Minime. 339



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 339 del 19 gennaio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Il lavoro che uccide
2. Hannah Arendt: La Resistenza nonviolenta in Danimarca
3. Ettore Masina: Le caramelle della vergogna
4. Alessandro Portelli presenta "Monongah 1907. Una tragedia dimenticata" a
cura di Norberto Lombardi
5. Letture: AA. VV., Fede e ragione
6. Riedizioni: Plauto, Commedie
7. Riedizioni: Senofonte, Opere
8. L'Agenda dell'antimafia 2008
9. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008
10. Peppe Sini: Della necessita' e dell'urgenza di costruire un'alternativa
al regime della corruzione
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IL LAVORO CHE UCCIDE

Il lavoro che uccide.
Non il lavoro, ma l'organizzazione del lavoro.
E non un'organizzazione neutrale, ma l'organizzazione del lavoro del modo di
produzione capitalistico.
La cui massima e': sfrutta finche' puoi. E chi muore muore.
Che e' la stessa massima del modo di produzione schiavistico.

2. MEMORIA. HANNAH ARENDT: LA RESISTENZA NONVIOLENTA IN DANIMARCA
[Da Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme,
Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182. E' un brano che abbiamo
gia' altre volte riprodotto su questo foglio.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo
lvanno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dellvedizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano
2006; i recentissimi Diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt:
fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt,
Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella,
Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della
politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores
d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente
e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di),
Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro
sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann,
Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt,
Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie
divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang
Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg
Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

La storia degli ebrei danesi e' una storia sui generis, e il comportamento
della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro
paese d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o neutrale e indipendente che
fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte
le universita' ove vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare
un'idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva,
anche se l'avversario e' violento e dispone di mezzi infinitamente
superiori. Certo, anche altri paesi d'Europa difettavano di "comprensione
per la questione ebraica", e anzi si puo' dire che la maggioranza dei paesi
europei fossero contrari alle soluzioni "radicali" e "finali". Come la
Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi
immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano
sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso' esprimere apertamente cio'
che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e
svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei con un tour de
force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica antisemita in
quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i danesi. Quando
i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo
giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i
ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita
avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che
i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione
tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i
millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca
prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi.
Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi,
poiche' ai loro occhi era quanto mai "illogico" che un governo proteggesse
gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il
permesso di lavorare. (Dal punto di vista giuridico, prima della guerra la
situazione dei profughi in Danimarca non era diversa da quella che c'era in
Francia, con la sola differenza che la corruzione dilagante nella vita
amministrativa della Terza Repubblica permetteva ad alcuni di farsi
naturalizzare, grazie a mance o "aderenze", e a molti di lavorare anche
senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era un paese
pour se debrouiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i
profughi, in quanto apolidi, non erano piu' cittadini tedeschi, i nazisti
non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno
dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelo' un buon pretesto,
anche se naturalmente non fu per il fatto in se' di essere apolidi che gli
ebrei si salvarono, ma perche' il governo danese aveva deciso di difenderli.
Cosi' i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che
erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni
furono rinviate all'autunno del 1943.
Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in
confronto a  cio' che avveniva in altri paesi d'Europa, fu un grande
scompiglio. Nell'agosto del 1943 (quando ormai l'offensiva tedesca in Russia
era fallita, l'Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano
sbarcati in Italia) il governo svedese annullo' l'accordo concluso con la
Germania nel 1940, in base al quale le truppe tedesche  avevano il diritto
di attraversare la Svezia. A questo punto i danesi decisero di accelerare un
po' le cose: nei cantieri della Danimarca ci furono sommosse, gli operai si
rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il
comandante militare tedesco proclamo' lo stato d'emergenza e impose la legge
marziale, e Himmler penso' che fosse il momento buono per affrontare il
problema ebraico, la cui "soluzione" si era fatta attendere fin troppo. Ma
un fatto che Himmler trascuro' fu che (a parte la resistenza danese) i capi
tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non erano piu' quelli di un
tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante militare, si
rifiuto' di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best,
plenipotenziario del Reich; ma anche le unita' speciali delle SS (gli
Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui
"provvedimenti ordinati dagli uffici centrali", come disse Best nella
deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla
Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro
sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena
soddisfazione dei suoi superiori, non era piu' una persona fidata, anche se
non e' certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque,
fin dall'inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e
l'ufficio di Eichmann mando' allora in Danimarca uno dei suoi uomini
migliori, Rolf Guenther, che sicuramente nessuno poteva accusare di non
avere la necessaria "durezza". Ma Guenther non fece nessuna impressione ai
suoi colleghi di Copenhagen, e von Hannecken si rifiuto' addirittura di
emanare un decreto che imponesse a tutti gli ebrei di presentarsi per essere
mandati a lavorare.
Best ando' a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi
sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria
appartenessero - una concessione molto importante, dal punto di vista dei
nazisti. Come data del loro arresto e della loro immediata deportazione (le
navi erano gia' pronte nei porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e
non potendosi fare affidamento ne' sui danesi ne' sugli ebrei ne' sulle
truppe tedesche di stanza in Danimarca, arrivarono dalla Germania unita'
della polizia tedesca, per effettuare una perquisizione casa per casa. Ma
all'ultimo momento Best proibi' a queste unita' di entrare negli alloggi,
perche' c'era il rischio che la polizia danese intervenisse e, se la
popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i tedeschi avessero
la peggio. Cosi' poterono essere catturati soltanto quegli ebrei che
aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente 477
persone (su piu' di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi
giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F.
Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il
piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i
capi della comunita' ebraica. E questi, all'opposto dei capi ebraici di
altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle
sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli
ebrei ebbero appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa
che fu molto facile perche', come si espresse la sentenza, "tutto il popolo
danese, dal re al piu' umile cittadino", era pronto a ospitarli.
Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della
guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla
Svezia. Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi'
si fece con l'aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per
i non abbienti (circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte
da ricchi cittadini danesi, e questa fu forse la cosa piu' stupefacente di
tutte, perche' negli altri paesi gli ebrei pagavano da se' le spese della
propria deportazione, gli ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi
permessi di uscita (in Olanda, Slovacchia e piu' tardi Ungheria), o
corrompendo le autorita' locali o trattando "legalmente" con le SS, le quali
accettavano soltanto valuta pregiata e, per esempio in Olanda, volevano dai
cinquemila ai diecimila dollari per persona. Anche dove la popolazione
simpatizzava per loro e cercava sinceramente di aiutarli, gli ebrei dovevano
pagare se volevano andar via, e quindi le possibilita' di fuggire, per i
poveri, erano nulle.
Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le
cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli
svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine
tedesca, 1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei.
(Quasi la meta' degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e
si salvo' tenendosi nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come
non mai, giacche' tutti ottennero il permesso di lavorare. Le poche
centinaia di persone che la polizia tedesca era riuscita ad arrestare furono
trasportate a Theresienstadt: erano persone anziane o povere, che o non
erano state avvertite in tempo o non avevano capito la gravita' della
situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come nessun altro gruppo,
grazie all'incessante campagna che in Danimarca fecero su di loro le
autorita' e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una percentuale non
molto alta, se si pensa alla loro eta' media. Quando tutto fu finito,
Eichmann si senti' in dovere di riconoscere che "per varie ragioni" l'azione
contro gli ebrei danesi era stata un "fallimento"; invece quel singolare
individuo che era il dott. Best dichiaro': "Obiettivo dell'operazione non
era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei:
ed ora questo obiettivo e' stato raggiunto".
L'aspetto politicamente e psicologicamente piu' interessante di tutta questa
vicenda e' forse costituito dal comportamento delle autorita' tedesche
insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che
giungevano da Berlino. A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i
nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare
che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono mentalita'. Non
vedevano piu' lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano
urtato in una resistenza basata su saldi principi, e la loro "durezza" si
era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur
timido, di un po' di vero coraggio. Del resto, che l'ideale della "durezza",
eccezion fatta forse per qualche bruto, fosse soltanto un mito creato
apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva uno sfrenato desiderio di
irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide chiaramente al processo di
Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si tradirono a vicenda
giurando e spergiurando di essere sempre stati "contrari" o sostenendo, come
fece piu' tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano abusato delle
loro migliori qualita'. (A Gerusalemme Eichmann accuso' "quelli al potere"
di avere abusato della sua "obbedienza": "il suddito di un governo buono e'
fortunato, il suddito di un governo cattivo e' sfortunato: io non ho avuto
fortuna"). Ora avevano perduto l'altezzosita' d'un tempo, e benche' i piu'
di loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna,
nessuno ebbe il fegato di difendere l'ideologia nazista.

3. MAESTRI E COMPAGNI. ETTORE MASINA: LE CARAMELLE DELLA VERGOGNA
[Dal sito di Ettore Masina (www.ettoremasina.it) riprendiamo il seguente
articolo apparso sul mensile "Jesus" nel dicembre 2007.
Ettore Masina, nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, giornalista,
scrittore, fondatore della Rete Radie' Resch, gia' parlamentare, e' una
delle figure piu' vive della cultura e della prassi di pace. Sulle sue
esperienze e riflessioni si vedano innanzitutto i suoi tre libri
autobiografici: Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e
guerriglieri (Gamberetti, 1997); Il prevalente passato. Un'autobiografia in
cammino (Rubbettino, 2000); L'airone di Orbetello. Storia e storie di un
cattocomunista (Rubbettino, 2005). Tra gli altri suoi libri: Il Vangelo
secondo gli anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella
storia (Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in
serbo-croato), El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile,
Corno d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud. Cile,
Vietnam, Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire.
Monsignor Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993
col titolo Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele,
1995), Comprare un santo (Camunia, 1994; O. G. E., 2006), Il volo del
passero (San Paolo, tradotto in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo,
1999), Il Vincere (San Paolo, 2002). Un piu' ampio profilo di Ettore Masina,
scritto generosamente da lui stesso per il nostro foglio, e' nel n. 418 de
"La nonviolenza e' in cammino"]

Mi capito' una volta, in Zimbabwe, di visitare un meraviglioso piccolo
ospedale italiano, "di frontiera", cioe' lontano da grandi centri abitati;
oltre a tutto un avamposto di lotta all'Aids che flagellava la zona. Guidavo
una delegazione di deputati italiani in visita ai progetti di cooperazione
del nostro Paese; e nella mia veste presidenziale ero costretto ad assumermi
funzioni cerimoniali che consideravo un po' sciocche e un po' sgradevoli. In
quell'occasione qualcuno mi mise fra le mani un enorme sacco di caramelle e
mi chiese di distribuirle ai malati. Al mio rifiuto mi fu spiegato che le
leggi africane dell'ospitalita' richiedevano che il piu' alto dei personaggi
in visita donasse qualche piccolo segno di amicizia. Portai dunque a
termine, con profondissimo disagio, quanto mi veniva richiesto. Ad ogni
letto mi fermavo, dicevo qualche parola d'augurio e porgevo un pugno di
caramelle. Qualche malato, immerso in un suo torpore, neppure mi guardava,
qualcuno esaminava i dolci con diffidenza, altri li ghermivano con
entusiasmo, stringendomi la mano e rivolgendomi un fiotto di parole del
tutto incomprensibile. Le donne riponevano con cura i piccoli regali: li
avrebbero dati ai figli bambini quando sarebbero tornate a casa. Per tutto
il tempo della distribuzione mi risuono' dentro, molto tristemente, una
bella canzone di Mina, che diceva: "Caramelle non ne voglio piu'" e spiegava
che le parole dolci non bastano a chi vuole essere amato, l'amore non puo'
che essere riconoscimento dell'altro, rispetto della sua identita', aiuto
generoso, fedelta'.
A proteggermi dal disagio di quel giorno c'era almeno la constatazione che
l'ospedale aveva muri, personale, farmaci e ferri chirurgici, solidi segni
di solidarieta'. Le caramelle non sostituivano queste realta', le
ingentilivano; ma dopo tanti anni sento spesso che il mio disagio di allora
si rinnova quando mi trovo - che lo voglia o no - dalla parte di chi offre
alle difficolta' altrui, e talvolta ai dolori altrui, belle parole invece
che comprensione e aiuti.
Penso soprattutto ai giovani e ai giovanissimi. Quante affettuose pacche
sulle spalle, quante sciocche tolleranze donate come caramelle; e quanta
amara convinzione che ormai non ci sia piu' niente da fare, ormai essi
vivano fuori dal nostro territorio. Cerchiamo davvero di capirli? Se
l'uccisione di un ragazzo da parte di un poliziotto provoca la violenza
degli ultras, riusciamo a comprendere che non basta la repressione, che le
"curve" sono l'iceberg di un lutto generazionale per una totale mancanza di
offerte di futuro, di dignitose vie di comunicazione? E le istituzioni sono
capaci di tenere presenti le ripercussioni fra i giovani di provvedimenti
nei confronti di adulti che avevano conquistato la loro fiducia? Qualcuno,
per esempio, sta ascoltando il mormorio desolato dei ragazzi della Locride
per il trasferimento di un vescovo amato?

4. LIBRI. ALESSANDRO PORTELLI PRESENTA "MONONGAH 1907. UNA TRAGEDIA
DIMENTICATA" A CURA DI NORBERTO LOMBARDI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 dicembre 2007, col titolo "Morire con
il carbone in faccia nella Virginia dell'Ovest" e il sommario "L'incidente e
la morte di oltre trecento minatori in West Virginia agli inizi del
Novecento. Una storia di migranti e di una guerra civile dove la nascente
aviazione militare bombarda gli operai in sciopero. Un volume ricostruisce
la strage di Monongah".
Alessandro Portelli, studioso della cultura americana e della cultura
popolare, docente universitario, saggista, storico, militante della sinistra
critica, per la pace e i diritti. Dal sito alessandroportelli.blogspot.com
riprendiamo la seguente scheda autobiografica: "Sono nato a Roma nel 1942.
Di mestiere, insegno letteratura americana alla Facolta' di scienze
umanistiche dell'Universita' 'La Sapienza' di Roma. Ho svolto l'incarico di
consigliere delegato del sindaco di Roma per la tutela e la valorizzazione
delle memorie storiche della citta'; ho fondato e presiedo il Circolo Gianni
Bosio per la conoscenza critica e la presenza alternativa delle culture
popolari; faccio parte del consiglio direttivo dell'Irsifar (Istituto Romano
per la Storia d'Italia dal Fascismo alla Resistenza) e ho la tessera
dell'Anpi. Collaboro al 'Manifesto' fin dal 1972, e ho scritto spesso anche
su 'Liberazione' e 'l'Unita''. Ho studiato, insegnato e diffuso la cultura
dell'America a cui vogliamo bene - quella di Woody Guthrie, Pete Seeger, Bob
Dylan, Bruce Springsteen, di Malcolm X, Martin Luther King, Cindy Sheehan,
Mark Twain, Don DeLillo, Spike Lee, Woody Allen. Ho raccolto le canzoni
popolari e politiche e la memoria storica orale di Roma e del Lazio,
collaborando con il Canzoniere del Lazio, Giovanna Marini, Sara Modigliani,
Piero Brega, Ascanio Celestini. Ho conosciuto i partigiani e le partigiane
di Roma e i familiari degli uccisi delle Fosse Ardeatine, e dai loro
racconti ho messo insieme la loro storia. Ho ascoltato i racconti delle
borgate e dei quartieri popolari, dalle occupazioni delle case degli anni
'70 alla storia orale di Centocelle. Ho cercato di non limitarmi a studiare
e a scrivere, ma anche di organizzare cultura: mettere in piedi strutture
(dal Circolo Bosio alla Casa della Memoria); fondare e far vivere riviste;
condividere con gli altri, attraverso dischi e libri, quello che ho
imparato; coinvolgere persone piu' giovani e aprirgli spazi; organizzare
eventi, concerti, incontri. Ho accompagnato gli studenti romani ad
Auschwitz, ho girato decine di scuole per parlare della memoria, della
democrazia, dell'antifascismo. E ho voglia di continuare a farlo. Le mie
passioni sono l'uguaglianza, la liberta', l'insegnamento, la musica
popolare, la memoria, ascoltare i racconti delle persone, i libri e i film,
e il rock and roll". Tra le opere di Alessandro Portelli: Il re nascosto.
Saggio su Washington Irving, Bulzoni, Roma 1979; Taccuini americani,
Manifestolibri, Roma 1991, 2000; Il testo e la voce, Manifestolibri, Roma
1992; La linea del colore, Manifestolibri, Roma 1994; L'aeroplano e le
stelle, Manifestolibri, Roma 1995; Biografia di una citta', Einaudi, Torino
1997; (con Cesare Bermani e Silverio Corvisieri), Guerra civile e Stato,
Odradek, Roma 1998; L'ordine e' gia' stato eseguito, Donzelli, Roma 1999;
America, dopo, Donzelli, Roma 2003; Canzone politica e cultura popolare in
America, DeriveApprodi, 2004; Canoni americani, Donzelli, Roma 2004]

Mi raccontava anni fa Francesco Mongiardo (gli americani lo pronunciavano
"Frank Majority"), scalpellino, figlio di minatore immigrato dalla Campania
in West Virginia: "Mio padre sbarco' a New York nel 1902. Dopo passato il
controllo immigrazione, l'hanno mandati alla stazione centrale e li' nessuno
sapeva l'inglese, e gli hanno messo delle targhette al collo con la
destinazione - come bestiame, insomma. E li hanno marcati per il West
Virginia. L'hanno messi sul treno, e spediti in West Virginia". Li
chiamavano blue trains: treni con i finestrini verniciati di blu, cosi' che
gli immigrati spediti a destinazione ignota non vedevano neanche dove
stavano andando. Continua Frank Majority: "Arrivarono che era notte. A
Beckley, credo, nel centro dei giacimenti di carbone. E li' accanto, lungo i
binari, c'erano fornaci aperte che bruciavano il carbone per fare il coke. I
fuochi accendevano il cielo e mio padre non aveva mai visto niente del
genere. Vedevano quei fuochi e quando scesero dal treno videro un nero,
grande e grosso, con una sbarra d'acciaio in mano, tutto sudato, che lavora
il coke, e pensarono: Siamo arrivati all'inferno, e questo e' il diavolo.
Erano ragazzi, non avevano mai visto una cosa simile, in un paese
sconosciuto".
*
La guerra del West Virginia
L'inferno in West Virginia c'era per davvero: nel 1903, il console d'Italia
protesto' presso il governo americano (erano altri tempi!) per le condizioni
di semi-schiavitu' in cui erano tenuti gli immigrati italiani in West
Virginia. Non solo loro: "Medievale West Virginia!", inveiva Mary "Mother"
Jones, leggendaria sindacalista dei minatori americani: "quando arrivo in
paradiso, voglio parlare a Dio del West Virginia". In West Virginia, nel
1921, c'era la guerra civile: i minatori in rivolta armata si scontravano
con gli eserciti privati dei padroni (i "contractors" di allora), e la
nascente aviazione militare americana sperimentava su di loro la guerra
aerea e i bombardamenti (per fortuna, in modo fallimentare). Nel 1912, a
Paint Creek e Cabin Creek, i minatori si erano ribellati contro il potere
feudale delle compagnie minerarie, la complicita' delle istituzioni, la
violenza della repressione, e per la prima volta avevano conquistato i
diritti sindacali. E il 6 dicembre 1907, a Monongah, West Virginia, il piu'
tragico disastro minerario della storia degli Stati Uniti aveva ucciso 361
uomini, di cui 171 italiani, provenienti soprattutto dal Molise,
dall'Abruzzo, e poi da tutte le regioni dell'Italia meridionale.
Il Ministero degli Esteri ricorda il centenario di questa "tragedia
dimenticata" (non da tutti, non da tutti!) con una ricca e documentata
pubblicazione. Mi fa un po' dissonanza la carta patinata, il "comitato per
le celebrazioni" (celebrazioni?) zeppo di autorita'. Ma mi commuove la
poesia in epigrafe, del poeta immigrato Efrem Bartoletti, figlio di mezzadri
umbri, per la fosca ingenuita' del tono ("Quale bocca infernal fumida e nera
e ripiena di Morte e di sciagura...") ma anche perche' e' datata Hibbing,
Minnesota, 1912 - lo stesso anno dello sciopero di Pant Creek e Cabin Creek,
e la stessa citta' mineraria dove, trent'anni dopo, sarebbe nato Robert
Zimmerman, detto Bob Dylan.
*
Il pane e le rose
Sono di grande utilita' l'appendice documentaria e molti dei saggi che
costituiscono la parte piu' importante del libro. Cosi', Norberto Lombardi
colloca Monongah in un contesto terrificante di massacri sul lavoro, con
migliaia di vittime, compresi tantissimi italiani: "La tragedia di Monongah
e'... solo l'apice di un percorso cadenzato di lutti e di dolore... che
denota una strutturale esposizione ai rischi e la mancanza di efficaci
regole di protezione e di controlli". Potrebbe averlo scritto adesso:
Monongah non e' lontano da Newurgh, dove morirono 38 minatori nel 1886, o da
Fairmont, dove nel 1968 ne morirono 78. Il disastro piu' recente, in West
Virginia, e' del 2006: dodici morti. Ma ho fra le mani il ritaglio di un
giornale di quelle parti che dice, i disastri con molte vittime fanno
notizia, ma in miniera si muore uno alla volta, tutti i giorni (ci vuole la
strage della Thyssenkrupp a Torino perche' media e politici si accorgano dei
nostri morti quotidiani).
Ancora: Andreina De Clementi collega la vicenda degli italiani di Monongah
alle ragioni storiche dell'emigrazione dalle campagne italiane; Rudolph
Vecoli riassume la storia delle lotte e descrive le condizioni feudali a cui
si ribellavano i minatori ("In queste company towns i baroni del carbone
controllavano tutto, le capanne, le botteghe, i servizi sanitari, le scuole
e le chiese, e talvolta anche lo stesso pensiero dei lavoratori. La paga
degli operai non era in dollari correnti ma in script della compagnia",
redimibili solo allo spaccio aziendale dove ogni aumento di salario era
compensato da un equivalente aumento dei prezzi. Stefano Luconi allarga lo
sguardo a tutte le lotte degli operai italiani negli Stati Uniti, dai
sigarai siciliani in Florida alle operaie tessili di Lawrence in
Massachusetts (dove inventarono la frase "vogliamo il pane, e vogliamo anche
le rose"): una storia davvero cancellata da un'immagine oleografica,
conservatrice e sbagliata degli italo-americani promossa da associazioni
"etniche" e governanti interessati (d'altronde gia' molti anni fa Bruno
Cartosio aveva parlato di queste vicende come componente di quel movimento
operaio internazionale che troppo spesso viene spezzettato nelle narrazioni
storiche paese per paese). E poi, l'appendice documentaria, con quei
laceranti elenchi di nomi, le lettere, la scrittura faticosa delle lettere
dei migranti riprodotte anastaticamente e quella burocratica delle
istituzioni, il tira e molla sugli indennizzi fra Washington, Stati Uniti e
comuni come Duronia del Sannio o Torella del Sannio, le fotografie, le
lapidi, i monumenti commemorativi.
*
Vite bruciate
Una classica canzone di Alfredo Bandelli sugli emigranti li chiamava "i
deportati della borghesia". Deportati, importati, contrabbandati, rispediti
indietro, ammazzati, archiviati se va bene con duecento dollari alle vedove
o ai figli. Il paragone fra gli italiani emigrati e i rumeni o senegalesi
immigrati e' troppo inevitabile per avere bisogno di sottolinearlo. A me
invece viene in mente un'altra cosa. Nello stesso anno in cui l'aviazione
bombardava i minatori in West Virginia, gli aerei inglesi bombardavano a
tappeto la citta' di Baghdad. Io credo che anche i morti di Monongah nel
1907 e quelli nell'Iraq di oggi sono collegati, parte dello stesso processo:
una rivoluzione industriale, una modernita', un dominio di classe che fin
dall'inizio hanno mangiato energia, e per continuare a mangiarne massacrano
le persone, dell'alto con le bombe nelle guerre per il petrolio in Medio
Oriente o nel profondo delle miniere per il carbone. Ne sono morti ancora un
centinaio, pochi giorni fa, in Cina.

5. LETTURE. AA. VV.: FEDE E RAGIONE
AA. VV., Fede e ragione, "Quaderni della Fondazione Ernesto Balducci", n.
18, 2007, pp. 140. Questo volume dei sempre preziosi quaderni della
Fondazione Balducci si apre con due ricordi di Carmelo Pellicano', deceduto
in luglio, pronunciati da Andrea Cecconi e Raniero La Valle durante la
liturgia funebre; seguono gli atti della giornata di studio  su "Fede e
ragione" del 23 febbraio 2007 (con interventi di Andrea Cecconi, Pierluigi
Onorato, Alfredo Iacopozzi, Andrea Bigalli, Caterina Ferrari, Vannino
Chiti), e saggi, articoli e recensioni di Elena Acuti, Martina Ridolfi,
Mario Demichelis, Thomas Madonia. Per richieste: e-mail:
fondazionebalducci at virgilio.it, sito: www.fondazionebalducci.it

6. RIEDIZIONI. PLAUTO: COMMEDIE
Plauto, Commedie, Mondadori, Milano 2007, 2 voll. per complessive pp. LXII +
1506, euro 12,90 + 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura
di Chiara Battistella, Maurizio Bettini e Giovanna Faranda, con testo a
fronte, introduzione di A. S. Gratwick, ricco apparato. Ha scritto
lapidariamente Concetto Marchesi: "Plauto si puo' veramente considerare come
il padre della letteratura latina. Nella lingua e' un creatore
meraviglioso", e Marchesi e' latinista infallibile. Cosa aggiungere che non
suoni superfluo? Dopo tanto affaticare le carte di critici illustrissimi e
tanto sganasciarsi di pubblico lungo duemila e passa anni, Plauto resta per
me ancora un enigma: e' sempre tutto troppo semplice e troppo complicato,
dove tutto sembra menzogna senti celarsi una verita', quando pare che si
strilli come in una rissa da cortile o da taverna hai il sospetto che vi sia
occultata una partitura degna di Bach o di Stravinskij, mentre sospetti di
annoiarti dinanzi allo stereotipo piu' stereotipato, di colpo la lingua
diventa un vulcano in eruzione (e cogli allora la funzionalita' delle
stereotipo all'invenzione della voce, cosi' come per creare i film di
Hitchcock, il loro vertiginoso linguaggio, occorre partire da romanzi
banali: non si puo' fare un buon film da Guerra e pace o dai Miserabili,
cosi' Plauto ricicla i canovacci gia' stantii della nea, cosi' la commedia
dell'arte ripete all'infinito la solita storia e tutta la verita' e' nella
fisica presenza di Arlecchino). La formulistica antica e banalizzata,
logorata dall'uso scolastico, dei "numeri innumeri", dei "sales", del "sermo
plebeius", rivela forse piu' di quanto a prima vista sembri: tutto e'
lingua, e il mondo e' nulla: e quella Roma artiglio del mondo era anch'essa
turbine di polvere, fame di vento, dacche' ogni umano potere merita infine
di esere irriso, ed ogni umana vicenda chiama la nostra misericordia,
poiche' tutto e' teatro, favola bella che irride ed illude per un attimo
solo: ma questo attimo abbilo tu caro, e di questa misera umanita' abbi
misericordia. Cosi' mi diceva il mio buon maestro di retorica Annibale
Scarpante all'osteria della sora Nocenza quando il vino di libagione in
libagione rendeva cosi' acuta la vista da donare una duplice visione.

7. RIEDIZIONI. SENOFONTE: OPERE
Senofonte, Opere, Mondadori, Milano 2007, pp. 1.064, euro 12,90 (in
supplemento a vari periodici Mondadori). Il volume contiene l'Anabasi e le
Elleniche, con testo greco a fronte, per le cure rispettivamente di Enzo
Ravenna e di Maristella Ceva, e un'introduzione alla prima opera di Ezio
Savino. Ci diceva ier l'altro il nostro buon amico Fosco Funesti: "Di
Senofonte sempre e' andato di moda parlar male. Come allievo di Socrate e'
considerato il piu' torpido. Come storico una specie di terzo aggiunto, e
incomodo, da trattar con degnazione - quando e' ovvio che il confronto con
Erodoto e Tucidide schiaccerebbe chiunque. Come ateniese, sospetto. Come
classico, minore. Sia pure. E invece. Non riprendevo in mano l'Anabasi da
non so quanti anni. Mi commuove ancora".

8. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008
Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia
2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007,
euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro
Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse.
L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel.
0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito:
www.centroimpastato.it

9. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008
Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di
riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla
nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di
"antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente
rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo.
Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it
Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti
progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore.

10. LE ULTIME COSE. PEPPE SINI: DELLA NECESSITA' E DELL'URGENZA DI COSTRUIRE
UN'ALTERNATIVA AL REGIME DELLA CORRUZIONE

A questo oggi tutte le persone amiche della nonviolenza sono chiamate.
Nella catastrofe di un ceto politico tutto andreottizzato, tutto
berlusconizzato, e' necessario e urgente rinunciare ad ogni illusione e
prepararsi alla lotta.
Occorre costruire subito la sinistra della nonviolenza.
Questa sinistra nella societa' italiana c'e' gia', ma ancora non ha saputo
fare due passi indispensabili.
Il primo: uscire dalla subalternita' e decidere di autorappresentarsi nelle
istituzioni.
Il secondo: rompere ogni contiguita' con i corrotti e gli squadristi, i
totalitari e i patriarcali, i militaristi e gli ecocidi, ed affermare la
scelta della nonviolenza come criterio decisivo dell'unica proposta politica
adeguata ad affrontare la tragica situazione del mondo ad apertura del XXI
secolo.
*
Occorre dir chiaro che la sinistra della nonviolenza non puo' essere
rappresentata dai partiti che hanno votato per la guerra.
Occorre dir chiaro che tutti coloro della ex-sinistra al governo che hanno
votato per la guerra e tutti coloro che hanno appoggiato questa scelta non
sono nostri compagni di lotta, ma nostri avversari.
Occorre dir chiaro che tutti coloro della ex-sinistra al governo che hanno
votato per provvedimenti razzisti e tutti coloro che hanno appoggiato questa
scelta non sono nostri compagni di lotta, ma nostri avversari.
Occorre dir chiaro che tutti coloro della ex-sinistra al governo che hanno
appoggiato ladri di stato e corrotti, corruttori ed eversori dall'alto, non
sono nostri compagni di lotta, ma nostri avversari.
Occorre dir chiaro che tutti coloro della ex-sinistra al governo che hanno
votato per provvedimenti di devastazione dell'ambiente e tutti coloro che
hanno appoggiato questa scelta - mentre il collasso della biosfera e' in
corso, e travolgera' l'umanita' intera se non si muta subito modello di
sviluppo - non sono nostri compagni di lotta, ma nostri avversari.
Occorre dir chiaro che tutti coloro della ex-sinistra al governo che hanno
perpetuato il patriarcato e il maschilismo non sono nostri compagni di
lotta, ma nostri avversari.
Occorre dir chiaro che tutti coloro della ex-sinistra al governo che hanno
violato la legalita' costituzionale e tutti coloro che hanno appoggiato
questa scelta non sono nostri compagni di lotta, ma nostri avversari.
*
La sinistra del femminismo e dell'ecologia, la sinistra dell'opposizione
alla guerra e allo sfruttamento, la sinistra antimafia e antifascista, la
sinistra della solidarieta' e della responsabilita', la sinistra socialista
e libertaria, la sinistra della democrazia e della Costituzione: questa e'
la sinistra della nonviolenza che e' chiamata oggi all'impegno di uscire da
ogni rassegnazione, di uscire da ogni ambiguita', di proporsi come soggetto
politico in grado di governare, di chiamare alla lotta ogni persona di retto
sentire, ogni persona di volonta' buona.
La nonviolenza e' matura, e' pronta alla prova. Occorre costruire subito
liste elettorali della sinistra della nonviolenza per portare il criterio e
le proposte della nonviolenza in tutte le istituzioni democratiche elettive.
Il momento e' ora.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 339 del 19 gennaio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
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