La nonviolenza e' in cammino. 1448



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1448 del 14 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Afghanistan
2. Hiroshima
3. Un invito a Roma
4. Unione donne in Italia: Stop al femminicidio
5. Luisa Muraro: Come un agnello
6. Adriano Apra' ricorda Daniele Huillet
7. Edoardo Bruno ricorda Daniele Huillet
8. Cristina Piccino ricorda Daniele Huillet
9. Filmografia di Daniele Huillet e Jean-Marie Straub
10. Cristina Nadotti: Il premio Nobel per la pace a Muhammad Yunus
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. AFGHANISTAN

Ma gli afgani sono esseri umani o no?
La vita di ognuno di loro vale quanto una vita umana oppure no?
Se sono esseri umani, e vale per loro lo stesso diritto alla vita che vale
per ogni persona, allora la prosecuzione della partecipazione italiana alla
guerra stragista e terrorista che li' presegue senza vere interruzioni ormai
da decenni, e' un crimine infame ed orribile.
*
Ed e' mai possibile che dinanzi a questo crimine pressoche' l'intero nostro
paese taccia, cosi' facendosene pressoche' tutti corresponsabili?
E' mai possibile che una cosi' flagrante e scellerata violazione della
stessa legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico venga accettata
come se niente fosse, al punto che non se ne parla neppure piu'?
E' mai possibile che noi ci si lasci ridurre a uno stato criminale, a un
paese di complici degli stragisti?

2. RIFLESSIONE. HIROSHIMA

Non e' il nostro passato, e' il nostro presente.
Fermare il riarmo nucleare e' il compito dell'ora.
Ma per fermarlo occorre opporsi ad ogni guerra ed ogni riarmo, occorrre
opporsi a tutte le politiche di sopraffazione, occorre smantellare ogni
impianto nucleare - militare e civile -, occorre promuovere un modello di
sviluppo che difenda la natura e l'umanita' ad un tempo, occorre - per dirla
in una parola - che la nonviolenza diventi criterio fondante della politica
in un mondo interconnesso.

3. INCONTRI. UN INVITO A ROMA
[Da varie persone amiche riceviamo e diffondiamo il seguente invito]

L'appello "La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come
uomini" ha avuto un grande risultato sia per il numero (oltre quattrocento e
in continua crescita) e la qualita' delle adesioni raccolte che per il
dibattito e l'attenzione che ha suscitato.
Proponiamo per il 14 ottobre a Roma un incontro nazionale per discuterne i
contenuti e costruire insieme nuove occasioni di iniziativa e riflessione e
per prendere pubblicamente posizione non solo sulla violenza contro le donne
e le "misure" di cui giornali e politica discutono per contrastarla, ma
anche su cio' che questa violenza dice della sessualita' maschile e delle
relazioni tra donne e uomini e del nostro desiderio di una loro nuova
qualita'.
Non vogliamo che questa occasione si riduca al banale evento mediatico degli
uomini che "parlano della violenza" ma ci impegniamo invece a proporre
modalita' e linguaggi capaci di interrogare e far parlare l'esperienza e la
sensibilita' di ognuno di noi.
L'incontro e' aperto a tutti e tutte coloro che vogliono costruire con noi
un percorso di riflessione e iniziativa. Il confronto con le donne sara'
anche in questa occasione prezioso come lo e' stato nelle esperienze che lo
hanno preceduto. Al tempo stesso crediamo che il senso di questa iniziativa
sia nel rappresentare una visibile e autonoma presa di parola di uomini su
temi che vedono ancora oggi un grave silenzio e una grave rimozione
maschile.
Sono importanti tutte le proposte di iniziative locali, lavori di gruppo,
appuntamenti per dare continuita' a questa grande disponibilita' che abbiamo
raccolto e a cui crediamo giusto dare una risposta. Per organizzarci (e
capire come impostare l'incontro) abbiamo bisogno di una vostra conferma di
partecipazione e di vostri contributi sull'impostazione della discussione.
Forse non c'e' bisogno di sottolineare quanto sia importante la presenza e
il contributo di tutti voi per far si' che questa occasione si trasformi
davvero in un passo avanti nel confronto tra uomini e donne.
Dunque vi aspettiamo a Roma il 14 ottobre 2006 presso il Teatro Due di
vicolo Due Macelli (metro Piazza di Spagna) all'incontro nazionale
sull'appello "La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola
come uomini". Il programma prevede alle ore 11 gruppi di condivisione e
approfondimento dei temi proposti nell'appello, e alle ore 14,30 assemblea
plenaria e dibattito.
Per ulteriori informazioni: appellouomini at libero.it

4. APPELLI. UNIONE DONNE IN ITALIA: STOP AL FEMMINICIDIO
[Dall'Udi nazionale (per contatti: Unione Donne in Italia, sede nazionale,
via dell'arco di Parma 15, 00186 Roma, tel. 066865884, e-mail:
udinazionale at tin.it, sito: www.udinazionale.org) riceviamo e diffondiamo]

Sappiamo da tempo immemorabile  che la violenza non e' il frutto dei
"guasti" della societa': i soprusi e i maltrattamenti fino alla morte sono
il tormento  continuo a cui le donne sono sottoposte per controllarne il
corpo e "moderarle". Qualche volta non e' necessario passare ai fatti: basta
la paura della violenza.
Ci sono stati anni in cui noi donne eravamo colpevoli degli stupri che
subivamo perche' i nostri corpi, per il solo fatto di esistere, erano
responsabili delle "sollecitazioni" a cui i maschi erano sottoposti. C'e'
voluta tanta fatica per non viverci come vittime e c'e' voluto tanto
coraggio per imparare a raccontare e, con il sostegno reciproco,
trasformarci in testimoni.
Con il femminismo e l'autocoscienza abbiamo imparato ad avere confidenza con
il nostro corpo, cercato di essere responsabili della sua integrita' e
inviolabilita', ma forse la memoria di tutto questo si e' persa ed e'
diventato necessario parlare con le  piu' giovani perche' sappiano che non
esiste il "mostro": esiste il vicino di casa, il compagno di scuola, il
parente prossimo. Spesso le piu' giovani, proprio le piu' esposte, si
sottraggono al confronto con le altre per paura di essere ricacciate nella
miseria del genere perche' si illudono di essere quelle che hanno risolto il
rapporto con l'altro. Salvo sperimentare poi che la liberta' non migliora
automaticamente i rapporti tra i sessi, semmai li rende ancora piu'
conflittuali.
La legge che abbiamo conquistato e' solo uno strumento per la nostra
salvaguardia. Oggi noi donne dell'Udi intendiamo chiamare le istituzioni di
questo paese alle loro responsabilita' che non riguardano solo
l'applicazione della legge, ma anche le azioni politiche con cui hanno
favorito, oppure ostacolato, la costruzione di rapporti civili tra i generi.
Tale civilta' non e' data in natura e quindi ci aspettiamo azioni concrete
che vadano oltre il generico sdegno. La civilta' comincia dalle parole
perche' anche il linguaggio e' sessuato e noi chiamiamo la violenza
sessuata, e non piu' sessuale, per segnalare l'azione brutale di un genere
sull'altro, e chiamiamo femminicidio la morte violenta di tante donne a
causa del dominio estremo di un uomo su di una donna. Chiamarlo omicidio e'
un modo per camuffare le  statistiche e far scomparire un fenomeno che e' la
causa prima di morte per le donne in occidente e nel mondo.
La violenza sulle donne e' anche una questione mondiale, come e' sempre
stato, oggi pero' siamo sommerse di notizie, i flussi migratori ci obbligano
alla convivenza e sappiamo, con dati alla mano, che in ogni angolo della
terra il genere maschile ha messo in atto tutte le storture e le torture
possibili sulle donne pur di sottrarsi ad un rapporto reale.
Chiamano culture le diverse facce che il patriarcato assume per imporsi e
chiamano famiglia la sua struttura primaria, quella in cui si regolano i
rapporti tra i sessi e si controllano le donne e i bambini. Percio' non
sara' dalla tanto proclamata salvaguardia delle culture, e delle famiglie,
che le donne trarranno vantaggio, quanto dallo scardinamento di un ordine
sociale e politico dove c'e' uno che pensa, parla, decide annullando
violentemente l'altra.
Noi siamo contemporanee alla donna che abita l'altra parte del mondo e alla
donna che dall'altra parte del mondo e' venuta a vivere e a lavorare nel
nostro paese, questo tempo e' quanto abbiamo in comune per individuare
strategie e per abitare liberamente il mondo.
Unione Donne in Italia
Roma 12 ottobre 2006

5. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: COME UN AGNELLO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente testo originariamente apparso sulla rivista
"Micromega", ottobre 2006.
Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di
"Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la
seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei
sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza),
in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita'
Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una
carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare
nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997".
Hina Saleem e' la giovane immigrata pakistana uccisa da familiari maschi nel
bresciano questa estate]

Ragioniamo, si', ma che siano ragionamenti non disgiunti da quel sentimento
di pieta' e ammirazione che la breve vita di Hina Saleem reclama da noi.
Le terribili circostanze della sua morte sono note, ma, per la loro stessa
enormita', fanno un'ombra oscura. Colpisce il modo in cui la vita le e'
stata tolta, per sgozzamento. Come un agnello. E come alcuni ostaggi delle
bande armate che si oppongono all'occupazione dell'Iraq. L'accostamento non
vuole spiegare niente, ma forse significa qualcosa. I parenti di Hina hanno
potuto vedere in televisione lo spettacolo di quelle uccisioni, e potrebbero
averlo adottato come il linguaggio di un'immaginaria rivincita. Ed averlo
usato in questo senso sulla loro giovane parente troppo presa dagli usi e
costumi occidentali? Si stenta a crederlo, ma questo pensiero e' plausibile.
Se vale la storia della nostra emigrazione povera, io conosco un po' quella
verso il Belgio delle miniere e verso la Germania delle automobili, e'
risaputo che gli uomini, ben piu' delle donne, patiscono l'offesa di non
veder riconosciuta intorno a se' la propria cultura e spesso neanche la loro
dignita', e a questa cultura si aggrappano e legano le loro donne, per una
necessita' simbolica che io non condivido ma capisco (sono una donna) e che
mi pare troppo disinvoltamente misconosciuta dai loro simili piu' fortunati.
Ho assistito a scene imbarazzanti di disprezzo verso la sensibilita' di
persone di cultura islamica, anche da parte di uomini che erano tenuti, per
cultura e ruolo pubblico, a ben altro comportamento (detto per inciso, non
includo tra questi fatti il grave lapsus di papa Ratzinger a Ratisbona, che
fa pensare piuttosto ad una mancanza di senso politico non insolita fra gli
studiosi).
L'ignoranza nostrana della cultura e della religione islamica e' grande ed
e' aggravata da tutta una serie di pesanti stereotipi. La voglia di
conoscenze nuove scarseggia, me ne sono resa conto quando ho cercato di far
conoscere certi fatti notevoli, come la lezione tenuta da Aicha El Hajjami
al re del Marocco Mohamed VI e alla sua corte nel Ramadan del 2004 (le foto
di questo evento sono apparse sul n. 73 di "Via Dogana"). Evento
indubbiamente straordinario, ma non eccezionale nel contesto dei cambiamenti
in corso nella societa' maghrebina e araba. Penso anche, sempre restando
alla mia esperienza personale, al convegno di studi delle donne presso
l'universita' di San'a, capitale dello Yemen, nel 1999, che ha riunito donne
di ventuno paesi di cultura islamica, arabi e non, insieme a una minoranza
di europee.
Quanto puo' crescere la sofferenza di chi fa riferimento ad una cultura
disprezzata nel proprio ambiente di vita? E quella delle donne impedite
d'interagire liberamente con il nuovo contesto, dall'obbligo o dal sincero
desiderio di sostenere i loro uomini? C'e' questo pensiero, mi pare, dietro
alle parole con cui il segretario della Camera del lavoro di Brescia ha
commentato la morte di Hina: con questi uomini, se iscritti al sindacato, si
parla di questioni di lavoro ed e' troppo poco, il problema e' che la
liberta' femminile che avanza fa paura anche a noi.
Gli uccisori di Hina portano tutta la responsabilita' del loro atto nefando,
ma nel miscuglio perverso di risentimenti e ragionamenti che li ha portati
ad uccidere una persona inerme e fiduciosa, non poteva esserci anche una
parte di violenza raccolta lungo i percorsi della loro emigrazione, violenza
reale e simbolica?
*
A questo tipo di prova, fardello di tutti gli emigranti esposti ad un
discredito che non hanno modo di compensare con il potere dei soldi, si
aggiunge dal 2002 quella rappresentata dalla disgraziata avventura
angloamericana in Iraq. Non pretendo, sia chiaro, che la guerra dell'Iraq
c'entri alla stregua di una causa, con il problema che ci pone la vicenda di
Hina. Ma questa e quella rientrano ormai in uno stesso copione secondo il
quale tendiamo a leggere cose molto disparate, al punto da creare delle
sovrapposizioni, anche queste a modo loro perverse. Parlo, chiaramente, del
cosiddetto scontro di civilta', l'islamica e l'occidentale. Il copione e'
stato ideato nei primi anni Novanta, da un tipo che sembra dedito ad una
letteratura della discordia, a meta' fra la politica e la fiction. Molti non
sanno che Samuel P. Huntington ci ha provato (senza successo) anche con gli
ispanici massicciamente presenti negli Usa, di cui ha sostenuto che
sarebbero una minaccia per l'identita' americana a causa che non vogliono
passare a parlare inglese. Lo scontro di civilta', invece, ha avuto un
successo incredibile. Poteva servire a realizzare, che ne so, un serial
televisivo, e invece e' diventato lo schema della politica estera degli Usa
in questi dieci anni, e ha dato una spinta formidabile a Osama Bin Laden,
fornendogli l'opportunita' e forse anche l'idea di dichiarare guerra agli
Usa e di promuoversi capo dell'estremismo islamista (fino allora dedito
piuttosto alla guerra intestina).
Ora il copione si espande anche in Europa, condizionando la lettura della
realta' e per finire anche i nostri comportamenti. Perche' vero? No, perche'
semplice e perche' sempre piu' "verificato", come capita alle convinzioni
che s'impadroniscono della mente, specialmente quelle di natura ossessiva e
paranoica, e fanno vedere la realta' in un certo modo. Il copione si e'
cosi' sovrapposto alla complessita' di un processo culturale di confronto e
scambio, di cui gli Usa a suo tempo ci hanno dato notevoli esempi positivi,
e che anche da noi e' cominciato, per fortuna, ma nell'ombra, dovendo
scontare la distrazione dei mezzi di comunicazione di massa che preferiscono
il reality show. Ed e' secondo quel copione che hanno agito, ai nostri
occhi, gli uccisori della ragazza e lei e' apparsa al senso comune come la
vittima dello scontro tra l'occidente liberale e l'islam che opprime le
donne.
*
Invano le persone piu' responsabili hanno ricordato che la legge islamica
non da' al padre il diritto di vita e di morte sui figli, e che i parenti di
Hina hanno agito contro la volonta' di Dio. Qualche giornale ha riportato
queste parole, ma tutti hanno continuato ad interpretare i fatti associando
strettamente l'islam al delitto e sforzandosi - alcuni, reattivamente - di
rompere quell'associazione.
Mi chiedo se quell'associazione non si sia stabilita anche in quelli che
criticano lo scontro di civilta'. Non credo, forse il punto e' un altro e
cioe', detto molto in breve, che la sinistra non ha trovato argomenti suoi,
argomenti intendo che fossero all'altezza della commozione pubblica.
L'accusa di reticenza rivoltale dalla destra, non era infondata, tant'e' che
a questa accusa si e' reagito con un certo affanno. Penso a quell'abbasso la
comunita', viva la persona singola, che ho letto sul "Manifesto", cui
seguiva il rigetto del multiculturalismo, in nome del primato da dare alla
persona singola rispetto alla sua comunita' di appartenenza. Posizione
condivisibile che pero' non tiene conto che le comunita' forniscono
un'assistenza simbolica e materiale quando ai singoli e' difficile trovarla
da altre parti. E che non apre prospettive se non quella del mercato del
lavoro alle sue condizioni. Perche' no? Purche' ricordiamo quello che Marx
ha detto meglio di tutti: il capitale scioglie i vincoli non economici,
libera le persone da padri, madri, preti e capitribu', e le mette nude e
crude a disposizione del mercato della forza lavoro, per definizione libero.
Ci sarebbero i diritti, ma la strada per arrivarci e' molto lunga, se non
sei nata fra i privilegiati del globo...
Percio' ho molto apprezzato l'uscita del gruppo Differenza donna che, per
bocca di Gabriella Paparazzo, su "Liberazione", cosi' ha risposto alla
chiamata in causa delle femministe da parte di chi vede in Hina la vittima
dello scontro fra Occidente e Islam: e' vero, c'e' uno scontro di civilta',
ma non e' quello che dite voi, la guerra di civilta' e' tra donne e uomini.
Oltre alla retorica incisiva, c'e' in questa presa di posizione uno
spostamento di punti di vista che e' una mossa giusta e precisa nei
confronti della destra e, direi ancor piu', nei confronti della cultura
politica di sinistra. Dobbiamo chiederci, infatti, se quest'ultima sia in
condizione di raccontare la storia politica delle donne, ossia la storia di
donne e uomini dal punto di vista della liberta' femminile. Il dubbio nasce
dal fatto che la cultura politica di sinistra non ha ancora veramente
abbandonato la sua vecchia impostazione, ma solo ammodernato il vecchio
linguaggio della "questione femminile" in quello dei diritti, restando
sempre dentro l'orizzonte della parita' fra donne e uomini, che significa in
pratica l'omologazione delle donne agli uomini. La vicenda di Hina si riduce
cosi' ad una storia di diritti negati, e diventa pressoche' impossibile, nel
presente contesto storico, impedire che altri ci costruiscano sopra il
confronto sommario fra la sua cultura di origine e la nostra. Lo mostra bene
questo titolo del "Foglio": "Il silenzio femminista sulle schiave di Allah.
Neanche la tragedia di Hina ha smosso le paladine dei diritti delle donne:
e' ora di svegliarsi". C'e' una cosa che vorrei dire qui, circa l'abusato
"silenzio delle femministe": la formula, inventata da una giornalista dalle
buone intenzioni per una riuscita manifestazione ("Usciamo dal silenzio" poi
corretto con "Siamo uscite dal silenzio"), e' diventata il leitmotiv
dell'ignoranza pregressa e persistente su quello che le femministe dicono.
Ma e' anche il sintomo di una difficolta' a sapere e dire quello che e'
veramente accaduto in questi decenni con il movimento femminista, del quale
dobbiamo ricordare, fra l'altro, che non e' riducibile alla cultura e alla
storia del cosiddetto Occidente.
*
Sulla vicenda di Hina Saleem, la sinistra critica, unitamente ad una parte
della cultura conservatrice, quella veramente liberale, scontano una
difficolta' ulteriore e cioe' che non capiscono a che cosa serva la
religione nella vita pubblica, se non a fare una pericolosa confusione, e
considerano un valore imprescindibile la separazione tra religione e
ordinamento statale. Come noto, ci sono alcuni paesi islamici che conoscono
questa separazione, come la Siria, l'Egitto, l'Iraq di Saddam Hussein, ma la
cultura islamica, nel suo insieme, non ha elaborato il senso della laicita'
come noi l'intendiamo. La dottrina islamica, come si sa o si dovrebbe
sapere, orienta dettagliatamente le persone nella vita personale come in
quella pubblica, favorendo, fra l'altro, anche comportamenti pubblici di
grande nobilta'. Fra gli islamici ci sono ovviamente gli ipocriti e,
soprattutto, ci sono quelli che non ci stanno: la giovane Hina, per fare un
esempio piccolo ma notevole, non accettava piu' quell'orientamento. Domanda:
siamo noi in condizione di apprezzare l'entita' e la natura del conflitto da
lei aperto, probabilmente nella maniera piu' spontanea e disarmata, con la
sua gente? Preciso che questa domanda io la pongo non dal punto di vista del
relativismo, nel quale non credo, cosi' come non credo nel pluralismo,
perche' penso che la sfida del vero e del giusto va accettata e riformulata
incessantemente. La pongo dal punto di vista di una che ha alcune critiche
da fare alla modernita' proprio in tema di religione, piu' o meno le stesse
critiche e negli stessi termini che troviamo nella filosofia di Giacomo
Leopardi.
Insomma, in questa fase storica, nei rapporti con il mondo islamico, e'
richiesto un grande lavoro di mediazione creativa, le distanze essendo
diventate grandi perche' noi siamo andati distanti, in bene e in male:
distanti, non avanti.
Percio' il pensiero critico non basta e puo' perfino fare danno quando
arriva all'ipercriticismo e proclama che il tempo delle grandi narrazioni e'
finito. C'e' da narrare, io dico, la storia delle donne, storia anche
politica di una lotta per la liberta' che attraversa le civilta' in piu'
sensi e a piu' livelli - quando dico "delle donne", intendo: delle donne
senza escludere gli uomini, per cui si tratta, in definitiva, della vera
storia dell'umanita'.

6. MEMORIA. ADRIANO APRA' RICORDA DANIELE HUILLET
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre 2006.
Adriano Apra' (Roma 1940), acutissimo studioso di cinema, fondatore della
rivista "Cinema & film", promotore di numerose iniziative, autore di
numerosi saggi, e' una delle figure piu' vive della cultura cinematografica
in Italia.
Daniele Huillet: nata a Parigi nel 1936, cineasta francese, autrice in
collaborazione col marito Jean-Marie Straub di film imprescindibili, e'
deceduta nell'ottobre 2006. Per una filmografia delle opere di Daniele
Huillet e Jean-Marie Straub si veda sotto, in questo stesso foglio. In
volume: Testi cinematografici, Editori Riuniti, Roma 1992. Opere su Daniele
Huillet e Jean-Marie Straub: Piero Spila (a cura di), Il cinema di Jean
Marie Straub e Daniele Huillet, Bulzoni, Roma]

Ho fatto in tempo, il giorno dopo la prima veneziana, a dirle per telefono
quanto mi era piaciuto Quei loro incontri. "Un film di armonia raggiunta",
le ho detto. "Non ci hai sentito la rabbia?", ha replicato. "No, per una
volta no, ci ho sentito serenita'". Parlava pacatamente. Alle mie richieste
di notizie sulla salute, che sapevo precaria, ha risposto minimizzando.
Jean-Marie, lui si' che invece era rabbioso. E non c'e' stato verso di
convincerlo a farmi andare a casa loro (abitano a due passi da me), a
vederli, a parlargli a viva voce. Neppure la notizia del Leone d'oro, che
Daniele mi aveva preannunciato, e che le aveva fatto piacere (ho poi visto
la cerimonia la sera stessa, e mi pareva che la proclamazione fosse stata
collocata in posizione di tutto rilievo), ha smosso Jean-Marie: 'Troppo
tardi".
Come dargli torto, adesso. Quanto poco quest'Italia, che avevano scelto come
loro residenza (Roma, dal 1969, e da alcuni anni anche Buti, la "Monument
Valley" dei loro ultimi film, come dicevano), li ha gratificati; quanto
colpevole, e stupida, la nostra critica per aver opposto non un muro ma,
piu' crudelmente, il silenzio. Adesso, forse, qualcuno piangera',
ipocritamente. I pochi che da noi li amavano - non cosi' pochi, ma discreti,
fedeli, e con scarsi poteri mediatici naturalmente - non possono che
provare, come me, lo strazio di una perdita e l'ammirazione per una coerenza
che diventa modello di vita, oltre che di cinema, a cui confrontare lo
schiamazzo imperante e anche i troppo deboli tentativi di resistenza.
Daniele e Jean-Marie (come separarli?) li avevo conosciuti in Germania, nel
1965 o 1966. Ma parlavo soprattutto con Jean-Marie, il "portavoce". Quando
decisero di lasciare Monaco per Roma, dov'era ambientato il progetto di
Othon, vennero ad abitare per alcuni giorni nella mia piccolissima ma sempre
ospitale casa di vicolo del Governo Vecchio. La loro biblioteca sparsa sul
pavimento, un letto rimediato, la gioia di una condivisione. Poi la loro
nuova casa di piazza Della Rovere, a due passi dal Filmstudio 70. E li' le
prove, a giugno, di Othon, che mi avevano chiesto - altra gioia, e qualche
palpitazione - di interpretare; e l'aiuto a tradurre in italiano testi e
sottotitoli di quello e di altri film, e l'esperienza del doppiaggio della
voce off di Magdalena (Rita Ehrhardt) in italiano (ho ancora la copia di
"Cinema & Film" con le correzioni autografe di Daniele alla prima
traduzione). E poi le riprese di Othon, con Olimpia Carlisi sempre complice,
e con Daniele che ascoltava il suono senza guardare in macchina, e che
sollecitava un nuovo ciak - l'intransigente - mentre Jean-Marie (sempre
Straub per lei) sembrava soddisfatto; ma forse era un gioco di coppia...
Tutto cio' che era "amministrazione" riguardava Daniele: dai problemi di
produzione a quelli della raccolta degli articoli scritti su di loro, alle
traduzioni e ai sottotitoli, alla cura della casa, e degli animali, loro o
trovatelli; nonche', fondamentale, il montaggio, che faceva con le forbici,
come una sarta. Del resto, non dimentico le origini campagnole di Daniele -
ho una foto che la ritrae a dieci o undici anni, nella campagna francese,
accanto a tre caprette -, che mi spiegano l'attenzione del loro cinema alla
terra (e all'acqua, e al cielo, alla natura come materia e come mistero).
Gli Straub come "contadini" del cinema, ho scritto una volta; e forse
l'anima ecologica profonda e' in questo senso proprio quella di Daniele.
Donna bella, e donna scontrosa e di poche parole, a cui ho voluto bene. E
tanto piu' ne voglio adesso a Jean-Marie, che resta solo, e che non riesco a
vedere senza di lei. Il coraggio non gli manca di certo, ma la prova e'
terribile. Ti sono accanto io, ti sono accanto gli amici.

7. MEMORIA. EDOARDO BRUNO RICORDA DANIELE HUILLET
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre 2006. Edoardo Bruno e'
studioso di cinema, docente universitario, direttore della rivista
"Filmcritica". Ta le opere piu' recenti di Edoardo Bruno: Dentro la stanza,
Bulzoni, 1990; Martin Scorsese, Gremese, 1991; Pranzo alle otto, Il
Saggiatore, 1994; Film. Antologia del pensiero critico, Bulzoni, 1997, 2004;
Black Edwards. L'occhio composto, Le Mani - Microart's, 1997; Il pensiero
che muove, Bulzoni, 1998; Espressione e ragione in Stroheim, Testo &
Immagine, 2000; Del gusto. Percorsi per una estetica del film, Bulzoni,
2001; Ritratti autoritratti, Bulzoni, 2006]

Mi fa rabbia e dolore la notizia della sua morte. Avevo conosciuta Daniele
prima di Jean-Marie, quando venne a portarmi in redazione, nel 1970, visto
che avevamo intrapreso una campagna contro il doppiaggio, una lunga lettera
di Straub "agli uffici competenti della Rai" che concludeva, dopo aver
spiegato il suo atteggiamento contro l'abitudine di doppiare i film,
"propongo di sottoporre alla televisione una versione di Les yeux ne veulent
pas sottotitolata in italiano, altrimenti preferisco rinunciare ai quindici
milioni di partecipazione della Rai al film".
In seguito, era venuta molte altre volte in occasione di conversazioni,
incontri, documenti e scritti da pubblicare, da Introduzione alla musica di
accompagnamento per una scena del film di Arnold Schoenberg a tutta la serie
di film girati assieme a Jean-Marie, in particolare Moses und Aron e Fortini
cani. Era meravigliosa, sorridente ma ferma, un carattere duro ma dolce,
aperta a polemizzare, a giustificare quelle sue traduzioni in italiano che
mi facevano soffrire, sia per l'impiego delle parole che per la
punteggiatura. Ricordo che una volta corressi, prima di pubblicare, tutto un
decoupage che mi sembrava non corretto nella traduzione ma dopo averglielo
fatto vedere, accettai quel suo italiano e quel suo modo di "pausare" - che
in fondo la punteggiatura a questo mira - perche', le dissi, e' d'autore. In
questo era irremovibile, ferma e convincente, come del resto, nella fonia,
nelle pause, nel ritmo, ci hanno poi insegnato con i loro film "toscani" con
Pavese, Vittorini, Fortini.
"Impartiva" a me lezioni di italiano con una forza di convinzione mirabile,
e recitava leggendo, dando una prova alta di recitazione. In un articolo
pubblicato su "Filmcritica" (n. 273) intitolato "Come 'correggere' la
nostalgia" Daniele, a proposito di Troppo presto/troppo tardi, scriveva:
"non c'e' film nostro in cui tutto sia cosi' 'aperto', cosi' libero,
affinche' siano gli spettatori stessi a stabilire relazioni, nessi,
'rapporti' ed imparare a decifrare, collegare, 'interpretare' la realta', o
meglio le realta'!". E, per riprendere il titolo, concludeva: "Nella
corrispondenza di Marx e di Engels io una volta lessi questa lettera che a
Straub piacque molto - era anche un mezzo per 'correggere' la nostalgia e
collegare Parigi e il paese".
Mi fa rabbia questa sua partenza per luoghi sconosciuti, per paesaggi
lontani, in questi giorni dove il rigore, la forza delle decisioni, la
politica stessa sembra vacillare; e mi fa dolore sapere Jean-Marie senza il
suo conforto, senza la precisione delle scelte, senza la presenza
ininterrotta in tutti i suoi film, nodali appuntamenti di un cinema
dell'essenziale, in una dialettica testo a testo che invera le immagini in
un concreto abitare politico, forte come una punta di acciaio, acuto come un
canto di Majakowskij. Essenziale nella secchezza di una struttura dove senti
circolare l'aria, il vento di Griffith, l'ansia di Ford, lo stormire della
foglie, il canto delle parole, ricomposte come musica nel ritmo materico di
un processo matematico, dove ogni singolo fotogramma insegue un calcolo
segreto, come i canoni bachiani delle Variazioni Goldberg.
Nel film di Pedro Costa Daniele Huillet et Jean-Marie Straub, Cineastes. Ou'
git votre sourire enfoui? La vediamo nel suo corpo a corpo, in un
cortocircuito, con Jean-Marie, nella "lotta in cui conta la differenza di un
fotogramma, il senso di un taglio, il disegno morale di ogni inquadratura".

8. MEMORIA. CRISTINA PICCINO RICORDA DANIELE HUILLET
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre 2006. Cristina Piccino scrive
sul quotidiano "Il manifesto", si occupa prevalentemente di cinema,
spettacolo, cultura]

La vita di Daniele Huillet prima dell'incontro con Jean-Marie Straub, cioe'
prima del loro cinema, si sintetizza nelle note pubbliche in una data, primo
maggio 1936, il giorno della nascita; a voler essere un po' cabalistici, e
questo l'avrebbe fatta sorridere e magari pure un po' indignare, c'era in
questa combinazione gia' la chiave del tempo a venire. Il primo maggio dei
lavoratori in festa, gli anni della guerra di Spagna la cui eco con
violenza, nella fuga di migliaia di rivoluzionari massacrati dai fascisti e
dall'esercito di Franco arriva fino a Parigi, la citta' natale. Pure se poi
Daniele Huillet "frequenta" la campagna, e la' torneranno i loro film, in un
gesto che guarda quasi al principio del cinema e dell'era moderna.
E' dal 1962 che troviamo notizie di lei, inseparabile, anzi inscindibile il
suo nome (e viceversa) da quello di Jean-Marie Straub, il loro e' lavoro
politico e poetico in un'amorosa complicita' che e' dichiarazione di
resistenza a ogni possibile compromesso. Di critica e radicalita' del
piacere visuale, una pratica antagonista sganciata sempre pero' dai supremi
valori. La forza delle loro immagini sta piuttosto nel tono visivamente e
acusticamente dissonante, e' questo che le mette e con prepotenza al centro
dell'attenzione etica e politica.
Le fotografie degli anni Sessanta e Settanta ci rimandano una ragazza di
bellezza "nouvelle vague", segreta come la sua biografia, gli occhi
penetranti sotto ai capelli scuri, quello sguardo che a tanti sembrava
durissimo e che celava invece una dolcezza piena di umorismo come raramente
capita di incontrarne. Poteva sembrare austera Daniele, mai un accenno di
trucco, un apparente non curarsi di se' che era invece eleganza innata.
Adesso e' andata via in un ospedale francese della Vandea, dove aveva
raggiunto alcuni amici per curarsi. E fa fatica, e dolore, pensare a
Jean-Marie da solo, lui che diceva appena pochi giorni fa che lei, Daniele,
era il suo corpo e la ragione del suo stare al mondo mentre lui e' soltanto
un disguido della natura. Entrambi col distributore francese - Quei loro
incontri esce a Parigi il 18 - scherzavano sul fatto che in sala il film
sarebbe arrivato dopo la loro morte, farai un sacco di soldi dicevano.
All'ultima Mostra di Venezia Jean-Marie Straub e Daniele Huillet non hanno
accompagnato Quei loro incontri, ritorno a Cesare Pavese gia' esplorato in
Dalla nube alla Resistenza, Daniele stava gia' malissimo, eppure solo
qualche giorno piu' tardi fermandosi dagli amici a Buti - doveva affidargli
il cane Melchiorre - con cui da Sicilia! ha diviso questi ultimi anni di
ricerca, leggeva un nuovo testo da girare in primavera. "La morte di un
giusto pesa tanto di piu'", sussurra al telefono Marco Mueller volato
immediatamente a Parigi che Quei loro incontri lo ha voluto in gara
appoggiando la decisione di premiare col Leone d'oro l'intera carriera i due
cineasti.
*
Non e' solo questione di un commuoversi retrospettivo, al contrario e' un
lucido gesto di consapevolezza politica e culturale non indifferente. In un
paese dove nel giorno della sua morte, ci abitavano da quarant'anni e il
loro cinema e' ammirato in tutto il mondo (Jean-Luc Godard non perde un loro
film), non c'e' una sola nota d'agenzia che ne informa.
Certo se la politica sul cinema corrisponde allo schiamazzo intorno alla
festa romana sempre meno ce ne sara' di spazio per le immagini non
addomesticate. All'Auditorium non troveremo i film di Straub-Huillet, e'
questione di sensibilita', non di omaggio postumo, e se le energie che per
anni hanno praticato "amore per il cinema" in questo paese e in questa
citta', dai cineclub degli anni '70 tipo Filmstudio (e' li' che arrivarono
sbarcati a Roma i due registi ospiti di Adriano Apra') e Officina, ai
giovani che quella passione l'hanno nel dna (Tekfestival), passando per le
visioni collettive di Massenzio sono fuori, la prospettiva sara' sempre
limitata.
*
Il 1962 e' l'anno di Machorka-Muff, l'esordio, 18 minuti di bianco e nero,
feroce incursione, sempre trasversale come lezione di Brecht vuole, nel
rimosso nazista della Germania di dopoguerra e boom economico e incontro con
la giovane letteratura tedesca di Heinrich Boell. Lo stesso set, e la stessa
lucida trasversalita', di Non riconciliati, fino a Cronaca di Anna Magdalena
Bach, rivoluzione del linguaggio narrativo e pratica di caos nel visibile,
attraverso il racconto della vita in coppia detto dalla moglie del
musicista. Il "nuovo cinema tedesco" non ha rapporti con Straub-Huillet pure
se i due vorranno Rainer Maria Fassbinder come protagonista del sublime La
fidanzata, l'attrice, il ruffiano, il '68 distillato in immaginario. Prima
di partire per sempre per l'Italia gli lasceranno alcune sequenze che
Fassbinder inserisce poi nell'Amore e' piu' freddo della morte.
"La relazione con la Germania non e' solo culturale, viviamo qui e siccome
la violenza della Germania e' sempre piu' forte e praticata in modo aperto
abbiamo dovuto combattere dieci anni per finanziare la Cronaca di Anna
Magdalena Bach" dicevano. La Germania era il punto di fuga di Straub dalla
Francia ricercato perche' aveva rifiutato di combattere nella guerra
d'Algeria, da subito voce critica e solitaria contro un altro tabu'
intoccabile. Prima Metz, la citta' dove Straub e' nato, era finita sotto
l'occupazione tedesca, ma questa e' ancora un'altra storia...
L'Italia sono gli anni Settanta, altre battaglie durissime di rivolta
sociale e ricerca dopo il '68 di un'utopia di vita. Loro sono Marx, Brecht,
Schoenberg, Fortini, Holderlin... La Roma di Othon , il primo film italiano,
e' citta' dissonante di rumore e immagine, storia e bruciante presente.
A pensarci bene tutto il loro cinema compone il secolo, il Novecento,
declinato nell'attualita' di musica scolpita e partitura all'aria aperta,
corpi umani e presa diretta, gesti voci che dissipano le parole d'ordine.
Una lotta di classe (Germania e poi Italia sono "buone scuole") mai
mummificata, fluida, vivente fino a quell'incursione nel mito di Quei loro
incontri con gli umani che se capaci sanno e devono inventarsi attimi
fuggenti, mentre le divinita' sono intrappolate nell'essere immortali.
Pavese lo amavano molto Jean-Marie e Daniele, scandalizzo' le nostre lettere
come loro il nostro cinema.
A Roma si arrabbiavano, Daniele non ha mai capito perche' questo paese
continuasse a respingerli, a ignorare i loro film, almeno fino all'incontro
con la realta' di Buti che e' stato come un nuovo inizio.
Loro. Ma e' impossibile dire altro. Straub la voce che gridava dissenso
negli incontri pubblici, Daniele sempre un po' in disparte, camminando su e
giu', quasi a "controllare" il momento in atto. Daniele e i suoi appunti
minuziosi di traduzione ritmica di ogni testo. Il montaggio, l'ascolto di
ogni rumore in ripresa. Il puntiglio amoroso nelle prove con gli attori. Gli
animali indifesi, quasi un'ossesione praticata con la stessa urgenza del
fare: fare cinema, fare vita, irrompere nel battito del tempo e dello
spazio.

9. MATERIALI. FILMOGRAFIA DI DANIELE HUILLET E JEAN-MARIE STRAUB
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre 2006]

1962 - Machorka-Muff (cortometraggio).
1964/'65 - Non riconciliati, ovvero solo violenza aiuta dove violenza regna.
1967 - Cronaca di Anna Magdalena Bach
1968 - Il fidanzato, l'attrice e il ruffiano
1969 - Othon. Les yeux ne veulent pas en tout temps se fermer ou Peut-etre
qu'un jour Rome se permettra de choisir a' son tour
1972 - Lezioni di storia
1972 - Introduzione per la "Musica d'accompagnamento per una scena di film"
di Arnold Schoenberg
1974 - Mose' e Aronne
1976 - I Cani del Sinai
1977 - Toute revolution est un coup de des
1978 - Dalla nube alla Resistenza
1980/'81 - Troppo presto, troppo tardi
1982 - En rachachant
1983 - Amerika/Rapports de classes
1986 - La morte di Empedocle
1988 - Noir Peche'
1989 - Cezanne
1991 - Antigone
1994 - Lothringen!
1996 - Du jour au lendemain
1998 - Sicilia!
2001 - Operai e contadini
2003 - Il ritorno del figliol prodigo - Umiliati
2004 - Una visita al Louvre
2006 - Quei loro incontri

10. CRISTINA NADOTTI: IL PREMIO NOBEL PER LA PACE A MUHAMMAD YUNUS
[Dal sito www.repubblica.it
Cristina Nadotti, giornalista, scrive su "La Repubblica" e collabora con
varie riviste del gruppo editoriale "L'Espresso".
Muhammad Yunus e' l'ideatore e fondatore della Grameen Bank; nato e
cresciuto a Chittagong, principale porto mercantile del Bangladesh,
economista, docente universitario negli Usa poi in Bangladesh; fondatore nel
1977 della Grameen Bank, un istituto di credito indipendente che pratica il
microcredito senza garanzie, grazie a cui centinaia di migliaia di persone -
le piu' povere tra i poveri - si sono affrancate dalla miseria e dall'usura
e sono riuscite a prendere nelle proprie mani il proprio destino. Opere di
Muhammad Yunus: Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano 1998. Opere su
Muhammad Yunus e la Grameen Bank: Federica Volpi, Il denaro della speranza,
Emi, Bologna 1998. Una intervista a Muhammad Yunus e' nel n. 396 di questo
foglio]

Ha dato dignita' e una speranza a milioni di poveri e con la sua Grameen
Bank ha dato anche uno schiaffo alla Banca mondiale. Il premio Nobel per la
pace del 2006 e' Muhammad Yunus, bengalese, noto come "il banchiere dei
poveri", perche' ha istituzionalizzato i piccoli prestiti che hanno
consentito, come dice la motivazione, "di creare sviluppo economico e
sociale dal basso". Il Nobel conferito oggi a Muhammad Yunus fa seguito a
quello per l'economia assegnato nel 1998 all'indiano Amartya Sen: Sen aveva
enucleato i principi teorici che sono alla base del microcredito di Yunus.
Yunus e i suoi collaboratori hanno cominciato battendo a piedi centinaia di
villaggi del poverissimo Bangladesh, concedendo in prestito pochi dollari
alle comunita', somme minime che servivano per avviare progetti
imprenditoriali. Un'azione che ha avviato anche un circolo virtuoso, con
ricadute sull'emancipazione femminile, poiche' Yunus ha fatto leva sulle
donne per creare cooperative e promuovere il coinvolgimento di ampi strati
della popolazione.
Il professor Yunus e' nato nel 1940 a Chittagong, il piu' importante centro
economico del Bengala Orientale. Terzo di 14 figli, cinque dei quali morti
ancora bambini, ha studiato nella sua citta' poi, dopo la Fulbright, ha
conseguito il dottorato all'universita' Vanderbilt di Nashville, nel
Tennessee. Nel 1972 e' diventato capo del dipartimento economico
dell'universita' di Chittagong. Nel 1983 ha fondato la banca Grameen e nel
1997 ha presieduto a Washington la prima conferenza mondiale sul
microcredito. La sua storia personale e i fondamenti del sistema della
Grameen Bank sono descritti nel libro "Il banchiere dei poveri", che gli e'
valso numerosi premi in tutto il mondo.
La Grameen Bank oggi ha 1.084 filiali e vi lavorano 12.500 persone. I
clienti in 37.000 villaggi sono 2.100.000, per il 94% donne. Il sistema non
e' in perdita: il 98% dei prestiti viene restituito. Nel suoi libri Yunus
rivolge critiche feroci al sistema della Banca Mondiale e dei sussidi ai
paesi sottosviluppati e non tace dei tentativi fatti dall'organizzazione
internazionale per inglobare la sua Grameen Bank, tentativi che l'economista
bengalese ha sempre respinto decisamente.
Tuttavia il "sistema Yunus" ha provocato un cambiamento di mentalita' anche
all'interno della Banca Mondiale, che ha cominciato ad avviare progetti
simili a quelli della Grameen. Il microcredito e' diventato cosi' uno degli
strumenti di finanziamento usati in tutto il mondo per promuovere sviluppo
economico e sociale, diffuso in oltre 100 nazioni in tutto il mondo, dagli
Stati Uniti all'Uganda. "In Bangladesh, dove non funziona nulla - ha detto
una volta Yunus - il microcredito funziona come un orologio svizzero".
"Attraverso culture e civilta', Yunus e la Grameen Bank hanno dimostrato che
anche i piu' poveri fra i poveri possono lavorare per portare avanti il
proprio sviluppo", si legge nelle motivazioni, scritte dalla giuria di
cinque membri che ha assegnato il Premio Nobel per la Pace 2006 a Muhammad
Yunus. "La pace duratura non puo' essere ottenuta a meno che larghe fasce
della popolazione non trovino mezzi per uscire dalla poverta' - continua la
motivazione - il microcredito e' uno di questi mezzi".
"Sono felicissimo, non posso credere che sia accaduto davvero. Voi sostenete
il sogno di un mondo libero dalla poverta", e' stato il commento a caldo
fatto da Yunus ai microfoni di una radio norvegese. "Il Nobel e' una grande
cosa - ha continuato Yunus - per me e per la nazione, ma ci carica di nuove
e maggiori responsabilita'. Il Bangladesh deve sradicare la poverta' dal
paese e impegnarsi per combatterla ed eliminarla in tutto il mondo".
L'economista bengalese, nonostante l'enorme successo ottenuto dal sistema da
lui inventato, non ha mai smesso di lavorare dal basso, seguendo passo passo
le attivita' dei suoi collaboratori e accettando gli inviti di
organizzazioni in tutto il mondo per parlare e diffondere il microcredito.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1448 del 14 ottobre 2006

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