Minime. 111



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 111 del 5 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Il decisionista
2. Bruna Peyrot: Cara Cindy
3. Barbara Romagnoli: La lettera. Di una donna
4. Marcello Flores: La legge sulla "lustracja"
5. Wlodek Goldkorn ricorda Ryszard Kapuscinski
6. Carmen Concilio intervista Tsitsi Dangarembga
7. Letture: AA. VV., Quale Europa per una civilta' di pace?
8. Letture: Max Eastman, Il giovane Trotsky
9. Riedizioni: Marco Valerio Marziale, Epigrammi
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. AL TEATRINO SANGUINARIO DEI VORACI BURATTINI. IL  DECISIONISTA

Guerra fino allo sterminio
degli afgani rozzi e brutti.
E' gia' deciso.

Armi fino a averne ingombri
piazze, case e giardinetti.
E' gia' deciso.

Nuove basi militari
dei padroni d'oltremare.
E' gia' deciso.

Scudo utile a assestare
primo il colpo nucleare.
E' gia' deciso.

*

Ma se tutto e' gia' deciso
la democrazia a che serve?

2. LETTERE. BRUNA PEYROT: CARA CINDY
[Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br) per
questo intervento.
Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da
anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di
periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri;
vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto
politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati
alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area
latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei
processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio
nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete.
Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una
curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo
alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle
scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione,
una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane
fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile
di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004; La
cittadinanza interiore, Citta' Aperta, 2006.
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il
successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in
cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli
per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e
alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One
Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books; in italiano e'
disponibile: Mamma pace. Contro la guerra, per i nostri figli, Sperling &
Kupfer, Milano 2006]

Cara Cindy,
"piccola creatura pacifica", capisco la tua rabbia. E la tua pena. Perdere
un figlio e' un'idea che nessuna lingua esprime con una parola sola.
Esistono le vedove e le orfane ma le madri che vedono morire un figlio prima
di loro come si nominano? Gia' questo mi sembra un'ingiustizia del destino
umano, femminile in  modo particolare. Quanti figli le guerre hanno rapito,
torturato e ucciso. Quanti progetti umani le guerre hanno interrotto e
divorato? La guerra ha ingoiato anche tuo figlio. tu dici che non capisci
piu' il suo sacrificio, che e' morto per nulla. Dal tuo punto di vista di
madre che e' tale in questa Storia e in questa vita, e' possibile che sia
cosi'. Certo Casey non e' morto per gli obiettivi che gli avevano
raccontato, che l'America di Bush e' andata raccontando. E certo da questo
punto di vista la sua morte suona inutile. Ma non e' cosi': non e' stato
inutile il suo sacrificio perche' ha lasciato a te, sua madre, un'eredita'
di vita da decifrare, dei significati da ritrovare, dei valori da ricomporre
e proclamare. La sua vita annullata dalla guerra ha chiamato te a offrire la
tua per capovolgere quella assurdita'.
Il tuo grido di dolore e' stato trasformato, proprio come un'antica
alchimia, in passi che hai compiuto (materiali e ideali), per invocare
attenzione e giustizia. Hai fatto bene a chiedere attenzione, a volere, come
hai scritto e come ti hanno detto, essere al centro dell'attenzione.
A cosa si vuole dare attenzione oggi? A chi vince un torneo di calcio, ai
battibecchi fra politici eminenti? Alle top model delle sfilate annuali?
E' stato meraviglioso come tu hai attirato l'attenzione.
Tuttavia, la tua testimonianza non puo' essere sostenuta a lungo da sola.
tutte le testimonianze aprono nuove cose, ma poi perche' diventino fortezze
di nuove giustizie devono appartenere a molti.
Tu sei stata e sei "una piccola creatura pacifica", come tante altre. Volevi
portare da sola il peso della redenzione dell'America? hai lanciato una
cometa per tutti i democratici del mondo... ora tocca al mondo seguitare a
costruire democrazie vere.
Il tuo "addio" non e' un addio a "tutto", forse e' solo un addio a quella
forma di solitudine della testimonianza che ti ha colpita, a essere
"abbandonata", oppure ad avere bisogno di nuove forme, di ricostruire
intorno a se nuove relazioni, a partire da quelle familiari che per qualche
tempo hai sospeso.
Il tuo grido, tuttavia, mi par di sentire, non e' solo quello di una madre
offesa nelle sue viscere per la morte di un figlio, speso a una causa
inutile, ma il grido di chi si sente tradito dalla propria patria e dalla
politica intesa come dialogo per vivere meglio insieme. Ma se ti puo'
consolare questo e' un grido in cui non sei sola. Sono migliaia le persone
che lo stanno ripetendo, uomini e donne, ma soprattutto donne che in questo
secolo appena passato e in questo nuovo millennio hanno gridato alla luce
del sole e spesso continuato a gridare in silenzio...
Non e' un abbandono il tuo, Cindy. E' un momento di ripensamento. E poi le
azioni che ognuna di noi compie sul cammino della ricerca di verita' non
sono mai invane... restano: nella memoria, nell'energia contagiosa delle
testimonianze, nella storia che ti ricordera' e ricordera' tuo figlio.
A presto, dunque...
Bruna

3. EDITORIALE. BARBARA ROMAGNOLI: LA LETTERA. DI UNA DONNA
[Ringraziamo Barbara Romagnoli (per contatti: barbara at amisnet.org) per
questo intervento.
Barbara Romagnoli, giornalista professionista, e' nata a Roma nel 1974 e da
gennaio 2006 vive a Leiden in Olanda; si e' laureata in filosofia con una
tesi su "Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo", si e'
sempre interessata di studi di genere e femminismi, ha partecipato a
seminari e incontri sulla storia e i movimenti politici delle donne in
Italia e all'estero; ha lavorato per diversi anni alla rivista "Carta", ora
collabora come freelance con varie testate (tra cui "Liberazione", "Marea",
"Peacereporter", "Amisnet", "Aprile"). Fa parte del collettivo A/matrix con
cui condivide la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola]

Non e' un caso che sia una donna, ho pensato dopo aver letto la lettera di
Cindy Sheehan. Perche' sono pochi gli uomini, a mia memoria, che avrebbero
scritto righe cosi' lucide pur nel dolore e nella delusione e avrebbero
accettato cosi' pacatamente il limite del corpo, prima che della mente, che
dice basta. Alle sofferenze, alle ingiurie, alla guerra che ha ucciso un
figlio e ne ha allontanati altri. Ad una politica afona, incolore, che non
vuole farsi carico dei reali bisogni di chi la alimenta e la paga, di chi
vota in buona fede pensando che il programma elettorale sara' davvero
rispettato e che la guerra, anche dove non lo dice a chiare lettere la
Costituzione, sara' bandita dalla storia. A chi non riconosce che la
politica si fa tessendo relazioni feconde, attraverso lo scambio con chi
mette in discussione l'esistente in una ottica di pace e benessere per tutte
e tutti.
La lettera di Cindy Sheehan e' certamente rimbalzata in tutti i media del
mondo, e probabilmente la sua esperienza ha colpito tante e tanti ma non so
fino a che punto le sue parole di addio al movimento siano state davvero
comprese in tutta la sua radicalita'. Sheehan ha detto senza mezzo termini
quello che altre donne nel mondo ripetono da anni, ossia che il gioco della
politica istituzionale, ma anche di quella militante, e' roba da uomini che
preferiscono allearsi, incuranti delle differenze, per non perdere il
potere. Luoghi dove una donna fa fatica a trovarsi a suo agio. Come dice
Sheehan rispetto all'America, ma vale anche per le nostre "democrazie"
europee: "Come poteva una donna avere un pensiero originale e agire al di
fuori del nostro sistema bipartitico?".
Gia', come si fa? Se lo si fa si viene accusate di mania di protagonismo
(guai che si dica seriamente a un uomo una cosa cosi'), di essere un po'
pazze, troppo sopra le righe.
Difficilmente si riconosce la totale messa in gioco delle donne che decidono
di dire qualcosa, si badi bene, per il bene di tutti o che spendono tempo e
energia per una causa comune, anche quando non sono mai state "battagliere"
o militanti prima, come mi pare essere il caso di Sheehan.
Ha agito da madre disperata, ho sentito dire, e anche che fosse che male
c'e'? Non sono madre ma non ci vuole una laurea per comprendere che una
madre sa cosa significa vivere, dare la vita, e che per prima non puo'
accettare che la morte venga scelta come soluzione, o, ancora piu'
drammatico, che si accorga che suo figlio e' "davvero morto per nulla". C'e'
anche che mi dice che alcune madri sono orgogliose dei loro eroi. Tutto puo'
essere, ma vorrei ricordare loro quel che disse Brecht: "Felice il paese che
non ha bisogno di eroi".
Credo pero' che Cindy Sheehan, piu' che a persone convinte che la guerra sia
la panacea di tutti i mali, abbia voluto parlare, anche nel passare il
testimone, a quel movimento internazionale per la pace che puo' essere
capace di grandi cose. Puo' esserlo ma a volte non lo e' perche', in America
come altrove, "come si fa a lavorare per la pace quando all'interno dello
stesso movimento che ne porta il nome ci sono tante divisioni?".
L'interrogativo posto da Sheehan non e' ne' retorico ne' una presa di
posizione "egemonica", e' una questione urgente che va accolta in tutta la
sua radicalita'. Perche' oltre ad essere frammentato e' un movimento che non
ha ancora, nella sua totalita', assunto la scelta della nonviolenza. Alcune
e alcuni pensano ancora che si possa, anche solo sul piano simbolico,
utilizzare lo stesso linguaggio che si vuole estirpare (c'e' chi direbbe
combattere, in puro stile militare). Non so cosa abbia smosso questa lettera
nei movimenti pacifisti statunitensi e se, per esempio, qualcuno abbia
pensato che Camp Casey potrebbe essere acquistato dal movimento per la pace
per divenire un luogo di relazioni e di azioni permanenti contro i governi
di tutto il mondo. Forse e' impossibile da realizzare, ma almeno si puo'
pensare di continuare a tenere presente la lezione che ci ha insegnato Cindy
Sheehan, non disperderla ne' considerarla qualcosa del passato, da
rispolverare per una commemorazione. Sheehan e' uscita di scena non per
arrendersi ma per ribadire il suo no a questo sistema di vita, per darci un
senso del limite che e' solo consapevolezza profonda di cio' che davvero
conta nella vita. Direi che e' abbastanza per pensarci su e scegliere da che
parte stare.

4. RIFLESSIONE. MARCELLO FLORES: LA LEGGE SULLA "LUSTRACJA"
[Dalla rivista mensile "Lo straniero" n. 84, giugno 2007, riprendiamo il
seguente articolo (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net).
Marcello Flores (Padova, 1945), storico, docente, intellettuale e militante
democratico, insegna storia contemporanea e storia comparata all'Universita'
di Siena, dove dirige anche il master in Human Rights and Humanitarian
Action; si e' laureato nel 1971 in storia moderna, presso l'Universita' di
Roma; dal 2001 e' docente di storia comparata presso l'Universita' di Siena;
dal '96 al 2000 e' stato docente di storia contemporanea, mentre dal '94 al
'96 professore associato di storia dell'est uropeo, ancora presso
l'Universita' di Siena; dal '92 al '94 ha lavorato presso l'ambasciata
italiana a Varsavia e nel biennio 1993-1994 ha seguito il corso di storia e
cultura italiana all'Universita' di Varsavia; dal 1984 al 1992 e' stato
professore associato in storia delle relazioni internazionali
all'Universita' di Trieste, mentre dal '75 all'83 assistente alla cattedra
di storia dei movimenti politici ancora presso l'Universita' di Trieste; ha
svolto attivita' di ricerca presso l'Institute for the Study of Social
Change, Universita' della California, Berkeley (1980-1981), al Churchill
College di Cambridge (1984), all'Istituto di storia del mondo sovietico e
dell'Europa Centrale presso l'Ecole des Hautes Etudes di Parigi (1988-1989),
all'Istituto di storia universale presso l'Accademia delle Scienze di Mosca
(1991), presso l'Universita' di Witwatersrand di Johannesburg (1997); e'
stato membro dell'associazione internazionale "La memoire grise a' L'Est"
presso la Bibliotheque de Documentation Internationale Contemporaine di
Nanterre; ha organizzato i seguenti convegni internazionali: "Il mito
dell'Urss. La cultura occidentale e l'Unione Sovietica", Cortona, 1989;
"L'identita' collettiva e la memoria storica", Varsavia-Siena, 1994;
"L'esperienza totalitaria nel XX secolo", Siena, 1997; "Storia, verita',
giustizia: i crimini del XX secolo", Siena, 2000; e' stato direttore della
rivista "I viaggi di Erodoto" e ha collaborato con le riviste "Il Mulino",
"Italia contemporanea", "L'indice"; ha collaborato con le riviste
scientifiche "I viaggi di Erodoto", ha collaborato con il Dizionario di
storiografia della Mondadori; fa parte del comitato scientifico per la
pubblicazione dei documenti diplomatici italiani sull'Armenia. Tra le opere
di Marcello Flores: L'immagine dell'Urss, Il Saggiatore, Milano 1990; (con
Nicola Gallerano), Sul Pci. Un'interpretazione storica, Il Mulino, Bologna
1992; L'eta' del sospetto. I processi politici della guerra fredda, Il
Mulino, Bologna 1995; (con Nicola Gallerano), Introduzione alla storia
contemporanea, Bruno Mondadori, Milano 1995; 1956, Il Mulino, Bologna 1996;
In terra non c'e' il paradiso. Il racconto del comunismo, Baldini &
Castoldi, Milano 1998; Il Friuli. Storia e societa'. 1797-1866. Dalla caduta
della Repubblica di Venezia all'unita' d'Italia, Istituto Friulano Movimento
Liberazione, 1998; (con Alberto De Bernardi), Il Sessantotto, Il Mulino,
Bologna 1998, 2003; (a cura di), Verità senza vendetta, Manifestolibri, Roma
1999;(a cura di), Storia, verita', giustizia. I crimini del XX secolo, Bruno
Mondadori, Milano 2001; Il secolo-mondo. Identita' e globalismo nel XX
secolo, Il Mulino, Bologna 2002; Storia illustrata del comunismo, Giunti,
Firenze 2003; Tutta la violenza di un secolo, Feltrinelli, Milano 2005; Il
secolo-mondo. Storia del Novecento, Il Mulino, Bologna 2005, 2 voll.; (con
Flavio Fiorani), Grandi imperi coloniali, Giunti, Firenze 2005; Il genocidio
degli armeni, Il Mulino, Bologna 2006]

La Corte costituzionale polacca ha deciso di bocciare, anche se non
integralmente e non in in tutti gli aspetti caratterizzanti, la legge sulla
"lustracja" proposta dal tandem al potere dei fratelli Kaczynski, Lek il
presidente della Repubblica e Jaroslaw primo ministro e alla guida del
partito di maggioranza, una coppia che farebbe la fortuna di ogni comico e
cabarettista se non si trattasse di una realta' terribilmente seria e di una
minaccia alla democrazia, alla tolleranza e all'integrazione stessa
dell'Europa da parte del paese e dello stato certamente piu' importanti tra
quelli che si sono piu' di recente aggregati all'Unione.
Contro la legge persecutoria, che pretendeva una sorta di autodafe'
politico-ideologico da parte di coloro che avevano avuto a che fare con il
Partito comunista (in Polonia si chiamava Partito operaio unificato) in
qualsiasi momento o avevano svolto incarichi statali e pubblici, senza fare
alcuna distinzione tra periodi, momenti storici, evoluzione personale,
giustificazioni nazionali, responsabilita' personali, si erano gia'
pronunciati alcune delle personalita' piu' in vista della Polonia
democratica, alcuni tra coloro che avevano maggiormente contribuito prima a
mettere in crisi il regime comunista fondando Solidarnosc, poi a farlo
crollare proprio grazie all'attivita' di quella straordinaria e originale
organizzazione sindacale, per tanto tempo incompresa dalla sinistra
occidentale che coglieva solo gli aspetti - certamente forti e reali - di
identita' nazional-religiosa che erano presenti in quel movimento.
I rifiuti di Bronislaw Geremek e di Tadeusz Mazowiecki, anime democratiche e
cattoliche di quel rinnovamento, il primo deputato nel 1989 e dal 1997 al
2000 e ministro degli esteri, il secondo presidente del consiglio del primo
governo non comunista della Polonia del dopoguerra nell'agosto del 1989,
sono quelli che hanno conosciuto maggiore diffusione presso l'opinione
pubblica occidentale, anche perche' Geremek ha rischiato, con la sua
dichiarazione, di perdere il suo seggio di eurodeputato a Strasburgo. In
realta' l'intera societa' polacca, e in particolare il mondo intellettuale e
della cultura che aveva osservato attonito e senza capacita' di reagire la
rapida scalata al potere dei gemelli Kaczynski e del loro movimento "Legge e
giustizia", attorno a cui avevano saputo creare una coalizione comprendente
altri partiti di destra e populisti come quello dell'"Autodifesa della
Repubblica Polacca" (Samoobrona) e della "Lega delle famiglie polacche",
avevano mostrato segni sempre piu' forti d'insofferenza e voglia di reagire
di fronte a una politica populista che assumeva spesso toni antieuropei
quando non apertamente razzisti e anche antisemiti.
La legge sulla "lustracja", entrata in vigore il 15 marzo 2007, aveva
sostituito una legge esistente fin dal 1997 che aveva trovato un solido e
coerente compromesso nei confronti della volonta' di una parte della
societa' polacca di fare i conti con il passato comunista in modi radicali e
giuridicamente illegittimi. Essa prevedeva, da parte di tutti i cittadini
nati prima del 1972, di compilare un modulo di autodenuncia che, con lo
scopo di sapere chi avesse collaborato con i servizi segreti, in realta'
cercava di mettere a fuoco l'intero passato di tutti i cittadini bollando
superficialmente come comunista chiunque avesse avuto riscontri archivistici
o avesse compiuto una "confessione" nel timore di non sapere cosa potessero
contenere gli archivi del precedente regime. Oltre all'opposizione delle
principali personalita' di Solidarnosc -  cui si era aggiunto lo stesso ex
presidente Lech Walesa - la legge era stata messa in discussione come
tentativo di  cancellare, in nome di un'ideologia
familiar-nazional-religiosa ancora profondamente radicata nella societa'
polacca, le modalita' stesse della transizione alla democrazia avvenuta
negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta.
*
Contro questa legge avevano preparato un appello diversi intellettuali e
personalita' di Cracovia, cui si erano aggiunte centinaia di altre adesioni
da ogni parte del paese. La presenza, tra i primi firmatari, della poetessa
Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura, e dell'ex Presidente
Aleksandr Kwasnieski, leader del partito socialdemocratico, aveva fomentato
una nuova polemica contro l'"intelligencija", accusata in blocco di essere
stata comunista e prona al potere comunista, dimenticando il ruolo
fondamentale di una parte di essa nella lotta contro il regime a partire dal
1956 e poi nel 1968 e negli anni Settanta fino al momento di fondazione di
Solidarnosc.
Wislawa Szymborska, a Siena per presentare e leggere le sue poesie in una
serata organizzata in suo onore, parlava amaramente ma insieme con grande
ironia della situazione attuale. Ne parlava a cena, avendo scelto di evitare
ogni forma d'intervista in questo viaggio in Italia, proprio per dare
maggior rilievo all'intervista che e' stata pubblicata, invece, su "Gazeta
Wyborcza" alcuni giorni prima il giudizio della Corte costituzionale. E' una
situazione cui bisogna porre ormai un freno, in ogni modo: questo il
ritornello ripetuto piu' volte, in mezzo ad aneddoti e riflessioni sulla
poesia e sul cinema, su Fellini e Wajda, sulla possibilita' di farsi
ascoltare attraverso la poesia e con interventi pubblici piu' direttamente
impegnati, sulla trasformazione e globalizzazione e sulle cose talmente
belle per salvare le quali occorre impedire la distruzione del mondo.
Szymborska sembrava nutrire grande fiducia nella decisione della Corte,
anche se ancora non sapeva che proprio alla vigilia del suo incontro, due
tra i giudici erano stati direttamente accusati da un parlamentare di "Legge
e giustizia" di essere stati essi stessi comunisti e collaboratori dei
servizi segreti, chiedendo quindi che la Corte si esimesse dal giudicare una
legge che metteva sotto accusa una parte di essa.
Era stato l'ultimo, maldestro tentativo per evitare una sconfessione della
legge che ogni giurista e persona di buon senso non poteva che attendersi
nella forma poi resa esplicita. La Corte, che con senso di responsabilita'
si e' riunita senza i due giudici accusati, i quali si sono volontariamente
astenuti pur avendo ogni diritto di partecipare alla discussione, ha
stabilito l'incostituzionalita' di alcuni dei provvedimenti di "lustracja",
ma non dell'intero provvedimento. L'entusiasmo che traspare dai giornali di
tutto il mondo all'indomani della decisione della Corte puo' sembrare, a uno
sguardo piu' attento, miope, egoistico o ingenuo. Anche con i "tagli" che la
Corte ha apportato ad alcune parti della legge, infatti, sarebbe possibile
gia' adesso, senza riscrivere l'intero provvedimento, continuare l'opera di
"lustracja" gia' iniziata da quasi due mesi.
Ad essere esclusi in toto dai richiami della Corte sono, infatti, i settori
privati, ma non il settore pubblico e statale. Se, per fare un esempio, il
direttore di una scuola privata non potra' essere costretto a scrivere,
testimoniare e confessare i suoi rapporti passati con il regime e con i
servizi segreti, questo potra' avvenire (e avverra') per il direttore di una
scuola pubblica. Se oggi Geremek puo' rifiutarsi, perche' eletto prima della
legge, di dire alcunche' sul suo passato, non cosi' sara' per chi si
presentera' alle prossime elezioni. I giornalisti, che temevano, e
giustamente, questo provvedimento come occasione per porre un bavaglio alla
liberta' di stampa, sono giustamente soddisfatti di averla scampata. Ma non
e' cosi' per tutti. La Corte e' dovuta tornare alla definizione di
"collaboratore" della legge di dieci anni fa (che prevede consapevolezza e
intenzione e non semplice e oggettivo rapporto magari casuale), e ha
rinviato a una nuova sessione un altro punto assai delicato che riguarda la
punibilita' di chi "offende" il popolo polacco sostenendo che sia stato
responsabile di episodi di genocidio o di crimini contro l'umanita'. Su
questo tema si leggano le osservazioni che seguono scritte qualche tempo fa
da Wiktor Osiatynski, uno dei padri della Costituzione polacca che ha
rifiutato, al termine della seduta della Corte costituzionale, di rilasciare
qualsiasi dichiarazione. Se quell'articolo dovesse passare, in futuro, uno
scrittore come lo storico Jan Gross, che nel suo libro I carnefici della
porta accanto, aveva raccontato il progrom antiebraico commesso da cittadini
polacchi sotto gli occhi degli occupanti nazisti nella cittadina di Jedwabne
nel luglio 1941, potrebbe rischiare la prigione.
Ma vi e' un pericolo ancora maggiore, che Osiatynski ha voluto sottolineare
tempestivamente per telefono, in aggiunta alle riflessioni che vengono qui
pubblicate. Di fronte al consenso e al rispetto che la Corte costituzionale
ha ottenuto in questi giorni, aggiungendo autorevolezza all'autorita' che
gia' ha, vi e' il rischio concreto che entro un anno, quando due giudici
(tra cui il presidente della Corte) verranno cambiati e saranno anch'essi
nominati tra i fedelissimi dei gemelli Kaczynski, come ben sei attualmente
sono, la maggioranza di 9 a 7 che ha bocciato in questi giorni gli aspetti
piu' palesemente incostituzionali della legge sulla "lustracja" venga
ribaltata da una maggioranza di segno contrario che possa far conto anche
sul nuovo presidente. Anche una Corte costituzionale, lo si e' gia' visto
spesso nella storia, puo' dismettere gli abiti dell'arbitro neutrale e
corretto e scendere in campo a fianco del potere politico.

5. MEMORIA. WLODEK GOLDKORN RICORDA RYSZARD KAPUSCINSKI
[Dal sito www.goldkorn.blogautore.espresso.repubblica.it riprendiamo il
seguente ricordo di Kapuscinski scritto da Wlodek Goldkorn.
Wlodek Goldkorn, polacco, intellettuale e giornalista, dopo aver lasciato la
Polonia nel 1968 da oltre trent'anni vive a Firenze; e' il responsabile del
settore cultura del settimanale "L'Espresso", di cui e' stato anche
corrispondente da New York; acuto saggista, si e' occupato di questioni
internazionali e di cultura; negli anni Ottanta e' stato il fondatore e
l'editore di riviste sull'Europa centrale e orientale, "L'ottavo giorno" e
"L'Europa ritrovata"; ha collaborato anche con varie altre riviste, tra cui
"Micromega", "Mondoperaio", "Limes", "Fine secolo". Opere di Wlodek
Goldkorn: Uscire dal ghetto, Reverdito, 1988; (con Rudi Assuntino), Il
guardiano. Marek Edelman racconta, Sellerio, 1998; (con Massimo Livi Bacci,
Mauro Martini), Civilta' dell'Europa orientale e del Mediterraneo, Longo,
2001; La scelta di Abramo. Identita' ebraiche e postmodernita', Bollati
Boringhieri, 2006.
Ryszard Kapuscinski (1932-2007) e' stato un illustre scrittore e giornalista
polacco. Riportiamo la motivazione dell'attribuzione del Premio Grinzane
Cavour per la Lettura 2003 a Ryszard Kapuscinski: "Grande maestro di
giornalismo, Ryszard Kapuscinski, nato a Pinsk nella Polonia orientale nel
1932, ha lavorato come corrispondente estero dell'Agenzia di stampa polacca
Pap fino all'inizio degli anni '80. Viaggiatore instancabile, curioso e
partecipe testimone dei destini dei diseredati in Africa e in America
Latina, Kapuscinski ha scritto numerosi libri-reportage che sono diventati
veri e propri classici del genere, una 'straordinaria mistura di arte e
reportage', come ebbe a dire Salman Rushdie. La sua penna mette a fuoco con
estrema lucidita' fin dagli anni '60 la complessita' del continente
africano, registrando fenomeni politici e culturali, contraddizioni e
tragedie umane, in un'epoca in cui l'Occidente guardava con preoccupazione
all'Africa per l'incognita rappresentata da 300 milioni di individui in
procinto di entrare nel panorama politico mondiale. Storia e drammatica
quotidianita' si mescolano felicemente nelle sue pagine, in opere come Il
Negus (1982), La prima guerra del football e altre guerre di poveri (1990)
fino al piu' recente Ebano (2000, Premio Viareggio-Repaci), raccolta di
articoli che riassumono quarant'anni di esperienza come inviato nei paesi
africani. La sua e' l' Africa dei dannati della terra, vissuta con i poveri
delle bidonville, i contadini della savana, i camionisti del Sahara.
Kapuscinski esula da ogni forma di colore od esotismo locali: vuole andare
alla radice dei fatti, individuare le leggi, vecchie e nuove che li
governano. E' l'ottica che lo guida anche altrove: ad esempio in un testo di
grande successo come Shah-in-Shah (1982) che narra un momento cruciale della
storia dell' Iran tra la fine della monarchia sanguinaria di Reza Pahlevi e
l'avvento religioso di Khomeini nel 1979. Anche il tramonto e il
dissolvimento dell' Unione sovietica e' diventato con Imperium (1994), un
libro di intensa ed efficace testimonianza. Perche' gli eventi, grandi o
piccoli che siano, rappresentano per Kapuscinski l'occasione per
vivisezionare, con il tratto felice e disinvolto dello scrittore, storia,
politica e societa' di un paese. Cittadino del mondo, portavoce delle
minoranze, Kapuscinski ha saputo conciliare curiosita' e responsabilita'
morale, impegno e vivacita' di scrittura in nome di coloro per i quali e'
data la speranza, perche', come disse una volta Walter Benjamin, non ne
conoscono alcuna". Opere di Ryszard Kapuscinski: in edizione italiana cfr.
La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Serra e Riva, poi
Feltrinelli; Shah-in-Shah, Feltrinelli; Il Negus, splendori e miserie di un
autocrate, Feltrinelli; Imperium, Feltrinelli; Lapidarium, Feltrinelli;
Ebano, Feltrinelli. Cfr. anche il libro di interviste e colloqui (a cura di
Maria Nadotti), Il cinico non e' adatto a questo mestiere. Conversazioni sul
buon giornalismo, Edizioni e/o, Roma 2002; e il volume antologico
Autoritratto di un reporter, Feltrinelli, Milano 2006]

L'ultima volta che ho visto Ryszard Kapuscinski era a ottobre 2006, a Roma.
Era venuto a inaugurare una mostra delle sue fotografie (era anche
fotografo). Mi ha convocato nel suo albergo alle 9 di mattina. Abbbiamo
chiacchierato per due ore. L'ho visto preoccupato: un po' per la sua salute,
molto per la Polonia in mano ai gemelli Kaczynski (e per il mondo in mano a
Bush). Mi diceva di essere nel mirino del potere, e spiegava che il
populismo dei Kaczynski ha come scopo demolire ogni autorita' intellettuale
e morale riconosciuta, quindi, al momento, la poetessa premio Nobel
Szymborska e lui. Mi diceva che dalla Polonia se ne stavano andando via i
giovani, i migliori.
Non era affatto modesto Kapuscinski. Era umile, che e' un'altra cosa. Sapeva
perfettamente di essere il massimo reporter del mondo, e di essere un grande
scrittore. Si divertiva a raccontarmi gli appellativi messi da grandi
colleghi come incipit delle lettere a lui indirizzate.
Un'altra volta, a casa sua a Varsavia, mi ha spiegato che prima di andare a
raccontare un paese leggeva un'intera biblioteca di libri (non di ritagli di
giornali) su quel paese. E poi, non e' vero che gli piacevano alberghetti
modesti e scomodita'. Diceva semplicemente che per conoscere un paese e'
bene girarlo in autobus.

6. RIFLESSIONE. CARMEN CONCILIO INTERVISTA TSITSI DANGAREMBGA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 maggio 2007.
Carmen Concilio e' docente di letteratura inglese all'Universita' di Torino;
ha tenuto seminari sulla letteratura caraibica e sudafricana; ha pubblicato
vari saggi sulla letteratura sudafricana, australiana, caraibica, canadese e
indiana.
Su Tsitsi Dangarembga dal sito della casa editrice Goree riprendiamo la
seguente cheda: "Tsitsi Dangarembga, nata in Rhodesia (ora Zimbabwe) nel
1959, ha iniziato i suoi studi in Inghilterra, dove era emigrata con la
famiglia. Tornata nel suo paese, vi ha concluso gli studi superiori per poi
laurearsi alla Cambridge University in medicina. E' poi ritornata
definitivamente nel suo paese, dove si e' laureata anche in psicologia. Nel
suo paese ha fatto parte di una compagnia teatrale universitaria e nel 1983
ha diretto una commedia dal titolo The Lost of the Soil ed e' divenuta una
dei componenti piu' attivi del gruppo teatrale Zambuko, diretto da Robert
McLaren ed ha partecipato alla produzione di due opere intitolate Katshaa! e
Mavambo. In questo periodo ha anche iniziato la sua attivita' di scrittrice,
pubblicando nel 1985 in Svezia una raccolta di racconti dal titolo The
letter. Nel 1987 ha invece debuttato con un testo teatrale, She no longer
weeps scritto nella sua lingua madre. Questo lavoro le procuro' un enorme
successo e la sua notorieta' era gia' internazionale quando nel 1989
pubblico' il suo primo romanzo Nervous conditions (L'altra me) con il quale
vinse la sezione africana del Commonwealth Writers Prize. Successivamente ha
svolto studi da regista in Germania presso la Deutsche Film und Fernseh
Akademie. In quel periodo ha prodotto numerosi film e documentari per la
televisione tedesca e ultimamente e' stata autrice e regista di Everyone's
Child con il quale ha preso parte a numerosi festival internazionali e che
e' stato premiato al Dublin Film Festival"]

Si sa che l'Africa, nell'immaginario occidentale, rimanda a carestie,
epidemie, malnutrizione, guerre civili e dittature, ma la scrittrice dello
Zimbabwe Tsitsi Dangarembga non solo e' riuscita con il suo romanzo di
esordio Nervous Conditions (La nuova me, Goree, 2007) a deviare da questi
cliche' ma si e' imposta all'attenzione internazionale per l'originalita'
dei temi affrontati. Nel presentare le giovani generazioni a confronto con
il retaggio coloniale, ha portato tra le sue pagine l'anoressia e la
bulimia, patologie tipiche della nostra societa', che si credeva fossero in
stretta relazione con gli imperativi consumistici e risparmiassero i
continenti in via di sviluppo. Eppure, le giovani protagoniste del romanzo
di Tsitsi Dangarembga, Tambudzai e sua cugina Nyasha, mentre si affannano
l'una per il diritto allo studio e l'altra per contrastare quelle verita'
che intorno a lei vengono acriticamente accettate, conoscono le insidie di
due estremi opposti, entrambi riguardanti i disturbi dell'alimentazione:
Tambudzai e' affetta da voracita', mentre la piu' agiata cugina rifiuta il
cibo che le viene preparato. Sono disturbi che investono i rapporti
familiari e il corpo femminile e da qui si estendono fino a riguardare
l'intera storia della Rodesia coloniale, mentre il romanzo include anche un
ritratto psicologico tratteggiato a partire dalle teorie del filosofo
caraibico Frantz Fanon. Ma lasciamo la parola a Tsitsi Dangarembga.
*
- Carmen Concilio: Prima di dedicarsi al romanzo lei ha scritto per il
teatro. Come mai ha scelto proprio questo genere?
- Tsitsi Dangarembga: Mi piace pensare a me stessa come a una artista dotata
di molto senso pratico. Partecipavo ai gruppi teatrali universitari e dunque
e' stata una naturale conseguenza cominciare a scrivere drammi. Inoltre,
poiche' non c'erano ruoli significativi scritti per donne africane, ho
cercato di porre rimedio a questa lacuna. Ancora oggi sono pochi gli
scrittori dello Zimbawe che prevedono ruoli femminili, e' deprimente il modo
in cui le donne vengono rappresentate. Pero', essendo stata recentemente nei
paesi scandinavi per un festival cinematografico, ho notato che dopo gli
anni '70 e l'esplosione del femminismo ora si e' inauguarata una nuova fase
di regressione.
*
- Carmen Concilio: E come si e' fatto strada in lei l'interesse per il
cinema?
- Tsitsi Dangarembga: Dopo aver scritto Nervous Conditions e aver assistito
al suo fallimento editoriale, perche' in Africa nessuno lo ha voluto
pubblicare e se e' uscito lo devo alla inglese Women Press, ho pensato che
potevo usare la mia voce in qualche altro modo. Cosi' ho studiato
cinematografia a Berlino, dove c'e' ancora un'ottima accademia, che mi ha
dato una eccellente istruzione professionale.
*
- Carmen Concilio: Ci sono temi comuni sia alla sua produzione letteraria
che a quella cinematografica?
- Tsitsi Dangarembga: Quel che mi interessa come scrittrice e'
l'autorealizzazione delle donne, il modo in cui riescono a trovare se
stesse, i loro cambiamenti durante questo processo di maturazione. Come
regista, invece, mi valgo dell'esperienza del mio soggiorno in Germania che
mi ha fatto incontrare con problemi razziali ancora molto radicati. E la mia
produzione personale e' centrata sulle leggende del folklore Shona e sulla
resa delle loro varianti regionali.
*
- Carmen Concilio: Sia nel romanzo La nuova me, che nel suo film Kare Kare
Zvako i rapporti familiari sono al centro della narrazione. E sono rapporti
violenti. Come mai?
- Tsitsi Dangarembga: Le relazioni familiari sono cambiate, la sacralita'
stessa della famiglia sta scomparendo e questo per certi versi e' positivo
perche' se qualcosa non va, e talvolta si sa che le dinamiche sono
terribili, c'e' la possibilita' di sfuggirne. Allo stesso tempo, pero', una
societa' fatta di famiglie frammentate e' una societa' malata.
*
- Carmen Concilio: Scrivendo un romanzo che tratta anche di disturbi
dell'alimentazione lei e' andata contro un luogo comune sulla societa'
africana. Nyasha rigetta il cibo, ma non solo questo, vero?
- Tsitsi Dangarembga: Intanto, va detto che anche in Africa la bulimia e
l'anoressia stanno aumentando, e cosi' pure l'obesita' infantile. Quanto a
Nyasha, rifiutandosi di ingoiare cio' che le viene propinato sviluppa una
personalita' critica che mette continuamente in dubbio le verita'
"precotte".
*
- Carmen Concilio: L'altra adolescente del suo romanzo, Tambu, e' affamata
di istruzione e arriva a rifiutare il proprio passato rurale fino quasi a
rinnegarlo. Lei crede che l'emancipazione femminile, in un paese come lo
Zimbabwe, debba necessariamente passare attraverso l'istruzione scolastica e
implichi un distacco dal passato?
- Tsitsi Dangarembga: No, l'istruzione serve, anche a migliorare la propria
condizione economica, ma solo in determinate circostanze si perviene a una
reale emancipazione. Oggi lo Zimbabwe e' penalizzato dalle sanzioni e dalla
recessione economica e chi ne paga le spese sono soprattutto donne e
bambini. Alcuni anni fa solo il 50% della popolazione aveva un licenza
elementare, oggi si e' arrivati all'80%, ma c'e' il rischio di una nuova
inversione di tendenza.

7. LETTURE. AA. VV.: QUALE EUROPA PER UNA CIVILTA' DI PACE?
AA. VV., Quale Europa per una civilta' di pace?, "Quaderni della Fondazione
Ernesto Balducci", n. 17, Firenze 2007, pp. 166. Questo volume dei sempre
interessanti Quaderni della fondazione intitolata all'indimenticabile padre
Balducci reca interventi e contributi di Andrea Cecconi, Gianfranco Varvesi,
Umberto Allegretti, Thomas Madonia, Donatella Della Porta, Furio Cerutti,
Peter Wagner, Amartya Sen, Stefano Pighini, Emilio Diodato, il compianto
Abbe' Pierre, Marialuisa Muscara' Bellavia, Maddalena Mancini. Per richieste
e abbonamenti: Fondazione Ernesto Balducci, via Badia dei Roccettini 9,
50016 Fiesole - Localita' S. Domenico (Firenze), tel. 055599147, fax:
055599240, e-mail: fondazionebalducci at virgilio.it, sito:
www.fondazionebalducci.it

8. LETTURE. MAX EASTMAN: IL GIOVANE TROTSKY
Max Eastman, Il giovane Trotsky, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2006,
pp. 160, euro 8. Scritta nel 1925, questa biografia di Trotskij - che aiuto'
l'autore e la autorizzo' - e' ora per la prima volta tradotta in italiano.
Il libro e' per piu' motivi interessante (naturalmente sulla vita del suo
protagonista abbiamo anche le molte pagine autobiografiche di Trotskij
stesso, e le preziose opere di Victor Serge, Isaac Deutscher, Pierre
Broue'). Segnaliamo en passant che l'introduzione alle pp. 11-13, anonima,
e' evidentemente quella dell'edizione inglese del 1980: piuttosto grevemente
propagandistica, essa decisamente non sembra rendere giustizia ad Eastman
(1883-1969) che fu per anni amico e collaboratore di Trotskij. Arricchisce
il volume un archivio fotografico. Per richieste alla casa editrice: Massari
Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail:
erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme

9. RIEDIZIONI. MARCO VALERIO MARZIALE: EPIGRAMMI
Marco Valerio Marziale, Epigrammi, Mondadori, Milano 1995, 2007, pp. XXII +
982, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di
Simone Beta, con testo a fronte e in talvolta spenta e didascalica, e
sovente vivace traduzione (e talora forse troppo vivace - ma si sa che
tradurre le scurrilita' di Marziale, o di Catullo, non e' proprio uno
scherzo), le coltellate e le istantanee, i borbottii e i sibili, i falliti e
i riusciti conati (e meno grevi e piu' noiosi gli xenia e piu' lievi e
garbati gli apophoreta. il De spectaculis e' quasi solo furbizia,
enciclopedia e pubblicita' per se stesso), di un autore di quelli che mai
riuscimmo a sopportare, e che oggi certo andrebbero per la maggiore nel
brago televisivo. Sempre detestammo Marziale, e non solo l'adulatore del
tiranno di turno, ma anche e ancor piu' il servile maldicente, il cliente
rancoroso, il pornografo irrefrenabile quanto stucchevole: mai una volta che
sollevi lo sguardo, mai una volta che una viva tempesta lo afferri e lo
innalzi. Eppure, con tutti i pregiudizi che mi ingombrano, talora anche
Marco Valerio Marziale mi sorprende e mi strappa se non un consentimento un
apprezzamento, e finanche un applauso o un sussulto, quando - ma avviene
assai di rado, checche' ne dicano i signori professori - riesce a calibrare
la tagliola, e le scaglie gli cadono dagli occhi. Allora e solo allora vale
la pena di leggerlo per se': il resto e' solo costume, bavardage, bozzetto,
acquaforte e cartolina, macchina e repertorio e virtuosismo, talora squisita
versificazione, e tristezza infinita.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 111 del 5 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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