Nonviolenza. Femminile plurale. 159



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 159 del 21 febbraio 2008

In questo numero:
1. Natalia Aspesi: Semplicemente
2. Ida Dominijanni: Semplicemente
3. Lea Melandri: Semplicemente
4. Carla Lonzi: Manifesto di Rivolta Femminile (luglio 1970)

1. RIFLESSIONE. NATALIA ASPESI: SEMPLICEMENTE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del
14 febbraio 2008, col titolo "Il ritorno del maschio".
Natalia Aspesi e' una notissima giornalista e scrittrice, acuta e brillante
osservatrice dei fenomeni di costume, critica cinematografica e di altre
espressioni artistiche e forme di spettacolo; e' nata, vive e lavora a
Milano, dove ha iniziato l'attivita' giornalistica alla "Notte", diventando
successivamente inviata del "Giorno" e poi di "Repubblica", giornale cui
collabora dalla fondazione]

Non era mai capitato, neppure ai tempi tragici della clandestinita', quando
i giornali non pubblicavano per pudore la parola infamante "aborto", quando
prosperavano cliniche con professoroni che liberavano a caro prezzo
dall'incomodo le signore abbienti. Mentre le altre, una moltitudine
silenziosa di donne umiliate, precipitava nelle mani di improvvisate mammane
(che venivano anche chiamate, per non offendere i lettori, "fabbricanti di
angeli") o si arrangiavano malamente da sole. Di clandestinita', allora,
sino all'approvazione della legge 194 nel 1978, spesso le donne morivano o
restavano per sempre rovinate.
Pare insopportabile, in tempi che dovrebbero essere civili, essere costretti
dal vergognoso episodio al Policlinico di Napoli a ricordare, riraccontare
per l'ennesima volta, storie del passato di solitudini femminili desolate,
dato che quella legge vige da 30 anni e ha fatto precipitare il numero di
aborti (dal 1982 del 44%).
Ai tempi della criminalizzazione, quando per il nostro codice l'aborto era
ancora un delitto "contro l'integrita' e la sanita' della stirpe", per
esempio nel 1968, al LIII congresso di ostetricia a Bologna, si parlo' di
3.500.000 aborti procurati l'anno, stabilendo quindi che nel periodo fecondo
due donne su tre abortivano. Era probabilmente una esagerazione, tanto che
l'Onu parlo' per l'Italia di 1.200.000 aborti: nel 2006 sono stati 130.033,
un bel salto.
La legge puniva da 2 a 5 anni sia la donna che chi l'aiutava ad abortire; se
si arrangiava da sola, il delitto pareva meno grave e la pena era piu' mite,
da 1 a 4 anni. In realta' la legge chiudeva tutti e due gli occhi: in dieci
anni, dal 1955 al 1965, le statistiche giudiziarie parlano di 150 casi di
aborto procurato, mentre quelle mediche ne registrano milioni.
Quel dolore solo femminile ce l'hanno ricordato il bel film rumeno "Quattro
mesi tre settimane e due giorni" di Cristian Mungiu, Palma d'oro a Cannes
nel 2007 (che ha scioccato per la ripresa del feto) e ancor prima Mike Leigh
in "Il segreto di Vera Drake", Leone d'oro alla Mostra di Venezia 2004, e,
addirittura nel 1988, Claude Chabrol, con "Un affare di donne".
*
Ma cio' che e' avvenuto nell'ospedale napoletano e' talmente clamoroso e
cinico da rasentare un atto di terrorismo, come terroristica sta diventando
la campagna pro-life che potrebbe stravolgere sino alla ferocia l'andamento
di quella elettorale.
Susanna Tamaro, che lancia in questi giorni il suo nuovo romanzo, Luisito,
invitata da Giuliano Ferrara a entrare nella lista dei suoi candidati
anti-aborto, ha gentilmente rifiutato, con una lettera pubblicata ieri sul
"Foglio", dichiarandosi tuttavia con lui "nella passione con cui tu porti
avanti questa tua lotta per la vita".
Probabilmente non sapeva ancora dell'irruzione di ben sette poliziotti
nell'ospedale napoletano, con interrogatori alla madre ancora sotto
anestesia, ai medici, alla vicina di letto, e al sequestro del "corpo di
reato", il feto.
Un evento cosi' punitivo, tenebroso e inutile (l'intervento rispettava la
legge) segna l'inizio di una guerra per niente etica e del tutto politica,
per assicurare al movimento di Ferrara e quindi alla destra l'appoggio
elettorale della potente macchina del clero, una guerra che potrebbe farsi
sempre piu' feroce e vergognosa. E intanto i gia' pochi medici che non si
sono dichiarati obiettori di coscienza, dopo questa offensiva poliziesca,
adesso saranno sempre piu' tentati di farlo; ma non bastera' a convincere le
donne che hanno deciso di abortire a cambiare idea, solo che potrebbe
succedere che, pur in presenza di una legge che lo consente, non avranno
altra scelta che tornare ai tempi della clandestinita', rivolgendosi a
medici magari obiettori e molto costosi, come e' gia' capitato, o a Vere
Drake si spera piu' abili del passato, o a trafficanti di Ru486.
Le nuove vittime saranno soprattutto le immigrate, abbandonate a se stesse e
a una vita precaria che potrebbero non voler imporre a un incolpevole
nascituro. E' interessante che i nostri pro-life che odiano la vita e
soprattutto il potere delle donne sul loro corpo, un tempo patrimonio
maschile di scambio, abbiano scelto come primo campo di battaglia quella
parte della legge che sposta al secondo trimestre di gravidanza la liceita'
dell'aborto terapeutico se il feto risulta malformato al punto da
assicurargli, se dovesse nascere, una morte precoce o una vita-non vita, e
alla madre, ai genitori, un futuro di inevitabile quotidiana sofferenza. E
alla societa' quell'organizzazione di cure e aiuto che oggi non riesce ad
assicurare a tutti i cittadini e non solo a quelli colpiti da handicap.
Puntando per ora sull'aborto terapeutico lo ingigantiscono come una specie
di genocidio, che non e', arrivando al 2,7% di interventi dopo la
tredicesima settimana; e cui obbligano a immaginare una parvenza di vita in
quel feto malato, con inevitabili dubbi, disagio, sensi di colpa. E'
inevitabile che poi si passera', malgrado le attuali assicurazioni,
all'assalto agli articoli di legge che consentono l'aborto nel primo
trimestre, in uno scontro assurdo attorno a una legge di cui qualsiasi donna
credente e no puo' non servirsi, non impedendo pero' alle altre, sempre di
meno, di farlo.
*
Cio' che e' impressionante in questa offensiva lunatica e' che tutti quei
raduni di alte gerarchie in veste nera e zucchetto cremisi, tutte le
perorazioni di agguerriti e spesso mendaci predicatori cosiddetti laici,
avvengono tra maschi. A parte qualche sporadica donna (Binetti, Scaraffia,
Tamaro, e altre) e' soprattutto maschile la piccola folla che vuole decidere
su qualcosa che riguarda solo il corpo della donna, il suo cuore, il suo
futuro, il suo legame col figlio. Una sofferenza, un senso di impotenza, una
paura che gli uomini non conosceranno mai, per cui alla loro spietata etica
in difesa astratta di una generica vita, dovrebbe sovrapporsi il rispetto
per chi sceglie di non diventare madre, di non volere mettere al mondo un
figlio non desiderato o casuale cui non potra' assicurare il necessario
amore.
Questi paladini di qualcosa che chiamano vita soprattutto pensando di dare
lustro politico alla loro, sanno poco dei tempi, sino a qualche decennio fa,
in cui gli uomini erano bravissimi a far di tutto per portare a letto una
ragazza, a lasciarla disgustati perche' un gentiluomo sposa solo una vergine
e, nel caso la sedotta pasticciona rimanesse incinta, a lavarsene le mani,
nell'approvazione generale: "Non sono stato io!" era il nobile grido. Mi
assicurano che anche oggi, le sventate che non si preoccupano da sole di
difesa contraccettiva, se lo sentono dire da quelli che si chiamano
sportivamente partners, cui non passa per la testa che anche loro hanno
delle responsabilita'.
Prima del liberatorio '68, c'erano ancora genitori che cacciavano di casa le
ragazze madri il cui figlio senza padre diventava il bastardo. Adesso la
modernita' suggerisce altro: e per esempio in "Desperate Housewives" la
perfetta Bea per non fare brutta figura coi vicini nasconde la figlia nubile
incinta e fa finta di essere lei la madre attempata del bambino che nasce.
Ma in passato, importava a qualcuno il destino di una madre e di un figlio
colpevoli di non avere un pater familias? Importa oggi a qualcuno che si
inginocchia davanti a una non meglio specificata vita (pur che sia in forma
di embrione o feto, perche' le migliaia di donne, vecchi e bambini che
muoiono orrendamente in Darfur non suscitano il minimo interesse)?
In tutto questo sterile vociare, con eventi vergognosi come quello di
Napoli, manca una voce, non quella dei politici o dei teologi o dei medici
che infatti dicono la loro, manca quella degli eventuali padri. Le donne
alla fine, sono sempre sole, ogni responsabilita' di vita e' troppo spesso
solo loro. Non basta offrire elemosine, come se avere o non avere un figlio
fosse solo una questione di soldi. Non basta chiamarle assassine come ha
fatto ridicolmente e colpevolmente Ferrara: si tratta di un termine storico,
anzi antico.
Un indimenticabile vecchio articolo di Guido Ceronetti, lo scrittore che
sosteneva la necessita' della legge che liberasse le donne dal marchio di
criminali (contro la stirpe poi) cominciava piu' o meno: "Un'assassina ogni
mattina mi rifa' il letto, un'assassina mi prepara la colazione,
un'assassina...".

2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: SEMPLICEMENTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 febbraio 2008 riprendiamo il seguente
articolo dal titolo "A chi piace il diritto all'aborto?".
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005]

Un primo risultato la lista per la vita di Giuliano Ferrara l'ha gia'
ottenuto, quello di far dire a Silvio Berlusconi e a Gianfranco Fini che la
194 e' una buona legge e loro non intendono toccarla. Buono. Il secondo
risultato lo sta ottenendo in queste ore, ed e' di far calare la "battaglia
per la vita" dall'empireo delle guerre culturali al sottoscala dello scambio
politico: altro che i valori, l'amore e sant'Agostino, il problema e'
l'apparentamento col Pdl e i sondaggi sul comune di Roma. Ottimo. Un terzo
risultato e' anch'esso gia' all'incasso, ed e' l'involgarimento sopra le
righe del lessico politico, giornalistico e satirico: si veda la prima
pagina (e le successive) dell'inserto dell'"Unita'" di domenica... E poi "Il
Foglio" si lamenta se sospettiamo che ci sia qualcosa da mandare in analisi
dell'immaginario maschile sulla maternita' e l'aborto che si sta scatenando
di questi tempi. Pessimo.
*
Su tutto - guerre culturali, guerriglie di potere, minuetti fra opinion
makers (esemplare il dialogo Ferrara-Merlo dei giorni scorsi) - aleggia il
fantasma del "diritto all'aborto". Con una nobile gara - maschile - a
prendere le distanze da quello che sarebbe un dissennato e gaudente slogan
femminista, anzi "delle femministe", di ieri e di oggi.
E quando mai? Qui non si tratta di un immaginario perverso, ma di una
proiezione in piena regola. La traduzione del problema dell'aborto in
termini di diritto (da ridurre) e' tutta loro oggi, cosi' come fu dei
Radicali (per conquistarlo) negli anni '70. Ma sfidiamo i Ferrara, i Merlo e
quant'altri, a trovare nella letteratura femminista in materia un solo
riferimento all'aborto come diritto. Disgrazia, lapsus, incidente, effetto
dello squilibrio fra sessualita' maschile e sessualita' femminile: l'aborto
e' da sempre, nel vocabolario femminista, un'eccedenza irriducibile al
linguaggio del diritto e dei diritti.
Non credere di avere dei diritti si intitola, significativamente, il volume
della Libreria delle donne di Milano che ricostruisce questa eccedenza
dell'aborto dal linguaggio del diritto e dei diritti. Noi sull'aborto
facciamo un lavoro politico diverso, si intitolava un famoso documento del
'75 che spostava il fuoco dalla richiesta di una legge all'analisi della
sessualita' e del desiderio (o non desiderio) di maternita' sostenendo fra
l'altro: "L'aborto di massa negli ospedali non rappresenta una conquista di
civilta' perche' e' una risposta violenta e mortifera al problema della
gravidanza e colpevolizza ulteriormente il corpo della donna". "Mentre
chiediamo l'abrogazione di tutte le leggi punitive dell'aborto e la
realizzazione di strutture dove sostenerlo in condizioni ottimali, ci
rifiutiamo di considerare questo problema separatamente da tutti gli altri,
sessualita', maternita', socializzazione dei bambini", scriveva un altro
testo del '73.
E sono di Carla Lonzi le seguenti parole del 1971: "L'uomo ha lasciato la
donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola,
denigrata, indegna della collettivita'. Domani finira' per lasciarla sola di
fronte a una legge che non le impedira' di abortire. Ma la donna si chiede:
per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto
abortendo?".
*
Non per caso ne' per scelta, ma per via di questa eccedenza dell'aborto dal
campo della giuridificazione, una parte significativa del femminismo degli
anni '70 era piu' favorevole alla semplice depenalizzazione che non alla
legalizzazione dell'aborto. E la 194, che oggi viene attaccata da un lato
come una legge permissiva e difesa dall'altro come una trincea
irrinunciabile, fu una legge di compromesso: fra patriarcato e liberta'
femminile, fra cultura laica e cultura cattolica, fra de-criminalizzazione e
statalizzazione dell'aborto. Un compromesso nel quale - e oggi si vede -
molto sapere femminista resto' fuori dalla codificazione. Ma che ha
funzionato - anche questo oggi si vede, dai dati - non come legge abortista,
ma come cornice di regolazione e limitazione degli aborti.
Come mai questa storia e questa elaborazione restino sistematicamente fuori
dal campo della discussione pubblica, tradotte e tradite nello scontro
violento e riduttivo "diritto all'aborto si' - diritto all'aborto no", e'
questione da interrogare. Di certo essa rivela un'incompetenza maschile pari
all'ostinazione con cui gli uomini tentano, in modo ritornante e oggi piu'
violento di altre volte, di reimpadronirsi della parola decisiva sulla
procreazione e del potere di colpevolizzazione dell'esperienza femminile. Di
certo essa rivela altresi' che quel "lavoro politico diverso" sull'aborto e'
da riprendere da parte delle donne, a lato e oltre la difesa della 194.
Le stesse cose ritornano, ma non ritornano mai le stesse. Sessualita',
desiderio e non desiderio di maternita', relazione fra i sessi, rapporto fra
liberta' femminile e legge e fra esperienza femminile e sapere
medico-scientifico restano e tornano, in condizioni diverse dagli anni '70,
campi da indagare. Con le parole di verita' che lo scontro politico non sa
pronunciare.

3. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: SEMPLICEMENTE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo dal titolo
"Sacrario erotico" gia' apparso nell'inserto domenicale del quotidiano
"Liberazione" del 17 febbraio 2008 con il titolo "Il segreto dei feticisti:
concupiscono la madre".
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997;
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri,
Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa
del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby
Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le
passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

"L'identificazione non con il bambino (persona distinta dalla madre) ma con
il feto (parte indifferenziata della madre) e' alla base degli interventi
'per la vita' del papa, un'identificazione che cancella la vita della madre
spostandola dalla persona reale a quella virtuale: e' la vita del feto,
parte nobile della madre, a decretare la vita o la morte di lei... la donna
muore e il figlio e' la sua rinascita, la sua resurrezione".
La contrapposizione violenta fra vita della madre e vita del feto da parte
della Chiesa cattolica - scrive Luisa Accati nel suo libro Il mostro e la
bella (Raffaello Cortina Editore 1998) - cresce dalla fine del '500, dal
Concilio di Trento a oggi, dal momento in cui avviene "il passaggio
all'autorita' ecclesiastica, cioe' a un gruppo per norma costituito da
uomini e solo da uomini celibi, del controllo sulle donne, per quanto
riguarda sia il matrimonio sia la morale sessuale".
Con la vittoria dei figli sui padri, la Vergine Madre diventa il simbolo del
divieto di incesto per gli uomini: "Vergine Madre significa che la madre
rimane sempre vergine per il figlio, cioe' sempre inaccessibile
sessualmente. Il simbolico in tanto e' politicamente efficace in quanto
converte la difficolta' degli uomini a separarsi dalla madre in una
contraddizione della identita' delle donne: fa di un problema degli uomini
un compito delle donne".
La coppia madre-figlio, su cui si puo' ipotizzare si siano costruite le
figure della dualita' -femminile/maschile, biologia/storia, corpo/mente,
ecc. -, nonostante i cambiamenti che ha subito nel corso del tempo e ad
opera di culture diverse, conserva i segni di un amore che si e' configurato
fin dall'origine indisgiungibile da un atto di guerra: il "desiderio
primordiale" del figlio di tornare a fondersi col corpo della madre si e'
convertito storicamente nel dominio dei padri, nell'imposizione di un
modello unico di sessualita', penetrativo e generativo, impugnato come
un'arma in difesa dell'identita' maschile.
Il luogo da cui si origina la vita e' diventato teatro della piu' feroce e
piu' duratura legge di sopravvivenza - morte tua, vita mia -, anche se non
sempre la nascita del figlio ha comportato la morte fisica della madre, ma
quella morte di se' che e' il sacrificio del proprio desiderio, dei propri
interessi, della propria esistenza come persona.
L'onnipotenza attribuita alla madre, come corpo che genera da se' e che puo'
riprendersi in ogni momento la parte che si e' da lei separata, ha il suo
corrispettivo in quella del figlio che, capovolte le parti, torna da adulto
a celebrare la "vittoria sul trauma della nascita", occupando una terra che
considera propria, carne della sua carne.
La fecondazione diventa allora il traguardo essenziale della sessualita'
maschile, prova visibile del potere generativo dell'uomo e conferma della
sua potenza virile. Se i contadini del mio paese - come di tutti i paesi del
mondo - si vantavano al bar di aver messo incinta le loro mogli, Sandor
Ferenczi, uno dei piu' interessanti allievi di Freud, nel saggio Thalassa
(1924), introduce suggestivi scenari marini per attribuire al coito la
certezza dell'uscita da pericolose acque materne: "Quando l'unione piu'
intima tra due esseri umani di sesso diverso si e' realizzata grazie alla
costruzione di un ponte fatto di baci, abbracci e penetrazione del pene,
allora si combatte la lotta finale e decisiva fra il desiderio di donare e
di conservare la  secrezione genitale... Allorche' con l'eiaculazione la
lotta finisce, la secrezione si separa dal corpo dell'uomo, ma in modo tale
che questa secrezione si trova messa al riparo in un luogo sicuro e
appropriato, all'interno del corpo femminile. Tuttavia, questa sollecitudine
ci induce a supporre che vi sia anche un processo di identificazione tra la
secrezione e l'Io: in tal senso il coito potrebbe fin d'ora implicare un
triplice processo identificatorio: identificazione dell'intero organismo con
l'organo genitale, identificazione con il partner e identificazione con la
secrezione genitale... tutta questa evoluzione, comprendente quindi anche il
coito, non puo' avere altro scopo se non un tentativo dell'Io di tornare
all'interno del corpo materno, situazione nella quale la frattura cosi'
dolorosa tra l'Io e il mondo ancora non esisteva... Nell'atto sessuale non
si tratta semplicemente di deporre in luogo sicuro il prodotto della
secrezione, ma anche dell'instaurarsi di uno stretto rapporto tra questo
atto e la fecondazione".
*
Abituati come ormai siamo, dalle tecnologie riproduttive, a parlare di
spermatozoi e ovociti, gameti e embrioni, come fossero persone, la "favola
filogenetica" di Ferenczi, che vede nel "membro virile" un "piccolo Io in
formato ridotto", spinto dalla nostalgia a tornare alla sua dimora
originaria, e a riattraversarla per essere sicuro della propria nascita, non
puo' che fare tenerezza. Rispetto all'"immacolata concezione" del culto
cattolico di Maria e all'"immacolata fecondazione" dei laboratori
scientifici, dove il desiderio e la sessualita' scompaiono persino dalla
memoria, il corpo a corpo tra l'uomo e la donna qui e' ancora al centro
della nascita, prima di sparire dietro l'abbraccio fusionale, desiderato e
temuto, della madre e del figlio. Non sfugge a Ferenczi l'aspetto "cruento"
del coito: la lotta di due avversari che tentano di "forzare l'accesso al
corpo dell'altro", le armi che garantiscono il privilegio maschile, le
compensazioni dietro cui la donna nasconde la sua sconfitta.
"Noi supponiamo che sia la regressione ipnotica alla situazione intrauterina
a stordire la femmina al momento della conquista, e che la riproduzione
fantasmatica di questa situazione ottimale le fornisca una compensazione per
essere costretta a subire l'atto sessuale che, in se', e' per lei fonte di
pena". Difficile trovare una definizione piu' realistica della vicenda che
ancora oggi unisce e contrappone un sesso all'íaltro - "una grandiosa lotta
il cui esito doveva decidere su quale dei due dovessero ricadere le cure e
le sofferenze della maternita', nonche' il ruolo passivo della
genialita'" -, e delle sue conseguenze psicologiche - "la donna possiede una
saggezza e una bonta' innate superiori a quelle dell'uomo, in compenso
l'uomo deve contenere la propria brutalita' sviluppando maggiormente
l'intelligenza e il super-Io morale".
*
La campagna contro l'aborto e il fronte opposto, schierato alla difesa delle
leggi che in vari Paesi del mondo ne garantiscono la praticabilita', hanno
quasi sempre in comune, oltre al rituale ossessivo della ripetizione, la
tendenza a farne una "questione femminile", sia che la vedano come colpa,
dramma, o autodeterminazione, liberta' di scelta della donna. Gli uomini,
nella veste di accusanti o di difensori solidali, possono parlarne con la
distanza di chi non e' parte in causa, con la premura o la violenza di chi
sa di avere a che fare con la "risorsa" piu' preziosa per la continuita'
della specie.
Mi stupisco sempre, dopo oltre trenta anni di femminismo, che si possa
parlare di gravidanze, desiderate o indesiderate, senza risalire a
quell'antecedente che e' la sessualita'. Eppure sono tante le ragioni che
spingono verso questa "cesura", a partire dalla forza con cui il movimento
delle donne ha attaccato l'identificazione della donna con la madre, per
arrivare all'effetto di cancellazione operato dalle tecnologie riproduttive,
al lento spostamento della nascita fuori dal corpo della donna, fuori da
corpi pensanti e desideranti, sedimento di storie individuali e collettive.
La "naturalizzazione" del rapporto tra i sessi affiora oggi vistosamente
sulla scena pubblica come riduzionismo biologico, e trova al suo fianco
l'alleato di sempre: la religione. Ma, insieme al fondamento ideologico di
un dominio divenuto senso comune, struttura portante e indiscussa di tutte
le civilta' costruite dall'uomo, si va facendo strada anche la
consapevolezza della centralita' che ha avuto finora la coppia madre-figlio
nello sviluppo della storia umana.
Non e' un caso che sia una "religione del Figlio", la Chiesa cattolica
romana memore del Concilio di Trento, a reagire con particolare virulenza
alla rottura di un "ordine naturale e divino" fondato sul sacrifico materno,
oggi incrinato dalla secolarizzazione dei costumi e, soprattutto,
dall'affermarsi di una soggettivita' femminile meno vincolata al destino che
le e' stato imposto. Nel progressivo eclissarsi delle due figure
genitoriali, sempre meno necessarie nella fase iniziale del processo
riproduttivo, e della madre stessa per il progredire delle tecniche di
rianimazione di feti prematuri, e' il prete ad assumere su di se' la figure
della madre e del figlio nascituro, a farsi paladino di una idea di "Vita"
che ha perso ogni consistenza corporea e sessuale.
L'"immaginario sacro cristiano" - come nota Luisa Accati - non ammette
l'Eros, anzi rappresenta la fertilita' come una madre casta", ma la
mariologia e' "carica di fantasmi incestuosi", che oggi, per arginare il
"libertinismo" sessuale delle donne, trascolorano nella fredda, necrofila
sacralizzazione di feti e embrioni. Nell'affannosa corsa per portare il
figlio in salvo dal risorto "potere di vita e di morte" delle madri, la
schiera degli ecclesiastici si e' sorprendentemente arricchita di "atei
devoti", di "comunisti creaturali", di politici "realisticamente" decisi a
cercare consenso a qualunque costo.
Spirito di crociata e pragmatismo cinico contribuiscono a spingere il sacro
verso le sue piu' arcaiche parentele con la magia, il sensazionalismo,
l'orrido e lo stupefacente, che la televisione ha oggi il potere di
amplificare, contaminare e diffondere a dismisura. Ne abbiamo avuto un
saggio nella diretta di "Porta a porta" su Lourdes, altre manifestazioni si
annunciano con l'esposizione di reliquie di santi e con la riesumazione del
cadavere di padre Pio. L'ambiguita' del sacro - "lordura e santita'", "puro
e impuro" - e' oggi piu' che mai scoperta, mentre sembra scomparire la
materia prima del "perturbante": il corpo femminile, la sua fantasmatica
onnipotenza generativa e sessuale.
Per ritrovarla, basta scostarsi dal circo mediatico che occupa la scena
pubblica e scavare nei luoghi che ancora conservano traccia di un sentire
profondo, lucido nella sua visionarieta', veritiero nella sua spudoratezza,
trasgressivo e, al medesimo tempo, quasi banale nella sua fedelta' a "sensi"
comuni.
*
In una insolita "scrittura di esperienza" - Arnaldo Bressan, Esercizi
laterali di piacere (Edizioni del leone, 1993) - il legame tra sessualita' e
fecondazione svela l'immaginario che lo sorregge, il desiderio incestuoso
che impronta la vita sessuale adulta, piegando la relazione tra uomini e
donne verso quel primo corpo a corpo che formano insieme la madre e il
figlio.
"Solo nell'eventualita' o nel rischio dell'impregnanza il piacere e'
obbligato alla propria profondita', intensita' e luce... La capisco. Infine,
rischia lei sola: il ventre 'occupato' per nove mesi, il parto, le
conseguenze. Ma soltanto se considera la gravidanza un peso, dolore il parto
e la maternita' una schiavitu': se non esce dal banale e dal kitsch e non li
sente come passaggi di piacere simili a quelli che dall'alba la conducono,
fatalmente, al mezzogiorno di se'".
"Lo si chiami neotenia, simbiosi, istinto, bisogno, amore materno, piacere:
lei riepiloga in esso l'evoluzione e la storia, nostra e di ogni altra
specie; e soltanto in questo senso di onnipotenza si svela l'irrefrenabile
mistero per cui sulla Terra, ogni anno, centinaia di milioni di donne
partoriscono dove le condizioni per farlo sono piu' proibitive; e che da noi
ci siano donne che letteralmente impazziscono pur di avere un figlio".
"Partorire, si'. Ma allattare, Francisca: inturgidirsi, ergersi,
penetrare... sentirsi venir meno di languore nel salire ed eiacularsi del
suo latte: denso e lento, o chiaro e sottile, seme amoroso tra verginali
labbra cieche e fameliche, contro una gola che esige da lei - con unghie
convulse e schiumose gengive - il solo rapporto incestuoso e omosessuale
considerato naturale, consentito da tutti e glorificato da millenni (anche
se le Madonne che allattano, sicuramente per il loro aspetto troppo
conturbante, sono assai meno frequenti di quelle in stato di frigida quiete
rispetto al Bambino)".
*
La "carne piu' bramata", quella di cui ogni essere umano conserva memoria e
"privati simboli corporei", e' la stessa che incontra nella sua vita
sessuale adulta, cristallizzata nel ruolo che le ha assegnato un "ordine"
senza tempo: genere, entita' collettiva senza volto, "centro" di quella
"vasta cattedrale" che e' l'infanzia - per usare una suggestiva immagine di
Virginia Woolf -, ma anche linea continua di una dipendenza filiale che
finisce quasi sempre solo con la morte.
Combattere solo con le armi della razionalita' la feroce, impietosa
misoginia che anima la "crociata" dei "figli celibi" e dei loro adepti, non
servira' a molto, se non si comincia a scalfire l'immaginario con cui
raccoglie consenso, ma soprattutto se non si mette in discussione il dominio
che l'uomo vi ha costruito sopra.

4. DOCUMENTI. CARLA LONZI: MANIFESTO DI RIVOLTA FEMMINILE (LUGLIO 1970)
[Da Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale,
Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982, pp. 13-22,
riproponiamo ancora una volta il manifesto di "Rivolta Femminile" del luglio
1970, uno dei testi fondamentali della riflessione femminista in Italia.
Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze
nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo
di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di
Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi
parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978;
Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla
Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla
Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990. Un ampio saggio di Franco Restaino sulla
riflessione filosofica di Carla Lonzi (che abbiamo ripreso dal sito
www.diotimafilosofe.it) puo' essere letto nei nn. 928-929 de "La nonviolenza
e' in cammino" e anche nel n. 56 de "La domenica della nonviolenza"]

"Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un
corpo unico?" (Olympe de Gouges, 1791)

La donna non va definita in rapporto all'uomo. Su questa coscienza si
fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra liberta'.
*
L'uomo non e' il modello a cui adeguare il processo di scoperta di se' da
parte della donna.
*
La donna e' l'altro rispetto all'uomo. L'uomo e' l'altro rispetto alla
donna. L'uguaglianza e' un tentativo ideologico per asservire la donna a
piu' alti livelli.
*
Identificare la donna all'uomo significa annullare l'ultima via di
liberazione.
*
Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell'uomo
perche' e' invivibile, ma esprimere il suo senso dell'esistenza.
*
La donna come soggetto non rifiuta l'uomo come soggetto, ma lo rifiuta come
ruolo assoluto. Nella vita sociale lo rifiuta come ruolo autoritario.
*
Finora il mito della complementarieta' e' stato usato dall'uomo per
giustificare il proprio potere.
*
Le donne son persuase fin dall'infanzia a non prendere decisioni e a
dipendere da persona "capace" e "responsabile": il padre, il marito, il
fratello...
*
L'immagine femminile con cui l'uomo ha interpretato la donna e' stata una
sua invenzione.
*
Verginita', castita', fedelta', non sono virtu'; ma vincoli per costruire e
mantenere la famiglia. L'onore ne e' la conseguente codificazione
repressiva.
*
Nel matrimonio la donna, privata dal suo nome, perde la sua identita'
significando il passaggio di proprieta' che e' avvenuto tra il padre di lei
e il marito.
*
Chi genera non ha la facolta' di attribuire ai figli il proprio nome: il
diritto della donna e' stato ambito da altri di cui e' diventato il
privilegio.
*
Ci costringono a rivendicare l'evidenza di un fatto naturale.
*
Riconosciamo nel matrimonio l'istituzione che ha subordinato la donna al
destino maschile. Siamo contro il matrimonio.
*
Il divorzio e' un innesto di matrimoni da cui l'istituzione esce rafforzata.
*
La trasmissione della vita, il rispetto della vita, il senso della vita sono
esperienza intensa della donna e valori che lei rivendica.
*
Il primo elemento di rancore della donna verso la societa' sta nell'essere
costretta ad affrontare la maternita' come un aut-aut.
*
Denunciamo lo snaturamento di una maternita' pagata al prezzo
dell'esclusione.
*
La negazione della liberta' d'aborto rientra nel veto globale che viene
fatto all'autonomia della donna.
*
Non vogliamo pensare alla maternita' tutta la vita e continuare ad essere
inconsci strumenti del potere patriarcale.
*
La donna e' stufa di allevare un figlio che le diventera' un cattivo amante.
*
In una liberta' che si sente di affrontare, la donna libera anche il figlio
e il figlio e' l'umanita'.
*
In tutte le forme di convivenza, alimentare, pulire, accudire e ogni momento
del vivere quotidiano devono essere gesti reciproci.
*
Per educazione e per mimesi l'uomo e la donna sono gia' nei ruoli della
primissima infanzia.
*
Riconosciamo il carattere mistificatorio di tutte le ideologie perche'
attraverso le forme ragionate di potere (teologico, morale, filosofico,
politico) hanno costretto l'umanita' a una condizione inautentica, oppressa
e consenziente.
*
Dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia dei sessi.
*
Non vogliamo d'ora in poi tra noi e il mondo nessuno schermo.
*
Il femminismo e' stato il primo momento politico di critica storica alla
famiglia e alla societa'.
*
Unifichiamo le situazioni e gli episodi dell'esperienza storica femminista:
in essa la donna si e' manifestata interrompendo per la prima volta il
monologo della civilta' patriarcale.
*
Noi identifichiamo nel lavoro domestico non retribuito la prestazione che
permette al capitalismo, privato e di stato, di sussistere.
*
Permetteremo quello che di continuo si ripete al termine di ogni rivoluzione
popolare quando la donna, che ha combattuto insieme con gli altri, si trova
messa da parte con tutti i suoi problemi?
*
Detestiamo i meccanismi della competitivita' e il ricatto che viene
esercitato nel mondo dalla egemonia dell'efficienza. Noi vogliamo mettere la
nostra capacita' lavorativa a disposizione di una societa' che ne sia
immunizzata.
*
La guerra e' stata da sempre l'attivita' specifica del maschio e il suo
modello di comportamento virile.
*
La parita' di retribuzione e' un nostro diritto, ma la nostra oppressione e'
un'altra cosa. Ci basta la parita' salariale quando abbiamo gia' sulle
spalle ore di lavoro domestico?
*
Riesaminiamo gli apporti creativi della donna alla comunita' e sfatiamo il
mito della sua laboriosita' sussidiaria.
*
Dare alto valore ai momenti "improduttivi" e' un'estensione di vita proposta
dalla donna.
*
Chi ha il potere afferma: "Fa parte dell'erotismo amare un essere
inferiore". Mantenere lo "status quo" e' dunque un suo atto d'amore.
*
Accogliamo la libera sessualita' in tutte le sue forme, perche' abbiamo
smesso di considerare la frigidita' un'alternativa onorevole.
*
Continuare a regolamentare la vita fra i sessi e' una necessita' del potere;
l'unica scelta soddisfacente e' un rapporto libero.
*
Sono un diritto dei bambini e degli adolescenti la curiosita' e i giochi
sessuali.
*
Abbiamo guardato per 4.000 anni: adesso abbiamo visto!
*
Alle nostre spalle sta l'apoteosi della millenaria supremazia maschile. Le
religioni istituzionalizzate ne sono state il piu' fermo piedistallo. E il
concetto di "genio" ne ha costituito l'irraggiungibile gradino.
*
La donna ha avuto l'esperienza di vedere ogni giorno distrutto quello che
faceva.
*
Consideriamo incompleta una storia che si e' costituita sulle tracce non
deperibili.
*
Nulla o male e' stato tramandato dalla presenza della donna: sta a noi
riscoprirla per sapere la verita'.
*
La civilta' ci ha definite inferiori, la chiesa ci ha chiamate sesso, la
psicanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha vendute alla rivoluzione
ipotetica.
*
Chiediamo referenze di millenni di pensiero filosofico che ha teorizzato
l'inferiorita' della donna.
*
Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi
consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto
il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione
dell'umanita', legame con la divinita' o soglia del mondo animale; sfera
privata e "pietas". Hanno giustificato nella metafisica cio' che era
ingiusto e atroce nella vita della donna.
*
Sputiamo su Hegel.
*
La dialettica servo-padrone e' una regolazione di conti tra collettivi di
uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso
della civilta' patriarcale.
*
La lotta di classe, come teoria di classe sviluppata dalla dialettica
servo-padrone, ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il
socialismo e la dittatura del proletariato.
*
Non riconoscendosi nella cultura maschile, la donna le toglie l'illusione
dell'universalita'.
*
L'uomo ha sempre parlato a nome del genere umano, ma meta' della popolazione
terrestre lo accusa ora di aver sublimato una mutilazione.
*
La forza dell'uomo e' nel suo identificarsi con la cultura, la nostra nel
rifiutarla.
*
Dopo questo atto di coscienza l'uomo sara' distinto dalla donna e dovra'
ascoltare da lei tutto quello che la concerne.
*
Non saltera' il mondo se l'uomo non avra' piu' l'equilibrio psicologico
basato sulla nostra sottomissione.
*
Nella cocente realta' di un universo che non ha mai svelato i suoi segreti,
noi togliamo molto del credito dato agli accanimenti della cultura. Vogliamo
essere all'altezza di un universo senza risposte.
*
Noi cerchiamo l'autenticita' del gesto di rivolta e non la sacrificheremo
ne' all'organizzazione ne' al proselitismo.
*
Comunichiamo solo con donne.

Roma, luglio 1970

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 159 del 21 febbraio 2008

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