Minime. 168



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 168 del primo agosto 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Tutte le alture
2. Paolo Pegoraro colloquia con Anna Giannatiempo Quinzio su Sergio Quinzio
3. Daniele Novara: La lezione pedagogica di Franco Fornari
4. Massimo Giuliani presenta "Andre' Neher" di Maria Roberta Cappellini
5. Diana Napoli presenta "Infanzia berlinese" di Walter Benjamin
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. TUTTE LE ALTURE

La guerra terrorista e stragista in Afghanistan, la guerra cui l'Italia
partecipa, la guerra assurda e mostruosa che sta sterminando da decenni un
popolo e sta aprendo un crepaccio che puo' raggiungere ogni paese, ogni
popolazione, e tutti ingoiare nell'abisso.
La guerra terrorista e stragista che anche il nostro paese sta conducendo,
avendo mandato in frantumi il diritto internazionale e la legalita'
costituzionale, riducendoci tutti schiavi della menzogna e del crimine;
anche le mie mani del sangue afgano imbrattate, anche le mie mani.
La guerra terrorista e stragista che e' altresi' silenzioso un colpo di
stato nel nostro paese. E tu vedi, e sai, e taci.
La guerra. Terrorista  e stragista. La guerra. Nemica dell'umanita'.

2. MEMORIA. PAOLO PEGORARO COLLOQUIA CON ANNA GIANNATIEMPO QUINZIO SU SERGIO
QUINZIO
[Da "Jesus" di dicembre 2006 riprendiamo il seguente articolo li' apparso
col titolo "L'attesa inesausta del Regno", il sottotitolo "Ricordare Sergio
Quinzio in tempo di avvento" e il sommario "A dieci anni dalla morte, la
figura di Sergio Quinzio, singolare biblista laico, autodidatta, continua a
spiccare nel panorama italiano per l'originalita' di pensiero e per la
radicalita' in cui poneva domande essenziali per tutti i cristiani".
Paolo Pegoraro e' critico letterario, giornalista e saggista, collabora
stabilmente alle riviste "Letture" e "Vita pastorale".
Anna Giannatiempo Quinzio, filosofa e saggista, e' docente di Estetica
all'Universita' di Perugia e direttrice della rivista "Davar". Tra le opere
di Anna Giannatiempo Quinzio: L'estetico in Kierkegaard, Napoli 1992;
Filosofia e paradosso. Scritti di Soren Kierkegaard, Torino 1993; con
Francesco Permunian ha curato una raccolta di scritti di Sergio Quinzio:
L'esilio e la gloria. Scritti inediti 1969-1996, Bologna 1998.
Sergio Quinzio, pensatore, biblista, saggista; nato ad Alassio nel 1927,
morto a Roma nel 1996. Opere di Sergio Quinzio: in volume segnaliamo Diario
profetico; Religione e futuro; Giudizio sulla storia; Cristianesimo
dell'inizio e della fine; Che cosa ha veramente detto Teilhard de Chardin;
La dimensione del nostro tempo; Laicita' e verita' religiosa. La religione
nella scuola; Un commento alla Bibbia; Monoteismo ed Ebraismo (con Piero
Stefani); L'impossibile morte dell'intellettuale; La fede sepolta; Dalla
gola del leone; L'incoronazione; La filosofia della Bibbia (a cura di);
Silenzio di Dio; La croce  e il nulla; La speranza nell'apocalisse; Domande
sulla santita'; Le radici ebraiche del moderno; La sconfitta di Dio;
Incertezze e provocazioni; I vangeli della domenica; Mysterium iniquitatis.
Segnaliamo inoltre l'intervista a cura di Leo Lestigi, La tenerezza di Dio;
la raccolta delle Lettere agli amici di Montebello; la raccolta di scritti
inediti L'esilio e la gloria (scritti inediti 1969-1996). Opere su Sergio
Quinzio: segnaliamo il fascicolo monografico di "Bailamme" n. 20 del
dicembre 1996, Sergio Quinzio in memoriam; il fascicolo contiene studi,
documenti ed una eccellente bibliografia (alle pp. 275-301). Segnaliamo
anche il fascicolo di "Humanitas", n. 1, 1999, monografico su: Sergio
Quinzio: le domande della fede]

La figura di Sergio Quinzio (1927-1996), a dieci anni dalla scomparsa,
merita di essere riscoperta non solo per la formidabile attualita' del
pensiero, quanto e piu' per il coraggio con cui Quinzio ha assunto in tutto
il suo dramma, dall'interno della fede, lo svuotamento di senso della
contemporaneita'.
Cominciamo dalla fine. L'Apocalisse si conclude con la promessa del Signore:
"Vengo presto". Se, come insegnano alcuni critici, il significato di un
libro si rivela nella sua conclusione, allora e' alla luce di queste parole
che bisogna rileggere tutta la Bibbia. E' quello che ha fatto Sergio
Quinzio, singolarissima figura di biblista laico e autodidatta, senza lauree
ne' accademie. Le sue cattedre furono l'editoria, la stampa nazionale, le
interviste alla radio e alla televisione. Dalla solitudine di Isola del
Piano l'originalita' del suo pensiero incuriosiva e conquistava. O forse a
colpire, piu' che l'originalita', era l'esasperata pervicacia con cui
Quinzio si avvinghiava ai propri interrogativi, l'insofferenza per le
conciliazioni di comodo, la fedelta' lancinante al grido di Giobbe: perche'
Dio non salva ancora? Perche' il Regno di Dio non si e' definitivamente
realizzato? Quel "Vengo presto" gli appariva ancora sospeso, inesaudito...
*
Nato ad Alassio il 5 maggio 1927, Sergio Guinzio - questo il vero nome -
ricordava la sua infanzia come un mondo composto e ordinato grazie alla
convenzionale educazione religiosa ricevuta dalla madre e nelle scuole
salesiane. Ma questa visione pacifica del mondo si sarebbe incrinata ben
presto davanti all'esperienza della morte e dell'ingiustizia: l'entrata in
guerra dell'Italia; il servizio all'obitorio dove, ancora adolescente,
Sergio deve ricomporre i corpi spappolati dalle granate; l'ingiustificato
incarceramento del padre a opera dei partigiani.
Trasferitosi con la famiglia a Roma, Quinzio entra all'Accademia della
Guardia di Finanza, dove scrive al fratello Patrizio Flavio le lettere che
confluiranno nel suo primo libro, Diario profetico (1958). Gia' in queste
pagine troviamo il richiamo a uníazione di testimonianza cristiana radicale,
escatologica, aliena alle scorciatoie mondane di una Chiesa ridottasi a
guida etica, umanistica o addirittura politica. Successivamente Quinzio
incontra Ferdinando Tartaglia, il vulcanico sacerdote scomunicato che per
lui rappresenta "il primo esempio di un pensiero religiosamente audace",
anche se in seguito prendera' le distanze dalle sue posizioni.
Ma l'esperienza che lo scuote piu' profondamente sono i tre anni di calvario
della prima moglie, Stefania Barbareschi, colpita da cancro, che lo lascia
solo con la figlioletta Pia e la madre ottantenne. E' in questo frangente
che Quinzio - come ricordera' in un'intervista alcuni anni dopo - avverte la
necessita' di ritrovare il fondamento della propria speranza cristiana,
accettando un confronto senza infingimenti con l'esistenza del male e del
dolore nel mondo. Rifiutando secoli di impalcature filosofiche che hanno
addomesticato lo scandalo della croce, Quinzio si rivolge alle radici
ebraiche del cristianesimo e alla felicita' anzitutto terrena - e non
rinviata all'aldila' - che il Dio biblico promette all'uomo. Perche', se il
mondo e' redento, la bonta' viene ancora calpestata? Per il credente non si
tratta di una innocua equazione filosofica da risolvere con virtuosismo
intellettuale, ma di un rovello affondato nel cuore dell'esistenza.
L'impaziente desiderio che la salvezza si realizzi hic et nunc diventa per
Quinzio il pungolo della fede, il motore che le permette di non implodere in
routine nullificante.
Proprio per questo ne La croce e il nulla (1984), uno dei suoi saggi piu'
famosi, Quinzio sosterra' che il nichilismo e' il frutto tardo ma
inevitabile del cristianesimo secolarizzato; l'annuncio della morte di Dio,
d'altra parte, era gia' contenuto nei Vangeli. Nella croce vittoria e
sconfitta si equivalgono e scompare per sempre il Dio onnipotente chiuso
nella propria perfezione, mentre sopravvive un Dio indebolito e bisognoso
degli uomini, quello nato a Nazareth, che salva attraverso la consolazione e
la tenerezza. "Diventa sempre piu' difficile aspettare la consolazione
promessa", conclude Quinzio, "e tuttavia, a mio giudizio, diventa anche
sempre piu' necessario".
*
E' in questa paradossale assunzione delle ansie contemporanee che risiede
tutta la bruciante vitalita' e attualita' del suo pensiero, come ci conferma
la professoressa Anna Giannatiempo Quinzio: "Sergio diceva che la sua era
una disperazione sorridente", racconta. "Cercava sempre di essere, come dice
la tradizione ebraica, con la tristezza nel cuore ma il sorriso sulle
labbra. E' vero, le vicende della vita e della storia sono angoscianti, ma
lui credeva davvero nell'esistenza di una speranza oltre tutto, e questa
speranza gli dava quantomeno la forza di sopportare la disperazione, di non
chiuderla su di se' ma al contrario di aprirla al Signore nella domanda e
nella preghiera".
*
- Paolo Pegoraro: In una lettera, Quinzio le scrisse che "la felicita' e' un
mistero piu' grande della sofferenza".
- Anna Giannatiempo Quinzio: Si', perche' lui diceva che se non ci fosse la
felicita', non potremmo davvero sapere che cos'e' l'essere felici e
desiderare d'esserlo, ne' potremmo accorgerci di quanto grande e' la
sofferenza che ci allontana da essa. La felicita' e' il mistero piu' grande
perche' e' un desiderio continuo e insopprimibile, nonostante l'uomo la
attinga per attimi. E' una promessa che si spera eterna, anche se Sergio
diceva che la felicita' con cui Dio consolera' i suoi fedeli continuera' a
portare i segni incancellabili della sofferenza, proprio come Gesu' risorto
porta ancora le piaghe della croce.
*
- Paolo Pegoraro: Nonostante sia stato uno dei primi importanti divulgatori
biblici in Italia, Quinzio non ha suscitato particolari entusiasmi nella
stampa cattolica.
- Anna Giannatiempo Quinzio: Solo in questi anni la cultura religiosa si e'
aperta all'interferenza dei laici su tematiche che, soprattutto in Italia,
sono sempre state retaggio del clero. Capisco che suscitasse qualche
apprensione, sia a causa dell'epocale eredita' modernista, sia perche'
Sergio non apparteneva a nessun gruppo ne' a qualche accademia. Ma ha avuto
anche degli estimatori. E poi Sergio e' sempre stato fedele alla Chiesa: era
molto scrupoloso su questo e non ha mai saltato la messa, recitava il
rosario, si confessava e comunicava.
*
- Paolo Pegoraro: Viceversa, i suoi scritti hanno avuto una larghissima
influenza su molti intellettuali e scrittori.
- Anna Giannatiempo Quinzio: Indubbiamente nel mondo laico Sergio ha
ricevuto molta attenzione, ma proprio per i suoi pensieri religiosi.
Tantissimi si sono avvicinati ai temi della fede e del cristianesimo proprio
perche' gravitavano attorno a lui. Ricordo Ferrucio Masini, ma anche lo
stesso Erri De Luca, Massimo Cacciari, Maurizio Ciampa, Gabriella Caramore,
Piero Stefani... Tutte persone che hanno ruotato intorno a Sergio e lui, in
qualche modo, li ha attratti verso questo mondo.
*
- Paolo Pegoraro: La fede deve farsi carico della sofferenza del mondo: c'e'
una certa somiglianza tra la disperazione di Kierkegaard e la delusione di
Quinzio?
- Anna Giannatiempo Quinzio: Kierkegaard e' un pensatore che Sergio stimava
molto, anche se non condivideva il suo accanirsi contro la Chiesa in quanto
istituzione. Sergio diceva che la Chiesa e' nella storia, ha il suo cammino,
ha le sue pecche, mentre quello che noi dobbiamo assolutamente cercare di
riscoprire e di vivere e' l'originario messaggio cristiano, cioe' la sua
tensione escatologica. Per lui tutto si giocava su questo.
*
- Paolo Pegoraro: Secondo Quinzio, il pensiero nichilista e' stato
un'estrema invocazione di salvezza. Il nichilismo di oggi, invece, e' una
prassi che - come lei scrive - elude le contraddizioni per rendere meno
necessaria la salvezza.
- Anna Giannatiempo Quinzio: Si', perche' nonostante le contraddizioni siano
gia' scoppiate tutte, invece di prenderne coscienza ci stendiamo sopra il
velo della ragione. Si e' sempre insistito sulla debolezza della volonta'
che vede il bene e non riesce a farlo, ma questo discorso vale anche per la
ragione. Anche la ragione e' limitata, peccabile, portata piu' all'errore
che alla verita'... e oggi le contraddizioni della ragione le abbiamo sotto
gli occhi: l'uomo non trova piu' una finalita' ai percorsi della sua vita e
allora si gioca giorno per giorno. Oggi la fede deve prendere coscienza che
l'uomo e' arrivato al limite delle proprie possibilita', oltre le quali c'e'
solo la violenza contro di se' e contro gli altri. La fede e' la risposta al
di la' di tutto questo, ma non possiamo dirla se non ci sprofondiamo, come
Dostoevskij, nelle contraddizioni, nelle poverta', nelle insufficienze,
nelle domande senza risposta in cui la maggior parte delle persone si
dibattono.

3. RIFLESSIONE. DANIELE NOVARA: LA LEZIONE PEDAGOGICA DI FRANCO FORNARI
[Dal sito del "Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei
conflitti" (www.cppp.it) riprendiamo questa relazione di Daniele Novara su
"La lezione pedagogica di Franco Fornari. L'educazione al vivere senza il
bisogno della violenza", in Conflitti, affetti, cultura: Franco Fornari,
Atti del convegno svoltosi a Milano dal 20 al 22 maggio 2005, editi dal
Centro milanese di psicoanalisi "Franco Fornari", Milano 2007. Segnaliamo
che alcune scelte linguistiche e alcune proposte interpretative di questo
saggio possono dar luogo a degli equivoci, lettrici e lettori sapranno
contestualizzare e decodificare - leggere e' un'attivita' cooperativa.
Daniele Novara, pedagogista, consulente e formatore, e' direttore del Centro
psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza; tra i
primi in Italia ad affrontare in maniera organica una formazione improntata
all'educazione alla pace, e' autore e curatore di numerose pubblicazioni e
collabora con varie riviste e case editrici; ha coordinato il progetto
Citta' dei bambini del Comune di Piacenza. Tra le opere di Daniele Novara:
con Lino Ronda, Materiali di educazione alla pace, Torino, Edizioni Gruppo
Abele, 1984; con Massimo Esposito, La pace s'impara, Bologna, Emi, 1985; con
Lino Ronda, Scegliere la pace. Educazione al disarmo, Torino, Edizioni
Gruppo Abele, 1986, 1989; Scegliere la pace. Educazione ai rapporti, Torino,
Edizioni Gruppo Abele, 1987, 1997; Scegliere la pace. Educazione alla
giustizia, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1989; Scegliere la pace. Guida
metodologica, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1991 (quarta edizione
riveduta); (a cura di), L'istinto di pace, Torino, Edizioni Gruppo Abele,
1990; con Francesco Beretta, Anna Martinelli, Il litigio, Bologna, Emi,
1990, 1993; (a cura di), Ricominciare da un libro, Molfetta, La Meridiana,
1993; (a cura di), L'ascolto e il conflitto, Molfetta, La Meridiana, 1995;
con Patrizia Londero, Scegliere la pace. Educazione alla solidarieta',
Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1994, 1997; con Patrizia Londero, Scegliere
la pace. Educazione al futuro, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1996;
L'ascolto si impara. Domande legittime per una pedagogia dell'ascolto,
Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2002-3; con Diego Miscioscia, (a cura di), Le
radici affettive dei conflitti, Molfetta, La Meridiana, 1998; con Elena
Passerini, La strada dei bambini, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2002; con
Silvia Mantovani, (a cura di), Bambini ma non troppo, Molfetta, La
Meridiana, 2000; con Lorella Boccalini, Tutti i grandi sono stati bambini.
Per un uso educativo della convenzione internazionale sui diritti
dell'infanzia, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2000; Obiettivo Solidarieta',
Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivo Giustizia, Torino, Ega-Paravia, 2001;
Obiettivo Rapporti, Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivo Futuro, Torino,
Ega-Paravia, 2001; Obiettivi... Guida per l'insegnante, Torino, Ega-Paravia,
2001; con Elena Passerini, Ti piacciono i tuoi vicini? Manuale di educazione
socioaffettiva, Torino, Ega, 2003; (a cura di), Memoranda. Strumenti e
materiali per la giornata della memoria, Molfetta, La Meridiana, 2003; (a
cura di), Abbracci e litigi. Educazione ai rapporti per bambine e bambini
dai 2 ai 6 anni, Torino, Ega, 2004; (a cura di), La scuola dei genitori.
Come aiutare i figli a diventare grandi, Piacenza, Berti, 2004; Centro
psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti, Io non vinco, tu
non perdi. Un kit per promuovere l'educazione alla pace e la gestione dei
conflitti tra ragazzi, Unicef, Roma 2004; (a cura di), Il genitore che
ascolta. La funzione educativa dei padri e delle madri nella costruzione
dell'autonomia dei figli e delle figlie, Piacenza, Berti, 2005; (a cura di),
Ognuno cresce solo se sognato. Antologia essenziale della pedagogia critica,
Molfetta, La Meridiana, 2005; io e... gli altri. Diventare cittadini -
Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della
scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... i diritti. Diventare
cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado
della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... la solidarieta'.
Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il
primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... Guida per
l'insegnante. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza
civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005.
Franco Fornari (Rivergaro (Pc) 1921 - Milano 1985), medico psichiatra e
psicoanalista, allievo di Musatti, docente di psicologia, direttore
dell'Istituto di Psicologia e professore ordinario di psicologia
all'Universita' degli Studi di Milano, presidente dal 1973 al 1978 della
Societa' italiana di psicoanalisi; "ha lasciato con la sua opera di
pubblicista e di organizzatore culturale un segno profondo nella cultura
italiana degli ultimi decenni, spaziando e promuovendo ricerche su svariati
temi, quali l'eta' evolutiva, la musica, la letteratura, la medicina, la
politica, la guerra. A partire dagli anni Sessanta elaboro' una sua teoria
psicoanalitica del linguaggio, l'analisi coinemica, che si distacca dalla
teoria freudiana pur mediandone molti concetti". Tra le opere di Franco
Fornari: segnaliamo particolarmente Psicanalisi della guerra atomica,
Comunita', 1964; (a cura di), Dissacrazione della guerra, Feltrinelli,
Milano 1969; Psicanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 1970;
Psicanalisi della situazione atomica, Rizzoli, Milano 1970; Psicoanalisi e
cultura di pace, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992.
Segnaliamo inoltre almeno La vita affettiva originaria del bambino,
Feltrinelli, Milano 1963; Nuovi orientamenti nella psicoanalisi,
Feltrinelli, Milano 1963; Psicoanalisi e ricerche letterarie, Principato,
Milano 1975; Simbolo e codice, Feltrinelli, Milano 1976, 1981; (a cura di),
Fantasmi, gioco e societa', Il Saggiatore, Milano 1976; Il minotauro.
psicoanalisi dell'ideologia, Rizzoli, Milano 1977; Coinema e icona, Il
Saggiatore, Milano 1979; Genitalita' e cultura, Feltrinelli, Milano 1979; I
fondamenti di una teoria psicoanalitica del linguaggio, Boringhieri, Torino
1979; Il codice vivente, Boringhieri, Torino 1981; La malattia d'Europa,
Feltrinelli, Milano 1981; La lezione freudiana, Feltrinelli, Milano 1983; La
riscoperta dell'anima, Laterza, Roma-Bari 1984; Per una psicoanalisi della
musica, Longanesi, Milano 1984; Carmen adorata, Longanesi, Milano 1985;
Psicoanalisi in ospedale, Cortina, Milano 1985; Seminari di Copernico,
Borla, Roma 1987]

1. Volersi bene a tutti i costi o imparare i conflitti?
Perche' il Centro psicopedagogico per la pace considera Franco Fornari un
maestro? Negli ultimi tempi ci siamo orientati su una metafora educativa che
include il conflitto nell'area delle esperienze di crescita, mentre nella
pedagogia tradizionale il conflitto e' incluso nelle esperienze da evitare,
come nel caso dei litigi fra i bambini dove la maestra e' sempre
preoccupata, anche in funzione dei genitori, di impedire che i bambini
bisticcino. Non si capisce ad esempio perche' i bambini di un anno e mezzo
messi assieme non debbano morsicarsi, mi sembra una pretesa francamente
contro natura. In questa logica dell'evitare ad ogni costo ci sta anche
denunciare i nidi dove ci sono i morsicatori. Qualche genitore lo ha
realmente fatto.
Nell'opera di Franco Fornari, vorrei evidenziare un concetto centrale e
cioe' quello di guerra come amore alienato, espresso molto bene in uno dei
suoi ultimi libri, Carmen Adorata, che racconta proprio attraverso la
metafora dell'opera lirica Carmen, l'amore alienato, cioe' la distruttivita'
in nome dell'amore (1). E' questo sostanzialmente il tema dell'analisi della
violenza da parte di Fornari.
Lo chiarisce molto bene ne La malattia dell'Europa: "una vera epopea
pacifista non puo' fondare il suo potere su un supplemento di bonta'
dell'uomo, per cui l'uomo si sente buono anche quando fa la guerra
sacrificandosi per il suo paese" (2). Si tratta di un Fornari profetico come
al solito. Basti pensare a cosa direbbe oggi dei kamikaze. Questi non solo
fanno la guerra, ma si immolano. E' un problema abbastanza serio dal punto
di vista esplicativo: dove si collocano i kamikaze? Non e' semplicissimo,
c'e' un senso di ansia e di paura reale. Proviamo a metterci nei panni degli
spagnoli che sono stati cosi' umiliati dai guerrafondai, per vedere un
attimo come ci si sente all'idea di essere su un treno e a un certo punto
non esserci piu' perche' qualcuno ha deciso di immolarsi tirandovi dentro al
suo delirio. Non e' semplice. Io mi metto nei loro panni e dico che hanno
fatto benissimo a ritirarsi. Un bellissimo slogan fornariano e' "Not in my
name", proprio perche' se e' vero che la guerra e' un delitto individuale e'
anche legittimo il suo contrario.
Questo vale anche per la mafia. C'e' un bellissimo libro di una psicanalista
junghiana cha ha utilizzato Fornari per analizzare la mafia (3), molto
interessante perche' analizza come l'appartenenza mafiosa legittima
l'omicidio in nome della famiglia o di Cosa nostra, nomi legati ad
un'affettivita' di carattere simbiotico, regressivo e totalizzante. Questo
meccanismo dell'appartenenza omicida lo si riscontra in tanti fenomeni
sociali, politici e in tante guerre.
Fornari con la sua analisi precisa e meticolosa, ci ha dato una chiave di
lettura, che ci apre questa finestra sull'inconscio come depositario di
proiezioni assassine e omicide per evitare di incontrarsi con la propria
aggressivita' e con la propria distruttivita' e poterla cosi' esportare
esternamente in modo da creare una sorta di bonifica interna che e' a totale
carico distruttivo e luttuoso degli altri.
Occorre ovviamente venir fuori da questo delirio distruttivo. Fornari da'
anche una sua ricetta ed e' esattamente quella che abbiamo cercato di
seguire. E' contenuta nell'introduzione al libro di un grande psicanalista
tedesco: L'Idea di pace e l'aggressivita' umana (4); Fornari dice: "La pace
porta alla reimportazione del conflitto", cioe' il conflitto va reimpostato
internamente, questa e' la pace.
La pace e' conseguenza del conflitto, non dell'assenza dei conflitti,
l'assenza dei conflitti e' pericolosa. Chiunque abbia lavorato nelle grandi
guerre civili dei nostri tempi si accorge che la guerra civile nasce proprio
dalla volonta' sistematica di eliminare il conflitto, come tensione
reciproca, come scontro, come divergenza, come difficolta' ad assumere
l'altro come limite alle proprie compulsioni e alle proprie proiezioni.
Da questo punto di vista un altro merito dell'analisi di Fornari e' di
averci rivelato i vantaggi psichici della guerra, ossia l'elemento di
semplificazione. In fondo la guerra e la violenza cosa ci dicono a livello
relazionale? Ci dicono che non bisogna fare fatica, che l'importante e'
eliminare chi ci porta il conflitto. La guerra e' questo. Basta con la
fatica! Eliminiamo chi ci mette alla prova e ci crea stress e quindi
troviamo una pace che e' un vero proprio appiattimento relazionale.
Si tratta allora di capire di quale pace stiamo parlando. E' molto
angosciante questo volersi bene a tutti i costi, perche' annulla il
confronto necessario che implica il conflitto e quindi implica una crescita
e un'evoluzione.
Come Centro psicopedagogico pr la pace abbiamo cercato di strutturare una
differenza molto secca tra conflitto e guerra, tra conflitto e violenza: il
conflitto da rubricare nell'area delle relazioni e la guerra e la violenza
nell'area delle distruzioni, il contrario di quello che si fa adesso, il
conflitto viene visto come una perturbazione, una rottura, una fatica.
*
2. Il pericolo delle culture educative a-conflittuali e simbiotiche
Nel mondo sono proprio le culture educative a-conflittuali e rigide che sono
alla base delle guerre.
Sono educazioni che tendono ad eliminare il valore della differenza e del
conflitto ed il conflitto e' il vero bonificatore delle proiezioni
persecutorie. E' l'accettazione del conflitto e lo stare nel conflitto che
permette di evitare di spostare in maniera paranoica sull'altro o sugli
altri quelle che sono in realta' le proprie pulsioni interne. Il caso del
Kossovo e' incredibilmente paradigmatico. In Kossovo vi sono i villaggi
serbi, con dentro 30 serbi, blindati da 80 militari perche' se non vengono
blindati li ammazzano. Quindi si evince che non c'e' stato nessun processo
rielaborativo e quindi come sempre succede in questi casi le vittime
diventano aguzzini, diventano a loro volta dei persecutori, non c'e' un
passaggio trasformativo, un passaggio che per esempio e' stato fatto in Sud
Africa, dove si e' realizzato un processo rielaborativo.
E' questo il problema: assumere il conflitto. Tutto questo rischia di essere
accentuato da una vocazione non tanto verso la democrazia degli affetti,
cioe' dell'integrazione dei codici affettivi, quanto verso un forte
squilibrio dove le ragioni dell'appartenenza simbiotica si stanno
accentuando, sia da un punto di vista socio-politico in un delirio etnico
che non trova mai fine, sia in una logica educativa, anche di rapporto
educativo primario, che non prevede la separazione e tende a non prevederla,
tende a porre il bambino e la bambina in una condizione per cui non ci sia
un termine a questa sorta di fusionalita' assoluta. Il genitore sembra
promettere a suo figlio e sua figlia una simbiosi eterna, senza rendersi
conto che in questo modo si crea una situazione in cui il codice materno
diventa assolutamente tirannico.
Oggi in Italia il fenomeno educativo piu' rivelatore e' quello di una forte
maternalizzazione della figura paterna a cui pero' non corrisponde una
genesi di codice paterno almeno dal punto di vista familiare, quindi tutti
fanno a gara nel complimentarsi coi nuovi padri che cambiano i pannolini e
quant'altro, pero' non c'e' altrettanta attenzione a riconoscere nel
contesto della crescita educativa il bisogno dei figlioli e delle figliole
di avere la possibilita' di un imprinting regolativo, normativo,
responsabilizzante ed esplorativo che consenta loro di assumere il conflitto
con i genitori come strumento di crescita.
Dai genitori in genere ci si allontana perche' si capisce che il rapporto
coi genitori ha esaurito le sue funzioni, ma questo oggi, in un contesto di
forte maternalizzazione di codice, rischia di non avvenire piu'. I dati sono
sconcertanti, come quello recente citato da Chiara Saraceno: secondo
un'indagine recentissima su 28 paesi europei il 67% degli uomini italiani
sotto i 35 anni vive ancora con i genitori, rispetto al 21% di tedeschi e al
12% di svedesi (5).
*
3. La cultura educativa del conflitto come bonifica relazionale e spinta
verso l'autonomia
Se la fatica e' un valore paterno, oggi possiamo dire che questo valore -
che poi e' il valore dentro cui si colloca la cultura del conflitto, come
cultura della ricerca della relazione che non sia solo una relazione volta
all'omologazione, volta al rispecchiamento narcisistico - e' un valore
deficitario. In una maternalizzazione talmente accentuata come quella che
stiamo registrando dove il conflitto genera una vera e propria sensazione di
minaccia, dove le regole non vengono messe perche' creano conflitti e quindi
bisogna stare dentro una simbiosi assoluta in cui il volersi bene ha
sostituito il concetto di benessere, si intuisce che c'e' qualcosa che non
funziona.
Anche un'educazione che crea questa dipendenza e' foriera di un
atteggiamento che puo' provocare una forte de-sensibilizzazione rispetto
alla guerra e rispetto alla violenza.
Io penso che la pace sia un problema di democrazia degli affetti, ma oggi
come oggi ritengo che la pace sia da cercare maggiormente in una
accentuazione del paterno, come capacita' di stare nei conflitti, di
reintegrare il conflitto nella propria esperienza. Non mi pare possa stare
in un'enfasi di maternage che sta avvolgendo in una melassa assorbente un
po' tutti, sia genitori che istituzioni educative, senza restituire niente,
senza dare la possibilita' di quella autonomia e di quella crescita che
permette di diventare grandi.
Occorre lavorare su un concetto di educazione che sappia rispettare la
distanza. In Fornari mi ha sempre colpito la distinzione tra cultura della
confidenza e cultura della diffidenza e come l'educazione debba porsi questo
problema nella costruzione di una distanza che diventi formativa, perche'
senza distanza e' difficile pensare ad un approccio che sia educativo.
Educare vuol dire prendere delle decisioni; e' chiaro che queste decisioni
possono avere una natura di un tipo o dell'altro, ma se non ci diamo neanche
lo spazio temporale per creare una decantazione emotiva che ci permetta di
vedere quello che succede nella relazione e quindi di trovare anche la
decisione piu' pertinente, diventa tutto molto confuso. Allora l'emotivita'
prevale sull'educazione e non c'e' piu' un dialogo emotivo ma una sorta di
compulsione che poi impedisce di capire e di creare educazione.
Mi sembra importante riproporre la dialettica degli affetti cosi' come l'ha
proposta Franco Fornari, con un'attenzione pero': oggi in un discorso
pedagogico, se vogliamo sviluppare la cultura del conflitto come cultura
della relazione, di capacita' di stare nella relazione, dobbiamo affermare
con molta onesta' che il codice paterno sta venendo meno e sta disertando,
si sta sottraendo alla sua funzione vitale. Conviene raddrizzare questa
situazione e portarla a una maggior integrazione.
Sono grato all'opera di Franco Fornari, che riteniamo un maestro, perche' ci
ha concesso di uscire dall'educazione alla pace come palude dei buoni
sentimenti, quei buoni sentimenti di cui si nutrono i guerrafondai e anche i
kamikaze, per aprirci a una nuova capacita' di leggere il conflitto come
struttura anti-proiettiva e quindi come dimensione di liberta' e di
crescita.
Fra Bush e i kamikaze c'e' un'altra strada ed e' la strada faticosa ma
creativa di stare nei conflitti con un atteggiamento formativo e con la
fermezza di chi sa che ci salviamo assieme o non ci salviamo.
*
Note
1. F. Fornari, Carmen adorata, Longanesi, Milano 1985.
2. F. Fornari, La malattia dell'Europa, Feltrinelli, Milano 1981, pp.
200-201.
3. S. Di Lorenzo, La grande madre mafia. Psicanalisi del potere mafioso,
Pratiche, Milano 1996.
4. F. Fornari, Presentazione all'edizione italiana di A. Mitscherlich,
L'idea di pace e l'aggressivita' umana, Sansoni, Firenze 1972.
5. "Il Venerdi' di Repubblica", 25 febbraio 2005, intervista a Chiara
Saraceno.

4. LIBRI. MASSIMO GIULIANI PRESENTA "ANDRE' NEHER" DI MARIA ROBERTA
CAPPELLINI
[Dal sito www.nostreradici.it riprendiamo la seguente recensione apparsa sul
quotidiano "Avvenire" del 2 settembre 2000, col titolo "Neher: un 'forse'
tra il Talmud e Socrate" e il sommario "Primo libro in italiano
sull'intellettuale ebreo che tento' di conciliare i greci e la Bibbia".
Massimo Giuliani, studioso della cultura ebraica, saggista, e' docente
all'Universita' di Trento; laureato nel 1985 all'Universita' Cattolica di
Milano con una tesi su "Storia come ermeneutica. Il contributo metodologico
di Paul Ricoeur"; Ph.D. nel 2000 alla Hebrew University di Gerusalemme con
una dissertazione su "Theological Implications of the Shoah. 'Caesura' and
'Continuum' as Hermeneutic Paradigms of Jewish Theodicy". Tra le opere di
Massimo Giuliani: Giuliani M., Auschwitz nel pensiero ebraico. Frammenti
dalle "teologie dell'Olocausto", Morcelliana, Brescia 1998; Cristianesimo e
Shoah, Morcelliana, Brescia 2000; Theological Implications of the Shoah.
"Caesura" and "Continuum" as Hermeneutic Paradigms of Jewish Theodicy, Lang,
New York 2002; Il pensiero ebraico contemporaneo. Un profilo
storico-filosofico, Morcelliana, Brescia 2003; A Centaur in Auschwitz:
Reflections on Primo Levi's Thinking, Lexington books, Lexington, Mass.
2003; (con E. Oshry), Responsa: dilemmi etici e religiosi nella Shoa',
Morcelliana, Brescia 2004.
Maria Roberta Cappellini e' acuta studiosa di scienze dell'ebraismo e
saggista, opera in ambito universitario alla Facolta' Teologica dell'Italia
Settentrionale e all'Universita' Cattolica di Milano, tra i suoi campi di
ricerca il pensiero ebraico francese contemporaneo e l'ermeneutica biblica
(tradizione midrashico-talmudica); e' autrice di molti saggi ed articoli
apparsi sulle riviste "Humanitas", "Studia Patavina", "Materia giudaica",
"Il tempo e l'idea", "Nuova delta", "Filosofia e teologia", "Sefer". Tra le
opere di Maria Roberta Cappellini: Andre' Neher tra esegesi ed ermeneutica,
Morcelliana, Brescia 2000.
Andre' Neher, (Obernai, Alsazia, 1914 - Gerusalemme 1988), biblista,
filosofo, docente di lingua e letteratura ebraica all'Universita' di
Strasburgo, dal 1967 a Gerusalemme, ha contribuitoal rinnovamento del
pensiero ebraico postbellico in Francia ed e' uno dei piu' importanti
pensatori del Novecento. Delle sue numerose opere di storia e filosofia
ebraica molte sono gia' apparse in italiano. Tra le opere di Andre' Neher:
Il pozzo dell'esilio, Marietti, 1990; L'esilio della parola, Marietti, 1997;
Chiavi per l'ebraismo, Lampi di Stampa, 1999; L'essenza del profetismo,
Lampi di Stampa, 1999; Faust e il Golem, La Giuntina, 2005; Geremia, La
Giuntina, 2005; Hanno ritrovato la loro anima, Marietti, 2006; Qohelet,
Gribaudi, 2006]

L'esistenza di una "filosofia ebraica" non e' un dato scontato. Il rapporto
tra Atene e Gerusalemme e' infatti stato travagliato e conflittuale fin
dalle origini, e l'equilibrio tra i due linguaggi culturali (quello greco e
quello ebraico) e' sempre stato precario. Non solo perche' politeismo e
monoteismo sono due "universi valoriali" irriducibili, ma perche' essi si
pensano con categorie opposte e confliggenti.
Eppure la storia e' li' a dimostrare che Gerusalemme non ha mai chiuso le
porte ai greci: da una parte il giudaismo puo' essere detto in linguaggio
greco (l'impresa riusci' bene soprattutto nel medioevo), e dall'altra gli
ebrei hanno saputo sviluppare e articolare proprio cio' che la filosofia
greca non sa o si vieta di indagare.
In questo secondo caso, i "filosofi ebrei" si fanno carico appunto di cio'
che la razionalita' classica esclude, o sottovaluta, o rimuove. Il caso di
Andre' Neher e' emblematico di tale sforzo intellettuale: tutta la sua opera
e' un tentativo di correggere il logos greco attraverso l'indagine del
grande codice della fede occidentale: la Bibbia. In due parole, direi che il
contributo di Neher e' consistito essenzialmente nel "pensare la Bibbia" e
di "pensare nella Bibbia", cioe' nel far emergere dai testi della tradizione
giudaica (profezia, talmud, midrashim, qabbala') parole e concetti che
costituiscono il rimosso e l'indigesto del pensiero greco: il valore della
contraddizione, la positivita' del pathos, l'ambiguita' del silenzio, la
necessita' del "forse", le potenzialita' del vuoto e del nulla.
Merito del volume di Maria Roberta Cappellini su Andre' Neher (Maria Roberta
Cappellini, Andre' Neher. Tra esegesi ed ermeneutica, Morcelliana, Brescia
2000) e' quello di indagare in modo sistematico l'originale contributo dello
studioso ebreo francese. Si tratta della prima monografia che appare in
lingua italiana su Neher, del quale il lettore ha a disposizione la maggior
parte delle opere tradotte.
Nato in Alsazia nel 1914, Neher immigro' in Israele nel 1967 dopo la guerra
dei sei giorni. Fu uno degli intellettuali ebrei di spicco del secondo
dopoguerra, e insieme a Levinas, Jankelevitch, Leon Askenazi, Eliane Levy
Valensi e molti altri e' stato autorevole rappresentante del "terzo polo"
del mondo ebraico internazionale, dopo Israele e Stati Uniti. La comunita'
ebraica francese (circa settecentomila persone) e' infatti la terza per
grandezza nel mondo. E Neher ben incarna la figura dell'intellettuale ebreo
europeo-occidentale, erede della tradizione illuministica francese, ma al
contempo consapevole della sfida posta a quella tradizione dalla storia
peculiare del giudaismo.
Nella sua monografia, la Cappellini esplora il pensiero di Neher in quattro
momenti: la concezione storica e quella filosofica, l'esperienza
fenomenologica e quella estetica. Tutte ancorate nella sua straordinaria
abilita' di ascoltare i testi biblici e farli parlare alla luce delle
vicende storiche. Soprattutto alla luce di quegli eventi unici che furono
nel XX secolo, per il popolo ebraico, la tragedia della Shoa' e la
rifondazione dello Stato d'Israele. Tra esegesi ed interpretazione Neher ha
elaborato una categoria nuova, quella del "forse", una correzione
all'ontologia occidentale (in un'impresa analoga a quella tentata dall'amico
Levinas). Il "forse" costringe il pensiero ad esporsi, e' vero, verso un
rischio nichilistico, ma al contempo lo spinge anche verso una piu' radicale
possibilita' di riscatto. Questo stare in bilico tra rischio e pienezza di
significato e' appunto il senso della redenzione, almeno nel giudaismo.
La Cappellini ricostruisce il pensiero di Neher senza tradire il contenuto
complesso della sua opera e lasciando intravedere l'irriproducibile accento,
la musicalita' e il ritmo della prosa e della poesia bibliche.

5. LIBRI. DIANA NAPOLI PRESENTA "INFANZIA BERLINESE" DI WALTER BENJAMIN
[Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: e-mail: mir.brescia at libero.it,
sito: www.storiedellastoria.it) per questo articolo.
Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano,
e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia.
Walter Benjamin, nato a Berlino nel 1892, saggista di sconvolgente
profondita', all'avvento del nazismo abbandona la Germania, si uccide nel
1940 al confine tra Francia e Spagna per sfuggire ai nazisti. Opere di
Walter Benjamin: in italiano fondamentale e' la raccolta di saggi e
frammenti Angelus novus, Einaudi, Torino; e quella che prende il titolo da
L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita' tecnica, Einaudi,
Torino. Sempre presso Einaudi (che ha in corso la pubblicazione delle Opere,
a cura di Giorgio Agamben) cfr. anche: Avanguardia e rivoluzione, Critiche e
recensioni, Diario moscovita, Il concetto di critica nel romanticismo
tedesco (Scritti 1919-1922), Il dramma barocco tedesco, Immagini di citta',
Infanzia berlinese, Metafisica della gioventu' (Scritti 1910-1918), Ombre
corte (Scritti 1928-1929), Parigi capitale del XIX secolo, Strada a senso
unico, Sull'hascisch, Teologia e utopia (Carteggio 1933-1940 con Gershom
Scholem), Tre drammi radiofonici, e le Lettere (1913-1940). Presso Adelphi
cfr. la sua antologia di lettere commentate di autori del passato, Uomini
tedeschi. Opere su Walter Benjamin: per la bibliografia: M. Brodersen,
Walter Benjamin. Bibliografia critica generale (1913-1983), Aesthetica,
Palermo 1984; R. Cavagna, Benjamin in Italia. Bibliografia italiana,
1956-1980, Sansoni, Firenze 1982. Saggi: cfr. almeno AA. VV. (a cura di
Franco Rella), Materiali su Walter Benjamin, Venezia 1982; AA. VV., Paesaggi
benjaminiani, fascicolo monografico della rivista "aut aut", nn. 189-190,
1982; AA. VV., Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, Editori Riuniti,
Roma 1983;  Hannah Arendt, Il pescatore di perle, Mondadori, Milano 1993
(saggio incluso anche in Hannah  Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino,
Bologna); Fabrizio Desideri, Walter Benjamin. Il tempo e le forme, Editori
Riuniti, Roma 1980; Hans Mayer, Walter Benjamin, Garzanti, Milano 1993;
Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Milano 1978;
Gershom Scholem, Walter Benjamin. Storia di un'amicizia, Adelphi, Milano
1992. Cfr. anche Paolo Pullega, Commento alle "Tesi di filosofia della
storia" di Walter Benjamin, Cappelli, Bologna 1980]

Walter Benjamin, Infanzia berlinese intorno al 1900, trad. di E. Ganni,
Einaudi, Torino 2001, 2007.
Chi sperera' di trovarvi una rievocazione "proustiana" dell'infanzia
rimarra' deluso. Quello, di gran lunga piu' prezioso, che trovera' e' la
Berlino (principalmente) di prima della Grande Guerra: la si trova ovunque
tutta intera, che la si osservi dal Tiergarten o maestosamente all'ombra
della Colonna della Vittoria o racchiusa mirabilmente in una vetrata, in un
vicolo, nei cortili delle case o negli odori mattutini sprigionati dalle
stufe.
E poi si trovera', trasposto in quello biografico, l'ordine del tempo cosi'
pazientemente espresso nelle "Tesi sul concetto di storia": tra rimandi
messianici e presagi, il libro, oltre ad interessare gli studiosi
d'estetica, lascia un'immagine struggente della biografia di Benjamin
illuminata da questo tempo dell'infanzia ancora "atteso" dal futuro, per cui
mi viene in mente una frase di Marguerite Yourcenar, benche' scritta per
tutt'altro contesto e che pure si addice alla figura benjaminana del
collezionista (dei frammenti del tempo, in questo caso): "[colui che] prova
il piacere raro dell'intenditore che e' il solo a collezionare ceramiche
ritenute comuni".

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 168 del primo agosto 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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