La nonviolenza e' in cammino. 1445



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1445 dell'11 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Afghanistan
2. Contro il nucleare
3. Maria Teresa Carbone: Anna Politkovskaja
4. Marina Forti intervista Ibu Robin Lim
5. "Una citta'" intervista Giuseppe Moscati: La religione di Aldo Capitini
6. Letture: Dario Paccino, I senzapatria. Resistenza ieri e oggi
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. AFGHANISTAN

Chi, se non il popolo italiano, deve battersi - con la forza della
nonviolenza - per far cessare la partecipazione militare italiana alla
guerra e alle stragi in Afghanistan?
Chi, se non il popolo italiano, deve battersi - con la forza della
nonviolenza - per costringere il governo e il parlamento italiani a tornare
nella legalita' costituzionale che impone di ripudiare la guerra, quella
legalita' costituzionale che e' fondamento e presidio della nostra comune
liberta' e che da troppi anni governi golpisti e sanguinari, e maggioranze
parlamentari complici, reiteratamente scelleratamente violano?
Chi, se non il popolo italiano, deve - con la forza della nonviolenza -
contrastare ad un tempo la guerra, le stragi, l'illegalita' golpista, il
terrorismo che ulteriore terrorismo produce, i crimini insomma di cui
governo e parlamento italiano si sono fatti responsabili e complici?
Se non ripristiniamo la legalita' costituzionale nel nostro paese, se non
facciamo cessare la partecipazione italiana alle guerre, come possiamo
sperare di agire per la pace e i diritti dei popoli e delle persone?
Chi non contrasta la guerra e le stragi, della guerra e delle stragi e'
complice. Non conta che si dicano e si facciano altre cose, magari buone e
degne: poiche' quella complicita' con la guerra e le stragi corrompe e
vanifica tutto il resto.

2. EDITORIALE. CONTRO IL NUCLEARE

Gia' Albert Einstein e Bertrand Russell seppero porre la richiesta secca:
salvare l'umanita', ripudiare l'atomica.
Gia' Mohandas Gandhi seppe chiarire che dopo Hiroshima l'alternativa era
ancora piu' secca: o la nonviolenza, o la distruzione dell'umanita'.
Gia' Guenther Anders seppe dire questa verita' estrema e ineludibile: la
sola esistenza dell'arma atomica e' gia' antiumana.
Gia' in molte e molti nelle vive lotte degli anni '70 e '80 in Italia
sapemmo dire che il nucleare tutto - militare e civile - e' una minaccia
inaccettabile, un pericolo immenso per l'umanita' intera.
Le varie iniziative (come quella della causa civile promossa da pacifiste e
pacifisti contro le atomiche ad Aviano), i vari appelli di questi mesi (come
quello promosso da padre Zanotelli) confermano in varie forme e con varie
accentuazioni un'esigenza, un'urgenza assoluta: occorre il disarmo, occorre
la smilitarizzazione dei conflitti, occorre cessare di costruire le armi -
non solo quelle atomiche - e smantellare gli arsenali esistenti; ma occorre
anche - aggiungiamo - cessare di costruire anche gli impianti atomici
"civili" e smantellare quelli esistenti.
Occorre la scelta della nonviolenza: come base e  criterio della politica
internazionale (che e' oggi la politica tout court), come principio
giuriscostituente.

3. MEMORIA. MARIA TERESA CARBONE: ANNA POLITKOVSKAJA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 ottobre 2006.
Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale,
curatrice con Nanni Balestrini del sito di letture e visioni in rete
www.zoooom.it
Anna Politkovskaja, giornalista russa, nata a New York nel 1958, impegnata
nella denuncia delle violazioni dei diritti umani con particolar riferimento
alla guerra cecena, e' stata assassinata nell'ottobre 2006. Opere di Anna
Politkovskaja disponibili in italiano: Cecenia. Il disonore russo, Fandango,
2003; La Russia di Putin, Adelphi, 2005]

Non sembrava destinata a diventare una eroina, Anna Politkovskaja. Ragazza
"di buona famiglia", era nata nel 1958 a New York, perche' i genitori,
diplomatici di origine ucraina, lavoravano alla rappresentanza sovietica
presso le Nazioni Unite. Una infanzia privilegiata, all'estero, lontano
dalla penuria dell'Urss di quegli anni, dalle piccole case sbilenche che
Khrushchev stava facendo costruire in fretta e furia per le moltissime
famiglie che ancora vivevano in coabitazione, dalle code nei negozi.
Privilegiata, la sua infanzia, anche per la possibilita' di avere accesso a
tanti libri, consentiti o vietati, che lei, "lettrice accanita, un po'
secchiona" (come si sarebbe definita) divorava uno dopo l'altro.
Rientrata in patria per compiere gli studi, si iscrive alla facolta' di
giornalismo dell'Universita' statale di Mosca, la Mgu, la migliore di tutta
la Russia, e ottiene addirittura di scrivere la tesi sulla grande poetessa
Marina Cvetaeva, venerata nelle conversazioni delle fumose cucine russe, ma
pochissimo amata dalla cultura ufficiale di quegli anni.
I privilegi continuano: nel 1980 si laurea, diventa giornalista prima per
l'Izvestija e poi per il quotidiano dell'Aeroflot, comincia a viaggiare per
tutto il paese ("i giornalisti avevano biglietti gratis tutto l'anno,
potevamo prendere qualsiasi aereo e andare dove volevamo"). E intanto si
sposa e ha due figli.
La svolta arriva alla meta' degli anni Ottanta, con la perestrojka: "Dal
punto di vista economico la vita divento' molto piu' difficile, ma era pura
felicita', quella di poter leggere, pensare e scrivere tutto quello che
volevamo". Una gioia, quella di allora, che a distanza di anni trapela nel
libro di denuncia La Russia di Putin (edito da Adelphi nel 2005), in cui la
giornalista rievoca con nostalgia - e senza apparentemente rendersi conto di
quanto la facciata differisse dalla realta' - i "tentativi di
democratizzazione" di Eltsin.
In quegli anni Anna Politkovskaja passa alla stampa indipendente, prima alla
"Obshaja Gazeta" e poi, dal 1999, alla "Novaja Gazeta", che nel panorama
spianato con le ruspe dell'informazione russa al tempo dello "zar Vladimir"
rappresenta una delle pochissime voci non conformi alla linea del Cremlino.
Nello stesso 1999 i russi invadono per la seconda volta la Cecenia e la
giornalista comincia a scrivere una serie di reportage (poi raccolti in un
volume, Cecenia. Il disonore russo, pubblicato anche in Italia nel 2003 per
Fandango) che a mano a mano la renderanno sempre piu' conosciuta, in Russia
e anche all'estero: da semplice cronista del conflitto, diventa una figura
di riferimento dell'opposizione alla guerra, fino a farsi mediatrice (senza
successo) fra autorita' e terroristi nel tragico attacco al teatro mosvovita
Na Dubrovke.
Il suo coinvolgimento le costa moltissimo, sotto tutti i punti di vista: il
suo matrimonio finisce, e lei e' sottoposta a una serie di pressioni che
culmineranno nell'oscuro tentativo di avvelenamento di cui la giornalista e'
vittima nel settembre 2004, mentre cerca di raggiungere la scuola assediata
di Beslan. Le capita addirittura, nei suoi continui andirivieni con la
Cecenia, di dover scappare da sola, a piedi, nella notte, nel terrore di
cadere nelle mani delle squadre della morte del governo di Mosca o di
Grozny. Ma Anna Politkovskaja non si arrende: nei suoi articoli, e nel libro
La Russia di Putin (uscito non a caso fuori dal suo paese) continua a
denunciare con nome e cognome gli autori dei crimini cui le e' toccato di
assistere, i giudici corrotti, la "mostruosa stabilita'" del suo paese.
"Non ci vorranno generazioni prima che la Russia diventi un paese davvero
libero" aveva detto, esattamente due anni fa, nell'ottobre del 2004, a James
Meek del "Guardian", e aveva aggiunto: "Nell'arco della mia esistenza voglio
riuscire a vivere una vita da essere umano, in cui ogni individuo e'
rispettato". Ma nella Russia di Putin questo non le e' stato dato.

4. PROFILI. MARINA FORTI INTERVISTA IBU ROBIN LIM
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 ottobre 2006.
Marina Forti, giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi
dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione,
scrive per il quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi
dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del
mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera.
Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati
ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004.
Ibu Robin Lim e' ostetrica, operatrice umanitaria, costruttrice di pace; un
suo profilo essenziale e' nel n. 1385 di questo foglio]

Ibu Robin Lim e' un'ambientalista, una poetessa, una pacifista; cerca
l'armonia tra le persone e tra queste e la natura. E' anche un'ostetrica
professionale: vive da anni a Bali, in Indonesia, lavora per migliorare la
salute delle madri e dei neonati; dice che aiutare i bambini a venire al
mondo senza violenza e' il primo passo per guardare con speranza il futuro.
Per questo nel 1994 Ibu Robin ha creato un'associazione no profit, la
Yayasan Bumi Sehat ("Fondazione madreterra sana"), che ha costruito una
clinica-consultorio non lontano dalla cittadina di Ubud, a Bali. Quando le
chiedo cosa l'ha spinta, parla di madri che muoiono di emorragia durante il
parto e di bambini malnutriti. Anche nella relativamente benestante Bali,
isola nota in occidente come destinazione turistica? "Bali e' come una scena
teatrale", mi risponde Ibu Robin: "I turisti non sanno cosa ci sia dietro le
quinte. In Indonesia, e anche a Bali, la morte per parto e' comune e la
malnutrizione e' la prima causa di morte infantile, oltre a causare ritardo
nello sviluppo dei bebe' che sopravvivono".
Ibu Robin Lim era in Italia la settimana scorsa: il 29 settembre ha ricevuto
il Premio internazionale "Alexander Langer" a Bolzano, poi ha partecipato a
una serie di incontri (tra cui quello con il presidente della Camera Fausto
Bertinotti, a Roma). "Dopo la strage del 2002, Bali e' precipitata nella
crisi", continua Ibu Robin: "L'isola viveva di turismo, e con tanti hotel e
ristoranti chiusi centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro.
Anche il problema della malnutrizione e' peggiorato".
Nel consultorio di Bumi Sehat le madri e i bambini trovano assistenza
gratuita e sono seguiti durante il parto e dopo. "Il 100% delle notre
assistite allatta al seno", dice soddisfatta Ibu Robin: "Con l'allattamento
aumentano le chance di vedere il bambino crescere sano", spiega, ma
purtroppo il business spinge piuttosto sul latte in polvere, per evidenti
interessi economici - in un sistema del resto dove le cure mediche sono
riservate a chi le puo' pagare. La clinica di Bumi Sehat e' diventata un
luogo dove trovano aiuto tutte coloro che ne hanno bisogno, siano cristiane
o hindu o musulmane (e' cosa in se' importante, fa notare Ibu, in una
societa' dove le tensioni sono acuite dalla crisi economica; "anche il
nostro staff e' misto"). Trovano assistenza, vitamine, rimedi tradizionali,
un po' di medicina cinese, l'ospedale se serve: la clinica di Bumi Sehat
mescola saperi tradizionali e scienza medica. Accanto sono nati un piccolo
orto botanico e atelier dove alcune donne preparano prodotti tradizionali e
li vendono. ("Ibu Robin vuole impedire l'espropriazione delle conoscenze
femminili da parte dei medici",dice la motivazione del premio della
Fondazione Alex Langer).
*
Questa pero' e' solo la prima parte della storia. La seconda comincia quando
lo tsunami ha spazzato l'oceano Indiano alla fine del 2004: la signora dallo
sguardo insieme affettuoso e vigile ha impacchettato in gran fretta il
materiale sanitario disponibile e, insieme a diversi collaboratori e
volontari, e' volata a Aceh, provincia settentrionale di Sumatra, epicentro
della devastazione. "Non avevo mai visto nulla di simile. 280.000 persone
erano morte - ma c'e' chi dice che siano di piu', 400.000 - e i sopravissuti
non avevano nulla". Serviva tutto, a cominciare dall'acqua ("i pozzi erano
sommersi o salinizzati"). E servivano cure mediche.
Cosi' Bumi Sehat (con la fondazione Idep di Bali) ha costruito una clinica
che ora cura fino a 1.500 pazienti al mese - con annesso centro comunitario,
un campo da gioco, la biblioteca, cucina, toilettes. E' in una zona un po'
remota, lontano dai capoluoghi, dove bisogna portare la benzina per il
generatore (manca l'elettricita') e ogni rifornimento.
Fino allo tsunami Aceh era off limits, travolta da un conflitto armato: e'
stato difficile lavorare in quel contesto? "Mi sono assicurata che noi
restassimo neutrali, ne' con i governativi ne' con i separatisti. Solo cosi'
potevamo aiutare tutti". Con uno staff misto di volontari, il gruppo di Bumi
Sehat ha fatto i conti con la tradizione islamica, magari coperto la testa
per rispetto alle pazienti, riuscendo a superare le tensioni. Dice Ibu
Robin: "L'Indonesia e' una terra che trema, terremoti, vulcani. Ma dopo la
catastrofe ho visto persone mobilitarsi per aiutare, e questo mi da grande
speranza".

5. RIFLESSIONE. "UNA CITTA'" INTERVISTA GIUSEPPE MOSCATI: LA RELIGIONE DI
ALDO CAPITINI
[Dalla rivista "Una citta'", n. 140, giugno-luglio 2006 (disponibile anche
nel sito www.unacitta.it) riprendiamo il seguente colloquio su Aldo Capitini
con Giuseppe Moscati.
Giuseppe Moscati (per contatti: giuseppe.moscati at tiscalinet.it) e' dottore
di ricerca presso l'Universita' degli Studi di Perugia dove svolge attivita'
di collaboratore scientifico, tutore di sostegno e cultore della materia
presso le cattedre di filosofia morale e storia della filosofia morale del
professor Mario Martini, con cui condivide tra l'altro gli studi
capitiniani. Formatore sui temi dell'intercultura, della pace, del dialogo
tra i popoli e della cooperazione allo sviluppo, e' segretario e membro
supplente del Premio di laurea "Aldo Capitini". E' redattore della rivista
"Rocca". Ha pubblicato numerosi articoli su riviste specializzate
occupandosi in particolar modo degli aspetti etico-politici dell'opera di
Capitini e in generale del pensiero nonviolento, tra cui: "Il
libero-socialismo di Aldo Capitini", in AA. VV., Aldo Capitini tra
socialismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2001; La presenza alla
persona nell'etica di Aldo Capitini. Considerazioni su alcuni scritti
"minori", "Kykeion", n. 7, Firenze University Press, Firenze 2002; Mazzini,
Capitini, Gandhi. Intervista a Mario Martini, "Pensiero Mazziniano", nuova
serie LVII, n. 4, Bologna University Press, Bologna 2002; Pensare la pace,
scacco matto alla guerra. Una riflessione filosofica su conflitto e
dintorni, "Foro ellenico", VI, n. 53/2003; Dietrich Bonhoeffer:
Essere-per-gli-altri, "Rocca", LXIII, n. 8/2004; E il settimo giorno ando'
alla guerra. Religioni tra scenari di guerra e orizzonti di pace, "Apulia",
XXX, n. 4/2004; Capitini, la nonviolenza e il dialogo tra i popoli,
"L'altrapagina", XXII, n. 5/2005; Maria Zambrano, violenza e creazione,
"Rocca", LXIV, n. 12/2005; Simone Weil: dal mito al cuore dell'uomo,
"Rocca", LXIV, nn. 16-17/2005.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a
cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una
bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito
citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it,
altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un
altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a
Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni:
l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803,
e-mail: azionenonviolenta at sis.it
Guido Calogero, figura illustre della cultura e della vita civile italiana
del Novecento, nato a Roma nel 1904, filosofo, antifascista, organizzatore
del movimento liberalsocialista e del Partito d'Azione, e' scomparso nel
1986. Tra le opere di Guido Calogero segnaliamo particolarmente La scuola
dell'uomo, Sansoni, Firenze 1939; Lezioni di filosofia, Einaudi, Torino
1946-1948; Filosofia del dialogo, Comunita', Milano 1962, 1977; Le regole
della democrazia e le ragioni del socialismo, Edizioni dell'Ateneo, Roma
1968, poi Diabasis, Reggio Emilia 2001. Su Guido Calogero cfr. anche il n.
1329 di questo foglio e il supplemento "Voci e volti della nonviolenza" n.
26.
Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909 ed e' deceduto nel 2004,
antifascista, filosofo della politica e del diritto, autore di opere
fondamentali sui temi della democrazia, dei diritti umani, della pace, e'
stato uno dei piu' prestigiosi intellettuali italiani del XX secolo. Opere
di Norberto Bobbio: per la biografia (che si intreccia con decisive vicende
e cruciali dibattiti della storia italiana di questo secolo) si vedano il
volume di scritti autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e
l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze
su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico,
morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno Italia civile, Maestri e
compagni, Italia fedele, La mia Italia, tutti presso l'editore Passigli,
Firenze. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il futuro della
democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta'; tutti presso
Einaudi, Torino. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi,
Torino 1990. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della
pace, Il Mulino, Bologna, varie riedizioni; Il terzo assente, Sonda, Torino
1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza,
Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la
lettura di Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, 1977; Profilo
ideologico del Novecento, Garzanti, Milano 1990; Teoria generale del
diritto, Giappichelli, Torino 1993. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo
almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino
1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni
cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto
Bobbio, Donzelli, Roma 2000; AA. VV., Norberto Bobbio tra diritto e
politica, Laterza, Roma-Bari 2005; AA. VV., Norberto Bobbio maestro di
democrazia e di liberta', Cittadella, Assisi 2005; AA. VV., Lezioni Bobbio,
Einaudi, Torino 2006. Per la bibliografia di e su Norberto Bobbio uno
strumento di lavoro utilissimo e' il sito del Centro studi Piero Gobetti
(www.erasmo.it/gobetti).
Walter Binni e' nato a Perugia nel 1913, ha studiato alla Normale di Pisa,
antifascista, impegnato nella Resistenza, poi deputato alla Costituente;
docente universitario, tra i massimi studiosi della letteratura italiana; e'
scomparso sul finire del novembre 1997. Opere di Walter Binni: nella sua
vastissima produzione, tutta di grande valore, segnaliamo particolarmente
gli studi leopardiani: fondamentali La nuova poetica leopardiana, e La
protesta di Leopardi, editi da Sansoni; ed il giustamente celebre saggio
metodologico Poetica, critica e storia letteraria, edito da Laterza. Come e'
noto sono classici i suoi studi sulla poetica del decadentismo, il
preromanticismo italiano, Ariosto, Michelangelo scrittore, Metastasio,
Parini, Goldoni, Alfieri, Monti, Foscolo, Carducci, De Sanctis]

- "Una citta'": Quella di Aldo Capitini e' sicuramente una figura molto
particolare. Mi pare infatti egli avesse tutti i crismi per essere
considerato un vero e proprio intellettuale, appunto, ma senza mai vivere
appieno questo suo ruolo, o almeno non nel senso tradizionale del termine.
- Giuseppe Moscati: Concordo. La stretta aderenza dello stile di vita
adottato al proprio pensiero, l'estrema coerenza di scelte e principi,
azioni e valori, in breve la simbiosi di teoria e prassi, stanno a
testimoniare la riluttanza di Capitini a sentirsi un intellettuale per cosi'
dire "puro". Queste caratteristiche fanno di lui, semmai, un pensatore di
grande umanita' che ha pagato duramente il suo coraggio nel difendere le
proprie idee, un filosofo con un'eccezionale attenzione alla realta'
socio-politica e un lucido lettore del suo tempo. Ma credo anche,
profeticamente, del nostro. Ce ne fornisce una significativa conferma quanto
ha voluto sottolineare di recente il sociologo Franco Ferrarotti scrivendo
che "aprire il discorso sulla complessa figura di Aldo Capitini comporta, in
via preliminare, la considerazione di un paradosso: quanto piu' un pensiero
appare ai contemporanei come 'sfasato' e inattuale, tanto piu' questo stesso
pensiero si pone in realta' come significativo e pieno d'avvenire" (Stato
laico e religione civile: l'esempio di Aldo Capitini, in "Lettera
internazionale", n. 86, 2005, p. 51).
Capitini parte da studi letterari per poi approdare alla filosofia, che vede
subito sostanzialmente come un soccorso del pensiero all'azione di
opposizione al sistema totalitario prodotto dal regime fascista. Ma la
filosofia cui egli guarda non puo' essere naturalmente quella
dell'idealismo, cui reagisce con forza poiche' trova che sia un pensiero
chiuso; ne' puo' dirsi soddisfatto dall'esistenzialismo, cui pure si
riferisce sotto alcuni punti di vista, rielaborando quella peculiare forma
di esistenzialismo che e' stato il pensiero tragico di Carlo Michelstaedter.
Esistenzialismo, comunque, che Capitini non puo' non avvertire come
insufficiente soprattutto per via di una certa forma - diciamo cosi' - di
"esilio volontario dal mondo" che l'esistenzialista finisce,
pessimisticamente, per scegliere con la sua rinuncia di fondo alle grandi
potenzialita' insite nell'azione trasformatrice della politica.
Allo stesso tempo Capitini, pur non ripudiandola in toto, intende
oltrepassare la visione dello storicista, che fa bene a concepire l'uomo
come soggetto reale, concreto, e Dio come immanente all'umano e pero'
sbaglia nell'accogliere in maniera inerte il mondo "cosi' come viene" con la
certezza giustificatoria che anche il male e' strumentale al "bene che
verra'". La via ricercata da Capitini, in questa direzione, e' invece quella
di una sorta di riforma-aggiunta religiosa, ma di una religione aperta -
come amava ripetere - e libera o meglio liberata, ovvero finalmente liberata
dai vincoli asfissianti del dogma, da una parte, e della gerarchia
ecclesiastica, dall'altra, a favore di una trascendenza rivoluzionariamente
orizzontale.
*
- "Una citta'": A partire da questa tensione e volendo seguire da vicino il
percorso che porta Capitini a indagare quelle che sono le dinamiche
relazionali fondamentali proprie dell'agire sociale, e' possibile rinvenire
un filo conduttore della sua elaborazione teorica e della sua azione
pratica?
- Giuseppe Moscati: C'e' sicuramente un filo rosso tra le opere capitiniane,
da Elementi di un'esperienza religiosa del 1937 a Vita religiosa del '42, da
Atti della presenza aperta del '43 a La realta' di tutti scritto nel '44 e
pubblicato solo quattro anni piu' tardi, fino al Saggio sul soggetto della
storia, a Religione aperta e a La compresenza dei morti e dei viventi,
rispettivamente del '47, del '55 e del '66 (solo per citare le principali).
E' il filo che lega la religione alla politica, la religione intesa come
prassi, sentimento ed esperienza religiosi, e la politica vista come vita
sociale e come insieme di quelle relazioni interpersonali di cui si nutre
una comunita'. Quest'ultima, secondo la visione di Capitini, non puo' che
essere una comunita' allargata nei propri orizzonti e aperta a tutti,
persino ai morti, che cooperano con i vivi alla comune costruzione dei
valori e alla trasformazione della realta' ingiusta e violenta. Riscoprire
il senso autentico della religione come terreno di comunione tra individui a
partire dalla personale esperienza di ciascuno equivale a riconsegnare la
politica a tutti i soggetti, nessuno escluso, i quali sono cosi' chiamati a
partecipare facendosi responsabili di una realta' appunto comune, di tutti e
che tutti include.
L'essenza della religione di Capitini, secondo una sua felice definizione,
corrisponde ad una "coscienza appassionata della finitezza", con tutto cio'
che essa comporta. Il filosofo perugino, quindi, non solo non nega la
finitezza dell'uomo, ma ne fa una vera e propria risorsa a disposizione di
tutti: siamo finiti e percio' non bastanti a noi stessi, non possiamo che
tendere alla leopardiana confederazione, ma con diverse aggiunte
sostanziali. Non a caso, d'altra parte, Capitini si vedeva come "un
kantiano-leopardiano, umanitario e socialisticheggiante".
L'aggiunta religiosa e' appunto quel di piu' che va aggiunto alla religione
cosi' come e' stata interpretata e vissuta in senso tradizionale per farla
finalmente diventare costante stimolo a superare i limiti - violenti -
imposti dalla natura oppure dettati da questa o quella autorita' illegittima
che pretende di ridurre tutto e tutti a unita', a totalita'. Contro questa
reductio ad unum, Capitini oppone il senso corale dell'esistere (non l'Uno,
ma l'Uno-tutti) e quindi l'elemento positivo della collaborazione di ognuno
al valore "sempre crescente" della compresenza.
Ma al contempo aggiunta e' allora anche aggiunta etica, politica e sociale,
la' dove l'individuo ha bisogno di integrazione e di condivisione, dove la
cosa pubblica e' il terreno in cui incontrarsi per dialogare con spirito
critico, con informazione libera, con possibilita' di comunicare contenuti,
opinioni, esperienze, vissuti. In questa tensione verso l'altro, in questo
dare del tu ai tutti, risiede forse il principale dei segreti, se ce ne
sono, di tutta l'opera capitiniana. La stessa nonviolenza, infatti, e' la
strategia e insieme la radicale scelta di vita per la quale l'io, mettendo
da parte pericolosi pregiudizi e mediocri abitudini mentali e
d'atteggiamento, va verso il tu, si incammina verso l'alterita' proprio
partendo dall'esperire l'altro in tutta la sua diversita' e autonomia di
vita e di pensiero.
*
- "Una citta'": Quello della "compresenza" e' certamente un aspetto
emblematico, e credo assai originale, del pensiero di Capitini. Mi sembra
interessante, allo stesso tempo, approfondire le implicazioni concrete della
compresenza nell'atteggiamento verso la vita e verso gli altri come pure
risalire alle premesse ideali che troviamo a monte del concetto stesso di
compresenza.
- Giuseppe Moscati: L'esperienza dell'altro diventa testimonianza quando
l'incontro segna l'atto di nascita della compresenza, che Capitini estende
originalmente all'orizzonte allargato dei vivi e dei morti, dei fiaccati e
degli stanchi, dei deboli e degli ultimi, dei meno fortunati e dei senza
voce (chi ha "appena il fiato per respirare"), dei feriti e degli offesi,
degli stroncati e degli umiliati, dei vinti e dei torturati, dei
condannati... Scompare cosi' la linea di demarcazione tra due mondi che non
possono essere separati, che non possiamo accettare di mantenere separati e
distanti; viene meno, insomma, la logica di esclusione richiamata prima, e
la compresenza puo' infine affermare, secondo l'espressione capitiniana, la
"realta' liberata" e "di tutti".
Non solo: la compresenza puo' cosi' anche realizzare la trasformazione del
potere da "esercizio del potere sull'altro" (potere inautentico, dominio) a
"poter co-ideare e poter fare con l'altro" (potere autentico, liberta' per):
ecco dunque la prospettiva liberante e arricchente del liberalsocialismo, di
cui Capitini ragionava soprattutto con Guido Calogero e che si pone come
possibilita' di integrazione tra il massimo della liberta' e il massimo
della socialita'. E "il massimo di" in questo caso significa in definitiva
il massimo possibile senza che la mia liberta' individuale possa ledere o in
qualche misura decurtare quella altrui, da un lato, e senza che la
socialita' possa soffocare le autonomie dei singoli, ognuno a suo modo
recante una irripetibilmente ricca identita', dall'altro.
La denuncia di Capitini investe le varie forme di violenza, da quella
brutalmente fisica a quella psicologica, da quella che chiamiamo violenza
strutturale a quella che si accompagna alla retorica, all'inganno, alla
disinformazione o alla parziale informazione. Da qui tutto un lavoro di anni
e anni dedicato alla discussione, al confronto pubblico, alla circolazione
di una parola che nel comunicare liberi e nell'informare renda tutti
consapevoli e responsabili, nella convinzione che si debba sempre ri-partire
dal basso. Per questo il rapporto che possiamo e dobbiamo avere con la sua
opera, letta alla luce della testimonianza di vita che rappresenta la figura
di Aldo Capitini, non puo' che assumere la forma del colloquio ispirato alla
compresenza del suo esempio paradigmatico e della nostra realta' effettuale.
Qui, allora, scopriamo la compresenza davvero come un orizzonte che apre
l'Uno-Tutti della storia e fa di questa apertura un'aggiunta fondamentale e
anzi imprescindibile dell'umanita': all'origine dell'idea di compresenza,
ovvero ancor prima della persuasione della compresenza, insomma,
rintracciamo la ferma volonta' di una netta opposizione di Capitini a quel
pensiero unico che pretende, in un modo o nell'altro, di "giustificare il
mondo". Di giustificarlo cosi' come esso e' e cosi' come fa comodo che
rimanga.
*
- "Una citta'": Questa prassi del dialogo, che avvicina certamente Capitini,
come tu stessi indicavi, a Calogero, come si manifesta sul piano piu'
propriamente politico o, in altri termini, dell'azione politica?
- Giuseppe Moscati: Dicevamo che tutta la filosofia capitiniana e' investita
da questa rivoluzionaria apertura dell'io al tu. Anche la stessa
"persuasione religiosa" di cui parlano tante pagine dell'opera di Capitini
nasce dall'intento di oltrepassare, qui e ora, le barriere che separano tra
loro gli individui come pure i popoli. La famosa Marcia della pace, tra
l'altro, e' stata da lui concepita come "Marcia per la pace e la fratellanza
tra i popoli", simbolo messo fisicamente in atto proprio per promuovere un
maturo e adulto dialogo interreligioso e interculturale che potesse andare
al di la', varcare la soglia delle divisioni, dei fanatismi, delle chiusure
della peggiore ideologia religiosa e/o politica e (pseudo)culturale.
In questo senso possiamo comprendere appieno l'escatologia capitiniana: la
salvezza degli uomini e delle donne e' nel presente, non puo' essere
rimandata o, peggio, attesa passivamente, il che verrebbe a significare, in
ultima analisi, accomodamento e adattamento alla sufficienza di quanto ci e'
dato, cioe' rinuncia al cambiamento.
*
- "Una citta'": Sono dunque queste le coordinate per entrare nel complesso
universo capitiniano? Mi pare che in esso il "senso del luogo", delle radici
(Perugia), si coniughi mirabilmente con un'apertura al mondo di formidabile
rilevanza. Forse e' proprio qui che possiamo rilevare una delle capacita' di
maggiore penetrazione del pensiero di Capitini, il quale ci stupisce per una
sensibilita' cosi' vicina al nostro sentire contemporaneo come se non
fossero quasi quaranta gli anni trascorsi dalla sua scomparsa. Credi sarebbe
efficace interpretare il mondo d'oggi attraverso le categorie capitiniane?
- Giuseppe Moscati: E' importante a questo riguardo richiamare la
testimonianza che, con diversi accenti, hanno dato del rapporto con Capitini
due suoi grandi amici: uno e' Norberto Bobbio e l'altro Walter Binni.
Il primo ha chiarito che non e' sufficiente, per capire veramente la visione
del mondo capitiniana, risalire alle sue fonti filosofiche o rileggere i
suoi autori di riferimento: bisogna piuttosto "entrare dentro la sua
esperienza, cogliere le fonti vitali, non libresche, del suo pensiero"
(Maestri e compagni, Passigli, Firenze 1994, p. 260).
Binni, poi, con l'eccezionale efficacia letteraria di cui e' capace, alla
morte di Capitini il 21 ottobre del 1968 ha costruito una memorabile
descrizione psico-fisica dell'amico, che aveva conosciuto nel 1931: "Quel
volto scavato, energico, supremamente cordiale, quella fronte alta e
augusta, quelle mani pronte alla stretta leale e confortatrice, quegli occhi
profondi, severi, capaci di sondare fulminei l'intimo dei nostri cuori e di
intuire le nostre pene e le nostre inquietudini, quel sorriso fraterno e
luminoso, quel gestire sobrio e composto, ma cosi' carico di intima forza di
persuasione, quella voce dal timbro chiaro e denso, scandito e posseduto
fino alle sue minime vibrazioni. Tutto cio' che era suo, inconfondibilmente
e sensibilmente suo, ora ci attrae e ci turba quanto piu' sappiamo che e'
per sempre scomparso con il suo corpo morto ed inanime, che non si offrira'
mai piu' ai nostri incontri, al nostro affetto, nella sua casa, o in questi
luoghi da lui e da noi tanto amati, su questi colli perugini, malinconici e
sereni in cui infinite volte lo incontrammo e che ora ci sembrano
improvvisamente privati della loro bellezza intensa se da loro e' cancellata
per sempre la luce umana della sua figura e della sua parola" ("Un vero
rivoluzionario", in Il messaggio di Aldo Capitini, antologia degli scritti a
cura di G. Cacioppo, Lacaita, Manduria 1977, p. 497).
Tuttavia, la forza delle pagine capitiniane, testimonianza viva di un
pensiero combattente, assieme all'esempio paradigmatico della sua vita,
esperienza intima propria di quel pensiero mai domo o accomodante, credo
continuino a offrirci ancora oggi preziose e pulsanti provocazioni per il
nostro presente.
Quanto alla straordinaria apertura al mondo cui facevi riferimento, forse
non senza una qualche eco arendtiana, possiamo dire che di essa si nutre
proprio il nucleo fondamentale del convincimento nonviolento del filosofo
umbro. In altre parole e' da quell'apertura costitutiva, da quell'essere
aperti e dialoganti con i confini allargati del mondo, che prende le mosse
l'argomentazione capitiniana che si propone di definire l'atteggiamento
nonviolento da assumere verso tutto cio' che ci circonda e, insieme, verso
il nostro stesso intimo. Ne leggiamo un passaggio significativo in uno degli
scritti raccolti dall'antologia curata di recente da Mario Martini: "a
proposito dell'attuale mondialismo - nota Capitini - la nonviolenza da'
un'ottima guida anche perche' c'e' sempre qualche cosa di educativo in
questo dirsi 'cittadini del mondo'" (A. Capitini, "Argomenti e ragioni della
nonviolenza", in Id., Le ragioni della nonviolenza, a cura di M. Martini,
Ets, Pisa 2004, p. 81). Ecco, credo che sia l'elemento educativo a
rappresentare, ancora una volta, il legame profondo tra gli uomini e le
donne, tra i gruppi sociali, tra i popoli nel mondo, fino a far scomparire
progressivamente i "ruoli" dell'individuo, della razza, della nazione...
*
- "Una citta'": Su quali versanti pensi possano agire queste "provocazioni"?
Vorresti approfondire questa possibile attualita' del pensiero di Capitini,
tenendo presente proprio la stretta aderenza tra teoria e prassi di cui ci
hai parlato?
- Giuseppe Moscati: Mi pare di non esagerare nel dire che sono diverse le
coniugazioni attualizzanti del pensiero e della testimonianza della prassi
di Aldo Capitini. E credo, in ultima analisi, che di questa attualita'
plurima il nostro agire socio-politico abbia un estremo bisogno. Non e'
superfluo insistere di nuovo, del resto, sul pessimo stato di salute della
partecipazione politica in senso autentico.
Una delle componenti piu' vive dell'opera capitiniana l'ha colta Andrea
Tortoreto (cfr. La filosofia di Aldo Capitini. Dalla compresenza alla
societa' aperta, Clinamen, Firenze 2005) trattando del pensiero sociale del
filosofo perugino ed evidenziando la cifra dell'apertura interna che deve
caratterizzare la socialita'. Una socialita' "tesa alla persona, imbevuta di
tu, di attenzione all'altro, di religiosa comunanza e vicinanza con i
limitati" (p. 141), ovvero con quei soggetti che il diritto deve tutelare e
cui le politiche sociali devono prestare sollecita, inesausta attenzione. In
questo senso ha fatto bene Pietro Polito, raccogliendo tra l'altro la
lezione bobbiana piu' genuina e declinando l'omnicrazia di Capitini nei
termini dell'oggi, a parlare della democrazia come di un "ideale-limite" che
poggia necessariamente su un "approfondimento etico" (cfr. P. Polito, La
democrazia alla prova. Una critica etica alla democrazia, in "Nuova
Antologia", n. 2236, 2005, p. 116).
L'intento che troviamo alla radice della socialita' di cui ci parla
Capitini, allora, e' un dire no al pensiero unico, che con Tortoreto
possiamo chiamare totalitarismo, chiusura egoistica, esasperato
individualismo, quindi anche ostacolo alla tensione al valore e soppressione
della stessa creativita' di ognuno. La politica esige oggi piu' che mai la
fiducia dei cittadini, che hanno possibilita' ancora maggiori rispetto al
passato di dirsi e soprattutto di farsi cittadini del mondo; ma allo stesso
tempo, secondo un rapporto essenzialmente biunivoco, i cittadini hanno
bisogno di potersi fidare della politica. La globalizzazione, insomma, deve
attraversare integralmente il passaggio cruciale da fenomeno meramente
tecnologico-materiale a fenomeno profondamente umano, o meglio interumano,
in breve deve trasformarsi da rete di contatti a rete di relazioni. Capitini
non ha conosciuto questo mondo, ma questo mondo sono persuaso ci possa
appartenere molto di piu' grazie al suo pensiero.

6. LETTURE. DARIO PACCINO: I SENZAPATRIA. RESISTENZA IERI E OGGI

Dario Paccino, I senzapatria. Resistenza ieri e oggi, Biblioteca Franco
Serantini, Pisa 2006, pp. 136, euro 13 (per richiedere il libro alla casa
editrice: Biblioteca Franco Serantini, via I. Bargagna 60, 56124 Pisa, tel.
e fax: 0509711432, e-mail: acquisti at bfs-edizioni.it, sito:
www.bfs-edizioni.it).
In quest'opera postuma di Dario Paccino (curata dall'Assemblea spazi
autogestiti di Lucca, con contributi di Giorgio Ferrari e Sirio Paccino, e
una presentazione di Vauro Senesi) senti ancora la sua voce, il suo rovello,
la sua energia, l'impegno suo di militante e di intellettuale. L'ho letto
d'un fiato questo libro appena l'ho avuto tra le mani (grazie a Gian Marco
Martignoni, compagno prezioso di tante riflessioni e di tante esperienze), e
d'un fiato avrei voluto scriverne per segnalarlo alle persone amiche. Poi ho
sempre rinviato, sentendo troppo inadeguate le poche righe che buttavo giu'
e cancellavo, buttavo giu' e cancellavo.
Sono mesi e mesi che mi dico che vorrei scrivere un degno ricordo di Dario
Paccino, e sincero un omaggio, e franca una rievocazione, un'esposizione e
una disamina critica della sua azione, delle sue ricerche, delle sue
riflessioni e proposte teoriche e pratiche; ma sempre rinvio, come accade di
fare con le scritture che senti piu' necessarie e quindi impegnative, piu'
urgenti e quindi sofferte, in cui si fondono e colluttano e fanno nodo la
critica e la nostalgia, il dibattito senza reticenze e la gratitudine, il
fuoco della controversia e l'amista'. E sono anni che vorrei cercar di
ritrovare le sue lettere che spero di non aver perso nei successivi
traslochi della mia vita.
Veniva dalla Resistenza, e per tutta la vita aveva continuato a resistere.
Fu tra i primi a farci conoscere le nuove lotte degli indiani d'America, fu
netto nello smascherare quanto di totalitario vi era in esperienze
postrivoluzionarie in tempi in cui erano assai celebrate da giovani allora
tanto generosi quanto ingenui e ambigui e presto traviati; fu tra i primi a
svolgere un discorso ecologico non ingenuo e non subalterno, fu tra coloro
che sulla scienza e le tecnologie seppero dire cose vere e decisive. Nella
lotta antinucleare fu un compagno prezioso e generoso; e nell'opposizione
alla guerra, ai suoi strumenti, ai suoi apparati, alle logiche e ideologie
sue.
I giovani di oggi ubriacati dalle ciance - che io trovo superficiali, ambigu
e ed infine stupide e complici - di certi sciatti e presuntuosissimi
cosiddetti ed autoproclamati "guru no global", non immaginano neppure la
ricchezza, la complessita' e la profondita' di analisi del marxismo critico,
quel marxismo di sinistra antitotalitario che in Italia fu dei Fortini e dei
Timpanaro, dei Panzieri e dei Maccacaro - e di molte e molti altri -, e che
s'intrecciava con tutte le piu' feconde tradizioni di pensiero e di azione
della cultura contemporanea, e con le piu' vive esperienze di lotta di
liberazione (anche quelle che si opponevano ai regimi totalitari e fin
genocidi che marxisti si proclamavano). E quanto ci sarebbe bisogno invece
che conoscessero e riconoscessero quella tradizione di pensiero: una
tradizione di pensiero che io credo pensata profondamente (nelle sue verita'
e nelle sue aperture, ma anche nei suoi limiti e nei suoi errori) porti -
come altre tradizioni del resto, massime il femminismo - a questa scelta e
proposta e prassi che da anni chiamo nonviolenza in cammino e che per quanto
mi concerne non e' altra cosa da quel comunismo in cammino di cui Fortini
scrisse una volta - se non forse in quanto piu' chiara e profonda, piu'
nitida e piu' intransigente nel ripudio di ogni menzogna e di ogni
oppressione, nella rigorizzazione del rapporto tra teoria e prassi, tra
mezzi e fini, nel riconoscimento (nel rispetto che ascolta, nella cura che
accoglie e protegge ed invera, nella schiudente, dialogante sollecitudine)
dell'umanita' di ogni altra persona, nel piu' nitido rivendicare e difendere
la dignita' umana e gli umani diritti di tutti gli esseri umani. Nel vivo
del conflitto, nel fuoco della contraddizione, nel crogiuolo di un mondo di
relazioni da mutare e salvare ad un tempo.
Non era un compagno facile, Dario Paccino; ruvido nelle polemiche fino
all'unilateralita' piu' accesa, quante volte leggendone gli scritti mi
dicevo: ecco che l'indignazione lo porta ad espressioni non sufficientemente
meditate, ecco che la rivendicazione orgogliosa delle nostre ragioni gli
occlude l'accesso all'intellezione piena e al riconoscimento franco delle
ragioni altrui, ed ecco che qui un suo limite - di volontarismo, di difesa a
oltranza di un punto di vista, di lealta' con le persone sentite piu'
vicine, di schieramento comunque con una visione del mondo (quella visione
del mondo che insegna a diffidare di tutte le visioni del mondo ed a
riconoscere che ogni ideologia e' sempre anche falsa coscienza: ma che pure
era stata ossificata e trasmutata finanche nel suo ignobile e feroce
contrario) - gli impedisce di cogliere un nodo, una complessita', la
necessita' di una lettura con altri, ulteriori occhiali, con diverso
sguardo. Ma sono cosi' queste nature di combattenti, che per nulla concedere
a cio' che avvertono come intollerabile, talora - o sovente - neppure
ascoltano cio' che invece ascoltato ed inteso andrebbe.
E talune sue posizioni ho duramente avversato laddove mi pareva fossero
corrive ad errori e subalternita' inaccettabili: cosi' con i nostri maestri
e compagni dobbiamo condurci, io credo: valorizzando tutto e tutto
criticando, e confliggendo e contrastando senza esitare ove cattiva retorica
o malintese solidarieta' recavano a posizioni non vere e non giuste.
Talvolta io stesso da Dario sono stato forse non lievemente frainteso (ma mi
capita spesso, ed essendo ormai un vecchio militante dalla lunga barbaccia
bianca e la zucca che va facendosi pelata non mi duole piu' granche': ne ho
viste tante, sono ancora vivo); ma ho sempre saputo che nell'ora delle
scelte e del bisogno, nell'ora del pericolo e della resistenza - quell'ora
che arriva come ladro di notte, quell'ora che non cessa mai - Dario sarebbe
stato il primo ad accorrere in aiuto, senza esitazioni. Era fatto cosi'.
Valevano davvero per lui le parole che Brecht scrisse in quella cantata in
cui il soldatino rosso s'accosta al cadavere di un gia' mitizzato capo
rivoluzionario e gli grida all'orecchio "arrivano gli sfruttatori!", e
avendo constatato l'immobilita' della salma conclude che solo ora e' certo
che sia morto, poiche' non fosse morto si sarebbe levato alla lotta, perche'
"tutta la sua vita aveva lottato / contro gli sfruttatori".

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1445 dell'11 ottobre 2006

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