La nonviolenza e' in cammino. 1425



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1425 del 21 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. Elena Pulcini: Soggette al dono, soggetti di dono. Riflessioni su dono e
soggettivita' femminile
2. Da ottobre a novembre il seminario di Diotima a Verona
3. Luciano Bonfrate: Mottetto degli arresi
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. ELENA PULCINI: SOGGETTE AL DONO, SOGGETTI DI DONO.
RIFLESSIONI SU DONO E SOGGETTIVITA' FEMMINILE
[Ringraziamo Elena Pulcini (per contatti: e_pulcini at unifi.it) per averci
messo a disposizione il seguente saggio, "Soggette al dono, soggetti di dono
(1). Riflessione su dono e soggettivita' femminile", gia' pubblicato in
versione francese su "La Revue du Mauss", n. 25, Paris, La Decouverte, 2005.
Elena Pulcini e' docente di filosofia sociale all'Universita' di Firenze,
acuta saggista, da anni riflette su decisivi temi morali e politici in
dialogo con le esperienze piu' vive del pensiero delle donne, dei movimenti
solleciti del bene comune per l'umanita' e la biosfera, e della ricerca
filosofica, e specificamente assiologica, epistemologica e politica
contemporanea. Tra le opere di Elena Pulcini: La famiglia al crepuscolo,
Editori Riuniti, Roma 1987; Amour-passion e amore coniugale. Rousseau e
l'origine di un conflitto moderno, Marsilio, Venezia 1990; con P. Messeri (a
cura di), Immagini dell'impensabile. Ricerche interdisciplinari sulla guerra
nucleare, Marietti, Genova 1991; L'individuo senza passioni, Bollati
Boringhieri, Torino 2001; con Dimitri D'Andrea (a cura di), Filosofie della
globalizzazione, Ets, Pisa 2001, 2003; Il potere di unire, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; con Mariapaola Fimiani, Vanna Gessa Kurotschka (a
cura di), Umano, post-umano, Editori Riuniti, Roma 2004]

L'immagine dominante della donna, nella tradizione occidentale, e' senza
dubbio quella di colei che incarna le qualita' della cura e dell'amore per
l'altro, della dedizione e dell'accudimento, dell'attenzione e del dono:
un'immagine apparentemente positiva e feconda, soprattutto se si osserva da
un punto di vista critico verso le derive individualistiche e
utilitaristiche della modernita'. Quale soggetto essenzialmente relazionale
e donativo, la donna sembra potenzialmente incarnare quella funzione di
legame e di coesione che e' cio' che manca alle democrazie moderne;
percorse, potremmo dire in un'ottica tocquevilliana, dalle patologie
dell'egoismo e dall'indifferenza, dell'atomismo e dello sradicamento (2).
Ma le cose non sono cosi' semplici... Come vedremo, infatti,
l'identificazione delle donne con l'immagine donativa, ha prodotto, da un
lato, processi di esclusione e di mutilazione dell'identita' femminile,
tanto piu' efficaci ed insidiosi, quanto piu' nascosti dietro le pretese di
uguaglianza e liberta' della modernita'; dall'altro, essa ha indubbiamente
contribuito a connotare l'idea stessa di dono di una valenza  essenzialmente
altruistica e sacrificale che finisce per sottrargli ogni potenzialita'
critica verso le patologie della modernita'.
Riappriopriarsi di quell'immagine richiede dunque un lavoro
critico-decostruttivo teso a svelare le aporie e le ambiguita' del pensiero
occidentale e moderno.
*
1.
Il primo problema consiste nel fatto che questa identificazione si e'
imposta attraverso i secoli con la cogenza di un dato "naturale", e ha
trovato la propria fonte di legittimazione soprattutto nella funzione
"materna", riconosciuta per lo piu' come l'origine stessa della vocazione
"relazionale" della donna, naturalmente incline, appunto, alla cura
dell'altro.
Possiamo trovarne una sorta di sintesi sul piano simbolico, nel grande
affresco bachofeniano del mondo matriarcale, in cui il femminile, nella sua
configurazione coniugale e materna, rappresentato dalla "ginecocrazia
demetrica", diviene simbolo di quella fase di sviluppo della civilta' che
Bachofen non esita a definire "poesia della storia" (3): un'epoca di
giustizia e di pace, di fraternita' e di uguaglianza in cui tutti sono
legati da una reciproca sumpateia in virtu', appunto, della dominanza del
principio materno che tutto connette in un armonico equilibrio. La
donna-madre e' portatrice di quel "divino principo di amore, di unita', di
pace" che domina nella fase matriarcale della civilta', in quanto essa
apprende, dalla funzione materna, a sviluppare i sentimenti di dedizione e
di cura, di generosita' e di pietas, irradiandoli sull'intero mondo: "Nella
cura per il frutto del proprio corpo, la donna impara prima dell'uomo a
spingere la propria preoccupazione amorosa oltre i confini dell'Io
individuale, verso un altro essere e a dedicare alla conservazione e
all'abbellimento dell'altra esistenza tutte le capacita' inventive del suo
spirito. Da essa allora procede ogni elevazione delle norme di vita, ogni
benevolenza, ogni dedizione, ogni sollecitudine, ogni pieta' verso i morti"
(4).
Ma e' soprattutto la filosofia, nelle sue stesse origini, a sancire questa
immagine. Aristotele afferma, nell'Etica nicomachea, che la peculiarita'
affettiva della donna consiste "piu' nell'amare che nell'essere amati" (5).
Le madri "amano consapevolmente" i loro figli, "pur non cercando d'essere
ricambiate", esse "li amano anche se essi non rendono alla madre, in quanto
la ignorano, nulla di cio' che e' dovuto alla madre".
L'amore materno diventa cosi' l'archetipo dell'amore generoso e
disinteressato, l'espressione per eccellenza di quell'essere per l'altro con
cui il soggetto femminile e' stato di fatto, fino ad oggi, identificato
dalla cultura occidentale. Filosofia, letteratura, iconografia concorrono
infatti, attraverso i secoli, a consolidare quest'immagine, conferendole
l'inevitabilita' e la cogenza della physis, di una attitudine naturalmente
fondata che possiede l'evidenza inaggirabile di un destino.
L'amore generoso e disinteressato assume cioe', per le donne, il carattere
coercitivo di una legge naturale, che le vincola a precise funzioni,
necessarie, come Aristotele afferma con chiarezza nella Politica, al buon
ordine della polis.
Il rispetto, da parte di entrambi i sessi, delle proprie funzioni naturali
e' infatti il fondamento stesso del buon funzionamento della citta'. Ed e'
qui che emerge, dietro la nobilitazione dell'amore materno, la netta
svalutazione aristotelica del sesso femminile (6).
Sulla naturale inferiorita' delle donne, sostenuta, sul piano fisiologico e
metafisico, dalla distinzione tra una "forma", maschile e attiva, e una
"materia", passiva e femminile (7), viene fondata la loro esclusione dalla
polis, quale sfera della liberta', e il loro confinamento alla sfera della
necessita', dell'oikos, dove esse assolvono alla funzione riproduttiva e
materna. La differenza tra i sessi si traduce in una netta disuguaglianza,
in una gerarchia tra chi comanda ed e' superiore in quanto possiede la
facolta' intellettiva e razionale (gli uomini liberi), e chi e' comandato,
in quanto vincolato alle zone inferiori dell'affettivita' e del corpo (tra
cui, appunto, le donne) (8). Solo i primi, in grado di perseguire
razionalmente il telos dell'eudaimonia, sono adatti a vivere nella polis, la
forma piu' alta di comunita' che sola puo' garantire una vita felice (9),
mentre le donne ne restano escluse in quanto non possiedono la facolta'
razionale e le virtu' morali (10). Esse dunque, vincolate al ruolo passivo e
amorfo di "madre materia", necessario alla riproduzione biologica e
affettiva dell'uomo e del cittadino (11), sono destinate all'obbedienza
nella sfera domestica e all'esclusione dalla sfera pubblica. L'opposizione
maschile/femminile trova una perfetta corrispondenza in quella
ragione/affettivita', pubblico/privato che vede il secondo termine come
oggetto di svalutazione e di dominio.
Il pensiero femminista ha ben mostrato come questa opposizione attraversi la
storia dell'Occidente, quasi come una sorta di postulato fisso e
indiscutibile, che riproduce il potere maschile e patriarcale dentro i
mutamenti delle forme sociali, politiche e culturali (12), fino ad essere
riproposta con forza nella modernita'; sebbene essa assuma qui una forma
decisamente piu' ambigua, in quanto cambiano radicalmente, rispetto al
modello aristotelico, le premesse antropologiche e politiche.
*
2.
I presupposti fondamentali della modernita', sanciti dal liberalismo di
Hobbes, Locke, Rousseau - vale a dire il riconoscimento di diritti naturali
universali di liberta' e uguaglianza e l'emergere del valore dell'individuo
dotato di una inedita e indiscutibile sovranita' - mutano profondamente la
concezione della donna e del rapporto tra i sessi.
Cadono infatti entrambi i postulati aristotelici di subordinazione e
svalutazione. Le donne assumono, soprattutto a partire da Locke, che per
primo rompe la struttura del dominio patriarcale, una inedita dignita' di
soggetti in quanto dotate, in linea di principio, degli stessi diritti degli
uomini; esse vengono inoltre pienamente riconosciute, in virtu' delle loro
capacita' di cura, come attive protagoniste della sfera privata, non piu'
ridotta a pura sfera della necessita', ma arricchita, come vedremo, di nuove
funzioni e contenuti.
Entrambi questi presupposti, tuttavia, si rivelano essere solo parzialmente
veri o ambiguamente contraddittori.
Locke, infatti, malgrado le premesse liberali di uguaglianza universale e la
fondazione contrattualistica e consensuale della societa' civile, riconosce
la legittima esistenza naturale di un "potere paterno" e "coniugale". E pur
negandogli quel carattere assoluto che il patriarcalismo tradizionale (a' la
Filmer) gli attribuiva per farne il fondamento del potere politico, egli
vede in esso una sorta di autorita' tutelare dovuta prioritariamente alla
funzione del marito-padre di trasmettere la proprieta', quale diritto
naturale per eccellenza. Questa autorita' non ha dunque un carattere
coercitivo in quanto richiede il consenso della donna (3) dotata anch'essa
di diritti (alla proprieta' e alla vita) e di poteri (sui figli data la sua
partecipazione alla generazione) (14). Essa trova tuttavia una
legittimazione nella presunta debolezza naturale e biologica della donna
(15), la quale dunque accetterebbe consensualmente sia di essere subordinata
all'uomo nella sfera privata, sia di essere esclusa dal patto che fonda la
societa' civile e politica.
Carole Pateman ha parlato a questo proposito di un "contratto sessuale" che
si cela dietro il contratto sociale, di cui gli uomini sono gli unici
protagonisti (16); e cio' vuol dire che la libera associazione tra gli
uomini nella sfera pubblica nasconde il permanere della gerarchia tra i
sessi nella sfera privata. Si tratterebbe dunque non piu' di una esplicita
coercizione e di una chiara esclusione delle donne dalla politica, come nel
modello aristotelico, ma di una nuova forma di subordinazione che si
esercita, malgrado le premesse di liberta' e uguaglianza, all'interno della
relazione coniugale, della sessualita', dei legami familiari.
Si compie in altri termini, con la modernita', il passaggio dal patriarcato
"paterno" a quello che Pateman chiama il patriarcato "fraterno", in cui gli
uomini, uguali fra loro e autonomi nelle loro scelte pubbliche, esercitano
un potere nella sfera privata non piu' in quanto padri, ma in quanto uomini
tout court (17).
Viene spontaneo evocare (18) l'immagine mitica proposta da Freud in Totem e
tabu', assumendola ad eloquente metafora del nascosto permanere del dominio
nelle societa' liberali e democratiche (19). Il patto tra fratelli che segue
all'uccisione del padre tirannico (monopolizzatore delle donne del clan) e
che si fonda, attraverso l'insorgere del senso di colpa, sui due tabu'
edipici fondamentali del divieto di uccisione e di incesto, instaura una
societa' paritaria e democratica; ma questo patto esclude le donne, le quali
restano puro oggetto di desiderio e di scambio.
La rivoluzione liberale e democratica si fonderebbe dunque su una sorta di
rimozione di quelle "invisible social constraints" (20) che producono un'inc
rinatura nelle loro stesse premesse di uguaglianza e liberta'. L'apparente
naturalita' in base alla quale l'opposizione pubblico/privato e
maschile/femminile viene legittimata e' solo la conferma di una forma piu'
raffinata ed ambigua di subordinazione ed esclusione del femminile; o, in
altre parole, di una forma piu' raffinata e mascherata di dominio e di
disuguaglianza.
Nella sfera pubblica, vigono rapporti razionali e unicamente consensuali tra
individui (uomini) astrattamente uguali, liberi e portatori di diritti; la
sfera privata e' regolata dal consenso ma anche dalle leggi naturali,
dall'uguaglianza ma anche dalla soggezione e dalla dipendenza (delle donne).
La donna, tuttavia, assume una nuova dignita' di soggetto e diventa
protagonista della sfera privata; la quale non e' piu', come in Aristotele,
oggetto di svalutazione, ma di una inedita valorizzazione, dovuta al
mutamento della struttura familiare, dei suoi scopi e funzioni. La famiglia
conserva infatti le sue tradizionali funzioni procreative e riproduttive, ma
non e' piu', come nella polis antica, il regno oscuro e inferiore della
necessita', del corpo e dei bisogni materiali. Essa si configura al
contrario, come Locke afferma, come il luogo in cui impera la legge
(naturale) dell'affettivita' e della cura, della tenerezza e della reciproca
complicita': "La societa' coniugale e' istituita da un patto volontario tra
uomo e donna, e, per quanto consista in primo luogo in quella comunione e in
quel reciproco diritto sui corpi che serve al suo fine primario, la
procreazione, reca con se' tuttavia vicendevole aiuto e assistenza, e una
comunione di interessi, non solo necessaria ad assicurare la sollecitudine e
l'affetto tra i coniugi, ma anche indispensabile alla comune prole" (21).
Prende corpo, con Locke, quella valorizzazione del privato nella quale
possiamo riconoscere, come ha sottolineato Hannah Arendt, uno dei tratti
distintivi della modernita': "Nella sensibilita' antica - dice Arendt -
l'aspetto di deprivazione della privacy, indicato nella parola stessa, era
considerato predominante; significava letteralmente uno stato di privazione
che poteva toccare anche facolta' piu' alte e piu' umane. (...) Noi non
pensiamo piu' alla privazione quando parliamo di vita privata, e questo e'
in parte dovuto all'enorme arricchimento della sfera privata apportato
dall'individualismo moderno" (22).
La sfera privata dunque non e' piu' solo il luogo di riproduzione della vita
e di soddisfazione dei bisogni, ma un'area di sentimenti, di amore e di
cura. E se in Locke questo mutamento si presenta in forme ancora embrionali,
esso trova una piena codificazione nella riflessione rousseauiana che
testimonia in modo esemplare la trasformazione moderna della famiglia in
sfera degli affetti.
Rousseau si fa interprete infatti, diventandone allo stesso tempo promotore,
di quel mutamento sociale, che gli storici della mentalita' hanno di recente
ricostruito (23), da cui ha origine il modello di famiglia nucleare e
sentimentale ancor oggi dominante. La sfera intima e familiare diviene non
solo un luogo di affettivita' in virtu' di quel diritto alla felicita' che,
dal '700 in poi, sancisce il nuovo valore della sovranita' dell'individuo.
Essa diventa il luogo per eccellenza dell'affettivita', come a fare da
necessario contrappeso alla logica dell'impersonalita' e della razionalita'
che regola gli scambi economici e le relazioni pubbliche nella emergente
societa' mercantile e borghese. Sia la diffusione del "matrimonio d'amore",
che entrambi i coniugi contraggono a partire da una libera scelta, non piu'
dettata dunque da ragioni economiche o lignatiche, sia il riconoscimento
dell'"amore materno" come valore sociale, concorrono a scandire e
consolidare questo passaggio.
Di questo mondo intimo degli affetti, che rende possibile una nuova
articolazione del nesso tra pubblico e privato, la donna diventa la
protagonista, svolgendo il proprio duplice ruolo, coniugale e materno.
Nessuno piu' di Rousseau ha contribuito alla costruzione dell'immagine della
donna quale moglie e madre, sovrana custode dei sentimenti, della felicita'
e della cura dell'altro: "Vi e' forse nel mondo - egli si chiede nella
Lettera a d'Alembert - uno spettacolo cosi' commovente, cosi' degno di
rispetto come quello di una madre di famiglia circondata dai suoi figliuoli,
intenta a organizzare i lavori domestici, procurando cosi' una vita felice e
governando saggiamente la casa?" (24).
Le qualita' relazionali della soggettivita' femminile raggiungono qui il
punto piu' alto di valorizzazione; anche perche' esse sembrano conferire
alla donna una sorta di potere, che potremmo appunto definire il potere
dell'amore, il potere della relazione; un potere cioe' che la vede sublime e
incontrastata tutrice della vita quotidiana e dei bisogni affettivi dei
propri familiari, tesa alla rigenerazione delle energie fisiche e psichiche
dell'altro (marito, figli) e alla sapiente gestione dei desideri e delle
aspettative di tutti. "Come potrei dimenticare quella preziosa meta' della
repubblica - dice Rousseau nel Discorso sull'origine dell'ineguaglianza -
che fa la felicita' dell'altra e che con la sua mitezza e saggezza vi
mantiene la pace e i buoni costumi? Amabili e virtuose cittadine, destino
del vostro sesso sara' sempre di governare il nostro. Noi fortunati, quando
il vostro casto potere, esercitato esclusivamente nell'unione coniugale, si
fa sentire per la gloria dello Stato e per la felicita' pubblica! (...)
restate dunque sempre come siete, caste custodi dei costumi e dolci vincoli
della pace; e continuate a far valere in ogni occasione i diritti del cuore
e della natura a profitto del dovere e della virtu'" (25).
Questo intreccio di amore e potere, che viene qui evocato fugacemente,
diventa il fondamento stesso su cui viene costruita l'immagine di Julie
nella Nuova Eloisa: figura esemplare della riflessione rousseauiana e della
inedita dignita' di soggetto che, a partire da Rousseau, il pensiero moderno
assegna alla donna (26). Le qualita' donative di Julie, su cui essa fonda la
sua stessa sovranita' nella piccola societa' di Clarens, svolgono una
preziosa e insostituibile funzione che e' insieme di coesione della
comunita' e di attenzione alla felicita' dei singoli.
Ma la valorizzazione del soggetto femminile avviene sulla base di un insieme
di presupposti che ne confermano e ne rafforzano la subordinazione e
l'esclusione, in quanto vincolano le donne, con la cogenza ineffabile di una
legge naturale, al loro ruolo coniugale e materno. Sottrarsi a questo ruolo,
significa tradire la propria natura, mettere a repentaglio la propria
felicita' e quella altrui, sovvertire un ordine sociale che trova fondamento
nella "differenza dei sessi" e nella complementarita' delle loro funzioni.
Realizzare se stesse significa al contrario, per le donne, interiorizzare la
legge di natura e aderire consensualmente ad essa.
Dalla descrizione capillare della peculiare natura delle donne, che egli fa
nell'Emilio attraverso la figura di Sophie (27), Rousseau deduce in primo
luogo la legittimita' della dipendenza dall'uomo nella sfera privata.
Poiche' essa e' nata infatti "per piacere all'uomo" (28), per amarlo,
curarlo, onorarlo e crescerne amorosamente i figli (29), la sua educazione
dovra' essere relativa agli uomini (30); dovra' sviluppare cioe' le sue
attitudini naturali, rendendola dolce e modesta, disponibile alla
sottomissione e attenta all'opinione, curata nella figura e nell'intelletto
quanto basta per essere una degna e acquiescente compagna, e soprattutto
sensibile al giudizio dell'altro, al quale e' destinata ad obbedire (31).
In secondo luogo, soprattutto come madre, la donna e' destinata ad abitare
esclusivamente lo spazio intimo della famiglia e della sfera privata: "...
la vera madre di famiglia, anziche' essere una donna del gran mondo, non sta
meno tappata in casa della monaca nel suo chiostro" (32).
Mentre all'uomo spetta l'azione nel mondo, l'impegno pubblico e civile, e
un'educazione che lo formi anche come citoyen e attore politico, le donne
restano escluse dalla sfera pubblica; o meglio, partecipano ad essa, ma solo
indirettamente, in quanto provvedono al benessere affettivo e psichico
dell'homme-citoyen e ne assicurano la formazione morale (33). Garantendo
un'area di umanita' e affettivita' nella sfera familiare, esse soddisfano le
esigenze dell'homme, facendo in modo che queste non interferiscano con
l'agire, pubblico e razionale, del citoyen. La sfera privata, governata
dalle donne, consente di riconoscere la legittimita' della vita emotiva,
senza che questa turbi la vita pubblica.
Rousseau si fa dunque interprete e promotore della scissione liberale e
borghese tra il bisogno irrinunciabile di affettivita' da un lato, e
l'esigenza di pura razionalita' dall'altro, richiesta dalle leggi del
mercato e dell'ordine politico: scissione che si rispecchia in una peculiare
forma di dicotomia pubblico/privato, in cui il privato viene quanto mai
valorizzato e allo stesso tempo radicalmente separato da una sfera pubblica
e civile cui esso serve, per cosi' dire, da agenzia psicologica e morale. E'
la donna dunque a consentire quello che e' stato definito il "mito" liberale
e borghese dell'individuo razionale e autosufficiente, del disengaged Self
svincolato da legami emotivi e comunitari (34).
Ma non solo. C'e' infine una terza forma di esclusione, su cui a mio avviso
non si e' abbastanza riflettuto, che riguarda la natura stessa della
qualita' donativa del soggetto femminile.
L'identificazione con il ruolo di moglie e madre, abbiamo visto, conferisce
alle donne il potere dell'amore rendendole, pur attraverso l'esclusione
dalla sfera pubblica e la dipendenza nella sfera privata, le depositarie per
eccellenza della funzione affettiva e di legame. Tuttavia, questa
identificazione finisce per associare le donne solo con una particolare
forma di amore: l'amore coniugale e l'amore materno, appunto, entrambi
riconducibili a quel nuovo codice affettivo che segna l'origine della
modernita'; e che ho proposto di definire sentimento (35).
Si tratta di un codice affettivo, funzionale al nuovo modello di famiglia e
in linea di principio rispettoso dei diritti individuali (soprattutto alla
felicita'), che nasce e si diffonde a partire dal XVIII secolo e che si
pone, potremmo dire, ad uguale distanza sia dalla freddezza della ragione
sia dagli eccessi della passione. Esso risponde alla duplice necessita' di
soddisfare il bisogno di affettivita' degli individui senza cadere appunto
negli eccessi distruttivi della passione, che metterebbe a repentaglio la
nuova articolazione famiglia/societa', pubblico/privato. L'amore materno si
delinea come un amore oblativo, di assoluta dedizione e di cura dell'altro;
l'amore coniugale e' un sentimento moderato e duraturo, fondato
sull'alleanza e la solidarieta', ma ben lontano dagli aspetti desideranti e
fusionali della passione...
Si potrebbe legittimamente parlare, come ho suggerito altrove, di
riattivazione laica dell'agape in opposizione all'eros (36). Ma l'aspetto
rilevante e' che le donne, portatrici per eccellenza di questo nuovo codice
affettivo, finiscono per vedersi negato, di fatto, il diritto all'eros e al
pathos. Tanto che a partire dal '700 ogni tentativo trasgressivo di
riappropriazione di questo diritto, sfocia nella condanna sociale e nella
riprovazione morale; come ci conferma quella triste galleria di ritratti,
dall'adultera all'isterica, fortemente simbolica della "normalizzazione" del
femminile, e del disagio che ne deriva, tra '800 e '900.
Si potrebbe allora dire che l'amore, il potere dell'amore, diviene schermo
di una forma piu' sottile di esclusione e di disuguaglianza. Espropriate non
solo del logos e della possibilita' di agire liberamente e razionalmente nel
teatro del mondo, ma anche dell'eros e della passione, le donne sono
costrette in una forma di identita' emotivamente edulcorata, privata delle
verita' scomode e perturbanti, eppure vitali, della passione. Esse non hanno
diritto a tutto cio' che alla passione e' intrinsecamente connesso e che
rappresenta la condizione necessaria per la costruzione di un'identita' non
amputata: il conflitto, l'ambivalenza, il disordine, il negativo.
L'identificazione con le qualita' relazionali impone in altri termini alla
donna la rinuncia ad un'esistenza pienamente autonoma ed autentica. Il dono
di se' e la cura si configurano come puro altruismo e oblativita', fondati
sulla cogenza della natura e su forme tutte e solo positive di affettivita';
come attributi edificanti di un soggetto che realizza se stesso solo ed
esclusivamente nell'essere per l'altro, e che, per conservare e alimentare
il legame, rinuncia a dimensioni vitali dell'esistenza.
Rousseau stesso sembra esserne, suo malgrado, consapevole nelle pagine
finali della Nuova Eloisa: quando cioe' scopriamo che il percorso di Julie,
la quale sceglie di non sposare l'uomo che ama e di rinunciare alla passione
proprio per preservare i legami comunitari e la felicita' di tutti, si
rivela essere fondato sul sacrificio dei propri piu' autentici desideri
(37).
Il dono delle donne si presenta, in altri termini, come un atto
essenzialmente sacrificale, il cui risvolto oscuro risiede nella mutilazione
dell'identita'...
*
3.
Il problema e' allora quello di come confrontarsi con questa eredita',
assumendone il potenziale critico verso i paradigmi egemoni della
modernita', e liberandola allo stesso tempo dalle sue implicazioni
sacrificali.
Alcune voci del femminismo contemporaneo hanno proposto una rivalutazione
delle qualita' relazionali delle donne, al fine di configurare, come si
accennava all'inizio, un modello di soggettivita' "altra" rispetto al
modello, cartesiano e liberale, del soggetto moderno. Il merito di queste
riflessioni, da Luce Irigaray a Carol Gilligan, da Sheila Benhabib a Adriana
Cavarero, e' quello di aver denunciato le pretese di neutralita' di questo
modello che e' di fatto essenzialmente maschile e patriarcale, ed e' in
parte responsabile delle patologie delle societa' liberali e democratiche:
vale a dire, come si accennava all'inizio, delle derive individualistiche e
atomistiche, dell'indebolimento del legame sociale e del deficit di
solidarieta' che le attraversa...
Ripensare il soggetto femminile diventa il punto di partenza di una critica
radicale del "disengaged Self" di matrice cartesiana, chiuso nella sua
illusione monologica di autonomia, e del modello liberale dell'homo
oeconomicus, mosso da motivazioni essenzialmente egoistiche e teso
unicamente al perseguimento razionale dei propri interessi. Al carattere
astratto, insulare e strumentale del soggetto "logocentrico" della
modernita' viene opposta in altri termini un'idea di soggettivita' attenta
alla "concretezza" dell'altro e al particolare contesto delle situazioni
(38), sensibile alla unicita' e originalita' di ogni storia e di ogni
esistenza (39), orientata alla cura e alla responsabilita' (40)...
Carol Gilligan ha persino costruito, partendo dal dato empirico e
psicologico delle capacita' connettive delle donne, un diverso paradigma
etico, ed ha proposto un'"etica della cura" che in ogni scelta morale tenga
conto, diversamente dall'"etica dei diritti" - astrattamente guidata da
principi di giustizia - del caso concreto, della rete di affetti e di legami
nella quale ogni individuo (uomo o donna) e' sempre inevitabilmente
inserito.
Ma questa proposta contiene a mio avviso alcuni aspetti problematici che
indeboliscono l'idea di cura in quanto impediscono di affrancarla pienamente
dai presupposti naturalistici e sacrificali su cui il pensiero moderno ha
fondato l'idea di un soggetto femminile "differente".
In primo luogo, sebbene Gilligan insista sulla necessita' di riconoscere il
momento dell'autonomia e della liberta' di scelta, essa parte dalla
constatazione empirica della tendenza fattuale e "naturale" delle donne alla
connessione e alla relazione; in secondo luogo, la cura si configura come
un'attitudine essenzialmente positiva che resta inevitabilmente compromessa
con i valori tradizionali e "materni" dell'altruismo e della dedizione; in
terzo luogo, enfatizzando soprattutto il bisogno e la debolezza
dell'"altro", essa sembra operare in senso puramente unilaterale e non
reciproco...
Il rischio insomma e' quello di un puro rovesciamento di segno, di una
semplice conversione in positivo di cio' che finora e' stato oggetto di
svalutazione e di esclusione (la cura, l'amore, l'empatia).
La mia proposta e' allora quella di integrare questa prospettiva attraverso
alcuni aspetti che e' possibile dedurre dal paradigma del dono, nella sua
recente rilettura maussiana (41) ...
Il paradigma del dono ci consente infatti, in primo luogo, di ricondurre la
tendenza all'attenzione e alla cura dell'altro non a presunte qualita'
naturali e a presupposti di tipo essenzialistico, ma alla consapevolezza da
parte dei soggetti della loro insufficienza, dipendenza, vulnerabilita'.
"Perche' si dona?", si chiede Jacques Godbout (42); "per collegarsi,
mettersi in presa con la vita, per far circolare le cose in un sistema
vivente, per rompere la solitudine, per far parte di nuovo della catena,
trasmettere, sentire che non si e' soli e che si 'appartiene', che si fa
parte di qualcosa di piu' vasto e in particolare dell'umanita'...".
Colui che dona spezza l'illusione cartesiana della propria autosufficienza e
riconosce il proprio costitutivo stato di mancanza; riconosce cioe', per
usare una felice espressione di Martha Nussbaum, la propria "bisognosita'"
(neediness) (43), percependosi come anello di un circuito infinito di
appartenenze e di legami, che ha inizio dal momento stesso della nascita
(44). Cosciente, in altri termini, di essere stato a sua volta donato, il
soggetto che dona e' permanentemente esposto all'alterita' in quanto memore
dell'origine e della propria natura filiale, creaturale.
Attingendo in parte al lessico di Georges Bataille, ho provato a proporre
l'idea, cui posso qui solo accennare, di un soggetto contaminato, aperto, in
quanto consapevole di una mancanza che costitutivamente lo attraversa, al
"contagio" di un altro da se'; che ne impedisce ogni autarchica e atomistica
ricomposizione. Si dona in quanto ci si sente in debito verso l'altro,
poiche' l'altro e' la parte mancante, il symbolon della nostra incompiutezza
e insufficienza. Il dono come debito e' infatti, come e' stato detto (45),
cio' che interrompe il "progetto immunitario" della modernita' e
dell'individualismo moderno, riconsegnando gli uomini all'obbligo che li
vincola gli uni agli altri, svuotandoli della loro soggettivita' ed
esponendoli al "contagio della relazione" (46)...
E' legittimo pensare che le donne, non in virtu' di una costituzione
biologica ma grazie ad una secolare eredita' simbolica, possano avere un
accesso privilegiato a questa logica di contaminazione e di "esposizione"
all'altro.
Ma l'idea di contaminazione dovrebbe scongiurare anche il rischio, opposto e
speculare a quello di pensare il soggetto in termini atomistici, che e'
quello di riproporre un'immagine di soggettivita' essenzialmente oblativa ed
altruistica.
Il soggetto contaminato si apre all'altro non a partire da una "materna"
dedizione o da una "naturale" tendenza alla connessione, ma in quanto
consapevole della propria insufficienza, che lo spinge ad investire l'altro
del proprio desiderio, a riconoscerlo come parte costitutiva della propria
esistenza e della propria identita'; senza cadere ne' in una logica
appropriativa ne' solo oblativa.
Muta in altri termini, la figura stessa dell'altro, non piu' inteso come
passivo oggetto di cura e di generosita', ma come altro soggetto, capace di
mobilitare il pathos dell'Io, il suo desiderio "erotico", inteso nel senso
squisitamente platonico di desiderio di ricongiungersi, di appartenere, di
legarsi. In un soggetto esposto permanentemente alla contaminazione, la
mancanza si converte, in altri termini, in quella che ho definito "passione
per l'altro", nella quale si realizza un'intima alleanza tra desiderio e
cura. Cio' consente di restituire alla qualita' donativa la potenza
ambivalente della passione, la quale coniuga in se' il desiderio ineludibile
dell'Io e l'apertura all'alterita', la fedelta' a se stessi e l'attenzione
per l'altro da se'; liberando, in particolare le donne, da quel sotterraneo
e potente imperativo all'oblio di se' su cui e' stato fondato l'elogio delle
loro qualita' relazionali.
Ma se l'attenzione per l'altro trova origine nella consapevolezza da parte
del soggetto della propria insufficienza, e se l'altro, in quanto oggetto
del desiderio dell'Io entra attivamente nella dinamica relazionale, cio'
vuol dire che la cura non puo' essere vista in termini puramente
unilaterali. Non puo' cioe' essere concepita come l'atto altruistico di un
soggetto forte e generoso verso un soggetto debole e bisognoso, ma come un
evento di reciprocita'.
E' capace di cura solo chi si sente, sia pure solo virtualmente, bisognoso
di cura; e' capace di dono solo chi si riconosce a sua volta oggetto di
dono. Il paradigma del dono insiste a ragione su questo aspetto, sulla
circolarita' della dinamica del dono, nella quale ognuno e' sempre donatore
e donatario, se non altro, come si gia' accennato, in quanto e' debitore del
dono originario della nascita.
L'integrazione di questi tre aspetti - la memoria dell'origine,
l'ambivalenza del pathos e la reciprocita' - consente dunque di liberare la
qualita' relazionale delle donne dalla sua connotazione sacrificale, e di
riconoscerne le feconde potenzialita' per la configurazione della
soggettivita' femminile.
Su questa base, e' possibile riconsiderare anche il "materno" come una delle
esperienze, o potenzialita' relazionali; purche' esso venga sottratto alla
sua connotazione destinale e biologica e assunto simbolicamente come una e
soltanto una delle possibili epifanie della cura.
Le donne possono in altri termini riassumere riflessivamente la loro
tradizionale qualita' donativa trasformandola da attributo naturale
passivamente subito e portatore di rinuncia e di esclusione, in strumento
attivo di ridefinizione di se' come soggetto eminentemente relazionale e
ospitale (47); dove peraltro, e' importante aggiungere, l'ospitalita' e
l'accoglienza non siano limitate e circoscritte alla sfera privata, ma ne
varchino gli angusti confini per estendersi alla sfera pubblica...
La cura e il dono appaiono, in questa prospettiva, come l'espressione di una
scelta autonoma che scaturisce da un autentico desiderio (o passione)
dell'Io; vale a dire da una fedelta' a se stessi che si manifesta nel
riconoscimento della propria dipendenza ineludibile dall'altro, nel bisogno
di appartenenza e di legame. Cio' vuol dire che l'essere per l'altro, denso
appunto di risonanze sacrificali, diventa piuttosto, potremmo dire, un
essere con l'altro: dove l'altro non e' l'oggetto di una incondizionata
dedizione che esige la mutilazione della propria identita', ma la parte
mancante alla quale si desidera ricongiungersi e appartenere, pena la
perdita del senso stesso dell'esistenza e l'impoverimento della propria
identita'. Il soggetto femminile puo' cosi' affermarsi come un soggetto
autonomo nella dipendenza, in contrasto con l'idea moderna di soggetto
inteso come individuo autosufficiente e compiuto in se stesso, chiuso alla
dimensione dell'alterita' e della differenza.
Ma cio' richiede che le donne rovescino la loro posizione di soggette al
dono, depositata nella tradizione occidentale, per riconoscersi attivamente
e consapevolmente come soggetti di dono.
*
Note
[Ci scusiamo con i lettori e le lettrici perche' alcune delle referenze
bibliografiche delle seguenti note sono appena abbozzate, cosi' erano nel
testo originale gentilmente messoci a disposizione dall'autrice - ndr]
1. Per una trattazione piu' ampia dei temi qui affrontati, cfr. il mio Il
potere di unire. Femminile, desiderio, cura, Bollati Boringhieri, Torino
2003. Ho avuto inoltre la possibilita' di discutere alcuni dei temi qui
trattati al seminario su "Femmes, espace public et Etat-nation en France et
en Italie, XIXe-XX siecle", presso l'Ehess, diretto da C. Veauvy. La
versione scritta dei miei interventi e' stata pubblicata in Ch. Veauvy
(par), Les femmes dans l'espace public, "Le fil d'Ariane", Cahiers du Ceme,
hiver 2002.
2. Su questo cfr. E. Pulcini, L'individuo senza passioni. Individualismo
moderno e perdita del legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino 2001
(rist. 2005) Sul concetto di "patologia" come cfr. A. Honneth, Patologie del
sociale.
3. J. J. Bachofen, Il Matriarcato, Einaudi, Torino 1988, 2 voll., vol. I, p.
19.
4. Bachofen, Il Matriarcato, cit., p. 15.
5. Aristotele, Etica Nicomachea, in Opere, Laterza, Roma-Bari 1985, 11
voll., vol. 7, l. VIII, 1159a.
6. Anche in Bachofen, la fase matriarcale, ancorata alla materia e al mondo
ctonio della corporeita', resta comunque contrassegnata da una insuperabile
imperfezione, in quanto non raggiunge le altezze spirituali e intellettuali
del principio paterno e maschile, l'unico dotato della tensione apollinea e
immateriale che spezza i limiti imposti dalla natura, consentendo il vero e
proprio ingresso nella storia e nella civilta'.
7. Aristotele, Riproduzione degli animali, in Id., Opere, cit., vol. 5, 729a
22.
8. Politica, 1254b 5-15.
9. Politica, 1252b 30.
10. Politica, 1260a 5-20.
11. Cfr. S. Campese, P. Manuli, G. Sissa, Madre materia. Sociologia e
biologia della donna greca, Boringhieri, Torino 1983.
12. Cfr. J. B. Elshtain, Public man, private Woman. Women in Social and
Political Thought, Princeton University.Press 1981; Okin, Women in Western
Political Thought; D. Coole, Women in Political Theory.
13. Locke, Trattato sul governo, parr. 74 e 78.
14. Ibidem, par. 52.
15. Ibidem, par. 82: "Essendo pertanto necessario che la decisione ultima
delle cose, cioe' la norma, spetti all'uno o all'altra, e' necessario che
cio' tocchi all'uomo che e' il piu' capace e il piu' forte. Cio' riguarda
pero' le cose che sono di interesse e proprieta' comune, e lascia dunque la
donna nel pieno e libero possesso di quanto per contratto e' suo particolare
diritto, e non da' al marito maggior potere sulla sua vita di quanto ella
non abbia sulla vita di lui".
16. Carole Pateman, The Sexual Contract, Polity Press, Cambridge 1988.
17. Pateman, The sexual Contract, cit.,  p. 22
18. Come fa peraltro la stessa Pateman, p. 103 sgg.
19. S.Freud, Totem e tabu', in Id., Opere, Boringhieri, Torino, 12 voll.,
vol. 7.
20. Benhabib-Cornell, Feminism as critique, Introduction, p. 11.
21. Locke, Trattato sul governo, cit., par. 78; cfr. anche parr. 63 e 67.
22. Arendt, Vita activa, p. 28.
23. Cfr. per tutti Ph. Aries.
24. Rousseau, Lettre a' d'Alembert sur les spectacles, 1758, trad. it. in
Opere, Sansoni, Firenze.
25. Rousseau, Discours sur l'origine..., trad. it. cit., p. 276.
26. Cfr. E. Pulcini, Amour-passion et amour conjugal, Marsilio, 1990.
27. Una natura, come si e' detto, dotata di nobili qualita' e attributi: se
infatti la donna e' fisicamente debole, essa e' tuttavia dotata di un
naturale talento persuasivo (Emilio, in Opere, cit., p. 623); se non ha
predisposizione per i principi e le regole generali, essa possiede una
"ragione pratica" che le da' il gusto per i dettagli e l'intuito dei mezzi
atti ad un fine (Emilio, cit., p. 627); se non e' capace di una conoscenza
astratta e speculativa, essa spicca per presenza di spirito, penetrazione,
finezza e acume che la rendono attiva promotrice di una "morale
sperimentale" (Emilio, cit., p. 636 sgg.). Insomma, conclude Rousseau: "La
donna ha piu' spirito, e l'uomo piu' genio; la donna osserva e l'uomo
ragiona" (Emilio, cit., p. 637).
28. Emilio, cit., p. 612.
29. Emilio, cit., p. 703.
30. Emilio, cit., p. 617.
31. Emilio, cit., p. 617 e 622.
32. Emilio, cit., p. 636 sgg.
33. Emilio, cit., p. 617 e le affermazioni citate sopra dal secondo
Discorso.
34. Cfr. S. Benhabib e D. Cornell (eds), Feminism as Critique. On the
Politics of Gender, University of Minnesota Press, Minneapolis 1987. Sul
"disengaged Self", cfr. Ch.Taylor, Sources of the Self.
35. Ch. Taylor parla, relativamente alla modernita', della nascita di una
"cultura del sentimento", senza tuttavia specificare la natura di questo
nuovo codice affettivo, cfr. Sources of the Self, Harvard Univ. Press,
Cambridge (Mass.), 1989, cap. 17.
36. Cfr. Pulcini,  Amour-passion et amour conjugal.
37. Pulcini; Ferrara.
38. S. Benhabib - D. Cornell, Feminism as critique, University of Minnesota
Press, Minneapolis, 1987.
39. Cavarero, Tu che mi guardi tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997.
40. C. Gilligan, Con voce di donna, Feltrinelli, Milano 1987.
41. Caille', Godbout.
42. Godbout, Il linguaggio del dono, cit., p. 29.
43. Nussbaum.
44. Godbout, Lacan, cfr. Pulcini, L'individuo senza passioni, p. 196.
45. Esposito, Communitas, Einaudi, Torino.
46. Ibidem, p. XXVI.
47. Sul concetto di "ospitalita'", cfr. J. Derrida, Politiche dell'amicizia,
Cortina, Milano 1995.

2. INCONTRI. DA OTTOBRE A NOVEMBRE IL SEMINARIO DI DIOTIMA A VERONA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)]

Il seminario di Diotima "Partire da un'altra parte" si terra' a partire da
venerdi' 6 ottobre, dalle ore 17 alle 19, con il seguente calendario:
6 ottobre, ore 17, Chiara Zamboni, La mancanza e il bisogno di reale.
13 ottobre, ore 17, Angela Putino e Federica Giardini, L'impersonale.
20 ottobre, ore 17, Luisa Muraro, La schivata.
27 ottobre, ore 17,20 Sandra Bonfiglioli, Benvenuta ambiguita'.
10 novembre, ore 17, Diana Sartori, Scarti di liberta'.
17 novembre, ore 17, Barbara Verzini, Corpo a corpo con la violenza.
24 novembre, ore 17, Cristina Faccincani, Il testimone non assumibile.
Gli incontri saranno in aula T8, alla facolta' di lettere e lingue
dell'Universita' di Verona, via S. Francesco 22.
Si noti che l'unico cambiamento riguarda l'orario e l'aula della lezione di
Luisa Muraro che verra' tenuta in aula T3, sempre alla facolta' di lettere e
lingue, alle 17,20, Polo Zanotto.
*
Partire da un'altra parte per non rimanere bloccate in una rappresentazione
chiusa e ripetitiva del presente, che ci fa avvertire un vago senso di
irrealta'. E' questa la proposta del "grande seminario" di quest'anno.
Qual e' la fessura, dove il pertugio da cui creare uno spazio di movimento
libero? In altre parole, quali pratiche, quali invenzioni aprono
dall'interno del presente un presente altro? Un presente vivo, che sentiamo
in sintonia con noi?
Non si tratta tanto di contrapporci all'oggi o di resistere - termine
infelice, che pero' molti adottano per esprimere il non sentirsi adatti, lo
scostarsi attivo dal proprio tempo -, quanto di stare nelle pieghe del
presente, farne esperienza in tutta la sua ambiguita'. E proprio da li', dal
suo interno, trovare il filo simbolico che mostri del reale aspetti
imprevisti e per noi vitali, che un semplice adattamento ai fatti della
realta' non farebbe vedere.
Si tratta di far nascere le cose dal contesto che viviamo, generativamente.
Di cogliere che in quel che capita nel mondo c'e' di piu' di quel che ci
aspettavamo. Si puo' aiutarlo non solo nell'inizio ma anche nel suo crescere
e prendere forma autonoma.
Le domande, a cui vorremmo rispondere nel seminario, sono molte. Tutte
girano attorno alla questione del coinvolgimento nel proprio tempo, il
rifiuto dell'adattarsi e contemporaneamente il sapere che solo accogliendo
la realta' si puo' aiutare quel che in essa si sta generando. Come questo
spazio libero e' decisamente in conflitto con il neoliberismo e pero' anche
coinvolto in esso? Quando accogliere le cose come capitano e' creativo e
quando invece e' un adattamento costretto? Com'e' che solo attraverso un
simbolico che metta al centro il patire, il sentimento della realta', c'e'
la possibilita' di dischiudere il reale dal suo interno come un tesoro?
*
Alcune indicazioni di lettura: Iris Murdoch, Esistenzialisti e mistici, Il
Saggiatore; Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi; Duemilaeuna. Donne
che cambiano l'Italia, a cura di Annarosa Buttarelli, Luisa Muraro e Liliana
Rampello, Pratiche.

3. LE ULTIME COSE. LUCIANO BONFRATE: MOTTETTO DEGLI ARRESI

"Siate realisti, e lasciateci far la guerra per benino. Anche per le cosine
vostre, anime nobili, vedrete che ci scappa qualche spicciolo alla fine"
(Rubizzo Crollalanza, prima della gloriosa battaglia di Parigi del 24 agosto
1572)

I.

Come gli anni male spesi
porta presto alla rovina
Il realismo degli arresi:

siano ingenui o sia manfrina
e' un inganno cosi' forte
che conduce alla berlina;

ma e' ben piu' crudele sorte
quella che tocca alla gente
che la guerra mena a morte.

Da lontano sembra niente
dire si' alle spedizioni
militari, e immantinente

fanno strage quei cannoni,
mitra, mine, bombe, i tristi
frutti delle ispirazioni

d'illustrissimi statisti
assassini sempre illesi.
Preferisco gli utopisti.

*

II.

Preferisco gli utopisti
che salvano le vite invece di sopprimerle
che a tutte le guerre si oppongono sempre
ed a tutti gli eserciti, e a tutte le armi.

Che sanno che il mondo potra' essere salvato
solo dalla scelta della nonviolenza.

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1425 del 21 settembre 2006

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