Minime. 132



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 132 del 26 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. I morti libanesi
2. Oggi a Napoli
3. Onofrio Romano intervista Serge Latouche (1997)
4. Antonio Caronia intervista Serge Latouche (2004)
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. I MORTI LIBANESI

Tu
produci e vendi armi
cooperi affinche' con la violenza
sia retto e rotto il mondo e oppressi i popoli
mandi eserciti dove servirebbero case e scuole e ospedali
aiuti gli assassini

e ti stupisci
che gli assassini uccidano.

2. INCONTRI.  OGGI A NAPOLI
[Dall'associazione culturale Evaluna (per contatti:
libreriadelledonne at evaluna.it) riceviamo e diffondiamo]

Martedi' 26 giugno 2007, con inizio alle ore 19, presso la libreria delle
donne Evaluna, piazza Bellini 72, a Napoli, Arcilesbica "Le maree" di Napoli
presenta: "Fede, sessualita', diritti. Incontro aperto con don Franco
Barbero". Introduce Giordana Curati.
*
 Chi e' don Franco Barbero
Nasce nel 1939 a Savigliano (Cuneo) e nel 1963 viene ordinato sacerdote.
Dopo alcuni anni di ministero in seminario a Pinerolo (Torino), viene
mandato in una parrocchia periferica della citta', dove si distingue per il
suo impegno nella lotta per i diritti degli operai e antimilitarista. Nel
1973 fonda con alcuni/e uomini e donne provenienti da esperienze
parrocchiali, la comunita' cristiana di base (cdb) di Pinerolo. Da oltre 40
anni si occupa di ricerca biblica e teologica ed e' impegnato in attivita'
di volontariato. Note sono le sue prese di posizione teologiche e pastorali
contro il devozionalismo, a favore di separati/divorziati per il loro
diritto alle seconde nozze, a sostegno dell'impegno di gay e lesbiche per
vivere liberamente la loro condizione nella chiesa e nella societa'. Nei
suoi molti libri e nei suoi scritti apparsi sulla rivista "Viottoli"  ha
approfondito una spiritualita' di liberazione in cui azione e
contemplazione, impegno e preghiera si compenetrano con l'impegno di
crescita di una comunita', nel dialogo con centinaia di parrocchie, gruppi,
preti, teologi e teologhe. Il suo impegno teologico e pastorale ne fa un
itinerante in Italia e all'estero.
*
La libreria Evaluna
Evaluna e' una  libreria specializzata nella proposta delle tematiche
relative all'universo femminile. Da quattordici anni le donne in politica,
che scrivono libri o tengono corsi, ma anche artigiani e artisti, trovano
ospitalita' in un ambiente accogliente e gradevolissimo. Offre  spazi per
presentazioni, mostre, incontri musicali e poetici e sale per dibattiti e
lettura. Tra le ultime iniziative una biblioteca annessa a una sala da te'.
Si tengono corsi di fotografia, laboratori di scrittura e lettura, in piu'
e' possibile scoprire il volto misterioso di Napoli grazie alle interessanti
visite alla citta'. I libri protagonisti di Evaluna, sono in gran parte di
autrici italiane e straniere, mentre un settore consistente dello spazio e'
riservato alla storia di Napoli e alle novita' editoriali. Pari dignita'
hanno oggetti di fattura artigianale, di design, modernariato e
antiquariato, presentati in un mutevole e variopinto assortimento.
*
Per informazioni:
- Arcilesbica "Le Maree", vico San Geronimo 19, Napoli, e-mail:
napoli at arcilesbica.it, sito: http://arcilesbicanapoli.wordpress.com/
- Evaluna, la libreria delle donne, piazza Bellini 72, 80138 Napoli, tel.
081292372, e-mail: libreriadelledonne at evaluna.it, sito: www.evaluna.it

3. RIFLESSIONE. ONOFRIO ROMANO INTERVISTA SERGE LATOUCHE (1997)
[Dal sito www.edscuola.it riprendiamo la seguente intervista svoltasi a Bari
il 20 novembre 1997, ivi riportata per gentile concessione della rivista
"Ora locale".
Onofrio Romano e' docente di sociologia dei fenomeni politici
all'Universita' di Bari; e' socio-fondatore dell'Associazione
antiutilitarista di critica sociale; laureato in scienze politiche, ha
conseguito il dottorato di ricerca in sociologia presso l'Universita' di
Milano, sotto la direzione del professor Franco Cassano; si e' specializzato
in sociologia dello sviluppo presso l'Iedes di Parigi sotto la direzione del
professor Serge Latouche e ha partecipato al gruppo di ricerca del Ceaq
diretto da Michel Maffesoli; e' stato consulente per la comunicazione, la
formazione e lo sviluppo locale della societa' Sviluppo Italia; svolge
ricerche sulle culture del dopo-moderno in Occidente e nelle societa' del
basso Adriatico; e' autore di molti saggi apparsi in rivista e in volume.
Tra le opere di Onofrio Romano: L'Albania nell'era televisiva. Le vie della
demodernizzazione, L'Harmattan Italia, 1999; (con Michele Mangini, Vincenzo
Spadavecchia), Mutamenti levantini. La politica barese a cavallo di
tangentopoli, Progedit, 2003.
Serge Latouche, docente universitario a Parigi, sociologo dell'economia ed
epistemologo delle scienze umane, antropologo, esperto di rapporti economici
e culturali Nord/Sud, promotre del Mauss (Movimento antiutilitarista nelle
scienze sociali), propotore della rpoposta della decrescita, e' una delle
figure piu' significative dell'odierno impegno per i diritti dell'umanita' e
la difesa della biosfera. Opere di Serge Latouche: L'occidentalizzazione del
mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il pianeta dei naufraghi, Bollati
Boringhieri, Torino 1993; I profeti sconfessati. Lo sviluppo e la
deculturazione, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1995; La megamacchina. Ragione
tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso, Bollati
Boringhieri, Torino 1995; Il pianeta uniforme. Significato, portata e limiti
dell'occidentalizzazione del mondo, Paravia, Torino 1997; L'altra Africa.
Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino 1997, 2000; Il mondo ridotto
a mercato, Edizioni Lavoro, Roma 2000; La sfida di Minerva. Razionalita'
occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000;
L'invenzione dell'economia. L'artificio culturale della naturalita' del
mercato, Arianna Editrice, 2001; La fine del sogno occidentale. Saggio
sull'americanizzazione del mondo, Eleuthera, Milano 2002; Giustizia senza
limiti. La sfida dell'etica in una economia globalizzata, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; Il ritorno dell'etnocentrismo, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; Altri mondi, altre menti, altrimenti. Oikonomia
vernacolare e societa' conviviale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004;
Decolonizzare l'immaginario. Il pensiero creativo contro l'economia
dell'assurdo, Emi, Bologna 2004; Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla
decolonizzazione dell'immaginario economico alla costruzione di una societa'
alternativa, Bollati Boringhieri, Torino 2005; La scommessa della
decrescita, Feltrinelli, Milano 2007. Cfr. anche il libro-intervista curato
da Antonio Torrenzano, Immaginare il nuovo. Mutamenti sociali,
globalizzazione, interdipendenza Nord-Sud, L'Harmattan Italia, Torino 2000]

- Onofrio Romano: La sua opera piu' nota - L'occidentalizzazione del mondo -
e' uscita in Francia nel 1989. Il disegno teorico in essa tracciato,
tuttavia, era gia' riconoscibile nel saggio di tre anni precedente, Faut-il
refuser le developpement? (apparso in Italia col titolo I profeti
sconfessati). Un decennio, dunque. Un decennio nel quale molta acqua e'
passata sotto i ponti, a cominciare dal crollo dei paesi del socialismo
reale: e' percio' giunto il momento di chiedersi, parafrasando un vecchio
adagio, a che punto e' il processo di occidentalizzazione del mondo?
- Serge Latouche: Piu' avanzato che mai. Il movimento di uniformazione
planetaria, di unificazione del mondo sotto il segno dell'Occidente (e
dell'America, in primo luogo) e' entrato in una fase superiore, quella che
oggi denominiamo mondializzazione e della quale tanto si e' scritto. La
straordinaria riduzione dei costi di comunicazione e di trasporto ha abolito
le distanze, disintegrato le coordinate spazio-temporali, svalutando le
frontiere e lo spazio politico: viviamo effettivamente in un mondo unico, in
un villaggio planetario globale nel quale i mercati finanziari, al fine
unificati, dominano incontrastati sul resto dell'economia. Chi non trova il
proprio posto in questo universo uniformizzato e' semplicemente condannato a
scomparire.
*
- Onofrio Romano: Una visione che sembra non lasciare scampo. Eppure,
contemporaneamente al movimento di uniformazione, si sono sviluppate in
questo decennio alcune forme di resistenza. E' lei stesso a parlarne
diffusamente nel suo ultimo lavoro, L'altra Africa, e, sempre recentemente,
ha dedicato diversi saggi al fenomeno dei sistemi di scambio locale (Sel, o
Local exchange trade systems) - che si stanno diffondendo a macchia d'olio
in molti paesi occidentali -, nei quali gli esclusi creano reti di mutuo
sostegno, mettendo a disposizione vicendevolmente il proprio tempo e le
proprie risorse.
- Serge Latouche: Sfortunatamente non ci sono molte forme di resistenza.
Assistiamo piuttosto a reazioni di rigetto da parte di popolazioni
risentite, frustrate e umiliate dal processo di occidentalizzazione - penso,
in particolare, all'esplosione del fondamentalismo islamico. Sono delle
forme ad un tempo perverse ed ambigue, in quanto articolate sul modo della
gelosia o dell'invidia: seppur nel rifiuto di alcune sue manifestazioni, il
desiderio di Occidente resta molto profondo. Ne L'altra Africa parlo di
qualcosa che non si puo' propriamente chiamare resistenza: l'Africa non e'
piu' in corsa, non ha la pretesa di opporsi all'Occidente, e' ampiamente
marginalizzata in questo processo di uniformazione, del quale, al contrario,
desidererebbe essere parte integrante. Piuttosto che di resistenza, si
potrebbe parlare di forme di dissidenza, che si manifestano nella
straordinaria capacita' degli africani di tenere vivo il legame sociale
malgrado le condizioni di estrema difficolta', testimoniando cosi' la
possibilita' di auto-organizzare la propria esistenza pur collocandosi al di
fuori di un processo totalitario che non ammette resistenze. Per quanto
riguarda i sistemi di scambio locale, occorre in primo luogo mettere le cose
al loro giusto posto: malgrado la straordinaria esplosione di questo
movimento in Francia, siamo pur sempre nell'ordine di qualche migliaio di
persone coinvolte. Quantitativamente, il dato non e' significativo. Si
tratta di micro-esperienze di laboratorio che hanno, comunque, un notevole
valore di testimonianza: vi sono persone che non intendono lasciarsi
schiacciare dalla logica dell'occidentalizzazione integrale, che si
riorganizzano ai margini della "grande societa'" secondo altre logiche,
altri valori e pongono le basi per la ricostruzione del legame sociale.
*
- Onofrio Romano: Al centro della sua riflessione sulla cultura - pardon,
sull'anti-cultura - occidentale vi e' la tecnica. Ne La Megamacchina ha
sostenuto che l'una si sostanzia di fatto nell'altra e ne ha additato tutte
le conseguenze deleterie. Vi sono diversi filoni del pensiero marxista, in
particolare quello gauchista (nei cui confronti lei ha mostrato in passato
qualche simpatia), che hanno intravisto, al contrario, nella tecnica una
possibilita' di liberazione per l'uomo. Liberazione, in primo luogo, dal
lavoro. Qual e' il suo giudizio su questa prospettiva?
- Serge Latouche: Per dirla con Marx, e' una visione che confonde
l'apparenza e l'essenza delle cose. La liberazione dal lavoro mediante la
tecnica porrebbe innanzitutto un problema paradossale: nella visione
marxista, infatti, il lavoro e' il mezzo attraverso il quale l'uomo accede
alla sua realizzazione. Liberare l'uomo da cio' che lo rende tale, da quel
che lo conduce all'autoconsapevolezza sarebbe, dunque, catastrofico. Ancor
piu' grave, tuttavia, e' la pretesa di considerare la tecnica come un fatto
in se', prescindendo dalla valutazione del suo senso nella societe' moderna.
Una societa', vale a dire, il cui progetto specifico e' il dominio totale
dell'universo, quindi il dominio della natura e, per tale via, degli uomini.
La tecnica e' essenzialmente uno strumento di potere, rispetto alla cui
logica contingente l'uomo e' due volte spossessato della sua umanita': prima
in quanto ridotto a strumento di lavoro, poi in quanto deprivato del suo
lavoro. Occorre sempre risituare i fenomeni nella logica complessiva del
sistema. La visione emancipatrice della tecnica e', in fin dei conti,
estremamente superficiale ma, per la stessa ragione, molto diffusa. Non si
giungera' mai a far credere ad una casalinga che gli elettrodomestici non la
liberano ma la vincolano.
*
- Onofrio Romano: Prendendo spunto da questo statuto ambiguo del lavoro,
vorrei attirare la sua attenzione su altre parole chiave dell'Occidente, le
cui potenzialita' evocative e mobilitanti appaiono oggi alquanto appannate.
Quando lei parla della necessita' di un mutamento d'immaginario, pensa che
questo debba passare per una riscoperta del senso originario di parole
come"democrazia, liberta', autonomia, solidarieta', coscienza civile, ecc. o
ritiene che esse siano da bocciare puramente e semplicemente? In altri
termini, le nefandezze dell'Occidente, da lei instancabilmente denunciate,
sono imputabili ad un tradimento di quelle parole o ne sono il frutto
autentico e necessario?
- Serge Latouche: Questa domanda tira in ballo il percorso di alcuni miei
cari amici - Alain Caille', Cornelius Castoriadis, Pietro Barcellona ed
altri -, impegnati costantemente nel tentativo di restaurare il senso
originario della democrazia. Se e' vero che molte di queste parole possono
ancora suscitare delle reazioni nell'immaginario delle persone, se e' vero
che in esse e' possibile rinvenire un'aspirazione che oltrepassa il loro
mero statuto storico, io resto comunque piuttosto cauto. Ho sempre
manifestato una certa riserva in relazione alla rivendicazione democratica e
non perche' io non mi senta profondamente democratico. Cosi' come il
socialismo si e' tradotto nel "socialismo reale" e lo sviluppo nello
"sviluppo realmente esistente", la democrazia e' stata intrappolata nella
storia reale dell'Occidente, quindi della democrazia parlamentarista
occidentale. Le societa' africane hanno dei funzionamenti molto piu'
democratici delle nostre societa', ma non si sono mai pensate attraverso
questa concezione della democrazia. Anche rispetto al concetto di liberta',
sono giunto alla conclusione che in Africa l'individuo abbia un posto ben
piu' importante rispetto a quello riconosciutogli realmente nelle nostre
societa'. La maggior parte delle comunita' tradizionali producono
socialmente delle "persone", attraverso una lunga stagione formativa
scandita da rituali d'iniziazione. Presso i Senoufo, ad esempio, questa dura
ventuno anni e si sviluppa in tre fasi - la primaria, la secondaria e la
superiore. Il risultato e' la produzione di personalita' straordinarie,
armate per affrontare degnamente le sfide della vita, portatrici dei valori
della propria etnia e al contempo di una peculiarita' irriducibile al gruppo
d'appartenenza. Non e' un caso, del resto, che l'Africa mostri questa
straordinaria capacita' di dissidenza nel processo di appiattimento
planetario: la forza di personalita' del Senoufo gli permette di sfidare le
sollecitazioni del sistema occidentale, di disprezzare il denaro, di opporre
altri valori, poiche' egli ha una rotta da seguire nella sua vita. Nelle
nostre societa', al contrario, l'individuo e' completamente isolato in un
sistema che manipola il suo immaginario tramite la pubblicita' e la
propaganda: il suo comportamento tradisce un conformismo assoluto,
un'obbedienza supina a tutte le mode. Gli italiani ieri hanno votato in
massa per Berlusconi, oggi votano in maniera altrettanto compatta per la
sinistra: questo significa che non sanno piu' chi sono, che cosa vogliono.
Il mito occidentale dell'individuo autonomo e onnipotente e' una grande
fandonia: l'individuo nelle nostre societa' e' una pecora in mezzo al
gregge.
*
- Onofrio Romano: Le vostre analisi si concentrano sempre sugli estremi:
l'Occidente da un lato, l'Africa dall'altro. Qui nel Mezzogiorno d'Italia,
come in molte altre regioni del pianeta, ci ritroviamo in una situazione
ibrida, in cui modernita' e tradizione si fondono in sintesi nient'affatto
virtuose, che attingono spesso al peggio delle due forme. Succede cosi' che
coloro i quali non vogliono consegnare totalmente il Sud al rullo
compressore occidentale, si sentono sovente accusati di legittimare
indirettamente fenomeni deleteri come la mafia, il lavoro nero e forme piu'
o meno rinnovate di banditismo, di illegalita' diffusa, di comparaggio.
Com'e' possibile uscire da questa strettoia?
- Serge Latouche: La modernita' e' innanzitutto un mito. Essa ha prodotto
senza dubbio una rottura, ma questa non e' stata percepita come tale dalla
gente comune, in quanto la storia delle societa' appare sempre come un
continuum. Negli Stati Uniti la realta' e' stata spinta il piu' lontano
possibile nella direzione del mito. Si e' tentato di realizzarlo fin nei
minimi dettagli attraverso la sigla di un contratto sociale tra presunti
individui liberi ed eguali, che hanno deciso di fondare una societa' e di
darsi delle leggi (secondo il modello di Hobbes e di Locke). In compenso, se
si guarda all'America Latina, si ha a che fare con una societa' moderna o
con una societa' tradizionale? Vi e' uno straordinario meticciato, vi
coabitano indiani, africani, spagnoli, i quali non possono dirsi ne' moderni
ne' tradizionali, ne' occidentali ne' estranei all'Occidente. In questo
senso si puo' davvero affermare che siamo tutti africani (sebbene alcuni lo
siano piu' di altri). E' vero che i meridionali non si sentono completamente
americani, tuttavia, restano, solo per fare un esempio, sposati con
l'automobile (a Bari questo e' particolarmente evidente). Tutti desideriamo
beneficiare degli apporti della modernita' e della tecnica; e' diventato un
dovere, una seconda intima natura, ma al contempo vorremmo preservare i
valori dell'onore e della solidarieta'. Sono problemi che i popoli devono
risolversi in maniera autonoma. Ho sempre sostenuto di non avere soluzioni
per gli africani, non posso dire adesso di avere soluzioni da proporre agli
italiani del Sud: spetta a loro imboccare una via originale tra l'adesione
implicita e imprescindibile alla modernita' e le risorse della tradizione.
Spetta a loro inventare una forma di oltrepassamento, di postmodernita'.
*
- Onofrio Romano: Al tentativo d'inventare questo oltrepassamento, sta
lavorando da alcuni anni, almeno a livello intellettuale, il suo amico
pugliese Franco Cassano (i saggi raccolti ne Il pensiero meridiano stanno
riscuotendo una vasta eco). Lei crede ad un'alterita' meridiana?
- Serge Latouche: No. Apprezzo moltissimo gli scritti di Franco Cassano, ma
se dicessi che ci credo mentirei. Penso che esista effettivamente una
"sensibilita' meridiana", che questa possa spiegare molti atteggiamenti e
tradursi in scelte individuali coerenti. L'idea di una reale alterita'
meridiana mi sembra pero' eccessiva.
*
- Onofrio Romano: Ancora alla fine degli anni Ottanta le vostre idee erano
pressoche' tacciate d'eresia. Oggi conoscono una larga diffusione, per lo
meno in alcuni ambienti intellettuali e della societa' civile. Cio' che mi
sorprende, tuttavia, e' che l'adesione alle sue categorie interpretative non
si traduce quasi mai in un coerente mutamento di prospettiva e, ancor meno,
in un mutamento di prassi. Un esempio per tutti. Guglielmo Minervini ha
scritto recentemente un piccolo saggio sulla cittadina meridionale di cui e'
sindaco (Molfetta). Egli denuncia vigorosamente i disastri provocati nel
corso del secolo dalla modernita' e dallo sviluppo, salvo poi, una volta
arrivati al sodo, cioe' alle cose da fare, reclamare per la citta' "una
politica di rilancio dello sviluppo produttivo", "l'integrazione coerente di
tutti gli strumenti di pianificazione", "la transizione verso un modello
comunitario civile... non piu' feudale ma moderno", ecc. La buona modernita'
contro la cattiva modernita', al solito. Come spiega questo scarto
ricorrente?
- Serge Latouche: Molte persone, specie quelle che lavorano nel campo dello
sviluppo, dopo aver letto i miei libri, dopo aver assistito alle mie
conferenze, ne concludono entusiasticamente che, ad onore delle analisi
tracciate, occorrerebbe lavorare alla costruzione di uno sviluppo
alternativo. Ed io puntualmente mi metto le mani nei capelli. E' vero, a
volte mi sento malcompreso, ma non ho mai pensato che questo tipo d'analisi
dovesse sfociare immediatamente su delle posizioni o dei cambiamenti
concreti: il ruolo degli intellettuali e' di apportare un'illuminazione, le
persone ne fanno poi cio' che vogliono. Negli anni Ottanta, si puo' dire che
nessuno accettasse la critica dello sviluppo da me condotta. Oggi e'
diventata persino banale, ma cio' non vuol dire che si sia abbandonato
questo tipo d'immaginario. Io confido, piuttosto, nei cambiamenti
sotterranei, sottili e il cui impatto va verificato a lungo termine. La
storia ci dira'. C'e' da aggiungere, ad onor del vero, che quando si fa
un'analisi del movimento storico di uniformazione planetaria e dei misfatti
dello sviluppo si obbedisce ad un'etica della convinzione, ma quando abbiamo
da gestire la nostra vita o quella degli altri (come nel caso del buon
sindaco di Molfetta) entra in gioco l'etica della responsabilita': occorre
trovare la porta stretta tra le convinzioni e le posizioni concrete, quindi
operare necessariamente dei compromessi se si vogliono cambiare le cose,
perche' il mondo non si modellera' mai secondo i nostri desideri. Si vive,
malgrado tutto, in una realta' determinata e bisogna viverla nella maniera
migliore. L'importante e' non tradire i propri ideali, non passare, vale a
dire, dal compromesso alla vera e propria connivenza.

4. RIFLESSIONE. ANTONIO CARONIA INTERVISTA SERGE LATOUCHE (2004)
[Dal sito www.socialpress.it riprendiamo la seguente intervista a Serge
Latouche del settembre 2004 dal titolo "Contro l'universalismo"
(all'intervista ha collaborato Paola Ceretta).
Antonio Caronia e' giornalista, scrittore, traduttore (tra l'altro di
fondamentali libri di J. G. Ballard), operatore culturale; nato a Genova nel
1944 (ma residente a Milano, dove lavora) ha studiato matematica,
laureandosi con una tesi su Noam Chomsky; e' docente di comunicazione
all'Accademia di Brera; di formazione scientifica, con esperienze politiche
e interessi filosofici, si muove fra la teoria della comunicazione e
l'antropologia della tecnica; e' particolarmente interessato agli effetti
politici dell'innovazione tecnologica e agli aspetti estetici del
comportamento sociale in relazione alle nuove tecnologie; studioso di
scienze, tecnologia, letteratura e comunicazioni, svolge un'intensa
attivita' di saggista, divulgatore e traduttore di testi e romanzi
stranieri. Dal sito www.mediamente.rai.it riprendiamo la seguente notizia:
"Antonio Caronia, nato a Genova nel 1944, e', al di fuori del panorama
accademico, uno degli studiosi piu' originali e attenti dei fenomeni che
riguardano l'impatto sociale e culturale delle nuove tecnologie. E' studioso
di scienze, tecnologia, letteratura e comunicazioni; svolge un'intensa
attivita' di traduttore e divulgatore di testi e romanzi stranieri. E'
interessato alle modalita' d'impiego delle nuove tecnologie di informazione
e di comunicazione nell'arte. E' editorialista del mensile 'Virtual',
collaboratore della rivista 'Virus e, con Daniela Brolli, direttore di
'Aphaville'". Opere di Antonio Caronia: Cyborg, Theoria, Roma 1991;
Cyberpunk: istruzioni per l'uso, Stampa Alternativa, Viterbo 1995; Il corpo
virtuale: dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Muzzio,
Padova 1997; (con Domenico Gallo), Houdini e Faust: breve storia del
cyberpunk, Baldini & Castoldi, Milano 1997; Archeologie del virtuale.
Teorie, scritture, schermi, Ombre corte, Verona 2001; Il cyborg. Saggio
sull'uomo artificiale, ShaKe edizioni, Milano 2001]

Negli ultimi venticinque anni Serge Latouche ha contribuito, come e piu' di
altri intellettuali, alla chiarificazione e alla maturazione dei concetti
intorno a cui si sono costruiti i movimenti new global. Nato a Vannes, in
Bretagna, nel 1940, e' economista di formazione e antropologo per
esperienza. Negli anni Settanta ha trascorso molto tempo in Africa
occidentale, e qui ha maturato una svolta del suo pensiero, che dalle
posizioni marxiste tradizionali lo ha portato a una critica radicale delle
ideologie del "progresso" e dello "sviluppo", anche nella loro versione di
sinistra. Questa maturazione lo ha portato, nel 1981, a fondare con Alain
Caille' il Mauss (Movimento AntiUtilitarista nelle Scienze Sociali), e
l'omonima rivista di cui Bollati Boringhieri pubblica, dall'anno scorso,
l'edizione italiana.
Appoggiandosi anche al pensiero di Marcel Mauss e di Ivan Illich, Latouche
conduce da anni una polemica contro il pensiero utilitarista e
universalista, per liberare la societa' occidentale dalla dimensione
economicista che la imprigiona e dall'ipertrofia della tecnoscienza,
insomma, come egli dice, per "decolonizzare l'immaginario". Latouche
propugna un ritorno a quella dimensione di reciprocita', convivialita',
solidarieta' (e di attenzione agli aspetti ecologici) che sola puo'
consentire di sfuggire alla catastrofe verso cui ci porta lo "sviluppo", e
per questo e' diventato uno degli intellettuali piu' popolari nei movimenti
new global.
In Italia, Bollati Boringhieri ha pubblicato molte delle sue opere piu'
importanti. Oltre a Giustizia senza limiti. La sfida dell'etica in
un'economia mondializzata, da poco ristampata (pp. 282, euro 22),
segnaliamo: L'occidentalizzazione del mondo, Il pianeta dei naufraghi.
Saggio sul doposviluppo, La Megamacchina, La sfida di Minerva. Razionalita'
occidentale e ragione mediterranea, L'altra Africa. Tra dono e mercato, Il
ritorno dell'etnocentrismo (a cura di). Presso altri editori sono usciti: La
fine del sogno occidentale. Saggio sull'americanizzazione del mondo
(Eleuthera), L'invenzione dell'economia (Arianna Editrice), Miseria della
mondializzazione (Strategia della lumaca), Decolonizzare l'immaginario
(Editrice Missionaria Italiana).
A settembre Latouche, che e' spesso in Italia, ha parlato al festival della
letteratura di Mantova. Qui "Socialpress" lo ha intervistato.
*
- Antonio Caronia: Nelle prime pagine di Giustizia senza limiti, leggo: "Le
associazioni e le reti che, a torto o a ragione, pretendono di fare da
contrappeso [alla potenza finanziaria delle aziende transnazionali] sono in
larga misura strumentalizzate dai giganti dell'economia e della finanza. Una
societa' civile mondiale non esiste". Puo' chiarire a chi sono rivolti
questi rilievi critici?
- Serge Latouche: Quando scrissi quel passaggio pensavo alle Ong. Pensavo,
piu' precisamente, a quello che e' successo a Rio e a Johannesburg. A Rio
[Conferenza dell'Onu sull'ambiente e lo sviluppo, 1992 - ndr] abbiamo visto
le grandi imprese internazionali creare delle proprie Ong, per poter
partecipare a questo movimento, per poter mettere lo zampino anche nella
corrente delle Ong, e portare avanti le loro tesi anche in quest'ambito.
D'altra parte, molte Ong dipendono fondamentalmente dai finanziamenti
pubblici e privati, per cui la loro pretesa di rappresentare la societa'
civile mondiale va presa con molta cautela. Beninteso, ci sono delle Ong che
fanno delle cose egregie, ma molte altre Ong sono fasulle, sono di fatto
delle organizzazioni governative o dipendenti dalle aziende, quindi di fatto
sono schierate da quella parte.
Perche' non bisogna mai sottovalutare la capacita' di reazione
dell'avversario. E' una cosa che le aziende hanno capito benissimo: hanno
capito che i movimenti ecologisti, i movimenti di contestazione della
globalizzazione etc., potrebbero rappresentare una minaccia per il
funzionamento del sistema sul quale esse aziende si basano, e quindi bisogna
recuperare, lavorare dall'interno, fare in modo che anche in quei movimenti
ci sia una voce sostanzialmente favorevole agli interessi delle aziende. Le
Ong possono essere un cavallo di Troia per recuperare dei legami con questi
movimenti.
E' un discorso estremamente complesso. A Johannesburg [Vertice mondiale
sullo sviluppo sostenibile, 2002 - ndr] il World Business Council, che e'
l'organizzazione delle imprese per la conservazione dell'ambiente (ma che
raggruppa tutti i piu' grandi inquinatori del pianeta, come Esso, Nestle',
Total, etc.) ha contattato Greenpeace, dicendo loro: "Guardate, una cosa e'
sicura, non saranno certo gli stati a salvare il pianeta". Questo discorso
e' interessante. Dice: gli stati non sono capaci di decidere nulla. Dunque
se c'e' qualcuno che puo' fare qualcosa siamo noi, o nessun altro. E percio'
dovete lavorare con noi, bisogna lavorare insieme. Ora io non nego che ci
possano essere dei responsabili di impresa che siano coscienti dei pericoli
per l'ambiente rappresentati da un'attivita' industriale sregolata, e che
quindi con loro si possano fare dei compromessi. Ma non credo che questi
compromessi possano portare molto lontano, non credo che possano riguardare
piu' che degli obiettivi limitati: cio' di cui c'e' bisogno qui sono delle
regolamentazioni, dei vincoli forti all'attivita' industriale, e una vera
regolamentazione non puo' andare nell'interesse delle aziende
transnazionali, oggi.
*
- Antonio Caronia: Criticando l'utilitarismo, lei cita spesso la famosa
formula del filosofo scozzese del Settecento Francis Hutcheson: "La maggiore
felicita' per il maggior numero di persone possibile", a cui gli
utilitaristi come Bentham e Stuart Mill appunto si ispirarono. Vuole tornare
sull'argomento, e dirci cosa c'e' di sbagliato in questa formula?
- Serge Latouche: E' una formula un po' assurda. Molto semplicemente, dal
punto di vista logico, dire "la felicita' maggiore per il numero maggiore"
significa massimizzare due cose nello stesso tempo. O si ha la maggior
felicita' per un numero ristretto di persone, o c'e' una certa felicita' per
la maggioranza - ma non si possono avere entrambe le cose. Se abbiamo due
cose che crescono contemporaneamente, possiamo dare la stessa felicita' a un
numero sempre piu' grande di persone, e cosi' avremo massimizzato il numero
di coloro che godono di questa "felicita'", oppure possiamo dare la piu'
grande felicita', ma soltanto a qualcuno. In ogni modo, con il sistema
attuale, in cui si realizzano profitti giganteschi, si puo' dare "la
maggiore felicita'" a un numero maggiore di persone solo perche' si sono
massimizzati degli elementi (insomma perche' e' cresciuta la ricchezza). Nel
sistema dello Stato sociale, nessuno aveva profitti cosi' giganteschi, ma
tutti avevano un aumento misurato del proprio benessere. Insomma, e' un
sistema contraddittorio e assurdo.
E poi la formula e' criticabile anche perche' e' un effetto della hybris,
l'orgoglio smisurato che gli antichi greci criticavano appunto perche'
rappresenta l'eccessivo, cio' che non ha misura ne' limite. Ma che cosa
significa poi "la maggiore felicita'"? Io non ho bisogno della maggiore
felicita', ho bisogno della felicita' e basta. Essere felici e' gia'
sufficiente. Al limite, se anche volessimo parlare di dimensione, si
potrebbe dire che non e' male neanche una "piccola felicita'". Ma in realta'
quantificare la felicita' e' stupido. E' evidente che questo atteggiamento
apre la porta all'economicizzazione del mondo e all'economicizzazione dello
spirito. Per poterla quantificare, la felicita' deve essere ridotta al
prodotto nazionale lordo, e questo e' assurdo, stupido e pericoloso, anche
perche' gli effetti sono sotto gli occhi ti tutti.
Io credo che quando Beccaria utilizzo' anche lui questa formula non fosse
del tutto cosciente dei suoi effetti, dell'ipertrofia dell'economia che si
andava preparando e che si sta realizzando pienamente oggi. Adesso nel
dibattito, evidentemente, c'e' una consapevolezza maggiore, ma le radici di
questo atteggiamento risalgono ai tempi di Francesco Bacone. La
colonizzazione dell'immaginario e' un processo che ha ormai una certa
storia, in fondo segna gia' l'inizio della modernita'.
*
- Antonio Caronia: Lei critica la prospettiva universalista, cioe' la
pretesa della civilta' occidentale di imporre a tutto il mondo una serie di
valori considerati validi per tutto il genere umano. Ma criticando
l'universalismo, non c'e' il rischio di cadere in un eccessivo relativismo?
La difesa a oltranza delle culture particolari (come abbiamo gia' visto) non
crea lacerazioni e conflitti in nome di una visione ristretta
dell'identita'?
- Serge Latouche: Sono contro l'universalismo perche' e' una creazione
dell'occidente, perche' e' un'ideologia occidentale, e una forma di
imperialismo culturale: in fondo, e' l'identita' della "tribu' occidentale"
(per riprendere il termine di Rino Genovese). Io credo invece che dobbiamo
valorizzare l'aspirazione a un dialogo fra le culture, a una coesistenza
delle culture. Per questo alla prospettiva dell'universalismo opporrei
piuttosto un "universalismo plurale", che consiste nel riconoscimento e
nella coesistenza di una diversita', e nel dialogo fra queste diversita'.
Dietro a tutto cio' sta una questione filosofica molto importante, perche'
l'universalismo si e' fondato sulla credenza in valori "naturali": si pensa
che i valori occidentali siano degni di essere diffusi ovunque, che siano
migliori dei valori di altre culture, perche' li si considera insiti nella
natura dell'uomo, si pensa che l'occidente abbia espresso meglio di altre
culture cio' che accomuna tutti gli esseri umani.
Naturalmente le cose non stanno affatto cosi': non ci sono e non ci sono mai
stati "valori naturali", i valori sono tutti culturali, quindi semmai c'e'
una diversita', che bisogna sostenere con il dialogo. Pensiamo alla cultura
indiana. Per un indiano la vita di una mucca e' fondamentale. Non si puo'
uccidere una mucca. Noi invece, tanto per fare un esempio, a causa della
mucca pazza abbiamo massacrato milioni di mucche. Ora, se vogliamo
coesistere con gli indiani e rispettare i loro valori, dobbiamo capire che
bisogna dialogare anche con le cose che non ci piacciono. Ci sono delle cose
che fanno gli indiani e che a noi sembrano orribili, come ci sono cose che
noi facciamo e che sembrano orribili agli indiani. Allora, dobbiamo
accettare questa situazione, poi, una volta accettata la diversita' possiamo
anche negoziare, ma da uguale a uguale.
Il problema e' che l'universalismo e' una trappola, potremmo dire un "errore
universale": noi abbiamo preso i nostri valori, considerati espressione di
un modo di pensare "naturale", e abbiamo voluto imporli a tutti gli altri.
*
- Antonio Caronia: Be', e' come dire (e mi sembra che qualcuno l'abbia
detto) che tutte le culture sono uguali, ma ce n'e' qualcuna che e' piu'
uguale delle altre...
- Serge Latouche: Si', e' quello che diceva il mio amico Castoriadis. Io non
ho mai accettato questa formula: ci sono delle culture che sono piu' potenti
di altre, che possono imporsi alle altre, che possono anche distruggerle, ma
piu' uguali di altre, via... Eppure questa formulazione e' interessante,
perche' indica che in certe circostanze alcune culture possono, almeno in
parte, prendere le distanze da se stesse.
Il problema e' che la consapevolezza della propria cultura in una certa
misura rende piu' difficile porre la questione della diversita' delle
culture. Insomma, il dialogo fra culture e' necessario, ma bisogna essere
consapevoli che al di la' di un certo limite sara' un dialogo tra sordi.
Certo, possiamo capirci perche' condividiamo certe cose, ma questa
comprensione non puo' mai essere totale, perche' ognuno di noi e' sempre
all'interno di una cultura, e guarda i problemi in funzione della propria
cultura. Non c'e' una soluzione definitiva a questo problema: c'e' solo il
rispetto della diversita'. Nel momento in cui si ha un minimo di rispetto,
di tolleranza per l'altro, allora si puo' fare qualche passo avanti.
*
- Antonio Caronia: Che cosa pensa dell'elaborazione delle femministe a
questo proposito? In fondo, e' stato il femminismo che ha posto con piu'
forza (e a volte anche con chiarezza) il problema dei limiti culturali, del
"punto di vista" inevitabilmente parziale da cui ognuno di noi parla.
- Serge Latouche: Sono d'accordo, con delle precisazioni. A volte vengo
aggredito da qualche femminista, che mi rimprovera di non parlare delle
donne. Be', rispondo dicendo che non ne ho parlato perche' non sono una
donna, siete voi donne che ne dovete parlare. Si comincia a parlare dall'"io
sono", non e' vero?
Secondariamente, c'e' un malinteso su questo punto quando si apre un dialogo
con altre culture, perche' anche il femminismo e' nato in una societa'
occidentale, ed e' nato a partire dalla visione individualista della nostra
cultura, che sacralizza l'individuo a scapito delle altre dimensioni, di
gruppo o anche personali. Per noi l'individuo e' tutto, ma non e' cosi' per
altre societa', per altre culture, che spesso hanno una visione olistica,
integrale, del rapporto fra gli esseri umani e il mondo.
Percio' riconosco la legittimita' del movimento femminista all'interno del
mondo occidentale, che concepisce la societa' come un'associazione di
individui. E' normale che in una situazione come questa le donne, per cosi'
dire, rivendichino la loro parte; ma al tempo stesso bisogna comprendere che
puo' non essere lo stesso in altre societa', in cui il rapporto fra i sessi,
il rapporto fra uomini e donne, e' concepito a partire da una visione
globale: in queste societa' non e' detto che le donne stesse maturino un
punto di vista "femminista" all'occidentale. Malgrado tutto, siamo sempre
alienati. Alienati puo' essere un altro termine per designare una situazione
in cui tutto e' formattato, in un modo o in un altro. Se non si e'
formattati in un certo modo lo si e' in un altro. Da questo punto di vista
l'individualismo e' una forma di alienazione.
*
- Antonio Caronia: Nel suo intervento, oggi, lei ha detto che "il
multiculturalismo e' il cosmetico della mondializzazione". Puo' spiegare
questa affermazione?
- Serge Latouche: Mi riferisco a un certo discorso multiculturalista,
quello, ad esempio, sviluppato dalle agenzie di viaggio, che promuove la
"scoperta di nuove culture" come una cosa fantastica, e parla di una
diversita' che non si era mai vista nella storia dell'uomo. Questa e' una
forzatura, un errore storico. Il multiculturalismo non e' stato una scoperta
della modernita', ne' della postmodernita'. Ci sono gia' state esperienze di
convivenza tra culture diverse, e non cosi' livellatrici come quella di
oggi. L'antropologo Marco Aime lo dice bene. A Venezia, fra il XIII e il XV
secolo, c'erano albanesi, c'erano ottentotti, che vivevano in certi
quartieri, gli ebrei vivevano nel ghetto, ma non era una condizione
realmente escludente. Nessuno era uguale, e ognuno era differente in
rapporto al potere. Non voglio dire che tutto funzionasse, ma c'erano dei
meccanismi di bilanciamento e di compensazione.
Quello che va demistificato e' l'uso che si fa del multiculturalismo per
nascondere il terribile dramma dell'uniformazione planetaria: la diffusione
generalizzata di McDonald's, della Coca-Cola, di un modo di vita occidentale
che viene presentato come ideale, e che colonizza le menti delle persone
distruggendo al tempo stesso i loro mezzi di sussistenza. Quando si fa bere
la Coca-Cola a delle popolazioni africane o latinoamericane, si distruggono
le imprese locali, l'artigianato locale, le tradizioni locali, in cui ci
sono bevande particolari come succhi di frutta o succo di canna da zucchero,
etc. La stessa cosa avviene per l'alimentazione, con McDonald's e il fast
food. Questa e' un'uniformazione culturale. E la stessa cosa avviene per la
musica: si esalta la musica folk, la musica etnica, ma tutto cio' in realta'
passa attraverso una formattazione hollywoodiana, americana...
*
- Antonio Caronia: Ma allora non e' possibile un multiculturalismo che vada
in un'altra direzione, che costruisca un vero dialogo fra le culture?
- Serge Latouche: Bisogna capire che ogni cultura, in se stessa, e'
multiculturale. Ma lo e' realmente, autenticamente, non perche' si
costruisce un discorso artificiale sulle culture "esotiche", che e' solo uno
specchietto per le allodole. Ogni cultura e' multiculturale perche' e'
necessariamente aperta agli apporti di altre culture. La sua identita' sta
nella pluralita'. Quella che viviamo adesso, invece, e' la distruzione di
ogni identita', di ogni capacita' di orientamento. All'interno della propria
cultura oggi ognuno sta perdendo i propri punti di riferimento, nessuno sa
piu' chi e', nessuno sa piu' a cosa credere: e questa e' la porta aperta al
totalitarismo, e' cosi' che si crea il potere totalitario. La gente diventa
facile preda di piu' o meno astuti "imprenditori di identita'". La cosa piu'
grave e' che tutto questo e' gia' successo, e noi ce ne stiamo dimenticando.
L'analisi che ha fatto Reich dell'ascesa del nazismo (utilizzando strumenti
della psicanalisi e del marxismo), mostra bene che una delle cause
principali di quel fenomeno fu che la classe media tedesca aveva perso tutti
i suoi punti di riferimento, le sue difese. Perche' i punti di riferimento
sono anche delle difese immunitarie.
*
- Antonio Caronia: Lei crede che il movimento antiglobalizzazione sia in
grado di cambiare - almeno in parte - questa situazione?
- Serge Latouche: Non so se possa farlo nella sua forma attuale. Ma penso
che questo movimento abbia gia' dato dei buoni risultati: e' stato in grado
di mettere in crisi alcuni progetti dei governi e delle aziende
transnazionali, ha diffuso nell'opinione pubblica un certo numero di temi.
Certo, e' un movimento ben lontano dall'essere monolitico, unificato, e'
attraversato da contraddizioni le piu' varie. Ma penso che sia un movimento
importante. Ma io confido anche in un altro antidoto, che e' un modo di
trasformare in ottimismo il pessimismo, ed e' quello che io chiamo "la
pedagogia delle catastrofi". Io sono sicuro che questo sistema mondiale
abbia una indubbia capacita' di autodistruzione. E credo che questa
consapevolezza possa essere diffusa. Noi possiamo attrezzarci a vivere
questo cambiamento, questa condizione, superando le tendenze alla
distruzione, credo che possiamo costruire una sorta di laboratorio del
futuro. E credo che questa oggi sia un po' la missione degli intellettuali
impegnati.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 132 del 26 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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