Minime. 194



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 194 del 27 agosto 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Mohandas Gandhi: L'inizio e la fine
2. Israeli Committee against house demolition: Ricostruire le case
palestinesi e mettere fine all'occupazione
3. "Una citta'" intervista Jeff Halper
4. Camelia Entekhabifard: Nel vento
5. Giulio Vittorangeli: La sindrome di Roma
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. MAESTRI. MOHANDAS GANDHI: L'INIZIO E LA FINE
[Da Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1973, 1996, p. 140.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l’autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e
fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l’India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara,
L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega,
Torino 2006]

La nonviolenza inizia e termina con la ricerca interiore.

2. APPELLI. ISRAELI COMMITTEE AGAINST HOUSE DEMOLITION: RICOSTRUIRE LE CASE
PALESTINESI E METTERE FINE ALL'OCCUPAZIONE
[Dal sito di "Una citta'" (www.unacitta.it) riprendiamo il seguente appello
dell'Icahd (Israeli Committee against house demolition)]

40 anni e 18.000 case demolite. Basta
Campagna dell'Icahd (Israeli Committee against house demolition) per
ricostruire le case palestinesi e mettere fine all'occupazione
*
Per 40 anni l'occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme Est
e di Gaza non ha portato che miseria, morte e distruzione sia ai palestinesi
che agli israeliani. Ne e' prova il massacro senza senso che e' stato
condotto nei confronti degli abitanti di Gaza e Sderot.
Tra il 9 e l'11 giugno il comitato israeliano contro la demolizione di case
(Icahd) si unira' a delle organizzazioni di base di tutto il mondo per
chiedere l'immediata e totale fine dell'Occupazione. Solo allora israeliani
e palestinesi potranno aspirare a quella giusta pace che le popolazioni
desiderano ardentemente.
Per dieci anni l'Icahd ha lavorato senza sosta per porre fine
all'Occupazione, in particolare alla sua espressione piu' crudele, la
demolizione di case palestinesi: 18.000 dal 1967. La demolizione di case e'
stato un tratto distintivo della politica israeliana di "trasferimento"
forzato da quando nel 1948, allo scoppiare della guerra, vennero distrutti
piu' di 400 villaggi. Infatti, il primo vero atto dell'Occupazione
israeliana, nel 1967, e' stata la demolizione di centinaia di case nella
citta' vecchia di Gerusalemme. L'11 luglio, mentre la Guerra dei sei giorni
volgeva al termine, piu' di 135 famiglie palestinesi vennero buttate giu'
dai loro letti nel cuore della notte per trovarsi di fronte all'orrore dei
bulldozer israeliani che distruggevano le loro case e le due moschee del
quartiere. Hajja Rasmia Tabaki, un'anziana donna morta sotto le macerie
della sua casa nel quartiere Mughrabi, e' stata la prima vittima
dell'occupazione.
Da allora quel violento, illegale e assolutamente non necessario atto di
demolizione si e' ripetuto migliaia di volte nei territori occupati come in
Israele.
Tutto questo deve finire.
A partire dall'11 giugno l'Icahd ricostruira' ogni casa palestinese demolita
dagli israeliani, circa 300 ogni anno.
Dedichiamo la nostra campagna alla memoria di Hajja Rasmia.
*
Sostieni la nostra campagna per mettere fine alla demolizione di case
palestinesi, e fai sentire la tua voce.
Sensibilizza i tuoi rappresentanti politici affinche' sostengano una giusta
pace in Medioriente.
Fa' sapere loro che solo quando i palestinesi saranno liberi, Israele godra'
di pace e sicurezza.
Il precedente Segretario di Stato James Baker ha ammonito l'attuale
amministrazione Bush sul fatto che il conflitto israelo-palestinese
costituisce l'epicentro dell'instabilita' globale. Solo quando sara' risolto
noi raggiungeremo la sicurezza globale e la riconciliazione.
The Israeli Committee against house demolition (Icahd)

3. RIFLESSIONE. "UNA CITTA'" INTERVISTA JEFF HALPER
[Dal sito di "Una citta'" (www.unacitta.it) riprendiamo la seguente
intervista apparsa nel n. 148 del 2007 della rivista col titolo "Noi
ricostruiamo" e il sommario "Nel quarantesimo anniversario dell'Occupazione,
il Comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi ha
avviato una campagna di ricostruzione di tutte le case demolite, circa 300
l'anno. Un ebreo ortodosso newyorkese, sopravvissuto alla Shoah, sempre piu'
a disagio verso uno Stato degli ebrei da cui non si sente rappresentato, ha
donato un milione e mezzo di dollari... Intervista a Jeff Halper".
Segnaliamo che naturalmente alcune opinioni espresse nell'intervista possono
non essere condivise. Ad esempio il boicottaggio delle universita'
israeliane ci sembra una proposta semplicemente inammissibile.
Jeff Halper, pacifista israeliano, e' urbanista e docente di antropologia
all'Universita' Ben Gurion del Negev, vive a Gerusalemme e coordina l'Icahd,
il Comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi
(www.icahd.org)]

- "Una citta'": Per commemorare i 40 anni dall'inizio dell'Occupazione,
avete lanciato una campagna in grande stile che prevede la ricostruzione di
tutte le case palestinesi demolite. Puoi raccontare?
- Jeff Halper: L'Icahd fa parte di una coalizione di gruppi pacifisti
israeliani, che svolgono varie attivita', all'interno della quale da tempo
ci stavamo in qualche modo preparando a questo quarantesimo anniversario.
Noi evidentemente volevamo fare qualcosa che avesse a che fare, che
enfatizzasse la questione della demolizione delle case.
In realta' tutto e' partito da un ebreo ortodosso di New York, un
sopravvissuto all'Olocausto, che e' entrato in contatto con noi. Lui ha
manifestato il suo disagio per il fatto che Israele, che parla a suo nome -
essendo lo Stato degli ebrei in qualche modo li rappresenta... Ecco, lui ha
detto: "Non mi rappresenta". In particolare era molto colpito dalla politica
di demolizione delle case palestinesi, che a lui ricordava quanto accaduto
agli ebrei in Europa. Cosi' ha espresso il desiderio di dare dei soldi
affinche' venisse ricostruita la casa a tutte le famiglie palestinesi a cui
era stata demolita nel corso di quest'anno. A questo scopo ha dato un
milione e mezzo di dollari.
Ora, Israele demolisce all'incirca 300 case all'anno. E questo significa che
noi possiamo spendere sui 5-6.000 dollari per casa. Ovviamente con questi
soldi si costruisce una piccola unita', due stanze, un bagno, una cucina,
non e' molto, ma e' funzionale, permette alle famiglie di andare avanti.
Cosi' abbiamo dato inizio a questa campagna, coordinandoci con le altre
iniziative per il quarantesimo anniversario dell'Occupazione.
Nel corso di questo lavoro, e' emersa una cosa interessante. Abbiamo infatti
scoperto che la prima azione dell'Occupazione e' stata la demolizione di una
casa. Tra il 10 e l'11 luglio 1967, mentre la guerra era ancora in corso, le
autorita' israeliane arrivarono con i bulldozer e nel mezzo della notte
sbalzarono dal letto 137 famiglie, e demolirono le loro case. E' stato il
primo atto dell'Occupazione, perche' nulla aveva a che fare con la guerra,
ne' con la sicurezza. Era semplicemente il primo "fatto sul terreno" che
Israele metteva in atto per poi appropriarsi e controllare quello spazio.
Infatti il tutto avvenne con una tale precipitazione che una signora
anziana, bloccata in casa, mori' sotto le macerie. Il suo era nome era Hajja
Rasmia Tabaki. E' la prima vittima dell'Occupazione. Tutto questo avvenne
nel quartiere Mughrabi (da Maghreb), il quartiere di Gerusalemme accanto al
Muro, sorto 700 anni prima. Lo demolirono per fare una piazza. Ecco, noi in
qualche modo abbiamo voluto tornare a quel momento, a quel luogo e l'11
giugno siamo andati nel quartiere Mughrabi. Ci sono ancora diverse famiglie
nella zona, anche un Mukhtar originario di li'. Per quanto spaventati,
cercarono di tenere assieme la comunita'.
Insomma, nel quarantesimo anniversario della demolizione abbiamo voluto
recarci in quel luogo per esprimere la nostra solidarieta' a quella gente,
per ricordare quel vicinato, la donna uccisa, per accettare pubblicamente le
nostre responsabilita', in quanto israeliani, di cio' che fa il nostro
governo. Anche allora infatti Israele cerco' di giustificare la propria
azione in termini difensivi, ossia addossando la colpa sui palestinesi.
In quella sede abbiamo annunciato il lancio di questa campagna: la
ricostruzione di tutte le case palestinesi che sono state e verrano demolite
quest'anno. Al contempo abbiamo firmato una lettera. Nel 1968, il Consiglio
di sicurezza dell'Onu emano' una risoluzione, la 252, che intimava a Israele
l'immediata sospensione del processo di unificazione della citta', di
annessione di Gerusalemme Est.
La risoluzione allora venne accolta all'unanimita' con l'eccezione di Stati
Uniti e Canada, che si astennero. Ma comunque passo'. Per cui abbiamo
redatto e sottoscritto questa lettera, palestinesi e israeliani assieme, che
abbiamo dato al rappresentante Onu.
Siamo poi scesi in strada, e ci siamo recati nel quartiere musulmano dove la
scorsa settimana e' stata demolita una casa. E quella e' stata la prima casa
ricostruita; la casa di una famiglia con dieci bambini... Ora stiamo
ricostruendo circa venti case nell'area del West Bank e di Gerusalemme Est.
Tutto questo avviene in aperta opposizione all'Occupazione e in un modo che
non puo' essere ignorato. C'e' anche la possibilita' che chiudano l'Icahd,
la nostra organizzazione, che mi mettano in carcere - eventualita' che mi
permetterebbe di finire finalmente il mio libro...
Comunque andremo avanti testa a testa con l'Occupazione...
*
- "Una citta'": Qual e' il senso di ricostruire case che verranno
verosimilmente demolite nuovamente? Suona un gesto molto gandhiano...
- Jeff Halper: E' cosi'. Forse non tutte le case, ma sicuramente molte
verranno nuovamente demolite. Negli ultimi anni abbiamo ricostruito circa 35
case. Meta' sono state demolite, ma alcune, come la casa di Salim, sono
state ricostruite anche tre-quattro volte.
Questa ricostruzione e' un atto di resistenza politica, non e' un gesto
umanitario. Evidentemente se lo scopo fosse restituire la casa ai
palestinesi, non avrebbe molto senso costruire case che vengono demolite.
Sarebbe solo un frustrante sciupio di soldi. Il punto e' che stiamo
compiendo azioni illegali. E' illegale ricostruire queste case, per cui sia
noi sia le famiglie palestinesi stiamo facendo della resistenza attiva.
Da questo punto di vista, e' possibile che vengano di nuovo demolite, fa
parte della repressione. Ma la ricostruzione per noi e' appunto un'azione
contro la repressione, e' un modo per sollevare la questione della
demolizione e dell'Occupazione.
*
- "Una citta'": Chi fa fisicamente il lavoro di ricostruzione?
- Jeff Halper: Finora tutte le case sono state ricostruite da volontari
israeliani, palestinesi e internazionali. Ovviamente non possiamo pensare di
ricostruire 300 case da soli. Siamo in contatto con alcuni muratori
palestinesi. Se le famiglie sono d'accordo, a Gerusalemme e nel nord e nel
sud del West Bank, abbiamo dei lavoratori a contratto, che vengono e
costruiscono le case per le famiglie. Non lo facciamo coi volontari,
coinvolgiamo operai palestinesi usando i materiali palestinesi. Stiamo
costruendo a Jenin, Hebron, dovunque demoliscano, eccetto Gaza, dove ora e'
impossibile.
*
- "Una citta'": Molti denunciano un processo di pulizia etnica, soprattutto
a Gerusalemme Est...
- Jeff Halper: E' chiaro che e' in atto una pulizia etnica. Negare a
qualcuno una casa e' un messaggio chiaro: "Fuori di qui!". La casa poi e'
legata alla patria, parliamo quindi della negazione di un diritto
individuale e collettivo - home e homeland...
Dal 1967 Israele ha demolito 18.000 case nei territori occupati. Ad oggi
sono stati emanati circa 20.000 ordini di demolizione, solo a Gerusalemme
Est. Praticamente su un terzo delle case di Gerusalemme Est pende questa
spada di Damocle.
Israele ovviamente non puo' permettersi di demolire 20.000 case, non sarebbe
accettabile. In inglese si usa l'espressione "keep under the radar", nel
senso di non finire nei giornali o in tv.
In questo senso si autolimita nella quantita' di case che riesce a demolire,
e poi appunto "randomizza". Se a Gerusalemme ci sono 20.000 ordini, Israele
ne distrugge "solo" 150... Beh, 150 case vuol dire minimo 150 famiglie
quindi insomma non sono piccoli numeri, pero' a confronto di 20.000...
insomma non c'e' un criterio evidente: se tu hai ricevuto l'ordine un anno
fa e io la settimana scorsa non significa che verra' demolita prima la tua
casa. Girano per le varie citta', distruggendo due case qui, due la', etc.,
case che hanno appena avuto l'ordine, altre che ce l'hanno da dieci anni...
Questo modo di procedere ovviamente semina la paura, sono tutti sottoposti a
un senso di precarieta' e insicurezza. Non puoi mai star tranquillo perche'
domattina potrebbero arrivare i bulldozer... E la paura funziona anche da
deterrente alla costruzione di nuove case. Perche' non bisogna dimenticare
che e' vero che ci sono 20.000 case su cui pende un ordine di demolizione,
ma si stima che manchino ben 25.000 case, a Gerusalemme, nel settore arabo.
D'altra parte le famiglie sono sempre piu' restie a costruire in un'area in
cui si andra' incontro a scontri con l'esercito, il governo etc. Insomma,
funziona. Perche' 20.000 famiglie hanno costruito, ma 25.000 no. Inutile
dire che a Gerusalemme Est le condizioni abitative hanno raggiunto livelli
di disagio estremamente gravi. Questo a sua volta spinge la gente a
stabilirsi fuori da Gerusalemme e una volta che lasciano la citta' perdono
la residenza, ora poi finiscono dall'altra parta del muro... E' cosi' che
stanno "ripulendo" Gerusalemme dai palestinesi. Ed e' cosi' che molti
palestinesi hanno deciso di lasciare il paese tout court. Si stima che piu'
di 200.000 palestinesi abbiano lasciato il paese negli ultimi 5-6 anni.
Certo, qui pulizia etnica non significa che Israele carica la gente su dei
convogli, e' una pulizia etnica condotta in modo piu' intelligente e
sofisticato, per cui alla fine sono i palestinesi a "decidere" di andarsene,
e Israele non ne e' responsabile.
*
- "Una citta'": Ora si sente parlare addirittura della "Grande Gerusalemme",
cosa sta succedendo?
- Jeff Halper: Guarda, ormai si potrebbe parlare anche dell'"enorme"
Gerusalemme. Come sappiamo da tempo c'e' il progetto della Gerusalemme
"metropolitana", che include Ramallah e Betlemme, ma e' un piano
concettuale; non si tratta di annettere, ma di pianificare l'intera "regione
Gerusalemme" in un modo per cui Ramallah e Betlemme saranno satelliti
dipendenti della Grande Gerusalemme israeliana. Quindi c'e' la Gerusalemme
Municipale e la Grande Gerusalemme, e poi la Gerusalemme metropolitana che,
ripeto, trascende l'annessione e ha a che fare con l'egemonia.
*
- "Una citta'": Come vengono giustificati gli ordini di demolizione?
- Jeff Halper: Funziona tutto in base a piani urbanistici, "zooning",
direttive amministrative, leggi...
In sostanza Israele ha classificato l'intera area di Gerusalemme Est come
non edificabile, per cui i palestinesi possiedono la terra ma non possono
costruirci. Anche nel West Bank e' andata un po' cosi', essendo per lo piu'
considerata area per le coltivazioni agricole. Insomma, se un palestinese si
presenta alle autorita' israeliane con la richiesta di costruire una casa
per la famiglia, si sentira' rispondere: "Mi dispiace, questo e' terreno
agricolo". Cosi' possono impedire ai palestinesi di costruire senza che
questo costituisca una discriminazione. Ora, se invece si tratta di dar
l'avvio a un nuovo insediamento israeliano si puo' convocare la commissione
preposta alla pianificazione... e cosi', e' ugualmente facile riconvertire
una zona verde o adibita alla coltivazione in area edificabile. E di nuovo
si puo' legalmente dare la terra ai coloni senza formalmente discriminare i
palestinesi.
*
- "Una citta'": Eppure l'idea della pace in cambio dei Territori sembrava
aver convinto gli stessi israeliani...
- Jeff Halper: In realta' non aveva convinto Israele, che ovviamente non ha
detto di no, ma...
Mi spiego, se parliamo della popolazione, guarda, io credo che gli
israeliani siano pronti e anzi intenzionati a porre fine all'Occupazione. Il
problema e' il governo che, con Barak in particolare, ha portato avanti
l'idea per cui comunque "non c'e' un partner con cui fare la pace", bisogna
difendersi, eccetera. Cosi' la popolazione pensa che si', sarebbe disposta a
rinunciare all'Occupazione, ma non puo' perche' ci attaccherebbero. C'e'
anche da dire che l'opinione pubblica israeliana e' stata in qualche modo
disarmata, si sente impotente e spesso non sa, non vuole sapere cosa sta
accadendo, vuole solo poter vivere la propria vita...
Per quanto riguarda il governo, al piano saudita ha detto si', perche' e'
interessato alla normalizzazione. La sua ambizione e' infatti quella di
raggiungere la normalizzazione senza rinunciare all'Occupazione. Questo, del
resto, e' cio' che ha fatto con la Giordania, con l'Egitto, che potrebbe
fare con la Siria. La strategia di Israele e' dire si' e poi...
Musharraf si e' offerto volontariamente di venire in Israele a mediare.
Voglio dire, il Pakistan ha riconosciuto Israele, lo stesso potrebbe
accadere con i sauditi... E' gia' in atto un processo di normalizzazione, ma
alla fine restano due punti su cui Israele non accettera' mai un accordo:
non tornera' entro i confini del '67 e non permettera' il ritorno dei
profughi palestinesi. Per cui, ripeto, Israele puo' dire si', e' un bel
piano, e organizzare visite e incontri alla Knesset, etc. alla fine pero' -
di fatto - la risposta sara' no, ma in un modo che, come gia' accaduto,
sembrera' che siano gli arabi ad essere irragionevoli. Purtroppo devo
aggiungere che anche la Lega Araba fa parte del gioco. Loro hanno gia'
capito cosa sta facendo Israele, sanno gia' come andra' a finire,
semplicemente, per me, stanno fingendo di porre delle condizioni a Israele
per accattivarsi le popolazioni arabe; fingono di fare i duri, per quanto
gia' sappiano cosa accadra'.
*
- "Una citta'": Ma che chance rimangono a che nasca uno Stato palestinese?
- Jeff Halper: Io non credo ne rimangano molte. Ed e' per questo che i
palestinesi si sentono davvero incastrati. E' difficile... Se almeno ci
fosse stata una leadership palestinese capace - ma anche qui: Israele ha
ucciso o incarcerato tutti i potenziali buoni leader - in grado di
articolare, anche sul piano internazionale, la soluzione dei due Stati: "Noi
palestinesi siamo pronti a fare la pace con Israele, ma rivogliamo i
territori occupati, non rinunciamo a Gerusalemme perche' e' il cuore
economico, ecc., vogliamo dei confini...". Insomma, avrebbero posto un caso
in cui Israele davvero sarebbe stata molto in difficolta'... Credo che
Israele continui a vincere anche per la mediocrita' e insufficienza della
leadership palestinese, sono passivi, non propongono nulla...
Oggi sta sempre piu' emergendo la proposta di un unico Stato. Anche questa
e' una proposta che potrebbe mettere Israele in imbarazzo. D'altro canto per
i palestinesi significherebbe trasformare la lotta per la liberazione
nazionale in una lotta per i diritti civili. Come in Sudafrica. E non credo
siano pronti... I palestinesi in diaspora ne stanno parlando. I palestinesi
qui sono ancora dell'idea di avere un proprio Stato. Questo e' anche il
problema di Gaza. Perche' Stati Uniti e Israele hanno lasciato i palestinesi
a scegliere tra Abu Mazen, cioe' l'apartheid (Abu Mazen ha accettato l'idea
di un bantustan) oppure i fondamentalisti. I palestinesi "normali"
vorrebbero solo veder rispettati i loro diritti in un loro Stato autonomo e
praticabile, sono disposti a far la pace con Israele, ma allo stato attuale
non c'e' nessuno a rappresentarli. Questa del resto sembra la strategia
degli Stati Uniti nell'intero Medio Oriente; dalla Somalia all'Egitto, dal
Nordafrica al Libano, fino all'Iraq e all'Afghanistan, spingono le
popolazioni a scegliere tra regimi di oppressione, come quello di Mubarak, e
Al Qaeda o i Fratelli Musulmani. Cosi' qualsiasi possibilita' di una
societa' progressista e democratica, nel modo arabo, sembra persa... I pochi
leader democratici vengono uccisi o imprigionati o vanno volontariamente in
esilio...
E' questo il problema dei palestinesi, che non vogliono niente di
stravagante, solo uno Stato democratico, e invece sono costretti dagli Usa e
da Israele a scegliere tra Hamas e Abu Mazen, e' come dover scegliere tra la
peste e il colera.
Certo e' che c'e' stata una sistematica eliminazione delle forze
democratiche in tutto il Medio Oriente. Insomma, e' un bel pasticcio. Tutti
i musulmani democratici ormai sono in Europa.
*
- "Una citta'": Cosa pensi del boicottaggio degli accademici inglesi contro
le universita' israeliane?
- Jeff Halper: Noi lo sosteniamo. O meglio noi sosteniamo il boicottaggio
accademico, purche' si fermi a livello delle istituzioni. Non sosteniamo -
ma mi sembra che gli inglesi non si siano spinti cosi' in la' - il
boicottaggio degli individui, docenti e studenti. Questa per me e' la linea
rossa...
In generale comunque sosteniamo le azioni esterne, perche' ci troviamo in
una situazione in cui la pace non puo' venire da dentro Israele. Siamo
andati troppo in la'...

4. IRAN. CAMELIA ENTEKHABIFARD: NEL VENTO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo
apparso sul "New York Times" del 24 agosto 2007.
Camelia Entekhabifard, giornalista, e' autrice di Camelia: Save Yourself by
Telling the Truth - a Memoir of Iran]

Molte volte, a Teheran, mio zio Ali usciva di prima mattina per raccogliere
grossi funghi sulla montagna di Shemiran. Ogni estate ed ogni autunno,
quando vedevo i temporali addensarsi nell'aria, sapevo che avremmo avuto
grandi mucchi di succosi funghi selvatici. Mio zio credeva che i temporali
spingessero i funghi giu' dalla cima del monte alle sue pendici sassose.
Cosi' i "cacciatori" di funghi come zio Ali si alzavano presto la mattina
dopo il temporale, per trovarli e tagliar loro la testa. Come giornalista e
scrittrice iraniana, ho spesso paragonato me stessa e molti dei miei
colleghi a quei funghi. Nel 1992, quando cominciai a lavorare a Teheran,
stavo molto attenta a quel che scrivevo. E questo ando' avanti fino
all'elezione di Mohammad Khatami, il presidente "riformista" nel 1997.
Allora io, e numerosi altri giornalisti, ci affrettammo ad andare a lavorare
per i principali quotidiani riformisti del paese. I chierici moderati
iniziarono ad usare la stampa per mettere in discussione le leggi basate
sulla religione, come i codici d'abbigliamento restrittivi e la morte per
lapidazione. Il presidente Khatami apporto' alcune riforme al sistema
politico e svelo' il ruolo degli agenti dello spionaggio iraniano negli
omicidi di un certo numero di intellettuali.
Ogni giorno i giornalisti iraniani, con il sostegno del popolo iraniano,
andavano in profondita' nel dare notizie o mettevano in questione il
sistema. Avevamo fiducia nel fatto che i cambiamenti raggiunti erano
definitivi e che saremmo stati protetti dal governo che avevamo eletto.
L'ultima rivista per cui ho lavorato in Iran, "Zan", fu chiusa per ordine
del tribunale nella primavera del 1999. All'epoca io mi trovavo negli Usa, e
fui arrestata non appena rimisi piede a Teheran. Fui tenuta, per ordine del
governo, in isolamento per tre mesi, durante i quali confessai crimini che
non avevo commesso e feci tutto quello che un essere umano poteva fare per
salvare la propria vita.
Adesso sono arrivata a chiedermi se le opportunita' che avevamo scambiato
per vere riforme non fossero che illusioni create per ingannarci. Il governo
iraniano incoraggio' quella breve era per poter identificare meglio i propri
oppositori ed eliminarli? L'elezione di Khatami fu il temporale che permise
infine al governo di darci la caccia?
*
Questa tempesta non ha travolto solo noi, ma anche gli intellettuali
iraniani espatriati che avevano iniziato a tornare nel paese quando il
presidente Khatami invio' all'estero il messaggio che "L'Iran e' per tutti
gli iraniani". Di recente alcuni di essi sono stati arrestati.
Ramin Jahanbegloo, che e' uno studioso iraniano-canadese, ha passato quattro
mesi in una galera iraniana, l'anno scorso. Ha "confessato" sui media
nazionali che alle conferenze fuori dall'Iran "entrava in relazione" con
molti americani ed israeliani, e che parte di costoro erano "agenti dello
spionaggio". Zahra Kazemi, una fotografa iraniana-canadese, e' morta sotto
interrogatorio mentre era detenuta a Teheran. E, naturalmente, Haleh
Esfandiari, un'intellettuale iraniana-statunitense che dirige il programma
per il Medio Oriente del Centro Internazionale Wilson per docenti, a
Washington, ha passato cento giorni nella prigione di Evin, prima di essere
rilasciata su cauzione martedi' scorso [La madre di Haleh Esfandiari ha
venduto la propria casa per pagare l'ingente cauzione della figlia - ndt].
Anche lei ha dichiarato in televisione di essere in combutta con la
"rivoluzione morbida" contro il regime di Teheran. La situazione in cui la
dottoressa Esfandiari si trova oggi e' la stessa che ripetutamente i
cittadini iraniani che osino pensarla in modo differente devono affrontare.
*
Il messaggio mandato agli intellettuali iraniani all'estero e' lo stesso che
viene dato a quelli ancora nel paese: "Non sei piu' il benvenuto, qui". Chi
ha avuto un assaggio delle prigioni e degli interrogatori in Iran, inclusi
gli accademici e gli scrittori della mia generazione, o i marinai britannici
recentemente detenuti per ordine del governo, sa di cosa parlo. Si tratta di
tortura psicologica e false accuse. In prigione, tutto quel che ti resta e'
pregare di riavere la tua liberta' per potertene andare dall'Iran e non
tornarci mai piu'. E questo e' cio' che il regime vuole per qualunque
studioso, intellettuale, scrittore che possa avere una qualche influenza
sulla gente in Iran: che si lasci il paese e che si sia troppo spaventati
per farvi ritorno. Ancora non e' chiaro se alla dottoressa Esfandiari verra'
permesso di lasciare presto l'Iran. Non sarei sorpresa se in questo momento
stesse promettendo a se stessa di non far mai piu' visita alla madre e al
proprio paese, e se consigliasse altri di fare la medesima cosa.

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA SINDROME DI ROMA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Agosto e' il mese delle vacanze, per chi ci va. Puntualmente, a settembre,
compare l'elenco dei turisti rimasti profondamente delusi dalla loro meta.
Perche' sono stati trattali male o sono stati derubati; o peggio ancora
perche' sono stati truffati dalle agenzie di viaggi: quanto promesso nei
luccicanti depliant si e' dimostrato nella realta' ben misera cosa. Cosi'
cadono vittime di una sindrome da stress e depressione. La chiamano
"sindrome di Parigi", perche' secondo l'ambasciata giapponese a Parigi, la
sindrome (diagnosticata per la prima volta alcuni anni fa) colpisce molti
giapponesi che visitano la capitale francese, tanto che alcuni devono essere
rimpatriati.
Noi abbiamo la "sindrome di Roma": una forma di stress e depressione che
colpisce quanti hanno votato per Romano Prodi aspettandosi un governo magari
non rivoluzionario ma almeno serio, coraggioso, coerente, e che oggi sono
profondamente delusi.
Il problema (oltre ad essere rimpatriati, si', ma dove?) e' che questa
situazione sta determinando una sfiducia verso la politica, che ha tutti i
caratteri del qualunquismo. Si rischia, sempre piu', la deriva populista e
oligarchica, liberista e provinciale. Il centrosinistra dice male del
centrodestra e il centrodestra dice male del centrosinistra, ma entrambi non
dicono alcunche' di proprio e di motivante. A entrambi i contendenti va bene
cosi', ciascuno fa qualche speculazione sul suo orto e del resto - un po'
piu' vasto - poco importa. Perche', fondamentalmente, si considera il mondo
non piu' modificabile, al massimo da gestire.
Pochissimi sembrano avere memoria del fatto che un parlamento serve a
rappresentare il paese, nella maniera piu' possibile articolata e fedele, e
non solo a votare la fiducia a un governo. Che la democrazia cresce e si
organizza attraverso la partecipazione quotidiana dei cittadini, non solo
chiamandoli ogni cinque anni a votare, assai piu' contro chi si teme o si
detesta che non per qualcosa in cui razionalmente si creda.
Quella che quotidianamente ci viene presentata (sarebbe meglio dire:
rappresentata) e' una politica disabitata dai sentimenti, molto piu' a
sinistra che a destra. In questo senso, il centrosinistra prodiano non manca
solo di iniziativa o di unita' ma per l'appunto di corpo, e di tutto quello
che ha a che fare col corpo: passioni, desideri, attaccamenti e
sbilanciamenti di parte, comunicazione emotiva, narrative mobilitanti. "Non
c'e' nei nostri attuali governanti una vibrazione d'empatia per la nostra
vita quotidiana, i nostri desideri, le nostre frustrazioni, le nostre
scommesse. Quella che Berlusconi riesce a trasmettere, e Prodi e Fassino no,
e non per mancanza di tecnica televisiva... Il problema sta nella
separazione dei due registri - il corpo a Berlusconi la testa al
centrosinistra, l'immaginario di la' la ragione di qua, la seduttivita' a
lui la convinzione a noi - che sembra la vera discriminante del bipolarismo
italiano" (Ida Dominijanni, "Il manifesto", 5 dicembre 2006).
Si dice che la politica contemporanea e' ridotta all'amministrazione
dell'esistente. Ma l'esistente cambia continuamente, peggiora. Gestire
l'esistente comporta il rischio di trovarsi in una situazione divenuta ormai
esplosiva, ingovernabile. La crisi della civilta' contemporanea interroga la
politica, solleva bisogni ed urgenze cui la politica deve rispondere,
perche' altrimenti sara' il fondamentalismo religioso a farsene carico. Ecco
perche' la politica deve ritrovare il coraggio di ambizioni progettuali.
Se la politica non si rinnova, nelle forme e nel concepirsi con chiari
limiti, puo' inventarsi tutti i partiti che vuole (o pensare che la politica
si rinnovi solo cambiando leggi elettorali) ma non riuscira' a tornare
credibile e affidabile. Allora, nella migliore delle ipotesi, ci aspettera'
il "Sarkozy in salsa italiana", con le capacita' seduttive del neoliberismo
proprio per quelle "classi popolari" di cui le sinistre dicono di voler
essere paladine.
Al fondo sembra mancare una reale "analisi di classe" (come si sarebbe detto
una volta), capace di leggere le vite terremotate dal capitale di milioni di
individue e individui, ben oltre la classe operaia, e ben oltre il solo
depauperamento materiale immediato, che pure c'e'. Un'analisi in profondita'
del presente, delle figure che assume il salariato diretto o indiretto in
seguito alle tendenze dei capitali mondiali, incrociati con gli interessi
della sola superpotenza ereditata dal '900, gli Usa, e delle nuove che
emergono nel terzo millennio, prima di tutte la Cina. Anche attraverso
questo passa la possibilita' della realizzazione concreta di una politica
per la pace tra i popoli.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 194 del 27 agosto 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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