnazione evita minacce e percosse.
Tale assenza esteriore di violenza ha lo stesso significato della violenza
piu' estrema: qui la schiavitu' e' la piu' assoluta.
Riflettere sulla sottomissione e sulla rassegnazione pone quindi il problema
della soggettivita' della definizione di violenza (come del resto della
definizione di tutti i fenomeni umani): la violenza e' importante solo se
soggettivamente percepita? Se osservatrice e osservata hanno parametri di
giudizio diversi, a chi dar credito? Puo' esistere una definizione oggettiva
di violenza?
Un atto di violenza e' un atto finalizzato, attraverso il dolore fisico o
psicologico, a piegare la volonta' di una persona, a sottometterla al
proprio volere. Non importa quanto il perpetratore o la vittima siano
convinti della sua rispondenza a norme sociali: per l'osservatore che vede i
fatti e le loro conseguenze, questo atto e' senza dubbio un'azione violenta.
Se la violenza subita e' ritenuta legittima, se e' l'unico modo di
interazione sperimentato (come accade ai figli di un padre violento), essa
non sara' per questo priva di conseguenze sul benessere non solo fisico ma
anche e soprattutto psicologico di chi la subisce, e questo anche nel caso
in cui la vittima la accetti, non se ne lamenti, non cerchi neppure una via
di uscita proprio perche' ritiene che sia questa la normalita'.
Per valutare la posizione delle donne con un metro oggettivo, senza farsi
trarre in inganno dall'acquiescenza di coloro che sono talmente schiacciate
da un potere maschile e tradizionale da aver rinunciato persino a desiderare
una condizione migliore, la filosofa statunitense Martha Nussbaum ha
applicato ai rapporti tra i sessi l'approccio basato sulle "capacita'"
dell'economista indiano Amartya Sen. Sen riconosce il problema
dell'adattivita' delle preferenze, cioe' del fatto che normalmente si
esercita la facolta' di scelta solo tra gli obiettivi che sono
effettivamente raggiungibili, e dunque la scelta non e' un buon criterio per
giudicare la volontarieta' di un'azione. Scrive Nussbaum: "Se qualcuno che
non ha diritti di proprieta' legalmente riconosciuti, che non ha istruzione
formale, che non ha diritto al divorzio, che sara' probabilmente picchiata
se cerca impiego fuori casa, dice di condividere le tradizioni di pudore,
castita' e sacrificio personale, si puo' dubitare che queste siano le ultime
parole al riguardo" (Nussbaum 2001, 63).
Il metro di giudizio e' dunque verificare quali alternative sono
concretamente alla portata di quella donna, di quel gruppo femminile, con un
approccio che e' detto "delle capacita'" perche' vuole garantire a tutte e a
tutti lo sviluppo di capacita' umane fondamentali mediante la garanzia della
soddisfazione dei bisogni essenziali alla vita umana, nonche' dell'accesso
all'istruzione, della parita' giuridica e di una pari considerazione sociale
delle donne rispetto agli uomini. Infatti, e' solo nel momento in cui si
intravede un'alternativa che il comportamento violento, fino ad allora
subito, diventa inaccettabile e viene finalmente nominato come tale. A volte
e' sufficiente una pausa di riflessione, un confronto con persone che
provengono da un ambiente diverso, una convalida della propria percezione di
ingiustizia: "Mio marito mi picchia, viene a letto con me quando non voglio
e io devo obbedire. Prima di venire intervistata non ci pensavo veramente.
Pensavo che fosse naturale. Per un marito questo e' il giusto modo di
comportarsi", ha dichiarato una donna bengalese nell'ambito di un'inchiesta
sulla violenza dell'Organizzazione mondiale per la sanita' (Krug et al.
2002. 10).
Ampliare le capacita' delle donne non e' cosa facile: implica azioni
culturali, ma ancora di piu' mutamenti materiali. Il femminismo si e'
ribellato soprattutto culturalmente al sistema di potere maschile, che ha
definito prima patriarcato poi fratriarcato, sottolineando come oggi
l'autorita' del pater familias sia terminata, mentre sono i fratelli (in
senso sociale) a essersi uniti in un nuovo patto per il dominio sulle donne.
E il femminismo e' stato anche definito una rivoluzione riuscita, dal
momento che le sue richieste di mutamento sociale si sono in una certa
misura avverate, ad esempio la crescente partecipazione delle donne al
mercato del lavoro in tutti i ruoli, o la concezione giuridica della donna
come persona, come individuo, o meglio individua che sta alla pari con
l'uomo di fronte alla legge, legge che deve tenere conto della sua volonta'
e delle sue scelte al pari di quelle degli uomini. Questa concezione
generale ha avuto alcuni capisaldi legislativi concreti: il voto
naturalmente e il divieto di discriminazione in base al sesso, ma
altrettanto importanti sono state l'emancipazione delle donne sposate
dall'autorita' maritale e l'introduzione della parita' tra i coniugi perche'
si abbandonasse la concezione della famiglia come soggetto collettivo
rappresentato dalla volonta' del suo capo - s'intende maschio.
Un'altra vittoria culturale del femminismo e' che e' cambiata la
considerazione sociale della sessualita' femminile: era un bene custodito
dalla famiglia, di cui il futuro marito si sarebbe appropriato, e a questa
concezione facevano da corollari la comprensione e giustificazione per il
delitto d'onore e l'impossibilita' di denunciare uno stupro se il colpevole
era lo stesso marito. La sessualita' oggi vuole invece essere uno scambio
basato sull'idea e sull'espressione del consenso, e la facolta' di
esprimerlo o negarlo non viene meno per il fatto di essere stati uniti in
matrimonio. Inoltre, le norme giuridiche che permettono di sciogliere il
matrimonio rendono ora piu' facile separarsi da un marito violento (anche se
la variabile cruciale rimane la possibilita' di guadagnarsi la vita
autonomamente da lui).
In tutto il mondo, infine, vi e' ormai la consapevolezza della violenza
maschile ai danni delle donne, e ad essa ci si oppone in molti modi: dal
sorgere, a partire dagli anni Settanta, di centri di ascolto e di case di
fuga che proprio il movimento femminista comincio' a organizzare in modo
autonomo per poi chiederne il pubblico riconoscimento e supporto,
all'organizzazione di momenti pubblici di dibattito e riflessione sulle
varie forme del ginocidio, alla formazione delle forze di polizia e
dell'apparato giudiziario, alle nuove leggi in materia approvate anche in
seguito alla firma della Convenzione per l'eliminazione delle
discriminazioni contro le donne, ratificata a partire dal 1979 da 180 Stati.
E' una rivoluzione lunga, difficile, faticosa. E sara' vero che continua ad
avanzare? La condizione delle donne sta ancora migliorando o ha cessato di
farlo? E' regredita? Che cosa accade nei paesi sviluppati e che cosa accade
in quelli poveri? A queste domande non e' sicuramente possibile rispondere
con un unico libro. La dimensione della violenza maschile contro le donne e'
un indicatore molto importante della condizione femminile, ma e' solo un
indicatore, a sua volta basato su stime e non su dati certi. Quello che
possiamo e vogliamo fare e' esplorare le conoscenze attualmente raccolte
sulla violenza ginocida alla luce di queste domande, e cercare risposte
parziali. L'avvento del neoliberismo sulla scena mondiale dall'inizio degli
anni Ottanta e' il nostro punto di partenza. Questo periodo viene chiamato
"globalizzazione", una fase storica di intensificazione dei contatti
internazionali in molteplici ambiti: economico, culturale, ambientale.
Dominano le forze del capitale privato che aprono i mercati di un crescente
numero di paesi ai flussi di capitale e merci, mentre i flussi migratori
sono giuridicamente ostacolati, creando una sottocasta di lavoratrici e
lavoratori che non hanno neppure il diritto di rimanere nel paese dove
prestano la propria opera.
Alla domanda se le donne stiano migliorando o peggiorando la propria
condizione dopo l'esplosione del femminismo degli anni Settanta i due
schieramenti politici pro e contro la globalizzazione danno risposte
opposte. La prima, il miglioramento della condizione femminile nell'ambito
delle "magnifiche sorti e progressive", e' fornita da coloro che stanno
diffondendo nell'intero globo la fede nel mercato come risolutore dei
problemi sociali, sulla scorta delle teorie neoliberiste di Milton Friedman
e della sua scuola economica di Chicago. La seconda, il peggioramento, e'
quella dei movimenti contro l'attuale forma di globalizzazione neoliberista
che attribuiscono a queste politiche l'aumento di tutte le diseguaglianze,
inclusa quella tra i sessi.
Gli apologeti del neoliberismo vedono la parita' tra i sessi come una
conquista realizzata e indiscussa del mondo occidentale, che i processi di
modernizzazione (a volte aiutati dalla maieutica delle armi...) diffondono
nel resto del mondo. L'emancipazione delle donne e' conseguenza dello
sviluppo economico, della partecipazione al mercato mondiale di libero
scambio e del lasciar le mani libere al capitale privato senza troppi
vincoli sindacali, ambientali, fiscali, grazie a deregolamentazioni e
privatizzazioni: il diffondersi del benessere economico assicurera' anche il
miglioramento di status di coloro che stanno al fondo della scala sociale,
come le donne.
L'economista Jagdish Bhagwati, che rivendica la palma di "primo
liberoscambista al mondo", ritiene che aziende e paesi che discriminano le
donne dovranno cedere alla concorrenza, la quale utilizzera' al meglio le
risorse in suo possesso impiegando le donne secondo le loro reali capacita'.
Il quadro e' tracciato in un capitolo intitolato proprio "La situazione
femminile: e' penalizzata o favorita?": "Le donne, intese come classe, non
sono penalizzate dal progresso piu' di altri gruppi" (Bhagwati 2005, 121).
Non vi sarebbero infatti prove sufficienti a corroborare le critiche che
esprimono molte Ong femministe. Bhagwati rileva solo tre aspetti negativi, i
quali pero' sono collegati solo indirettamente alla globalizzazione: 1) Le
donne che si recano all'estero come collaboratrici domestiche - spesso nel
Medio Oriente, dove la popolazione femminile locale vive tipicamente nel
medioevo e sotto la legge islamica, che in paesi come l'Arabia Saudita e'
interpretata da leader religiosi illetterati e conservatori ñ sono soggette
ad abusi e necessitano di protezione. 2) In paesi come la Thailandia la
crescita del turismo e' inevitabilmente accompagnata da un aumento della
prostituzione femminile e anche maschile. 3) Il traffico di donne e'
cresciuto, specialmente in seguito allo sconvolgimento economico che ha
accompagnato tentativi di transizione in paesi come la Russia e alle crisi
economiche dei paesi asiatici (Bhagwati 2005, 123-124).
Un esempio, anche se argomentato meno esplicitamente, della medesima lettura
dei meccanismi di causa-effetto che la globalizzazione ha sulla condizione
femminile e' proprio la premessa di un testo contro la violenza ginocida di
Amnesty International: "La moderna globalizzazione e le nuove prospettive di
comunicazione e di scambio hanno portato innanzi tutto a una nuova
consapevolezza nel campo delle lotte delle donne per i propri diritti
(Amnesty International 2005, 27)".
Le pecche di questo sistema, per Amnesty e per la maggior parte dei politici
e degli uomini di governo, sono individuate essenzialmente nella
criminalita' organizzata, che si avvantaggia anch'essa della maggiore
facilita' di movimento internazionale: "Purtroppo la globalizzazione ha
pero' anche un lato oscuro, un nuovo tipo di violenza contro le donne, non
piu' legata al territorio, allo Stato, alla nazione o alla comunita'",
ovvero il traffico di esseri umani, cui per Amnesty si aggiunge il problema
della mancanza di diritti per i migranti.
Un discorso piu' radicale di quello di Amnesty International lo fa la
Commissione per i diritti umani dell'Onu nei suoi agghiaccianti rapporti
sulla violenza contro le donne nel mondo. Radhika Coomaraswamy, la prima
incaricata, si colloca sul versante antiglobalizzazione, denunciando in
particolare l'attacco neoliberista alla sopravvivenza collettiva con lo
smantellamento delle reti del welfare state e la privatizzazione della
sanita' (Coomaraswamy 2000, 3). Gli aspetti economici delle politiche
neoliberiste di globalizzazione peggiorano la situazione di grandi masse di
persone, e se questi sviluppi appaiono essere neutri, cioe' non rivolti
specificamente contro le donne, in realta' vi e' anche qui una grave
asimmetria di genere: sono maschili le elites del pianeta che si
arricchiscono sempre piu' (Chiesa e Villari 2003), mentre sono le donne ad
affondare sempre piu' in basso nella scala sociale.
I critici del neoliberismo affermano con decisione che, se la situazione
delle donne sta peggiorando, e' proprio a causa delle politiche di
deregolamentazione e privatizzazione promosse dagli interessi forti in tutto
il pianeta: "La globalizzazione rafforza un sistema sessista, escludente e
patriarcale. Incrementa la femminilizzazione della poverta' ed esacerba
tutte le forme di violenza contro le donne". L'ecofemminista Maria Mies
(1998) scrive le stesse cose a proposito del capitalismo moderno in
generale, al quale imputa una concezione del dominio dell'uomo sulla natura
quale femmina da sottomettere. Una posizione simile e' quella di Ivan Illich
(1984): ha effetti negativi sulla condizione femminile la "misura unica" per
i due sessi che il modo di produzione capitalista ha introdotto, sostituendo
le due sfere "separate ed eguali" delle competenze maschili e femminili
tradizionali con la divisione tra lavoro femminile domestico e lavoro
maschile salariato, cioe' una gerarchia a tutti gli effetti.
L'analisi delle societa' precapitalistiche pero' non suffraga questa
posizione. La stessa rigida divisione del lavoro in base al sesso significa
solitamente gia' di per se' una perdita di potere sociale da parte delle
donne, benche' come al solito si cerchi di mascherare il dominio maschile
con un doppio standard di valutazione delle attivita' delle donne rispetto a
quelle degli uomini. La divisione del lavoro tra i sessi invece legittima lo
sfruttamento della forza lavoro delle donne, costrette ai compiti piu'
lunghi e piu' faticosi, e costituisce probabilmente il primo esproprio dei
frutti del lavoro dei produttori. Infatti, in buona parte delle societa'
precapitalistiche le donne lavorano piu' degli uomini (come del resto fanno
in quelle capitalistiche) e non hanno la disponibilita' di cio' che
producono ne' la facolta' di possedere gli strumenti di produzione - anche
se e' vero che in alcuni luoghi, come in America Latina, la Conquista
europea peggioro' notevolmente la condizione femminile relativamente a
quella maschile.
E' un fatto che il sistema capitalistico e di economia di mercato ha avuto
storicamente il merito di permettere alle donne di liberarsi dal controllo
della famiglia di origine. Esso ha sostituito un modo di produzione
agricolo, basato principalmente sul clan familiare, con un modo di
produzione in cui vi e' la necessita' di mettere in vendita la propria forza
lavoro su un mercato piu' impersonale rispetto ai rapporti tra famiglie.
L'individualismo di cui e' portatrice la societa' capitalistica moderna e'
correlato indubbiamente a un avanzamento della posizione sociale delle
donne, dal momento che queste hanno raggiunto lo status di persone
formalmente indipendenti e non piu' di beni di cui un'altra persona, il
padre o il marito, puo' disporre.
Tra le due posizioni che vedono un miglioramento o un peggioramento assoluti
della posizione sociale delle donne (potremo dire della nostra liberta') vi
e' una possibilita' intermedia: differenziare il ruolo dell'espansione
dell'economia di mercato a seconda delle sue diverse fasi, allo stesso modo
in cui Karl Marx riconosceva alla borghesia una funzione progressista in
India: gli inglesi con il loro sfruttamento brutale stavano spingendola in
una modernita' tecnologica e sociale che l'avrebbe infine strappata alla
poverta', alla stagnazione e all'ingiustizia del sistema delle caste. Le due
tesi dunque potrebbero descrivere fasi susseguenti: la prima di
peggioramento delle condizioni delle donne, seguita da un miglioramento e
infine da un superamento della condizione iniziale - come e' avvenuto nei
paesi del capitalismo avanzato a mano a mano che i lavoratori si sono
organizzati e autodifesi per riuscire a godere della riduzione della fatica
e del miglioramento dello standard di vita materiale offerti dal progresso
tecnologico. Oppure, quarta possibilita', questo non si sta verificando ne'
si verifichera', dal momento che, secondo la teoria della dipendenza e
l'analisi del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein, la prosperita' del
centro e' interamente dovuta allo sfruttamento della periferia: lo stesso
varrebbe per la situazione delle donne al di qua e al di la' della divisione
centro-periferia. La liberazione femminile dunque poggerebbe interamente
sullo sfruttamento dei paesi del Sud del mondo e in particolare delle donne
che vi sono nate.
E, se invece di fasi, queste possibilita' rappresentassero le forze diverse
che spingono il mondo attuale in direzioni contrastanti? Cominciamo subito a
verificare in che modo la ricerca sociale sulla violenza contro le donne
puo' suffragare o smentire queste diverse ipotesi teoriche e affermazioni
politiche.
(parte prima - segue)

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 162 del 28 febbraio 2008

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it