Nonviolenza. Femminile plurale. 120



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 120 del 2 agosto 2007

In questo numero:
1. Swati Saxena: Caccia alle streghe
2. Theresa Braine: Rifugiate per sfuggire alla persecuzione di genere
3. Piero Vailati intervista Rada Ivekovic
4. Marta Rossi intervista Dounia Ettaib
5. Linda Chiaromonte presenta "Burka!" di Simona Bassano di Tufillo e Jamila
Mujahed
6. Diana Napoli presenta "Burattini, streghe, briganti" di Walter Benjamin

1. MONDO. SWATI SAXENA: CACCIA ALLE STREGHE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Swati Saxena.
Swati Saxena e' una giornalista indiana indipendente, collabora con vari
media nazionali ed internazionali]

Bhilwara, India. A mezzanotte, all'interno della sua casa in un remoto
villaggio indiano, la sedicenne Chaandi Balia comincio' a rotolarsi sul
pavimento, compiendo movimenti violenti mentre emetteva strani suoni.
L'intero villaggio si raduno' per vederla "giocare", come il fatto viene
definito nel dialetto locale, e Chaandi Balia annuncio' che uno spirito
aveva preso possesso del suo corpo e le aveva detto che la sua vecchia zia,
Khemi Balia, era una strega e doveva essere bruciata.
Guidati dalla ragazza e dalla sua famiglia, gli abitanti del villaggio
furono contagiati dalla medesima frenesia e cominciarono a preparare una
pira funebre. Quella stessa notte, sapendo che l'unica possibilita' di
sopravvivere consisteva nella fuga, Khemi Bali lascio' silenziosamente il
villaggio. La fragile sessantenne viaggio' a piedi scalzi, nel gelo,
attraverso i campi. Non sapeva dove stava andando, e non era neppure sicura
che sarebbe vissuta abbastanza per vedere l'alba.
Raggiunse incolume un villaggio in cui non conosceva nessuno. Riluttante ad
affidare il proprio destino alla polizia, e diventata amica di una donna
locale, ricevette da quest'ultima il consiglio di rivolgersi a  Tara
Ahluwalia, un'assistente sociale della vicina citta' di Bhilwara che aiuta
le vittime della caccia alle streghe. Grazie alla lunga esperienza,
Ahluwalia capi' subito che la donna era stata perseguitata a causa dell'acro
di terra coltivabile che possedeva, la sua sola fonte di reddito.
Etichettandola come strega, gli accusatori di Khemi Balia erano riusciti ad
allontanarla dal villaggio e ad entrare in possesso della sua terra.
*
I casi di caccia alle streghe sono numerosi nelle aree rurali di una dozzina
di stati indiani, principalmente nel nord e nel centro del paese. Circa 700
donne sono state uccise lo scorso anno perche' sospettate di essere streghe,
secondo quanto riportano i media nazionali. "Sono zone in cui la poverta' e'
estrema, e in cui le persone hanno scarso o nullo accesso ai servizi
sanitari di base e all'istruzione", dice Ahluwalia, "In queste circostanze,
la superstizione acquista forza. I problemi sono tanti: cattivi raccolti,
morti in famiglia, la perdita di un bimbo, malattie croniche o il
prosciugarsi dei pozzi, ma la soluzione resta identica: identificare la
strega responsabile e punirla".
Etichettare una donna come strega e' il modo comune di avere piu' terra,
cancellare le dispute o vendicarsi se costei ha rifiutato una proposta
sessuale. Vi sono anche casi documentati in cui una donna viene prese di
mira perche' ha un carattere forte ed e' percie' vista come una minaccia.
Nella maggioranza dei casi e' difficile per le donne accusate ottenere aiuto
dall'esterno, ed esse sono forzate a lasciare la casa e la famiglia o a
suicidarsi, oppure vengono brutalmente assassinate.
"Molte vicende non sono documentate perche' e' difficile per le donne
viaggiare da regioni isolate sino ai luoghi in cui possono fare denunce",
spiega Ahluwalia, "E poiche' la violenza e' diretta largamente contro le
donne, la polizia spesso omette di prenderla sul serio. Nel migliore dei
casi, la rubricano come un disagio sociale che dev'essere risolto
all'interno della comunita'. Quando una donna ce la fa a raggiungere la
stazione di polizia, l'atteggiamento apatico dei funzionari le rende ancor
piu' difficoltoso il processo di sporgere una denuncia".
*
Ahluwalia aiuto' Khemi Balia non conducendola dalla polizia, ma sollecitando
la riunione del "jaati panchayat", e cioe' del gruppo di persone assai
rispettate in seno ai villaggi a cui e' demandata la risoluzione delle
dispute. La pressione sociale assicura che le decisioni prese in questo modo
verranno rispettate. L'assistente sociale usa questo sistema da venticinque
anni.
Ahluwalia raduno' l'intero villaggio e minaccio' di esporre quanto era
accaduto e di far arrestare la famiglia degli accusatori. Gli accusatori non
chiesero l'intervento di autorita' esterne: messi all'angolo, ammisero che
la faccenda della strega era una sciarada, e si scusarono pubblicamente con
Khemi Balia. Questo e' stato un caso eccezionale, perche' la donna e' potuta
ritornare a vivere nel suo villaggio.
*
Solo una manciata dei 28 stati indiani, come Jharkhand e Bihar, hanno una
legge contro la caccia alle streghe. "E' l'handicap maggiore", dice ancora
Ahluwalia, "Nella maggioranza degli stati non c'e' legge sotto cui la
polizia possa rubricare il reato. Si tratta di tentato omicidio, ma in
assenza di una legge specifica, la polizia registra la denuncia sotto la
piu' mite 'sezione 323'. Mi spiego: diciamo che io ti dia uno schiaffo oggi,
e il reato cade sotto la 323. Se dico che sei una strega, e quindi ti
costringo a mangiare escrementi, ti faccio sfilare nuda in pubblico e ti
picchio sino a che muori, quando va ancora sotto la 323".
La pena massima che questa legge prevede e' un anno di prigione o una multa
di mille rupie (circa 25 dollari). Nel Rajasthan, la Commissione statale per
le donne ha presentato una proposta di legge che inasprisce le pene,
chiedendo dieci anni di prigione per chi ferisce una donna durante una
caccia alla strega. "Un notevole numero di casi avviene nel Rajasthan, pure
il progetto di legge sta aspettando da un anno, e ancora non e' passato
all'esame del governo", nota Kavita Srivastava, segretaria nazionale della
piu' antica organizzazione per i diritti umani indiana, l'Unione del popolo
per le liberta' civili.
Meno del 2% di coloro che vengono accusati di aver effettuato cacce alle
streghe sono effettivamente condannati, secondo uno studio compiuto dal
"Free Legal Aid Committee", un gruppo che lavora a favore delle vittime
nello stato di Jharkhand.
"Le punizioni per questa orrenda violenza devono essere severe", dice la
dottoressa Girija Vyas, presidente della Commissione nazionale per le donne,
"Ed e' di eguale importanza pubblicizzare l'esistenza delle leggi. Voglio
dire, negli stati in cui abbiamo una legge contro la caccia alle streghe,
quante sono le donne che ne sono a conoscenza?".
La Commissione ha raccomandato la formazione per le forze di polizia,
affinche' i funzionari diventino piu' ricettivi nel considerare i casi di
caccia alle streghe, e sta pensando ad una legislazione a livello nazionale.
Ma l'educazione e la consapevolezza sociale sono le vere chiavi. In numerose
comunita' rurali l'"ohja", o medico-stregone/medica-strega, e' una figura
potente, soprattutto in assenza di ambulatori e servizi sanitari di base.
Nei casi riportati dai media, l'investigazione della polizia ha spesso
rivelato che gli "ohja" accettano prebende per accusare una donna di essere
una strega.
"Etichettare una donna come strega non solo la depriva economicamente, ma
erode il suo senso di fiducia ed autostima", dice ancora la dottoressa Vyas,
"Anche se ottiene di salvarsi la vita, porta il peso del sospetto e
dell'odio della sua comunita', e a volte persino della sua stessa famiglia.
E' un problema sociale a piu' dimensioni e richiede un piano d'azione
complesso e a piu' livelli".
*
Per maggiori informazioni:
- Commissione nazionale indiana per le donne: http://ncw.nic.in
- Unione del popolo per le liberta' civili: www.pucl.org

2. MONDO. THERESA BRAINE: RIFUGIATE PER SFUGGIRE ALLA PERSECUZIONE DI GENERE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Theresa Braine.
Theresa Braine, giornalista indipendente, si occupa particolarmente delle
istanze relative ai migranti; scrive per "Newsday", "People", The Associated
Press]

Montreal, Canada. Oumou Toure guarda intensamente la figlioletta di due
anni, Fanta, che giocherella in giro con indosso i pantaloncini rosa e la
camicetta a fiori: le tre ciocche di capelli le sventolano attorno alla
testa. Il figlio di Toure, John, di dieci mesi, sonnecchia in una
carrozzina.
Seduta nell'ufficio del suo avvocato, in un giorno di luglio, la
ventiquattrenne madre single si gode la vittoria legale raggiunta per un
soffio, quella che le ha permesso di scampare alla deportazione nella nativa
Guinea. Il 9 giugno scorso, il Dipartimento canadese per la cittadinanza e
l'immigrazione ha garantito a Toure la residenza permanente in Canada per
ragioni umanitarie. Si trattava del suo terzo tentativo di ottenerla.
Sebbene la decisione non abbia valore di precedente legale, dimostra che il
governo ha "riconosciuto la non accettabilita'" di rimandare la figlia di
Toure in Guinea, dove la bimba avrebbe dovuto fronteggiare la minaccia di
una mutilazione genitale. "E' nostra speranza che altre donne non debbano
sostenere lo stesso tipo di lotta, in futuro", dice il suo avvocato, Richard
Goldman.
*
Un crescente numero di donne sta richiedendo asilo nei paesi occidentali per
sfuggire alla persecuzione di genere. Come paese firmatario, nel 1951, della
Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, il Canada la
applica nel permettere di restare alle donne che sono a rischio di
mutilazione genitale (Fgm), dice Nancy Doray, avvocata per i migranti a
Montreal. Doray ha contribuito a delineare le linee guida nazionali rispetto
ai rifugiati, che l'ufficio statale relativo ha redatto nel 1993, ed
aggiornato nel 1996.
Il governo non tiene statistiche sulle ragioni che determinano
l'accettazione o il rigetto delle richieste di cittadinanza. Le linee guida
includono i criteri per l'accettazione della richiesta di asilo basata sul
timore di persecuzioni di genere, incluse la violenza domestica, l'impunita'
dello stupro e le mutilazioni genitali femminili, che vanno dalla rimozione
della clitoride alla cucitura dei genitali e persino alla rimozione completa
dei genitali esterni. La pratica causa problemi di salute ben oltre la
mutilazione, come tassi di mortalita' materna ed infantile piu' elevati.
"Penso che il Canada sia stato un paese leader rispetto alle istanze delle
donne ed alla legge sui rifugiati gia' prima della redazione delle linee
guida. E' stato fatto uno sforzo reale per comprendere i problemi che
affliggono donne e bambini", aggiunge Nancy Doray.
*
Nondimeno, la lotta di Oumou Toure con il sistema di immigrazione canadese,
per quanto coronata da successo, mette in luce gli ostacoli che le donne
richiedenti asilo possono dover affrontare. Doray sostiene che e' difficile,
per esempio, provare che una donna e' a rischio di mutilazione genitale
femminile se nel paese la pratica e' illegale, perche' bisogna dimostrare
che la legge viene disattesa.
L'avvocato Goldman dice che la sua cliente era chiaramente traumatizzata la
prima volta che s'incontro' con lui, sia per la violenza subita in Guinea,
sia per lo stress del conflitto legale. "Quando ci incontrammo, e tenete
conto che sono abituato a trattare con persone che sono in condizioni di
stress, lei non riusci' a parlarmi, rimase zitta per un'ora. Percio' posso
solo immaginare quanto male andasse la sua vita prima".
A volta, l'Ufficio per l'immigrazione respinge una richiesta sostenendo che
il richiedente non appare in pericolo di subire violenze in futuro. Nel caso
delle mutilazioni genitali", dice Goldman, cio' implica che se sono gia'
state praticate non vi puo' essere danno futuro. La bambina di Toure non era
ancora nata al momento della sua richiesta d'asilo, percio' l'istanza non
era estesa a lei. Alla fine, pero', Toure ha ottenuto il diritto di restare
argomentando che, se fosse stata mandata indietro, c'era l'altissimo rischio
che la sua bambina venisse mutilata come era accaduto a lei a 19 anni, che
aveva subito la pratica dalle mani della sua matrigna, la mutilatrice
ufficiale della comunita'. Fino a che la madre di Toure era stata viva,
aveva protetto la figlia dalle mutilazioni. Ma Toure non aveva potuto far
nulla contro la nuova moglie di suo padre, che era assai violenta nei suoi
confronti e stava organizzando per lei un matrimonio forzato.
*
La mutilazione genitale femminile e' praticata a livello estensivo in
ventotto paesi africani, cosi' come in alcuni paesi dell'Asia e del Medio
Oriente, secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanita' (Oms),
che stima vi siano due milioni di bambine a rischio ogni anno. La Guinea, in
cui le mutilazioni genitali femminili sono illegali, ha ancora una
percentuale di mutilate che tocca il 99%: le bambine subiscono l'intervento,
generalmente, fra i 4 e i 12 anni.
"Non posso dimenticare quel che accadde", racconta Toure, a cui l'intervento
e' stato praticato senza anestesia, "Mi fa male ogni volta che ci penso".
Toure ha problemi fisici relativi alla mutilazione, fra cui mestruazioni
estremamente dolorose. In Guinea aveva una sola alleata, la sorella di sua
madre. E' stata questa zia ad aiutarla a fuggire dal paese nel 2003, con la
scusa di un fine settimana di vacanza in Senegal, dove la mise in contatto
con un'amica che stava per andare in Canada. Giunta a Montreal, Oumou Toure
fu incarcerata per un mese, poiche' era priva di documenti di identita'.
Immediatamente fece richiesta di asilo, citando gli abusi a cui era
sottoposta. Dopo aver perso la prima causa, la giovane donna ripete' la
richiesta due volte, sempre senza risultato. Il rifiuto definitivo pervenne
a Toure nel settembre 2006, il che implicava che sarebbe stata deportata.
*
"La nostra battaglia era tutta in salita", fa notare l'avvocato Goldman,
"perche' le era stata rifiutata anche quella che in genere e' l'ultima
possibilita'". Tuttavia essi presentarono una nuova domanda nel dicembre
2006, sottolineando maggiormente i rischi che la bambina di Toure correva.
In maggio, fu notificato che la deportazione sarebbe avvenuta durante la
prima settimana di luglio. "Quando i funzionari dissero che dovevo tornare
indietro non facevo che piangere per tutto il tempo per la mia piccola:
sapevo esattamente cosa le sarebbe accaduto", dice la giovane donna,
"Piangevo e basta, e dovevo prendere sonniferi per riuscire a dormire".
L'avvocato chiese che vi fosse almeno una dilazione al fine di poter
esaminare la nuova richiesta: "Il tempo per avere una risposta e' in genere
di un anno e mezzo. Avevamo inoltrato la domanda nel dicembre 2006, e Toure
sarebbe stata deportata nel luglio 2007", racconta Goldman. In piu', egli
chiese alla Chiesa Unitaria, che ha dato vita al Comitato di aiuto per i
rifugiati, di intervenire direttamente con la Ministra per la cittadinanza e
l'immigrazione Diane Finley. Tre settimane piu' tardi non avevano ancora
ricevuto una risposta dal Ministero. "Sentivamo di non avere scelta:
indicemmo una conferenza stampa il 6 giugno. E non erano ancora trascorse
due ore dal nostro incontro con i giornalisti che ricevemmo la chiamata
dall'Ufficio competente: venite per un incontro, vogliamo parlare del caso.
L'incontro avvenne l'8 giugno, ed il giorno successivo ricevemmo la
decisione finale".
*
Al sicuro in Canada, Toure ha trovato cio' che lei chiama "una vita
normale". Vive con due compagne, connazionali, in una casa di quattro
stanze. Il suo nuovo status le garantisce cure gratuite per i figli e un
permesso di lavoro. Toure vuole studiare per diventare infermiera. "Continuo
a guardare le carte che mi hanno dato, per essere sicura che siano reali.
Non vorro' mai tornare indietro, preferirei morire che tornare. Non c'era
altra possibilita', per me, che restare qui".
*
Per maggiori informazioni:
www.unicef.org/protection/index_genitalmutilation.html

3. RIFLESSIONE. PIERO VAILATI INTERVISTA RADA IVEKOVIC
[Dal sito www.osservatoriobalcani.org riprendiamo la seguente intervista li'
apparsa il 28 giugno 2007 col titolo "Europa: la via della pace passa dai
Balcani" e il sommario "Guerre finite, ma le ferite dell'ex Jugoslavia sono
ancora aperte. Russia, Turchia, Medio Oriente: il futuro del Vecchio
Continente adesso si gioca ad Est. Un'intervista a Rada Ivekovic pubblicata
su 'L'Eco di Bergamo'".
Piero Vailati e' giornalista, scrive su "L'Eco di Bergamo".
Rada Ivekovic, filosofa, saggista e docente di fama internazionale, nata in
Jugoslavia, emigrata in Francia, e' una delle piu' importanti intellettuali
critiche europee; e' docente al College International de Philosophie di
Parigi e all'Universita' di Zagabria, citta' dove e' nata nel 1945, ma da
cui se ne e' andata allo scoppio della guerra nell'ex Jugoslavia, non
volendosi riconoscere in nessuna delle nuove piccole patrie etniche; ha
dedicato i suoi studi alle teoria femminista, alla filosofia comparata, alla
filosofia indiana (ha studiato a Delhi) e allo studio della costruzione
dell'idea di nazione in chiave di genere con particolare attenzione per
l'attualita' politica delle guerre balcaniche; e' autrice di saggi e libri
in varie lingue su guerre, nazionalismi, differenze di genere ed altri temi
ancora. Tra le opere di Rada Ivekovic: La balcanizzazione della ragione,
Manifestolibri, Roma 1995; Autopsia dei Balcani. Saggio di psicopolitica,
Raffaello Cortina Editore, Milano 1999]

Le ferite dell'ex Jugoslavia sono ancora aperte, e l'Europa (che a suo tempo
ebbe pesanti responsabilita') ha tutto l'interesse a sanarle, anche
attraverso l'integrazione di un'area che altrimenti rischia di rappresentare
una pericolosa fonte di instabilita' proprio alle porte dell'Unione.
"L'Italia, che e' terra di frontiera, questo l'ha capito meglio e prima
degli altri Paesi Ue" spiega Rada Ivekovic, saggista e analista di origine
ex-jugoslava (oggi docente universitaria in Francia) profonda conoscitrice
delle realta' balcaniche e studiosa di tutte le tematiche legate alle
identita' politiche e culturali. L'Italia dunque, aggiunge Rada Ivekovic
(nei giorni scorsi a Bergamo per una conferenza sul tema "La trasformazione
in-politica" organizzata dall'associazione Antigone, dalla Fondazione
Serughetti-La Porta, dall'associazione Millepiani e dall'Ufficio Pace del
Comune di Bergamo) proprio per questa sua posizione particolarmente delicata
dal punto di vista geopolitico "e' la prima ad avere interesse al
mantenimento della pace nei Balcani, e questo le ha dato una sensibilita'
particolare, portandola a fare sforzi ad ogni livello (da quello politico a
quello della societa' civile) che altri Paesi, anche piu' ricchi, non hanno
fatto".
*
- Piero Vailati: Professoressa Ivekovic, temi come memoria condivisa e
identita' comune (che lei ha spesso trattato anche nei suoi libri)
rappresentano, sia pure con aspetti diversi, un problema sia per l'ex
Jugoslavia, sia per l'Europa. E questo proprio nel momento in cui i Paesi
balcanici e l'Unione si guardano con reciproco interesse in vista di una
possibile integrazione ed estensione della grande costruzione europea.
- Rada Ivekovic: L'ex Jugoslavia, in realta', sarebbe gia' stata quasi
pronta (mancava poco) a entrare in Europa poco prima della serie di guerre
degli anni Novanta. Che furono al tempo stesso guerre per entrare in Europa
e guerre europee, anche se e' vero che i primi responsabili ne furono gli ex
jugoslavi, che le combatterono. Pero'...
*
- Piero Vailati: Pero' l'Europa non fu immune da responsabilita'. E' questo
che intende dire?
- Rada Ivekovic: Si', l'Europa manco' praticamente in tutto. E manca ancor
oggi, anche se in modo diverso. Allora, manco' perche' non c'era ancora un
progetto di costruzione europea, e non c'era soprattutto l'idea
dell'allargamento a Est. Perche' non si pensava che i blocchi contrapposti
della guerra fredda potessero dissolversi in maniera cosi' completa.
*
- Piero Vailati: Oggi, invece...
- Rada Ivekovic: Oggi il problema e' diverso. L'Europa, che nei secoli
passati ha "esportato" soprattutto a Ovest e a Sud le sue violenze (mi
riferisco al periodo coloniale) oggi esporta le "sue" guerre verso Est. Per
questo credo che vicino ai confini orientali dell'Unione non siano da
escludere nuovi conflitti. Magari di grandi dimensioni, come quello ceceno.
O magari di piccole dimensioni, come potranno essere quelli futuri nei
Balcani, dove la pressione europea non permettera' piu' lo scoppio di grandi
guerre. Ma questo non significa che i problemi siano risolti.
*
- Piero Vailati: Pero' non finiscono piu' sulle prime pagine dei giornali
occidentali, visto che l'opinione pubblica internazionale vive di mode anche
di fronte alle tragedie. Quali sono, oggi, i problemi dell'ex Jugoslavia?
- Rada Ivekovic: Problemi di ricostruzione, in tutti i significati che
questo termine puo' assumere. Ricostruzione materiale. Ricostruzione del
tessuto sociale. Ricostruzione di economie che non funzionano. Ricostruzione
della comunicazione, visto che attraversare le frontiere e' ancor oggi
difficile. E poi, piu' a lungo termine, ricostruzione di progetti politici.
Qui siamo al "punto zero". Ma anche l'Europa, per tornare al discorso
iniziale, sotto questo aspetto penso si trovi al "punto zero", per quanto
oggi sia forse un po' piu' avanti rispetto a prima delle guerre nell'ex
Jugoslavia. Perche', a mio avviso, proprio quelle guerre sono state
fondamentali, se non addirittura costitutive, per un un vero progetto
europeo.
*
- Piero Vailati: Un progetto europeo che negli ultimi anni ha subito una
fortissima accelerazione verso Est, basata essenzialmente su motivazioni
economiche di reciproca convenienza per vecchi e nuovi membri. Non c'e' il
rischio che in nome di questi comuni interessi la costruzione europea
finisca per inglobare troppo frettolosamente popoli cosi' diversi tra loro
dal punto di vista storico, politico e culturale?
- Rada Ivekovic: Questo tutto sommato credo sia una fortuna. Piu' diverse
sono, meglio sara'. Il problema non e' la diversita', i problemi sono altri.
*
- Piero Vailati: Quali?
- Rada Ivekovic: Direi almeno tre. Primo: l'Europa deve capire come puo'
passare dal progetto economico al progetto politico. Secondo: deve anche
capire che in questo suo progetto entrano inevitabilmente le conseguenze e
le responsabilita' della storia coloniale e post-coloniale, della fine della
guerra fredda, della fine del socialismo reale e, ancora, della fine del
socialismo autogestito jugoslavo, che fu diverso rispetto a quello degli
altri Paesi dell'Est. E poi c'e', appunto, un terzo elemento,
geograficamente esterno ai confini europei, eppure terribilmente legato
all'Europa e alla sua realta': il conflitto israelo-palestinese.
*
- Piero Vailati: E' il problema dell'"esportazione dei nostri conflitti" cui
accennava?
- Rada Ivekovic: Sicuramente. Questo e' un conflitto europeo, che va risolto
nel modo migliore. Ebrei e palestinesi devono indiscutibilmente vivere la',
e in pace. Il sogno e' uno Stato comune, condiviso e democratico, ma ne
siamo davvero lontani. Piu' realizzabile e' forse il progetto dei due Stati.
Ma anche da questo, purtroppo, siamo in questo momento molto lontani.
*
- Piero Vailati: Una delle reazioni a catena generate dalla questione
israelo-palestinese e' quella dell'integralismo islamico, con le sue derive
terroristiche. Esiste per l'Europa il rischio di infiltrazioni terroristiche
attraverso i Paesi dell'ex Jugoslavia, dove il dominio ottomano ha lasciato
in eredita' una consistente componente islamica, e dove negli anni Novanta
si registro' per la prima volta il fenomeno dell'"internazionalismo
islamico", ossia della confluenza di combattenti stranieri addestrati
provenienti da tutto il mondo musulmano?
- Rada Ivekovic: Non credo. Primo perche' l'"internazionalismo islamico" e'
in fondo sempre stato una risposta, per quanto brutale, all'arroganza
occidentale, che si voglia chiamare neocolonialismo, imperialismo, o con
qualsiasi altro termine. Secondo, perche' il fondamentalismo non e' di casa
nelle comunita' islamiche dell'ex Jugoslavia dove non ci fu colonialismo. E'
stato importato, come risultato dei conflitti degli anni Novanta, ma siamo
comunque su un piano completamente diverso da quello che e' poi successo con
l'impiego di combattenti stranieri in Iraq e in Afghanistan.
*
- Piero Vailati: Eppure la paura dell'integralismo e' molto forte in Europa,
come dimostra il dibattito sull'ingresso della Turchia...
- Rada Ivekovic: Al di la' delle esagerazioni occidentali, credo che il vero
problema della Turchia non sia ne' l'"internazionale islamica", ne' il
fondamentalismo, ma piuttosto l'esercito, l'esercito laico. E' appunto
l'esercito che e' lontano dall'Europa, e i cosiddetti fondamentalisti
moderati sono quelli che si vogliono adeguare e incorporare all'Europa. E'
un problema di democrazia e diritti umani, non di integralismo.
*
- Piero Vailati: Un altro ostacolo con cui deve fare i conti l'allargamento
a Est dell'Europa e' il neoespansionismo russo (soprattutto a livello di
gestione delle materie prime) nei confronti di quei Paesi che fecero parte
dell'impero zarista prima e sovietico poi.
- Rada Ivekovic: La Russia vuole restare a tutti i costi una grande potenza,
anche se non lo sara' come lo fu l'Urss, perche' il bipolarismo e' finito, e
il mondo e' cambiato. Molto dipende da come l'Occidente permettera' alla
Russia di coltivare questi suoi appetiti, che credo riguardino comunque
soprattutto l'Asia centrale, dove le repubbliche ex sovietiche sono comunque
rimaste molto legate a Mosca, dopo settant'anni di storia comune.
*
- Piero Vailati: A Ovest, invece, i Paesi che fecero parte dell'impero
sovietico e del Patto di Varsavia sono in perenne tensione (all'esterno come
all'interno) fra le spinte filo-russe e quelle europeiste.
- Rada Ivekovic: Il problema nei confronti della Russia e' tutto legato al
progetto europeo: dove vuole arrivare? A Est l'Europa non ha confini
naturali, in fondo non e' neppure un continente vero e proprio. E' una
"virgola", una piccola penisola dell'Asia. Questo rende del tutto
indecifrabile il futuro del progetto europeo, soprattutto a lungo termine.
Si vuole arrivare a Vladivostok? Se si' (pero' questo non e' stato il
progetto di nessuno; e' un'immagine che utilizzo), sara' la globalizzazione
compiuta. Ma il processo e' molto lungo e difficoltoso. E non e' un problema
che riguarda solo l'Est. L'Europa deve riflettere di fronte al mondo intero
sulle conseguenze del suo allargamento e sulle sue responsabilita' storiche.
Lo deve fare nei confronti dell'Asia come dell'Africa, come di tutti i
continenti colonizzati in passato. Ma ancora non riesce a pensare alle sue
responsabilita' su quello che succede al di fuori dei suoi orizzonti. Quello
che e' difficile da digerire, per noi europei, e' che il futuro del mondo
non e' il livello di vita di Bergamo, o di Parigi, ma e' quello di Calcutta.
La ricchezza dell'Occidente, prima o poi, andra' redistribuita.

4. RIFLESSIONE. MARTA ROSSI INTERVISTA DOUNIA ETTAIB
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente intervista apparsa sul quotidiano "Epolis" del 3
luglio 2007, col titolo "Il chador rende libere se indossato per scelta" e
il sommario "Ieri ha ricevuto la cittadinanza dal prefetto di Milano, datata
6 giugno. Dounia Ettaib vicepresidente dell'Acmid, marocchina, in Italia da
20 anni, e' in prima linea per la difesa delle donne".
Marta Rossi, giornalista, scrive su "Epolis".
Dounia Ettaib e' la presidente della sezione lombarda (e vicepresidente
nazionale) dell'Associazione delle donne marocchine Acmid-donna; ha subito
un'aggressione e gravi minacce all'indomani della manifestazione contro la
violenza sulle donne in occasione dell'apertura del processo per l'uccisione
di Hina Saleem; attualmente e' costretta a vivere sotto scorta]

Non ha paura, Dounia Ettaib. Andra' avanti con il suo impegno nell'Acmid,
l'Associazione di donne marocchine di cui e' la vicepresidente per la
Lombardia. Giovedi' 28 giugno e' stata simbolo e portavoce delle donne
musulmane scese in piazza davanti al tribunale di Brescia dove si e' svolta
l'udienza preliminare del processo per la morte di Hina Saleem la giovane
pakistana uccisa da parenti maschi perche' non era una buona musulmana. Non
ha paura nemmeno adesso che vive sotto scorta perche' venerdi' scorso il
giorno dopo la manifestazione, l'hanno aggredita in viale Jenner, a Milano,
a due passi dalla moschea. Vista la situazione il questore ha deciso di
assegnarle due agenti di scorta.
Nata a Casablanca 28 anni fa, da venti vive in Lombardia. Sposata con un
italiano, abita con il marito e un bambino di tre anni in Brianza: ieri
pero' il prefetto di Milano le ha consegnato il decreto di cittadinanza
itqliana. Ha un impiego alla Provincia, in viale Jenner appunto, dove e'
stata aggredita.
"Devi smetterla di parlare di islamismo, Hina e' una prostituta come te", le
hanno detto due connazionali. E poi, stringendole il viso, uno ha aggiunto:
"La bellezza non dura a lungo".
*
- Marta Rossi: Il suo e' un ruolo di primo piano nell'associazione. Aveva
mai ricevuto, prima di venerdi', altre minacce o aggressioni?
- Dounia Ettaib: Sono attivista dell'Acmid dal 2005, insulti ne ho ricevuti
molti, anche per via del lavoro che faccio che mi porta a entrare in
contatto con tanta gente. Ma aggressioni fisiche, no. Essere affrontata per
strada non mi era mai successo.
*
- Marta Rossi: Come spiega il fatto che sia accaduto proprio all'indomani
dell'udienza preliminare del processo per la morte di Hina?
- Dounia Ettaib: Non lo so, anche se non e' stato certamente un caso.
*
- Marta Rossi: Lei e' stata la portavoce di quelle donne riunite davanti al
tribunale e forse questo le ha fatto correre qualche rischio di piu'.
- Dounia Ettaib: Si', sono stata la portavoce perche' faccio parte
dell'Acmid e perche' sono una delle poche che parla bene l'italiano.
Comunque, quello che e' accaduto a Brescia e' un evento importantissimo. Un
giorno storico, perche' le donne islamiche ci hanno messo la faccia,
manifestando contro la violenza. Anche se io ero in prima linea, in quel
momento eravamo tutte una persona sola.
*
- Marta Rossi: Cosa rappresenta per voi che lottate contro la violenza sulle
donne una storia come quella di Hina?
- Dounia Ettaib: E'un po' il simbolo delle nostre battaglie, ma non dobbiamo
mai dimenticare le tantissime donne che ogni giorno subiscono violenza. E
soprattutto, il motivo per il quale Hina e' stata uccisa: alcuni parenti
ritenevano che non fosse una buona musulmana. L'Islam non e' questo, non e'
imposizione.
*
- Marta Rossi: A questo proposito, Souad Sbai ha dichiarato che assegnarle
la scorta in questo momento faceva il gioco dei violenti e che invece,
l'attenzione doveva rimanere sulle donne che subiscono violenza.
- Dounia Ettaib: Souad si e' spaventata moltissimo, come tutti noi. Io non
ho chiesto la scorta, ma il questore ha ritenuto opportuno assegnarmela.
Comunque, ripeto, bisogna continuare a parlare delle donne.
*
- Marta Rossi: Indossare il velo puo' essere considerato un simbolo di
liberta' tanto quanto indossare una minigonna?
- Dounia Ettaib: Se il velo lo si porta per una libera scelta, si'. Se si e'
costrette da un marito o da un familiare no, perche' diventa un simbolo di
appartenenza a qualcuno. Come succede con gli animali che segnano il
territorio: chi obbliga le donne a portare il velo fa questo e lo trasforma
in qualcosa che sbagliato. Perche' come ripeto, l'Islam non e' violenza ne'
imposizione.
*
- Marta Rossi: Ieri e' stato il suo primo giorno con la scorta, come e'
andata?
- Dounia Ettaib: Devo confessare che mi sento piu' tranquilla. Loro sono
persone gentilissime e mi seguono in tutti i miei spostamenti.
*
- Marta Rossi: Il ministro per le Pari opportunita' ha detto che la
incontrera' domani.
- Dounia Ettaib: Io veramente ancora non so niente. Me lo state dicendo voi
giornalisti. So soltanto che ha contattato l'Admic, ma a me non ha
telefonato nessuno.
*
- Marta Rossi: Le hanno almeno telefonato per esprimerle solidarieta'?
- Dounia Ettaib: Ho ricevuto tantissimi messaggi soprattutto da gente
comune: E' stato come essere stretta in un grande abbraccio.

5. LIBRI. LINDA CHIAROMONTE PRESENTA "BURKA!" DI SIMONA BASSANO DI TUFILLO E
JAMILA MUJAHED
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 luglio 2007, col titolo "Il corpo in
prigione" e il sommario "Esce per Donzelli, Burka!, album di strip firmato
da Simona Bassano di Tufillo con la testimonianza scritta della reporter
Jamila Mujahed".
Lnda Chiaromonte scrive sul quotidiano "Il manifesto".
Simona Bassano di Tufillo, in arte sbadituf, e' nata a Napoli, laureata in
arti visive al Damsdi Bologna e in grafica presso l'Accademia di Belle Arti
di Napoli; specializzata in conservazione e valorizzazione dei beni
culturali; fondatrice del movimento artistico "Direzione obbligatoria",
organizza collettive tematiche, basate sui principi di pluralita', ironia e
impegno: Campi (Torre del Greco, 1997); D. O. (Napoli, 2006); Volpe + Uva
(Napoli, 2006); si occupa inoltre di progetti di valorizzazione del
patrimonio storico-artistico con target infantile; alcuni dei suoi lavori
sono in esposizione presso la Citta' della scienza a Napoli e il sito
museale del Giardino della Minerva a Salerno. Tra le opere di Simona Bassano
di Tufillo: Burka!, Donzelli, Roma 2007.
Jamila Mujahed, giornalista e attivista per i diritti delle donne, nata a
Kabul, era una nota giornalista radiotelevisiva prima della presa del potere
da parte dei talebani nel '96; dal 2002 dirige a Kabul "The Voice of Afghan
Women's Radio", emittente indipendente rivolta alle donne, la prima nel
paese, ed e' presidente dell'omonima organizzazione non governativa di donne
professioniste nell'ambito dei mass-media; ha anche fondato "Malalai", la
prima rivista femminile che si occupa anche di questioni giuridiche legate
ai diritti delle donne, rivista di cui e' anche editrice. Per il suo
instancabile lavoro di promozione dei diritti delle donne, Jamila e' stata
insignita di vari riconoscimenti internazionali, tra cui il Premio Johann
Philipp Palm. Sposata con un professore di storia che insegna presso
l'Accademia afgana di scienze, e' madre di cinque figli (quattro maschi e
una femmina).Vive sotto la costante minaccia di essere uccisa]

Una carta d'identita' in bianco, senza dati ne' descrizioni fisiche. Solo
una foto di donna che indossa il burqa e che per questo non esiste, e' senza
identita'. Si apre cosi' Burka!, libro in 24 tavole a fumetti di Simona
Bassano di Tufillo accompagnate da La mia vita a Kabul, testimonianza
scritta di Jamila Mujahed, giornalista afghana e promotrice dei diritti
delle donne. Il libro, edito da Donzelli, contiene vignette colorate e
dall'ironia tagliente che trattano il tema del burqa, imposto alle donne dal
regime talebano, con una leggerezza apparente che costringe ad un'amara
riflessione su uno "scomodo abito-prigione da passeggio", come lo definisce
Mujahed, e sulle ripercussioni che ha nel vivere quotidiano delle donne. Si
ride a denti stretti sfogliando le pagine del piccolo volume, come quando un
gruppo di donne in posa e' invitato a sorridere alla fotografa. O come
accade a due sorelle che s'incontrano senza riconoscersi. Simona Bassano di
Tufillo, disegnatrice al suo primo fumetto pubblicato, racconta di aver
deciso di affrontare il tema del burqa all'indomani della caduta delle torri
gemelle nel 2001, "in quei giorni ci arrivavano dall'Afghanistan immagini di
donne in burqa e ho cominciato a pormi molte domande. Ho realizzato le bozze
nel 2001, ma la stesura definitiva e' del 2006. Ho portato il mio lavoro ad
Amnesty International, che ha dato il suo patrocinio e mi ha consigliato di
abbinare una testimonianza per affiancare al mio sguardo esterno e lontano
quello di chi materialmente indossa il burqa. Cosi' ho iniziato una ricerca
che mi ha portato a Jamila Mujahed. Le mie vignette sono evocative e la
scritta a lato va di pari passo. Jamila ha prima visto i disegni e poi ha
scritto la sua esperienza". Le illustrazioni per Jamila, donna costretta ad
indossare il burqa anche per difesa, dopo le tante minacce di morte ricevute
per la sua attivita' di giornalista e attivista per i diritti delle donne,
"riflettono la realta' della condizione delle donne in Afghanistan al tempo
dei talebani. Credo che descrivano bene cosa sia la vita per le donne con il
burqa; spiegano come la loro liberta' sia limitata da una sorta di
tenda-sipario, che ha solo delle piccole fessure e testimoniano le
sofferenze e le restrizioni imposte con la forza".
La testimonianza di Jamila Mujahed e' quella di una donna speciale, nel '96
durante l'ascesa del governo talebano, era una nota giornalista
radiotelevisiva, e fu lei nel 2001 ad annunciare alla radio la notizia della
caduta del regime talebano. Dal 2002 a Kabul dirige "The Voice of Afghan
Women's Radio" emittente indipendente rivolta alle donne, la prima del
paese, ed ha fondato la prima rivista femminile che si occupa di questioni
giuridiche legate ai diritti delle donne, di cui e' anche editrice,
"Malalai" dal nome di una leggendaria combattente afghana. Nelle didascalie
che accompagnano i cartoon, Jamila ricorda la prima volta che fu costretta
ad indossare il burqa, "mi sembro' come se il mondo a un tratto si facesse
buio". La sua famiglia, infatti, era istruita e non glielo aveva mai
imposto. Racconta anche di quando se lo fece prestare dalla sua vicina,
prima di doversi arrendere a comprarne uno tutto suo. Per l'artista
napoletana il merito di questo piccolo testo e' "esprimere attraverso le
immagini tante possibilita' di interpretazione. L'idea di base e' quella di
far riflettere. L'ironia e' un modo per guardare le cose, il burqa in se' e'
un simbolo, il segno di un regime di prepotenze e delegittimazioni
dell'identita' di piu' della meta' della popolazione, le donne".

6. LIBRI. DIANA NAPOLI PRESENTA "BURATTINI, STREGHE, BRIGANTI" DI WALTER
BENJAMIN
[Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: e-mail: mir.brescia at libero.it,
sito: www.storiedellastoria.it) per questo articolo.
Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano,
e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia.
Walter Benjamin, nato a Berlino nel 1892, saggista di sconvolgente
profondita', all'avvento del nazismo abbandona la Germania, si uccide nel
1940 al confine tra Francia e Spagna per sfuggire ai nazisti. Opere di
Walter Benjamin: in italiano fondamentale e' la raccolta di saggi e
frammenti Angelus novus, Einaudi, Torino; e quella che prende il titolo da
L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita' tecnica, Einaudi,
Torino. Sempre presso Einaudi (che ha in corso la pubblicazione delle Opere,
a cura di Giorgio Agamben) cfr. anche: Avanguardia e rivoluzione, Critiche e
recensioni, Diario moscovita, Il concetto di critica nel romanticismo
tedesco (Scritti 1919-1922), Il dramma barocco tedesco, Immagini di citta',
Infanzia berlinese, Metafisica della gioventu' (Scritti 1910-1918), Ombre
corte (Scritti 1928-1929), Parigi capitale del XIX secolo, Strada a senso
unico, Sull'hascisch, Teologia e utopia (Carteggio 1933-1940 con Gershom
Scholem), Tre drammi radiofonici, e le Lettere (1913-1940). Presso Adelphi
cfr. la sua antologia di lettere commentate di autori del passato, Uomini
tedeschi. Opere su Walter Benjamin: per la bibliografia: M. Brodersen,
Walter Benjamin. Bibliografia critica generale (1913-1983), Aesthetica,
Palermo 1984; R. Cavagna, Benjamin in Italia. Bibliografia italiana,
1956-1980, Sansoni, Firenze 1982. Saggi: cfr. almeno AA. VV. (a cura di
Franco Rella), Materiali su Walter Benjamin, Venezia 1982; AA. VV., Paesaggi
benjaminiani, fascicolo monografico della rivista "aut aut", nn. 189-190,
1982; AA. VV., Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, Editori Riuniti,
Roma 1983;  Hannah Arendt, Il pescatore di perle, Mondadori, Milano 1993
(saggio incluso anche in Hannah  Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino,
Bologna); Fabrizio Desideri, Walter Benjamin. Il tempo e le forme, Editori
Riuniti, Roma 1980; Hans Mayer, Walter Benjamin, Garzanti, Milano 1993;
Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Milano 1978;
Gershom Scholem, Walter Benjamin. Storia di un'amicizia, Adelphi, Milano
1992. Cfr. anche Paolo Pullega, Commento alle "Tesi di filosofia della
storia" di Walter Benjamin, Cappelli, Bologna 1980]

Walter Benjamin, Burattini, streghe, briganti. Illuminismo per ragazzi
(1929-1932), a cura di Giulio Schiavoni, Il Melangolo, Genova 1993.
Un insolito Benjamin che si rivolge, attraverso una serie di trasmissioni
radiofoniche, a ragazzini tedeschi di circa dieci anni: insolito per chi e'
abituato a leggerlo solo merce' gli scritti eruditi.
Oltre al fatto che le storie raccontate si rivelano divertenti, talvolta,
persino per gli adulti, induciamo, dalla terminologia, dagli argomenti
trattati, dalle citazioni utilizzate, che Benjamin doveva evidentemente
avere gran stima dell'intelligenza della fascia d'eta' cui si rivolgeva: da
questo forse dovremmo imparare tutti. Le storie, dalle direzioni sempre
inaspettate, a volte senza nemmeno una fine vera e propria, sono ricche di
particolari precisi e accattivanti, mai banali, sempre spassose e percorse
da un fondamentale sentire: quello per cui l'interlocutore, all'ascolto a
casa incollato all'apparecchio radiofonico, era degno di tutta l'attenzione
e la maestria possibili da parte dell'autore che non ha limiti nell'abbinare
nomi e posti, realta' e finzione; una vera dichiarazione di fiducia per i
piu' piccoli, uno spazio aperto in cui, probabilmente, ognuno di loro poteva
riconoscere senza ombra d'imbarazzo la propria fantasia in azione e
sentirsi, in questi inaspettati viaggi condotti dalla voce di un adulto,
pienamente "a casa".
Una postilla sulla traduzione: Schiavone offre fondatissime ragioni per aver
reso, per alcune trasmissioni, il dialetto berlinese di alcuni dialoghi con
il romanesco; resta pero' disarmante il passaggio dalla Berlino che si vede,
nelle sue case, nel mercato, nei cibi e negli odori, a un desco familiare al
sapore d'amatriciana.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 120 del 2 agosto 2007

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