Minime. 129



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 129 del 23 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Dona ferentes
2. Maria G. Di Rienzo: Afghanistan
3. "Noi siamo Chiesa" ricorda Giuseppe Alberigo
4. Raffaella Menichini: Luisa Diogo
5. Giorgio Straniero ricorda Nicola Abbagnano
6. Gianni Vattimo ricorda Nicola Abbagnano
7. Il "Cos in rete" di giugno 2007
8. Sara Gandini presenta "Tra le braccia sue" di Camille Laurens
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. DONA FERENTES

La coalizione militare di cui l'Italia fa parte una nuova ha commesso strage
di civili in Afghanistan.
I parlamentari italiani che hanno votato la guerra di tanta efficienza
saranno contenti.
A ciascuno di essi in premio e in ricordo si rechi, ancora caldo e
sanguinolento, un pezzettino di cadavere.

2. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: AFGHANISTAN
[Ringraziamo  Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un
piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

E' circa mezzogiorno, e' il 12 giugno 2007: le bambine escono dalle loro
classi, alla scuola femminile Qalay Meadan (a sud di Kabul, nell'area Qala-e
Saeed Habib), per tornare a casa.
Ma la' fuori ci sono uomini armati di fucile, in attesa. Fanno il tiro a
segno sulle ragazzine, senza che nessuno li contrasti. Ne uccidono due sul
colpo, sei restano ferite.
D'altronde i talebani avevano avvisato donne e bambine di star lontane dalle
scuole. Continuano a bruciarle e ad uccidere insegnanti. Una questione di
moralita', sapete, anche quando la scuola e' interamente femminile, anzi,
soprattutto se lo e'. Una questione di "costumi loro", via, non vorremo
imporre alle bambine afgane il valore occidentale (?) del diritto allo
studio, per non parlare di quello alla vita.
Shaista, del villaggio di Asad Khyl a nord di Kabul, ha dodici anni. Vuole
diventare medica, per curare la sua gente. "Ho ancora tante difficolta'. Non
ho scarpe, e non ho vestiti decenti per andare a scuola, e non ho tutti i
libri. Ne ho comperati otto con i miei risparmi, ma non sono tutti. Adesso
nel villaggio abbiamo l'elettricita' per qualche ora, la sera, e cosi' posso
guardare i programmi educativi alla televisione. Non ho mai mancato un
giorno, a scuola. Pero' adesso mio padre e altre persone mi dicono che le
ragazze non devono andare a scuola, solo i ragazzi ci vanno, per cui
dall'anno prossimo non dovrei piu' andarci. Ma io voglio continuare,
studiare medicina, laurearmi. Il mio sogno e' ancora diventare una medica".
Cerco di mettermi nei panni del padre e sto male. Cosa dico a mia figlia, a
questa figlia dal viso cosi' serio che pare gia' un'adulta, a questa figlia
dal cuore grande che sogna di fare del bene? Che le scolare sono bersagli
mobili? Che la preferisco viva e infelice? Che la paura per lei e l'amore
per lei mi stanno strozzando? Che mi vergogno di non essere in grado di
comprarle le scarpe? Che le nostre tradizioni islamiche bla bla bla?
Haji Abdullah Saleh e' un anziano dello stesso villaggio: "I talebani sono
un grosso problema. Il Pakistan e l'Iran li stanno finanziando e danno loro
armi. Sono un problema anche per l'Islam: non vogliono che il paese sia
pacifico e si regga sulle proprie gambe, e tutto quello che ci hanno
lasciato sono scuole bruciate, case bruciate, giardini bruciati. Questo e'
inaccettabile per la legge islamica. I talebani hanno sporcato il nome
dell'Islam, come puo' essere in accordo con l'Islam uccidere ragazzine
all'uscita delle scuole? Se avessero servito Dio, il popolo non li avrebbe
odiati, e non e' vero che difendono l'Islam dall'invasione delle 'idee
occidentali', non hanno questo potere, l'Islam si difende da se'".
*
Durante gli ultimi tre mesi, la parlamentare afgana Shukria Barakzai ha
ricevuto lettere dal proprio governo in cui la si mette in guardia: un
attentato suicida viene preparato contro di lei, deve essere prudente. Altri
cinque deputate sono nelle sue stesse condizioni. Su 391 membri del
parlamento afgano, le donne sono 91. "Il governo mi avvisa che la mia vita
e' in pericolo, ed e' tutto. Neppure una riga su cosa intende fare per
garantire sicurezza a me e alle altre". Barakzai, che e' madre di tre
ragazze, dice di essere diventata un bersaglio "per gruppi diversi di
insorgenti ed islamisti politici", perche' ha parlato contro i signori della
guerra, sostiene i diritti delle donne ed e' critica verso il Pakistan. "Sto
diventando pazza, con questa storia. Amici e parenti mi dicono di lasciare
il paese. Mio marito e' sconvolto. Sono anche una madre e una moglie, e lo
so. In questi giorni, quando vado al lavoro, mi chiedo sempre se tornero' a
casa viva".
La deputata Tooarpekay, la sola parlamentare donna proveniente dalla
provincia di Zabul, le fa eco: "Sono molto preoccupata. I talebani hanno
cominciato ad aggredire le donne che lavorano, nella mia provincia". La
deputata sa bene cosa significa: per studiare, quand'era bambina, si
intrufolo' in una scuola maschile. Per vent'anni, prima di essere eletta al
parlamento, ha servito la propria comunita' come insegnante elementare ed
assistente sanitaria. Quando decise di presentarsi alle elezioni, per
rappresaglia i talebani le uccisero il fratello, che aveva solo 22 anni.
*
E se questa e' la situazione per donne che potremmo definire influenti, le
condizioni di coloro che non lo sono potete immaginarle: la sola Commissione
indipendente afgana per i diritti umani ha documentato 1.500 casi di
atrocita' contro le donne occorsi nel 2006. Un terzo delle donne afgane e'
vittima di violenza domestica; centinaia vengono sposate contro la propria
volonta', centinaia si danno fuoco o bevono veleni per sfuggire a violenze
ed imposizioni. "I consigli tribali decidono ancora il destino delle donne
nella maggior parte delle zone rurali", dice Soraya Sobhrang, membro della
Commissione, "La maggior parte dei giudizi di questi consigli sono contrari
pregiudizialmente alle donne. Abbiamo una Costituzione, un sistema legale,
dei tribunali: perche' i consigli tribali devono decidere della vita delle
donne?".
Perche' la macchina burocratica e' apatica, corrotta, priva di un vero
potere, sostengono gli analisti politici afgani, e non e' in grado di
portare avanti i propri compiti, ovvero l'osservanza del dettato
costituzionale ed il provvedere con essa un certo grado di sicurezza ai
propri cittadini. Se si visitano uffici governativi per ottenere permessi o
certificati, raccontano gli afgani, il funzionario nove volte su dieci dice
al visitatore: "Shirni bee", che significa "Dammi dei dolcetti". Si tratta
di un eufemismo per chiedere la tangente, una tangente che il piu' delle
volte il cittadino non e' neppure in grado di pagare. Per fare un esempio,
il salario di un insegnante in Afghanistan equivale a 60 dollari
statunitensi: il prezzo di un sacco di farina e' di 30 dollari.
*
In questi giorni, per migliorare le cose, arriva circa un autobus all'ora
proveniente dall'Iran. (I dati sono della Commissione delle Nazioni Unite
per i rifugiati). Ne scendono i profughi rimpatriati a forza e ricevono
dalla polizia una bottiglia d'acqua, un pacchetto di biscotti, un fagotto di
indumenti ed il permesso di fare una telefonata gratuita ai propri parenti.
Le vettovaglie provengono dall'interessamento di una ong umanitaria; dal
governo afgano i rimpatriati ricevono un biglietto chilometrico gratuito
pari a 120 Km, che li trasbordera' nella citta' di Herat, da dove dovranno
cavarsela da soli. Bambini di dodici anni sono stati rimpatriati da soli,
senza adulti di riferimento. Decine di migliaia di persone stazionano in
Herat, oggi, allungando a dismisura la fila davanti agli uffici di
collocamento. Sui dorsi delle loro mani ci sono ancora i numeri a inchiostro
scritti dalla polizia iraniana. Le loro storie sono allucinanti: "Mia moglie
e i miei bambini sono rimasti in Iran, anche se io avevo supplicato di
lasciarci partire insieme", racconta piangendo un giovane uomo, "Non ho
fatto in tempo neanche a ritirare lo stipendio, io lavoravo in Iran, e a
consegnarlo alla mia famiglia. Cosa faranno adesso? Se qualcuno butta mia
moglie e i bimbi sulla strada chi dara' loro rifugio?".
Un uomo piu' anziano, che ha vissuto e lavorato in Iran per 28 anni, oggi
non ha neppure i soldi per pagarsi il biglietto sino alla sua citta' natale,
Kabul. E' amareggiato e furibondo: "Nessuno si cura di noi. Non capisco
ancora perche' gli iraniani hanno fatto questo. Noi siamo musulmani, e loro
sono musulmani, e allora perche' ci hanno trattato cosi'?".
Il direttore generale dell'Ufficio per l'immigrazione iraniano, Ahmad
Hosseini, sostiene che si tratta di una buona decisione: "L'Iran sta facendo
moltissimo per aiutare lo sviluppo e la ricostruzione ad Herat. Ma siamo
determinati a risolvere il problema dell'immigrazione illegale. Non possiamo
spendere per i rifugiati quel che dovremmo spendere per il nostro paese".
"Io non ero illegale", dice un uomo della fila dei disoccupati, "Lo sono
diventato quando hanno preso il mio passaporto e lo hanno fatto a pezzi
davanti ai miei occhi. Che razza di legge, che razza di giustizia, sono
queste?".
*
Scusatemi, davvero vorrei non parlare piu' dell'Afghanistan.
Prometto di smettere immediatamente non appena cominceranno a parlarne
altri: i giornalisti per cui le bambine ammazzate fuori dalle scuole, la
condizione delle donne afgane ed il rimpatrio forzato dei profughi non sono
notizie; e i responsabili delle nostre missioni "umanitarie" - per sapere se
sono questi i risultati che hanno ottenuto sino ad ora.
Per favore, una volta tanto fatemi stare zitta.

3. LUTTI. "NOI SIAMO CHIESA" RICORDA GIUSEPPE ALBERIGO
[Da Vittorio Bellavite (per contatti: vittorio.bellavite at fastwebnet.it)
riceviamo e diffondiamo questo comunicato di "Noi siamo Chiesa".
"Noi siamo Chiesa" fa parte del movimento internazionale We Are
Church-Imwac, fondato a Roma nel 1996. Esso e' impegnato nel  rinnovamento
della Chiesa Cattolica  sulla base e nello spirito  del Concilio Ecumenico
Vaticano II (1962-1965). Imwac e' presente in venti nazioni ed opera in
collegamento con i movimenti per la riforma della Chiesa cattolica di
orientamento simile. (per contatti: via N. Benino 3, 00122 Roma, via Bagutta
12, 20122 Milano, tel. 022664753 - 3331309765, e-mail: vi.bel at iol.it, sito:
www.we-are-church.org/it).
Vittorio Bellavite, docente, coordinatore di "Noi Siamo Chiesa" a Milano, da
molti anni una delle figure piu' vive del movimento dei cristiani per il
socialismo e dell'esperienza delle comunita' di base, e' da sempre impegnato
nei movimenti di pace e di solidarieta'.
Giuseppe Alberigo e' stato professore di Storia della Chiesa nella Facolta'
di Scienze politiche dell'Universita' di Bologna. Ha diretto l'Istituto per
le Scienze religiose di Bologna, fondato da Giuseppe Dossetti. Opere di
Giuseppe Alberigo: Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella Chiesa
universale. Momenti essenziali tra il XVI e il XIX secolo, Herder, 1964;
(con Angelina Nicora Alberigo), Giovanni XXIII. Profezia nella fedelta',
Queriniana, 1978; (con Giannino Piana, Giuseppe Ruggeri), La chiesa italiana
nell'oggi della fede, Marietti, 1979; Chiesa conciliare. Identita' e
significato del conciliarismo, Paideia, 1981; (con Hubert Jedin), Il tipo
ideale di vescovo secondo la riforma cattolica, Morcelliana, 1985; La
riforma protestante. Origini e cause, Queriniana, 1988; Giovanni XXIII:
transizione del papato e della Chiesa, Borla, 1988; La chiesa nella storia,
Paideia, 1988; Nostalgie di unita'. Saggi di storia dell'ecumenismo,
Marietti, 1989; Il cristianesimo in Italia, Laterza, 1989, Mondadori,
1992;(con Enzo Bianchi, Carlo Maria Martini), La pace: dono e profezia,
Qiqajon, 1991; (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II, 5 voll. Il
Mulino,1995-2001; (con Massimi Marcocchi, Claudio Scarpati), Il concilio di
Trento. Istanze di riforma e aspetti dottrinali, Vita e Pensiero, 1997;
Chiesa santa e peccatrice, Qiqajon, 1997; Dalla laguna al Tevere. Angelo
Giuseppe Roncalli da S. Marco a San Pietro, Il Mulino, 2000; Papa Giovanni
(1881-1963), Edb, 2000; Breve storia del concilio Vaticano II (1959-1965),
Il Mulino, 2005; (con Alberto Melloni, Eugenio Ravignani), Giuseppe
Dossetti. Un itinerario spirituale, Nuova Dimensione, 2006]

"Noi siamo Chiesa" partecipa, con profondo dolore, al lutto per la scomparsa
del professor Giuseppe Alberigo, fondatore e maestro della ricerca
storico-religiosa nel XX secolo, discepolo di Dossetti e suo continuatore
nella riflessione laica sulla presenza dei cattolici nella societa' e nelle
istituzioni.
L'Istituto per le scienze religiose di Bologna ha costituito e costituisce
una voce di grande autorevolezza ed indipendenza in un paese in cui, in
campo cattolico, gli studi teologici e storico-religiosi sono tutti soggetti
al controllo confessionale.
La Storia del Vaticano II, curata da Alberigo, testimonia della "rottura
epocale" costituta dal Concilio; ora essa viene messa ufficialmente in
discussione ed e' questo il motivo dell'isolamento nel quale si cerco'
invano di confinarlo.
Nel suo recente ultimo intervento esortava, appassionatamente ma invano, la
Conferenza episcopale a non intervenire sulla normativa in materia di coppie
di fatto, nei modi preannunciati. Questo suo appello  fu sottoscritto da
migliaia di  credenti che, con lui, ritengono che la Chiesa debba fare un
passo indietro ed avere un approccio piu' pastorale nell'affrontare i
problemi della societa' italiana...

4. PROFILI. RAFFAELLA MENICHINI: LUISA DIOGO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo gia' apparso su "D Donna", supplemento del
quotidiano "La Repubblica" del 21 aprile 2007, col titolo "Senhora
Mozambico" e il sommario "Ha risollevato l'economia restituendo dignita' al
suo Paese. Per la premier Luisa Diogo l'Africa puo' farcela".
Raffaella Menichini e' giornalista del quotidiano "La Repubblica".
Su Luisa Diogo dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo per stralci
la seguente scheda: "Luisa Dias Diogo (11 aprile 1958) e' primo ministro del
Mozambico dal 18 febbraio 2004... Prima di divenire primo ministro era
ministro delle finanze, incarico che continua a ricoprire ancora oggi. Luisa
Diogo ha studiato economia all'Eduardo Mondlane University di Maputo,
laureandosi nel 1983. Ha poi conseguito nel 1992 un dottorato in economia
finanziaria presso l'University of London. Nel 1980 ha iniziato a lavorare
per il Ministero delle Finanze del Mozambico, diventando capodipartimento
nel 1986 e 'national budget director' nel 1989. Ha poi lavorato per la Banca
Mondiale come funzionario in Mozambico..."]

"Fortune" l'ha definita una delle cento donne piu' potenti del pianeta.
"Time" l'ha inserita nella lista dei leader piu' influenti del mondo. Lei,
Luisa Dias Diogo, indossa il potere con la sicurezza di un manager e la
luminosita' dei suoi abiti africani. Prima donna capo di governo in
Mozambico, entrata in carica nel 2004 ad appena 45 anni e unica leader
politica d'Africa insieme alla presidente della Liberia Ellen
Johnson-Sirleaf, ha portato in pochi anni il suo Paese dal sottosviluppo a
ritmi di crescita paragonabili a quelli delle "tigri" asiatiche.
Se il reddito pro capite del Mozambico e' raddoppiato negli ultimi dieci
anni, il merito e' anche e soprattutto suo: economista, gia' ministro delle
Finanze ed esperta della Banca Mondiale, membro della commissione ristretta
sulla riforma delle Nazioni Unite, Diogo e' abituata a muoversi tra i grandi
numeri della finanza e i nomi che contano della politica internazionale.
Allo stesso tempo, conosce esattamente la vita di un contadino mozambicano,
la sua fatica, i suoi bisogni.
Soprattutto, sa riconoscere il valore meno visibile: il lavoro e il sapere
delle donne, che considera l'arma per risolvere la poverta' del continente.
Di piu': per fare di un Paese povero un Paese competitivo. "Tutto ruota
intorno alle donne, loro sono la soluzione. Bisogna solo creare lo spazio
perche' possano dimostrare le loro capacita' e potere. Il resto e'
semplice".
Ma "semplice", in Mozambico, non e' una parola d'uso comune. Il Paese e'
stato devastato, negli ultimissimi mesi, da catastrofi ambientali e
umanitarie che avrebbero messo in ginocchio una potenza mondiale. Le
inondazioni hanno devastato la zona centrale: una sessantina le vittime,
oltre 120.000 gli sfollati. Dopo di che il violento ciclone Favio ha colpito
il Sud, proprio dove sono sorti, negli ultimi anni, molti resort turistici.
La stessa zona e' ciclicamente colpita dalla siccita', vero flagello dell'ex
colonia portoghese che, per farvi fronte, deve ricorrere agli aiuti
internazionali.
E ancora, le piaghe della guerra, che aprono squarci dolorosi anche a
distanza di tanti anni, per esempio la grande esplosione in un silos di armi
abbandonato, che ha ucciso 101 persone e riportato alla memoria le ferite di
16 anni di sanguinoso conflitto civile. Una guerra che Diogo, militante del
partito socialista Frelimo, non ha combattuto per motivi anagrafici. Il che
la rende ancora piu' unica: non legata al dualismo distruttivo di
quell'epoca, e' una delle prime leader della nuova generazione mozambicana
pronta a guardare al futuro.
"Il nostro e' un Paese vulnerabile e bellissimo, potenzialmente ricco",
dice, con passione, quando la incontriamo in una pausa tra le sue molte
battaglie. E' stata invitata a Roma a partecipare alla trentesima sessione
del Governing Council dell'Ifad (international Fund for Agricultural
Development), unico organismo finanziario delle Nazioni Unite che porta
avanti nove progetti di aiuti allo sviluppo rurale in Mozambico: negli
ultimi 14 anni ha investito nel Paese oltre 140 milioni di dollari.
Diogo affronta i recenti disastri con piglio deciso e pragmatico. "Le
alluvioni del 2001 furono utili per farci migliorare la sicurezza e la
prevenzione. Andai nelle zone colpite: era un incubo, non c'era
coordinamento, nessuno sapeva cosa fare, dove portare i senzatetto, come
proteggerli dalle epidemie, come nutrirli. Ora tutto e' cambiato. Abbiamo un
sistema di allerta collegato con le agenzie ambientali dell'Onu, che ci da'
informazioni sulla possibilita' di inondazioni o siccita'. A ottobre ci e'
arrivato l'allarme, e abbiamo messo a punto il piano d'emergenza. Ci ha
permesso di limitare i danni, ma soprattutto di coinvolgere in tempo la
popolazione, farle capire perche' doveva lasciare le case e come avrebbe
potuto continuare a lavorare i campi nelle zone a rischio. Abbiamo centri
d'accoglienza, scuole dove i figli degli sfollati hanno priorita'
nell'iscrizione e centri di distribuzione di cibo, acqua, assistenza".
L'aiuto della comunita' internazionale e' necessario. "I Paesi donatori
sanno che siamo seri: chiediamo solo se e' inevitabile".
*
La strategia di Luisa
Il Mozambico ha subito una piccola rivoluzione strutturale negli ultimi
anni, grazie a questa donna instancabile, che non lavora solo per il suo
Paese: l'Onu l'ha incaricata di delineare una strategia che permetta ai
Paesi piu' poveri di coinvolgere l'imprenditoria privata negli obiettivi di
sviluppo. "Sappiamo cosa puo' fare la natura. Le inondazioni sono cicliche,
arrivano in media ogni cinque anni. La siccita', anche. Quindi ci
prepariamo, siamo flessibili: dighe e gestione idrica sono i rimedi
possibili. Prodotti specifici per combattere la siccita' che,
paradossalmente, ora e' l'emergenza maggiore: dobbiamo nutrire centomila
persone".
La strategia di Luisa Diogo ha un obiettivo: ridurre la poverta',
modernizzando il Mozambico. "Il nostro piano ha tre aspetti essenziali:
istruzione, assistenza sanitaria, lavoro per tutti. Per questo abbiamo
bisogno di un misto di pubblico e privato. Sono pubbliche tutte le
infrastrutture, le comunicazioni e le telecomunicazioni. I privati vanno
incoraggiati a investire, a creare occupazione. Perche' questo accada,
abbiamo avviato una grande battaglia contro la corruzione, autentica piaga
del Mozambico. E qui veniamo al secondo piano, quello del buon governo,
ovvero: trasparenza del sistema giudiziario e decentramento. Il mio e' un
Paese molto bello ma assai difficile da amministrare. L'abbiamo diviso in 40
distretti, con finanziamenti locali che funzionano in modo eccezionale,
investimenti molto piu' efficienti e una spesa pubblica distribuita in modo
piu' adatto alle esigenze locali".
La premier non e' donna da fermarsi davanti al grande tabu' dell'Africa,
l'Aids, che sta bloccando lo sviluppo di Paesi a lei vicini e con grandi
potenzialita': uno su tutti il Sudafrica, che si rifiuta di riconoscere e
affrontare l'emergenza. Per Diogo, l'Aids e' una perdita economica, e come
tale va affrontata. "E' un problema enorme, uno dei rischi maggiori per il
nostro sviluppo. Il tasso di infezione e' del 16,8%. Muoiono insegnanti,
infermieri. In totale, stiamo perdendo l'1% del Pil a causa delle morti o
delle inabilita' per Hiv. Avevamo un tasso di crescita dell'8-9%, ora siamo
sul 7-8. Nelle aree dove l'Aids e' piu' diffuso, la produttivita' e' molto
bassa".
*
Leadership e futuro (femminile)
Le risorse del Mozambico sono soprattutto le sue donne e i suoi uomini: le
loro capacita' vanno valorizzate, potenziate, usate. "Ci sono priorita'
trasversali, prima tra tutte la questione femminile. Il premier e' una
signora, deve essere una priorita' per forza", dice Diogo con una gran
risata. "E settori che vanno potenziati, da quello della difesa alla
gestione dell'emergenza".
Liberia e Mozambico: che ci siano due donne alla guida di altrettanti
importanti Paesi africani e' incoraggiante, ma Diogo non vi legge un segno
di svolta o, quantomeno, non il piu' interessante. "E' sempre utile che le
ragazze abbiano punti di riferimento durante la crescita, qualcosa che dia
loro la forza di uscire e dire: posso farcela. Ma la questione non e' solo
avere o meno un presidente donna. Dobbiamo andare sul terreno, verificare le
condizioni reali. Il 70% della popolazione mozambicana lavora
nell'agricoltura: andiamo a vedere quali sono le condizioni delle donne
contadine, come funziona la loro istruzione, come nutrono ed educano i
bambini, come si comportano quando hanno pochi soldi e devono scegliere chi
far studiare. Mettiamo che il bambino sia stupido e la bambina intelligente:
la famiglia scegliera' di far studiare lei o il fratello? E salendo di
livello: come vengono fatte le scelte di genere nella leadership
dell'apparato statale? E nelle professioni? Quando sono entrata al ministero
delle Finanze, soltanto il 12% delle posizioni dirigenziali erano occupate
da donne. Quando sono andata via, avevano superato il 50%. Ma non ho fatto
niente di speciale: avevo a disposizione persone competenti, brillanti e ho
dato loro opportunita' e spazi per dimostrarlo. Le africane sono molto
potenti, anche se non lo danno a vedere".
O, forse, non lo sanno. Racconta Diogo con un gran sorriso: "Nel 2005 sono
andata in un piccolo villaggio nel Sud, a discutere della siccita' che stava
devastando l'area. Il governatore mi ha presentata alla comunita' locale:
'Ecco il primo ministro'. Un'anziana signora si e' alzata: era forte, le sue
erano mani da contadina. Ha cominciato a gridare: 'Mi avete mentito, mi
avete sempre mentito!'. Noi la guardavamo allibiti, e lei: 'Non sapevo di
essere cosi' potente!'. A 60 anni aveva incontrato me, e aveva capito che
una donna, in Africa, puo' farcela".

5. MEMORIA. GIORGIO STRANIERO RICORDA NICOLA ABBAGNANO
[Dal settimanale "La voce del popolo" del 15 luglio 2001, col titolo "A
cento anni dalla nascita, un ricordo del filosofo torinese.
L'esistenzialismo di Abbagnano".
Giorgio Straniero, saggista, e' stato assistente-ricercatore di filosofia
teoretica all'Universita' cattolica di Milano e docente ordinario nei licei;
svolge la professione di psicologo ed e' consulente Rai per le trasmissioni
culturali; collabora a numerosi giornali e riviste, tra cui il quotidiano
"Avvenire" e i settimanali "La voce del popolo" e "Il nostro tempo". Tra le
opere di Giorgio Straniero: L'ontologogia fenomenologica di Teilhard de
Chardin, Vita e Pensiero, Milano 1969; Crisi della presenza e tecniche di
reintegrazione culturale, Gribaudi, Torino 1970; Psicologia, Aiace, Torino
1972; Enciclopedia storica della pedagogia, Teti, Milano 1980; (con Vittorio
De Luca), Un figlio ad ogni costo? Le adozioni in Italia tra racconti ed
esperienze. Le leggi e il parere degli esperti, Sei, Torino 1995; La
democrazia dei valori, Sei, Torino 1997; (con Francesco S. Garofani),
Dialoghi su Moro. Un contributo alla storia, Rai-Eri. Roma 1998; Dalla terra
all'anima, Marsilio, Venezia 1999; I pensatori del Novecento, Istituto
Poligrafico Zecca di Stato - Editalia, Roma 2001; Le nuove teologie, Bruno
Mondadori, Milano 2003.
Nicola Abbagnano (Salerno 1901 - Milano 1990), illustre filosofo e storico
della filosofia. Un'ampia notizia biobibliografica e' nelle "Notizie minime
della nonviolenza" n. 127. Utilissimo il sito alla sua figura ed alla sua
opera dedicato: www.nicolaabbagnano.it]

L'analisi critica della struttura dell'esistenza come possibilita' di
rapporto con l'Essere. E' stata questa la linea di pensiero di Nicola
Abbagnano, di cui ricorre il centenario della nascita il 15 luglio,
sviluppata coerentemente nel corso della sua lunga vita. Docente di Storia
della filosofia nell'Universita' di Torino, negli anni Cinquanta e Sessanta,
ha rappresentato l'alternativa "laica" al predominio di area cattolica da
parte dei suoi colleghi, personaggi di alto livello come Augusto Guzzo,
Carlo Mazzantini, Luigi Pareyson.
Certo, era un "laico" Abbagnano, ma non nel senso che e' stato sviluppato
dai suoi allievi ed assistenti accademici. Abbagnano si dichiarava
sostenitore di una forma di esistenzialismo fedele alla formulazione data
dal danese Soeren Kierkegaard, padre riconosciuto dell'esistenzialismo
novecentesco. E per tale ragione, Abbagnano aggiungeva al suo
esistenzialismo il termine "positivo", per differenziarlo da quello da lui
definito "negativo", formulato dai grandi interpreti Heidegger, Jaspers e
Sartre. Il concetto base dell'esistenzialismo kierkegaardiano e' quello
della "possibilita'" come scelta ineludibile e non suscettibile di soluzione
razionale. Di fronte ad una simile alternativa, Kierkegaard affermava che
l'Io non puo' che essere colto dall'angoscia, intesa come vertigine della
liberta', derivante dal fatto che la decisione presa, anche dopo essere
stata messa in atto, rimane una possibilita' che non esclude la validita'
possibile delle altre. Di fronte a un problema di ordine logico, se si
riesce a trovare la soluzione razionale, alla fine si e' soddisfatti. Di
fronte a un "problema" invece di ordine esistenziale, la scelta di
un'alternativa, mediante una decisione della volonta', lascia intatto a
livello teoretico il dubbio che non si tratti della scelta giusta. Di qui
l'angoscia.
Abbagnano, nella sua monumentale Storia della filosofia, mette in relazione
la posizione di Kierkegaard con quella di Hegel, sostenitore dello
svolgimento necessario della storia come manifestazione dello Spirito
infinito, secondo una prospettiva panteistica. Di fronte alla negazione
della liberta' del singolo individuo, espressa da tale concezione, Abbagnano
sottolinea come Kierkegard abbia inteso affermare la dignita' del carattere
strutturalmente problematico dell'esistenza individuale. Cosi' pure,
Abbagnano mette in evidenza la differenza tra la concezione di Kierkegaard e
quella di Carlo Marx, a sua volta, come Hegel, ma in senso materialistico,
convinto della necessita' del processo storico che si sviluppa secondo una
razionalita' dialettica di lotta di classe.
L'uomo si trova dunque secondo Kierkegaard di fronte a delle alternative che
impegnano la sua liberta' senza una risposta razionale. Non tutti gli uomini
pero' avvertono tale condizione. C'e' chi si limita ad una forma di
esistenza a carattere strettamente "estetico", che secondo l'etimologia del
termine si lascia condurre dalle "sensazioni". A tale condizione, come
afferma nell'opera Aut-aut, subentra uno stato di noia, di insoddisfazione,
che puo' risvegliare la coscienza del soggetto, il quale si pone la
questione di senso rispetto al suo agire. Dallo stadio estetico si passa
cosi' a quello "etico", che corrisponde alla vita condotta secondo le regole
della societa'. Ma anche questo stadio puo' essere messo in crisi
dall'ulteriore presa di coscienza della propria responsabilita'. A chi si
deve rendere veramente conto del proprio agire? Chi puo' realmente decidere
circa cio' che e' bene e cio' che e' male? E' sufficiente la volonta' di un
essere umano, o si deve riconoscere che il bene e il male sono tali
realmente solo di fronte all'assoluto, quindi a Dio? Si apre quindi la
possibilita' della scelta religiosa, che Kierkegaard, nell'opera Timore e
tremore, esemplifica con quella paradossale di Abramo.
Abbagnano segue Kierkegaard fino al punto della possibilita' della fede. La
scelta a favore dell'uomo o a favore di Dio, come fondamento dell'ordine
morale, non e' pero', secondo la linea del pensiero kierkegaardiano,
riconducibile ad una risposta razionale. Si puo' con "timore e tremore"
accettare Dio, e in particolare il Dio cristiano, come decide Kierkegaard, o
rifiutarlo, ma sempre con "angoscia", in quanto la ragione non esclude
l'altra possibilita'. Nell'opera La struttura dell'esistenza, Abbagnano
parla a questo proposito di "possibilita' trascendentale", nel senso che il
compito della filosofia e' quello di fornire criticamente il fondamento
della possibilita' in quanto possibilita', cioe' di dimostrare la
"possibilita' della possibilita'", che non si traduce mai in necessita',
neppure a posteriori, col senno di poi. Tale condizione e' estesa alla
storia, al suo carattere di contingenza, cioe' di espressione della liberta'
umana.
Abbagnano polemizza vivacemente, come si e' detto, con i grandi interpreti
dell'esistenzialismo, che non sono rimasti fedeli all'impostazione
kierkegaardiana. Heidegger ha affermato l'inevitabile annullarsi di ogni
possibilita', per cui la vita "autentica" e' quella che anticipa tale esito
nichilistico mediante l'"essere per la morte". Jaspers ha a sua volta
espresso l'impossibilita' di raggiungere l'Essere trascendente, con
l'inevitabile "scacco" per l'esistenza. Sartre, da parte sua, sostiene che
l'uomo e' nella situazione di doversi sostituire a Dio nel decidere su cio'
che e' bene e su cio' che e' male, "se sia meglio condurre i popoli o
ubriacarsi in solitudine".
Abbagnano definisce quindi "positivo" il suo esistenzialismo. Pur nel dubbio
teoretico, in sede pratica l'uomo "deve" scegliere quali contenuti dare alla
sua azione. E negli ultimi anni, come un antico saggio stoico, in
conversazioni tenute con il pubblico attraverso i giornali, era solito
raccomandare di agire secondo una linea di moderazione e di tolleranza tale
da non annullare il diritto altrui alla "possibilita'".

6. MEMORIA. GIANNI VATTIMO RICORDA NICOLA ABBAGNANO
[Dal quotidiano "La stampa" del 17 novembre 2003, col titolo "Il filosofo
che ci ha insegnato Sartre e Juliette Greco".
Gianni Vattimo (Torino 1936), filosofo, docente universitario, e' da sempre
impegnato per i diritti civili. Dal sito www.giannivattimo.it riprendiamo la
seguente scheda biografica di Gianni Vattimo: "Gianni Vattimo e' nato nel
1936, a Torino, dove ha studiato e si e' laureato in filosofia; ha poi
seguito due anni i corsi di Hans Georg Gadamer e Karl Loewith
all'universita' di Heidelberg. Dal 1964 insegna all'Universita' di Torino,
dove e' stato anche preside della facolta' di Lettere e filosofia. E' stato
visiting professor in alcune universita' americane (Yale, Los Angeles, New
York University, State University of New York) e ha tenuto seminari e
conferenze in varie universita' di tutto il mondo. Negli anni Cinquanta ha
lavorato ai programmi culturali della Rai. E' membro dei comitati
scientifici di varie riviste italiane e straniere; e' socio corrispondente
dell'Accademia delle Scienze di Torino. Laurea honoris causa
dell'Universita' di La Plata (Argentina, 1996). Laurea honoris causa
dell'Universita' di Palermo (Argentina, 1998). Laurea honoris causa
dell'Universita' di Madrid (2003). Grande ufficiale al merito della
Repubblica italiana (1997). Attualmente e' vicepresidente dell'Academia de
la Latinidade. Nelle sue opere, Vattimo ha proposto una interpretazione
dell'ontologia ermeneutica contemporanea che ne accentua il legame positivo
con il nichilismo, inteso come indebolimento delle categorie ontologiche
tramandate dalla metafisica e criticate da Nietzsche e da Heidegger. Un tale
indebolimento dell'essere e' la nozione guida per capire i tratti
dell'esistenza dell'uomo nel mondo tardo moderno, e (nelle forme della
secolarizzazione, del passaggio a regimi politici democratici, del
pluralismo e della tolleranza) rappresenta per lui anche il filo conduttore
di ogni possibile emancipazione. Rimanendo fedele alla sua originaria
ispirazione religioso-politica, ha sempre coltivato una filosofia attenta ai
problemi della societa'. Il "pensiero debole", che lo ha fatto conoscere in
molti paesi, e' una filosofia che pensa la storia dell'emancipazione umana
come una progressiva riduzione della violenza e dei dogmatismi e che
favorisce il superamento di quelle stratificazioni sociali che da questi
derivano. Con il piu' recente Credere di credere (Garzanti, Milano 1996) ha
rivendicato al proprio pensiero anche la qualifica di autentica filosofia
cristiana per la post-modernita'. Una riflessione che continua nelle ultime
pubblicazioni quali Dialogo con Nietzsche. Saggi 1961-2000 (Garzanti, Milano
2001), Vocazione e responsabilita' del filosofo (Il Melangolo, Genova 2000)
e Dopo la cristianita'. Per un cristianesimo non religioso (Garzanti, Milano
2002). Recentemente ha pubblicato Nichilismo ed emancipazione (Garzanti,
Milano 2003). Con la volonta' di battersi contro i dogmatismi che alimentano
violenze, paure e ingiustizie sociali si e' impegnato in politica... [anche
come eurodeputato]. Collabora come editorialista a La Stampa, Il Manifesto,
L'Unita', L'Espresso, El Pais e al Clarin di Buenos Aires"]

Si e' commemorato ieri Nicola Abbagnano in un serata milanese (al Teatro
Franco Parenti), organizzata dalla Utet (con l'Associazione Pier Lombardo).
Per i tipi della Utet sono uscite le sue opere piu' diffuse: la Storia della
filosofia su cui molti di noi hanno studiato e il monumentale Dizionario di
filosofia, capolavoro originale del pensiero italiano, giacche' altri (anche
buoni) dizionari che circolano sono traduzioni. Solo questo dobbiamo ad
Abbagnano? La serata milanese e' stata anche l'occasione di ripensare il suo
contributo teorico in senso piu' stretto, niente affatto irrilevante e
soprattutto assolutamente attuale, benche' questo aspetto della sua
eredita', quello che egli stesso battezzo' "esistenzialismo positivo" e poi,
insieme a Bobbio, "neoilluminismo", sembri oggi posto in secondo piano, non
solo dai critici, ma anche dai discepoli storici (piu' antichi, e dediti
prevalentemente al lavoro storiografico), che oggi insegnano nelle
universita'.
Come filosofo teorico, Abbagnano era emerso soprattutto negli anni
successivi alla seconda guerra mondiale, quando, insieme al piu' giovane
collega Luigi Pareyson, era stato uno dei primi banditori del verbo
esistenzialista in Italia. L'esistenzialismo era allora la grande moda
filosofica, almeno sul continente; e il tono prevalentemente pessimista di
quella filosofia era anche molto congeniale al clima culturale del
dopoguerra: Sartre, la Juliette Greco delle caves di St. Germain des Pres, e
soprattutto l'idea dello "scacco" che dominava le opere di Jaspers, la
negativita' angosciata che spirava dalle pagine di Kierkegaard e di Barth,
la "decisa anticipazione della propria morte" di Heidegger, erano i temi di
un pensiero che, se non si risolveva con il salto nella fede degli
esistenzialisti cristiani, come appunto Pareyson, dava luogo a un impegno
esistenziale cosi' disincantato da dissolversi in un vero e proprio
nichilismo irrazionalistico. Bobbio pubblicava a meta' degli anni Quaranta
la sua Filosofia del decadentismo, mettendo in guardia proprio contro questi
esiti. I quali anche ad Abbagnano, fin dalla Struttura dell'esistenza,
andavano stretti.
Del resto anche negli anni precedenti Abbagnano aveva sempre avuto uno
spiccato interesse per la scienza e una avversione marcata per gli esiti
irrazionalistici del romanticismo. A tutto questo si lega anche il suo
"esistenzialismo positivo": la lettura della filosofia dell'esistenza come
di una filosofia della possibilita'. Heidegger aveva gia' definito
l'esistenza come "progetto gettato". Abbagnano partiva di qui, e da
Kierkegaard, per criticare il negativismo di queste filosofie, che egli
vedeva determinato da una preferenza per la categoria di necessita'. Dunque
ne' l'inevitabile (necessario) scacco dell'ateo Sartre, ne' il salto nel Dio
onnipotente (anch'esso necessario) degli esistenzialisti cristiani: ma la
vita umana come apertura progettuale che doveva cercare di mantenersi tale
anche nelle scelte morali. Una scelta etica positiva e' quella che non si
chiude alla propria possibile ripetizione futura, cioe' che non nega la
propria stessa possibilita': se rubo non posso accettare che gli altri lo
facciano, cosi' se mento o uccido. Era anche un modo di riprendere l'etica
di Kant.
In questo quadro, l'Abbagnano del dopoguerra sviluppa il proprio interesse
per il pragmatismo anglosassone, anzitutto per Dewey. In questa prospettiva
la scienza non e' conoscenza definitiva del "vero", ma soluzione di problemi
via via diversi. Anche dei "problemi di tutti", come suona il titolo di un
libro di Dewey. Di qui, negli ultimi anni, vengono gli scritti divulgativi
dell'Abbagnano "giornalista", che alcuni suoi discepoli videro come un segno
di debolezza senile; ma che invece risultano un aspetto costitutivo proprio
del suo impegno esistenziale-positivo, che corrisponde, su un altro piano,
all'impegno piu' francamente politico del suo amico Bobbio.
C'e' un'attualita' in tutto cio'? Se si pensa che oggi uno dei piu' noti e
interessanti filosofi americani, come Rorty, propugna un neopragmatismo che
si ispira insieme a Heidegger, Wittgenstein e Dewey, ci si rende conto che
la "possibilita'" dell'esistenzialismo positivo di Abbagnano si mantiene
ancora, secondo il programma. Come una possibilita' ben nettamente aperta.

7. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI GIUGNO 2007
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti:
l.mencaroni at alice.it) riceviamo e diffondiamo]

Cari amici,
vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di giugno 2007 del "Cos in rete" -
www.cosinrete.it - per pensare e discutere nello spirito della nonviolenza.
Ricordando il Cos [Centro di orientamento sociale] di Capitini, il primo
esperimento di partecipazione democratica alle decisioni del potere locale e
nazionale, raccogliamo e commentiamo una scelta di quello che scrive la
stampa sui temi capitiniani della nonviolenza, difesa della pace,
liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso,
religione aperta, educazione aperta, antifascismo.
In questo numero: I pregiudizi di don Milani, Usa e Asl, Possiamo ancora
sognare?, Vegetariani per salvare la terra, La folle tournee supera gli U2,
ecc.
La partecipazione al "Cos in rete" e' libera e aperta a tutti mandando i
contributi all'indirizzo: capitini at tiscali.it o al blog del "Cos in rete":
http://cos.splinder.com
Il sito con scritti di e su Aldo Capitini e': www.aldocapitini.it

8. LIBRI. SARA GANDINI PRESENTA "TRA LE BRACCIA SUE" DI CAMILLE LAURENS
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it).
Sara Gandini e' un'autorevolissima intellettuale femminista, partecipe di
varie esperienze di cultura ed impegno civile. Tra le opere di Sara Gandini:
(con Brigitte Germain), Infotheque. La civilisation branchee, Edizioni
Juvenilia, 2006.
Camille Laurens (Digione, 1957), scrittrice francese, docente di letteratura
in Francia (a Rouen) e a lungo in Marocco, autrice di vari romanzi. Opere di
Camille Laurens: Index, 1991; Romance, 1992; Les Travaux d'Hercule, 1994;
Philippe, 1995; L'Avenir, 1998; Quelques-uns, 1999; Dans ces bras la'. 2000;
Le Grain des mots, 2003; L'Amour, 2003]

Camille Laurens, Tra le braccia sue, Einaudi, euro 13,43.
Scrive degli uomini della sua vita con un'ironia pungente: il padre, il
marito, l'amante, l'amico, il lettore, l'editore. Lei e' interessata alla
differenza sessuale e questa indaga, con un'audacia e una capacita'
strepitosa di mostrare l'essenziale, con poche illuminanti parole. "Le donne
che parlano di uomini", questo incuriosisce la protagonista, nient'altro.
Uomini, solo uomini, qualsiasi altra conversazione e' noiosa, superflua, una
perdita di tempo. La sua conoscenza geografica e' strettamente umana. Niente
puo' essere piu' interessante o vitale per lei che parlare di uomini. E li
racconta a un uomo, l'ultimo in ordine di tempo, che ha seguito uscendo da
un caffe' perche' attratta dai suoi fianchi stretti, dalle sue belle spalle
e dal modo di vestire. Lui ascolta. E' uno psicanalista specializzato in
terapia coniugale.
Io l'ho trovata a tratti geniale. Per certi aspetti mi assomiglia molto, per
altri rappresenta un po' un mito da raggiungere, per altri e' all'opposto di
me, ma quegli opposti interessanti, intriganti, che fanno pensare.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 129 del 23 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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