Nonviolenza. Femminile plurale. 79



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 79 del 31 agosto 2006

In questo numero:
1. Annamaria Rivera: Femminicidio, sessismo, razzismo
2. Lea Melandri: Il boia domestico non ha patria
3. Gabriella Paparazzo: Hina, Manem e le altre
4. Giuliana Sgrena: Segnali
5. Patricia Lombroso intervista Kelly Dougherty
6. Giovanna Providenti: Madri russe contro il militarismo
7. Fatema Mernissi: Certe verita'
8. Silvia Vegetti Finzi: Un balzo di straordinaria semplicita'

1. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: FEMMINICIDIO, SESSISMO, RAZZISMO
[Dal quotidiano "Liberazione" del 29 agosto 2006. Annamaria Rivera (per
contatti: annamariarivera at libero.it), antropologa, vive a Roma e insegna
etnologia all'Universita' di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei
diritti umani di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo
studio e la ricerca con l'impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti
femminista, antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente,
di temi attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l'analisi
delle molteplici forme di razzismo, l'indagine sui nodi e i problemi della
societa' pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di
concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi. Fra le opere di Annamaria
Rivera piu' recenti: (con Gallissot e Kilani), L'imbroglio etnico, in
quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine
dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza
razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli
postcoloniali e retoriche sull'alterita', Dedalo, Bari 2005]

Conviene anzitutto sgomberare il campo del dibattito da una confusione
niente affatto spontanea e innocente: la campagna propagandistica di stampo
razzista che ha preso le mosse da alcuni episodi recenti di cronaca nera e'
cosa radicalmente diversa - e cosi' va trattata - da una seria e pacata
discussione sull'intollerabile escalation della violenza patriarcale contro
le donne.
Del pari, nessun serio dibattito sulla riforma della cittadinanza o sui
modelli d'integrazione e sulle loro eventuali derive puo' muovere da
quell'ordine di discorso. Come, fra gli altri, ha scritto efficacemente
Alessandro Dal Lago in un editoriale su questo giornale ["Liberazione" -
ndr], la campagna di sciocchezze, diffamazioni e volgarita' razziste dopo i
cosiddetti fatti di Brescia denota una logica da faida: la responsabilita'
individuale di un crimine commesso da un certo soggetto viene fatta ricadere
come colpa collettiva sull'intero suo gruppo di appartenenza o addirittura
sul sistema religioso cui si suppone egli aderisca.
Emblematica di questa strategia retorica - che si serve del dispositivo
dell'etnicizzazione del crimine individuale per gettare discredito
sull'intero mondo dell'immigrazione e, piu' in generale, sul Nemico
musulmano - e' una delle numerose pagine di cronaca che un giornale
indipendente ha dedicato alla tragica vicenda dell'assassinio per mano del
padre di Hina Saleem, la giovane pakistana di Brescia: una "finestra" a
centropagina spiegava ai lettori "cosa afferma il Corano" a proposito di
punizione delle donne. Per cogliere la logica aberrante che guida questo
dispositivo comunicativo basterebbe immaginare che putiferio solleverebbe
un'improbabile pagina dello stesso quotidiano che, dando conto alla stessa
maniera scandalistica dell'omicidio di una donna per mano del marito
italiano, presuntamente cattolico, dedicasse una finestra a "cosa afferma la
Bibbia", magari citandone i passi piu' violentemente misogini. Come
suggerisce ironicamente qualcuno, forse bisognerebbe proporre ai media ed ai
politici una moratoria dei termini "religione", "cultura", "tradizione"...
Certo, essendo il razzismo un fenomeno a geometria variabile, si
troverebbero prontamente altri termini per dire i medesimi argomenti
standard - gli immigrati sono una minaccia per la nostra "civilta'",
societa', economia, sistema di valori... - e dunque la moratoria sarebbe del
tutto vana.
Cio' che e' impressionante, infatti, e' la ripetitivita' dei dispositivi e
dei topoi che permettono la riproduzione del discorso razzista: la
generalizzazione arbitraria, il caso individuale elevato ad emblema ed
essenza di un'intera categoria di persone, la costruzione dell'idea di una
pericolosita' ontologica dello Straniero, l'associazione fra immigrati e
ogni genere di mali e allarmi sociali. Basta ricordare che in un altro
agosto, quello del 1997, un'analoga campagna allarmistica assunse a pretesto
tre omicidi compiuti da altrettanti cittadini stranieri per scatenare
un'isterica offensiva contro la preannunciata legge organica
sull'immigrazione, che si andava profilando come alquanto avanzata rispetto
agli standard europei. La campagna non fu vana, se e' vero che il testo di
legge subi' una serie di modifiche peggiorative... Se non avessero la
memoria assai corta, i nostri giornalisti si sarebbero chiesti come mai in
agosto gli stranieri si dedichino alla pratica dell'omicidio e dello stupro:
chissa', avrebbero scoperto una nuova sindrome patologica da canicola, che
colpisce coloro che sono privi di nazionalita' italiana...
In assenza di stupri e di omicidi volontari compiuti da "extracomunitari",
si puo' raschiare il barile delle notizie d'agenzia per tirarne fuori fatti
d'altro genere imputabili agli immigrati. E' cio' che fecero i media nel
dicembre del 2000 quando, assumendo a pretesto un incidente automobilistico
mortale provocato dalla guida maldestra di uno straniero e poi selezionando
accuratamente altri casi analoghi, inventarono il teorema degli immigrati
come responsabili della "piaga" degli incidenti stradali (e' un costume che
appartiene alla loro "tradizione", che discende dalla loro "cultura", che e'
prescritto dalla loro religione?).
*
Al di la' della manipolazione dei media, resta il tragico fatto di due
omicidi di donne per motivi che sembrano avere strettamente a che fare con
la cultura patriarcale; restano le cronache degli stupri di questa estate,
anch'essi propri di sistemi sessisti fondati sull'appropriazione delle
donne, di qualunque nazionalita' e condizione sociale siano gli autori dei
crimini. La violenza, anche mortale, contro le donne davvero non ha confini:
ne' di nazionalita' e "colore", ne' di status e classe. Non e' forse un
cittadino italiano, stimato direttore artistico del teatro di Macerata,
colui che, neppure due mesi fa, dopo aver tentato di strangolare la moglie,
la getto' ancora viva in un cassonetto dell'immondizia, impacchettata in un
sacco di plastica? Non si tratta, allora, di minimizzare o derubricare gli
assassinii di Hina Saleem e di Elena Lonati ne' gli stupri compiuti da
immigrati, ma (come giustamente ha rimarcato Ida Dominijanni in un recente
articolo sul "Manifesto") di "drammatizzare quelli nostrani che la cronaca
gonfia e sgonfia nel giro di ventiquattr'ore".
Nel 2005 solo in Italia almeno un centinaio di donne sono state uccise per
mano di uomini per lo piu' appartenenti alla loro cerchia (mariti, partner,
parenti, vicini...). E su scala mondiale v'e' il dato agghiacciante
dell'omicidio come prima causa di morte delle donne. Ma quanti sono gli
uomini disposti a mettere radicalmente in discussione l'ordine ideologico,
culturale, economico, sociale, politico, fondato sul dominio maschile? E non
v'e' forse il rischio che i "femminicidi" e gli stupri compiuti dagli Altri
assolvano la funzione di occultare o minimizzare l'ordine sessista che
governa anche le nostre societa' generandovi discriminazioni e violenze?
*
Certo, il sessismo, le ideologie e le pratiche che da esso discendono non
possono essere rappresentati come una notte in cui tutte le vacche sono nere
(la nozione di patriarcato e' stata spesso sottratta ad ogni dimensione
storica, anche in ambito femminista). Il dominio maschile si manifesta,
infatti, secondo forme, gradi, livelli diversi nel tempo e nello spazio,
secondo norme sociali e costumi differenziati. Che in alcuni paesi e in
alcuni ambienti permangano l'ideologia o la pratica del delitto d'onore e'
cosa ben nota. Ma che il modello liberale sia sufficiente a liberare le
donne e' cosa discutibile.
E' in questo quadro che andrebbero iscritti il dibattito sui cosiddetti
modelli d'integrazione e la critica del modello multiculturalista di stampo
anglosassone, intorno al quale fra gli specialisti continua una discussione
vecchia di decenni (Amartya Sen non fa che riprenderne alcuni termini). Ben
al di la' della contrapposizione fra modelli idealtipici (quello
"multiculturalista" all'anglosassone versus quello "universalista" alla
francese), la realta' ci mostra ogni giorno che il razzismo neocoloniale
verso popolazioni immigrate o d'origine immigrata produce nei paesi europei
effetti sociali comparabili in termini di  discriminazione, segregazione,
ineguaglianza... Speriamo che il governo di centrosinistra non si lasci
abbindolare dalle sirene delle campagne allarmistiche e che comprenda
altresi' (come auspica anche Dal Lago) che il tema della cittadinanza
sociale e politica puo' essere efficacemente articolato e affrontato solo se
si abbandonano le retoriche dell'emergenza e dell'invasione.

2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL BOIA DOMESTICO NON HA PATRIA
[Dal quotidiano "Liberazione" del 25 agosto 2006. Lea Melandri, nata nel
1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista
"L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata
nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di
Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba
voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore,
Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della
memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita'
indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati
Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo
la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e
nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una
Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme
ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio
Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato
l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi
1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di
questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono
testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio
1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 (
ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di
foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica
dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione
Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei
sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di
posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto',
'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha
diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione
femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione
aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle
donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

Dopo l'islamo-fascismo di Bush, l'equiparazione tra stragi di Israele e
stragi naziste fatta dall'Ucoii, non poteva mancare - in cauda venenum - lo
"stupro etnico", definizione con cui Francesco Merlo ha pensato di cacciare
nel grande calderone dei Mostri della Storia gli stranieri che, in questi
giorni, hanno usato violenza a donne italiane.
Ma l'insulto piu' bilioso e immaginifico lo riserva alle femministe, colte,
a suo dire, da amnesia riguardo alle passate battaglie per l'inviolabilita'
del corpo, e disposte oggi a sacrificare le loro simili sull'altare di uno
"stupido terzomondismo". Di contro a bestie assatanate, venute da fuori a
"predare" le "nostre" donne, si ergerebbe la "civilta' della sessualita'",
quella capace di proteggersi contro le sue perversioni con buone leggi,
ottenute - ma questo Merlo si guarda bene dal dirlo - da donne italiane,
femministe, contro, prima di tutto, la violenza di uomini italiani, in
maggioranza congiunti.
Nel gennaio 2000, in una frazione di Cesena, in Romagna, Massimo Predi
uccise a martellate l'intera famiglia, madre, padre, moglie e figlia, e
getto' i cadaveri dentro un pozzo artesiano nel cortile di casa.
L'innamoramento per una giovane ragazza slava, il sogno di un'"altra" vita
all'estero, l'avevano spinto a cancellare ogni traccia del suo passato, a
"rimuoverlo" - in senso letterale - nel sottosuolo della casa. Quando fu
fermato alla stazione di Bari, ai carabinieri che l'avevano riconosciuto
rispose: "Sono un rumeno". Nessun giornale sottolineo' il fatto che fosse
romagnolo, ne' si preoccupo' di fare un qualche riferimento all'idea di
famiglia che vige in quella regione, ne' sembro' sorprendente che la
"straniera" o lo "straniero" in quel caso non fossero sinonimo di poverta',
arretratezza, tradizionalismo, ma, al contrario, illusione di liberta' e
piaceri sconosciuti alle ristrettezze del proprio ambiente famigliare.
Se e' vero, come si apprende dalle inchieste su scala mondiale, che la prima
causa di morte delle donne e' l'omicidio per mano di padri, mariti,
fratelli, figli, amanti, vuol dire che il "boia domestico" non abita di
preferenza in questo o quel paese, ma e' per cosi' dire di casa in ogni
tempo e luogo. Inoltre, si puo' pensare che non sia solo l'"onore" ferito
dei suoi convincimenti virili, etici e religiosi, ad armargli la mano, ma
anche il suo contrario: il desiderio di liberarsene.
*
Gli uomini dunque uccidono, uccidono preferibilmente o coattivamente le
donne, e questo, come si sa, e' solo il traguardo estremo di una serie
variegata di altre violenze per la maggior parte domestiche.
Uccidono, in alcuni Paesi e culture, per ottemperanza a una legislazione
arcaica desunta dalla lettura piu' o meno ortodossa dei testi sacri della
loro religione; in altri, invece, in dispregio di tutte le leggi e i diritti
acquisiti dagli Stati a cui appartengono. Uccidono sotto le dittature e
sotto i governi democratici, nell'Occidente emancipato da remoti vincoli
tribali e nei Paesi gia' decimati da poverta' e guerre. Uccidono per odio o
amore, per affermare il loro potere o per sfuggire all'impotenza, per dare
un segno di fedelta' a un ideale comunitario condiviso o per dimostrare che
possono farne a meno.
Delitti di questo genere in Italia sono pressoche' quotidiani, e i
protagonisti finora sono stati indifferentemente connazionali e immigrati;
evidenti spesso anche le analogie sia per quanto riguarda il movente che la
messa in atto. Allora come mai il caso di Hina ha assunto una cosi' grande
rilevanza da interessare opinionisti, intellettuali, e da ultimo anche le
maggiori istituzioni politiche: il ministro dell'Interno Amato, il premier
Prodi, il ministero delle Pari Opportunita'?
Dopo l'arresto a Londra, l'11 luglio 2006, di presunti terroristi britannici
di origine pachistana, i giornali si sono riempiti di biografie di giovani
nati e cresciuti in Europa, ma affiliati per odio contro l'Occidente al piu'
agguerrito fondamentalismo islamico, un nemico insidioso proprio perche'
invisibile, apparentemente integrato, straniero alla sua stessa comunita'.
Il "kamikaze occidentale" - nella interessante descrizione che ne fa Enzo
Guolo su "La Repubblica" (12 agosto 2006) - e' l'esatto opposto di Hina, la
ragazza pachistana uccisa dal padre per aver assunto le abitudini e le
liberta' delle donne italiane. Ribelle, per non dover elaborare "il lutto di
una originaria comunita' in versione islamista", che vorrebbe rifondare, il
giovane suicida-omicida, con la sua disponibilita' alla morte, si va a
collocare in un punto cruciale dello scontro Islam-Occidente, che alcuni
vorrebbero cristallizzare nel binomio vita-morte, civilta'-barbarie.
Sullo stesso snodo, che oggi rischia di precipitare la nostra societa' in un
cerchio senza uscita di ritorsioni, umori razzisti, pulsioni distruttive,
Hina diventa a sua volta un "simbolo": della segregazione che subiscono le
donne straniere nelle loro famiglie e comunita' di origine, oggi residenti
in Italia, e di tutte le donne che ancora "non hanno il coraggio di
ribellarsi e di amare", come ha detto la ministra Barbara Pollastrini.
*
L'omicidio di Brescia e' caduto dunque in un contesto di paura e ostilita'
crescente - verso gli immigrati musulmani, pakistani in particolare -, che
non chiedeva altro che trovare conferma. Era inevitabile che la tragedia di
Sarezzo, pur sempre cresciuta all'interno di una determinata situazione
famigliare - che non puo' essere appiattita sulla comunita' di
appartenenza -, e legata a persone, singoli individui, con le loro storie
uniche, irriducibili ai condizionamenti culturali e sociali, trasmigrasse,
per cosi' dire, nel gran calderone delle questioni che turbano i sonni della
nostra societa': prima fra tutte, la presenza crescente di immigrati e il
riacutizzarsi dell'antico riflesso, oggi da molti alimentato ad arte, che
vede in ogni straniero un nemico; ma anche le politiche che il nuovo governo
si accinge a promuovere per favorire processi di integrazione e di piu'
armoniosa convivenza.
E' proprio questa amplificazione, cresciuta sull'onda emotiva e irrazionale
purtroppo predominante nella parte piu' conservatrice e bellicosa del Paese,
a produrre travisamenti, conclusioni affrettate, accostamenti discutibili e
risposte preoccupanti. Dietro la richiesta del ministero delle Pari
Opportunita', intervengono Amato e Prodi, e l'assassinio di Hina si avvia,
sia pure tra ostacoli e ambiguita', a diventare un caso dello Stato
italiano, chiamato a presentarsi come parte civile nel processo di Brescia.
Giustamente qualcuno ha fatto osservare quanto sia delicato "configurare un
interesse dello Stato a costituirsi come parte lesa in un processo nato dal
fondamentalismo religioso". Se la morte di Hina parla di un potere e di una
violenza maschile che attraversano lingue e culture diverse, a cui le
religioni storiche hanno dato di volta in volta norme e rituali destinati a
radicarsi nel senso e nella morale comune, perche' ancorarla cosi'
vistosamente a quell'assillo che sta diventando per l'Europa la "questione
islamica", associata ormai irresponsabilmente da piu' parti al terrorismo,
alla barbarie, a quello che c'e' di animalesco nella specie umana?
Sono d'accordo con Adriano Sofri quando dice che il riconoscimento delle
donne "e' oggi la posta prima tra diversi modi di vita" che si trovano a
convivere nello stesso Paese, sotto le stesse leggi ("Il foglio", 18 agosto
2006). Ma perche' chiedere agli immigrati di sottoscrivere una specie di
"patto d'onore" che li impegni a riconoscere diritti e liberta' delle donne,
quando cosi' platealmente se ne scordano i nostri connazionali, vissuti qui
per generazioni? Perche' non dire che c'e' una parentela tra la legge
barbara che punisce con la morte la donna che "consuma" rapporti sessuali
prima del matrimonio, e l'ombra di "peccato" che la Chiesa cattolica
continua a far cadere su comportamenti analoghi, un retropensiero inculcato
nel sentire comune e che non ha mai smesso di convivere col suo volto
trasgressivo, quale e' l'immagine del femminile e della sessualita' nei
media?
*
La discriminazione, lo sfruttamento, le molteplici forme di violenza che
subiscono ancora le donne parlano una lingua universale, e se sembrano
talvolta "altre", straniere tra loro, e' solo per una sfasatura di tempi, di
"emancipazione" - quel "ritardo" o "avanzamento" per cui il "delitto
d'onore", oggi giustamente deprecato per l'omicidio di Brescia, ha smesso di
costituire un'attenuante nei tribunali italiani solo venticinque anni fa.
Intervenire repressivamente, prolungando di anni l'attesa della cittadinanza
per gli immigrati, vincolandola a obblighi formali di rispetto per i nostri
valori e diritti sulla base magari di un test, come ha fatto lo Stato
tedesco di Baden Wuerttemberg, oltre a essere un provvedimento di buone
intenzioni ma inefficace, risulta soprattutto fuorviante per un problema che
riguarda prioritariamente l'educazione, la formazione dell'individuo, le
relazioni sociali, il confronto delle esperienze, l'allenamento quotidiano
alla reciprocita', la conoscenza di cio' che ci rende differenti e simili al
tempo stesso a tutti gli altri.
Di fronte al disagio che sta lievitando in una delicata fase di mutazione
dell'Occidente, sembra che l'unica strada praticabile sia quella di
"tutelare", "monitorare": tenere tutto sotto controllo, accumulare dati,
statistiche, rapporti che finiranno regolarmente negli archivi - dopo aver
rassicurato i lettori dei giornali -, salvaguardare un'immagine di ordine
alzando barriere, imponendo agli immigrati un "tirocinio" o "prova" di
civilta' che, a questo punto, o coinvolge anche l'Occidente, la sua storia,
i suoi contraddittori "valori", o il futuro di tutti si fa davvero
inquietante.

3. RIFLESSIONE. GABRIELLA PAPARAZZO: HINA, MANEM E LE ALTRE
[Dal quotidiano "Liberazione" del 27 agosto 2006. Gabriella Paparazzo e'
impegnata nell'associazione "Differenza donna"]

Un padre ha assassinato la propria figlia, Hina, di 20 anni. Nell'attuale
contesto storico caratterizzato dalle guerre "umanitarie" e infinite - che
pur con il loro portato di morte e distruzione (ambientale e di corpi)
vengono considerate "necessarie" per esportare la democrazia e combattere il
terrorismo -: il fatto e' stato usato da molti per consolidare la
convinzione di trovarsi di fronte ad un inevitabile scontro tra civilta':
quella musulmana "inferiore" e quella occidentale giudaico-cristiana
"superiore". E di conseguenza e' stato fin troppo semplice, per l'opinione
pubblica e per alcuni "esperti", definire la morte di Hina un fatto prodotto
da arretrate credenze religiose, che, garantendo la condizione di proprieta'
del padre sulla figlia, ne legittimano l'esercizio di potere fino al punto
da sfociare, per una mortale ma estrema coerenza, nel diritto di ammazzarla.
In realta' Hina non e' una vittima ma una donna forte che si e' ribellata ad
un padre violento, rifiutando quella cultura che le impediva di agire il suo
essere donna; ha trovato il coraggio nella consapevolezza del valore di se'
per contrapporre la sua soggettivita' femminile all'oggettivazione di un
padre-padrone che la considerava una sua cosa, convinto di poterne disporre
fino a decidere di ucciderla.
Come lei era Manem, la giovane insegnante tunisina uccisa venerdi' a Bologna
dal marito (accoltellata e poi gettata dal balcone) per la sua
determinazione a portare avanti una gravidanza che lui invece rifiutava.
Hina, come Manem, non sono vittime ma donne coraggiose che amavano la vita e
sono morte perche' sono rimaste sole a condurre la loro battaglia contro la
violenza maschile, quella battaglia che tante donne, nei Centri
antiviolenza, da anni e ogni giorno stanno conducendo per sottrarsi a
mariti, conviventi, fidanzati violenti, a padri, fratelli, compagni,
maestri, preti stupratori.
E' proprio vero, c'e' un grande scontro tra civilta' in atto: sono italiane
e colombiane, marocchine e svedesi, russe ed egiziane, francesi e
palestinesi, statunitensi e albanesi, israeliane e pakistane, peruviane e
canadesi, cinesi e spagnole... che hanno stabilito un vincolo politico tra
di loro e rotto la complicita' con quella globale cultura maschile che
autorizza gli uomini a disporre del corpo delle donne, attraverso il
controllo e l'esercizio del potere sulla sessualita' femminile.
E' "un popolo ormai sparso in tutto il mondo" per ricordare una efficace
espressione di Shirin Ebadi, che sta conducendo questa guerra con lo
strumento della solidarieta' femminile, della relazione tra donne,
dell'essere in prima linea, coniugando politica di genere con
professionalita' e competenze specifiche, per abbattere la legge dei padri,
per sconfiggere il fenomeno planetario della violenza sulle donne, per
riappropriarsi di se stesse, per affermare una cultura che renda certo il
diritto all'inviolabilita' del corpo femminile.
E' una lotta che non ha come obiettivo l'eliminazione del nemico,
diversamente da quella prima "guerra umanitaria" dichiarata dagli uomini
contro l'altra da se' quale nemica, che ha dato origine al dominio. La
nostra e' una lotta che e' iniziata non in nome di Dio, non in nome del
mercato, ma in nome nostro, una lotta questa si' vitale, dove la vittoria di
una e delle altre non vedra' ne' martiri, ne' eroi, ne' vincitori ne' vinti,
ma donne libere insieme. E con noi ci sara' Hina, ci sara' Manem.

4. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: SEGNALI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 agosto 2006. Giuliana Sgrena,
giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu'
prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle
culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e'
stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase
piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata
rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche
alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai
liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola
Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo,
Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma
1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq,
Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005]

Kofi Annan a Beirut, prima tappa del suo viaggio mediorientale, non ha perso
tempo. Forte della ripresa di autorita' dell'Onu ha chiesto a Hezbollah di
liberare i due israeliani sequestrati consegnandoli alla Croce rossa, e a
Israele "la fine immediata" del blocco aeronavale imposto al Libano. Annan
era stato preceduto da una intervista del capo di Hezbollah, Hassan
Nasrallah, che sembra far intravedere una insolita duttilita' del leader
sciita, che di fatto ha ammesso un "errore". "Non pensavamo che la cattura
(dei due soldati israeliani) avrebbe portato a una guerra di queste
dimensioni... Se l'avessimo saputo l'11 giugno non l'avremmo fatto", ha
detto Nasrallah in una intervista alla New tv libanese. Un errore di calcolo
dell'abile leader del movimento fondamentalista filo-iraniano? Puo' darsi.
Abile ma anche tanto pragmatico da fare una sorta di autocritica solo dopo
aver ottenuto una "vittoria" su Israele. Ora se lo puo' permettere, come
puo' permettersi di accettare l'arrivo di una forza di interposizione che
per la prima volta Israele e' stata costretta ad accettare. Tutto questo fa
parte dell'evoluzione imprevista e imprevedibile anche per Nasrallah.
Allora perche' questa fuga in avanti? Non puo' essere certo la questione
palestinese che tutti i leader arabi hanno sempre usato a proprio uso e
consumo. E allora? C'e' chi sostiene che lo spettro di al Qaeda si stia
avvicinando al Libano e ai territori palestinesi. E questo gli sciiti non lo
possono permettere. I fratelli iracheni con il supporto dei pasdaran
iraniani stanno combattendo una sanguinosa guerra contro i gruppi di al
Qaeda in Iraq. Ma l'"irachizzazione" di tutta la regione sarebbe una
catastrofe per gli sciiti e per l'Iran. Da evitare con ogni mezzo. E' stato
questo il calcolo di Nasrallah? Forse. Oppure e' stato il calcolo degli
iraniani per ridurre l'impatto del nucleare e indurre l'occidente a trattare
il pacchetto mediorientale con maggiore oculatezza?
Gli sviluppi della situazione e il viaggio di Annan, che ieri a Beirut ha
incontrato tutti i leader politici Hezbollah compresi, sembrano andare in
questa direzione. "E' giunta l'ora che l'occidente metta da parte le sue
ostilita' preconcette nei nostri confronti e accetti di sedersi intorno a un
tavolo per cercare una via d'uscita", ha detto il portavoce del ministero
degli esteri iraniano Reza Asef dando l'annuncio della prossima visita di
Annan. E se nel gruppo della trattativa (5+1) con Tehran rientrasse anche
l'Italia, uno dei maggiori partner commerciali, non sarebbe solo un nuovo
successo per D'Alema, ma anche un vantaggio per l'Iran.
E come considerare il recente sequestro dei due giornalisti di Fox news a
Gaza? Un sequestro inedito, per la prima volta non si e' risolto in poche
ore. La rivendicazione delle Brigate del sacro jihad e' inedita come la
sigla: nessun riferimento all'occupazione della Palestina e la conversione
all'islam come condizione per il rilascio. Sembrerebbe uno scimiottamento
dei rapimenti in Iraq magari ad opera invece che di al Qaeda di gruppi fuori
controllo, ma non meno pericolosi. Il premier di Hamas Haniyeh si e' preso i
meriti della liberazione. Ora c'e' da chiedersi fino a quando la comunita'
internazionale potra' ignorare il governo palestinese e Israele tenere in
carcere i suoi ministi. Ma e' possibile che i sequestratori abbiano potuto
agire in quel fazzoletto di terra che e' Gaza inosservati? Chi lo sapeva
forse voleva dare un avvertimento: non si puo' dimenticare la Palestina.
Lo spettro di al Qaeda si avvicina.

5. TESTIMONIANZE. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA KELLY DOUGHERTY
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 agosto 2006.
Patricia Lombroso e' corrispondente da New York del quotidiano; ha
pubblicato in volume una raccolta di sue interviste a Noam Chomsky dal 1975
al 2003: Noam Chomsky, Dal Vietnam all'Iraq. Colloqui con Patricia Lombroso,
Manifestolibri, Roma 2003.
Kelly Dougherty, soldatessa in Iraq dal 2003 al 2004, e' ora la presidente
dell'organizzazione "Iraq veterans against the war"]

Nell'anniversario dell'uragano Katrina, a New Orleans sono entrati in
funzione i bulldozer: "Raderanno al suolo tutte le case non ancora
ricostruite, quelle di proprietari che non tornati: cosi' esproprieranno la
terra che sara' a disposizione della speculazione edilizia", ci spiega Kelly
Dougherty, soldatessa inviata in Iraq dal febbraio 2003 al 2004 e ora
presidente dell'organizzazione "Iraq veterans against the war". Dougherty e'
appena tornata da un periodo di volontariato tra i sopravvissuti di Katrina,
e della citta' della Louisiana conserva un'immagine spettrale e violenta.
"La povera gente ancora oggi in molte parti della citta' vive senza
elettricita' e senza acqua potabile. Dei novantamila e piu' fuggiti dalle
loro case, solo il 16% e' tornato a casa". Chi ha deciso di radere al suolo
le case non ricostruite? "Forse la direttiva e' locale, ma la decisione di
certo proviene da Washington. La motivazione addotta e' che i proprietari
originari delle case che non sono potuti ancora tornare a New Orleans e sono
ancora rifugiati in altri stati perdono ogni diritto di residenza a New
Orleans. Di conseguenza non risultano piu' nel catasto come legittimi
proprietari della propria casa".
*
- Patricia Lombroso: Cosa l'ha spinta, dopo l'esperienza in Iraq, ad andare
dai sopravvissuti di Katrina?
- Kelly Dougherty: A marzo di quest'anno, in occasione del terzo
anniversario dell'invasione e occupazione americana in Iraq, organizzammo
una carovana di protesta di reduci e famiglie di soldati in Iraq, con una
marcia da Mobile in Alabama sino a New Orleans come segno simbolico di
solidarieta'. Rimanemmo scioccati. Non ci aspettavamo una situazione cosi'
tragica sette mesi dopo l'uragano. Ci siamo resi conto che a New Orleans non
e' stato fatto nulla per la ricostruzione. I media ci avevano fatto vedere
solo una minima parte della devastazione materiale e umana. Lungo chilometri
di costa del Golfo abbiamo visto solo cumuli di immondizia putrida mai
raccolta; gli abitanti siedono sui bordi delle strade in mezzo a liquami e
acqua contaminata dagli agenti tossici fuoriusciti dalle fabbriche e dalle
raffinerie distrutte. Abbiamo constatato l'indifferenza e lo stesso cinismo
per la sorte di civili innocenti che abbiamo visto in Iraq. Per questo
abbiamo deciso di tornare a New Orleans nell'estate, e dare il nostro aiuto
di soldati con l'esperienza dell'Iraq. Durante il nostro soggiorno non
abbiamo visto nemmeno un funzionario della Croce Rossa: solo la solidarieta'
di comunita' religiose e civili volontari.
*
- Patricia Lombroso: Perche' lei paragona la sua esperienza in Iraq con
quanto ha constatato a New Orleans?
- Kelly Dougherty: In Iraq come nelle comunita' devastate di New Orleans ho
visto persone senza acqua potabile ne' elettricita' che chiedevano aiuto, e
non bulldozers. In Iraq, dove la mia unita' effettuava controllo di polizia,
mi resi conto molto presto che il nostro ruolo non aveva nulla a che vedere
con la ricostruzione. Avevamo l'ordine di distruggere e incendiare noi
stessi case di gente poverissima: dovevamo terrorizzare e far morire tanti
civili innocenti con le nostre incursioni immotivate, coperte da tante
menzogne. A New Orleans ho visto situazioni diverse, ma forse peggiori. Una
tragedia umana si svolgeva nell'indifferenza piu' totale, per opera dei
nostri governanti, e a casa nostra. Meta' della popolazione di New Orleans
e' dispersa negli altri stati, che hanno dato loro asilo. Il tasso di
suicidi e' triplicato. Gran parte degli ospedali e delle scuole per i piu'
poveri restano chiusi. I liquami tossici fra cui si aggirano gli abitanti
non sono mai stati analizzati per capire la natura della contaminazione.
L'amministrazione Bush ha promesso finanziamenti mai arrivati, e 18 miliardi
di dollari sono spariti senza troppo scandalo. Pensate: con solo 3 miliardi
di dollari gli argini potevano essere gia' ricostruiti. In Iraq, soltanto
nel primo anno della nostra invasione sono scomparsi 8 miliardi di dollari
destinati alla ricostruzione: nelle tasche di politici e contractors
corrotti, ma amici di Bush. L'esperienza a New Orleans mi conferma nella mia
tesi: Bush e i suoi corrotti politici prestano attenzione solo quando vedono
un tornaconto economico.

6. ESPERIENZE. GIOVANNA PROVIDENTI: MADRI RUSSE CONTRO IL MILITARISMO
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo
di Giovanna Providenti. Giovanna Providenti (per contatti:
g.providenti at uniroma3.it) e' ricercatrice nel campo dei peace studies e
women's and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si
occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare
attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa  al Circolo
Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume
Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli,
Milano 2003, e pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui:
Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna
di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo
romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura
di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle
memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace.
Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco
Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti e ha in cantiere un libro dal
titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria
Montessori. E' di imminente pubblicazione nella collana dei "Quaderni
Satyagraha" il volume da lei curato, La nonviolenza delle donne, Libreria
Editrice Fiorentina, Firenze 2006]

Il nonnismo [la violenza esercitata da militari con piu' anzianita' di
servizio ai danni delle nuove reclute - ndr] non e' solo un fenomeno triste
denunciato ogni tanto sulle pagine dei giornali, ma uno strumento formativo
radicato nella stessa struttura e concezione militare: perche' nutrendo
rabbia, rancore e molta sofferenza, contribuisce ad annebbiare la coscienza.
Dove hanno riposto il bagaglio della violenza accumulata i soldati di leva,
una volta rientrati a casa? Le vessazioni subite nel periodo di formazione
alla guerra sono state sufficienti a far credere loro che l'uso della
violenza sia cosa lecita, funzionale addirittura. E lasciano che la violenza
incarnata si esprima, come un campo minato, nella loro vita quotidiana:
contro mogli, madri, sorelle. Anche per questo le donne hanno una sapienza
in piu' per avversare l'obbligo militare.
*
Alcuni, invece di trasformarsi in torturatori si costruiscono una
personalita' da depresso e altri, nostalgici, cercano "emozioni" simili a
quelle di gioventu'. E sembra che questo tipo di ex militari siano
abbastanza in Russia, da far guadagnare un'impresa di reduci, denominata
Sashitnik, che propone vacanze in una caserma dell'esercito russo, in balia
dei "nonni" che impongono alle particolari "reclute" il trattamento
riservato ai veri giovani soldati. Siamo in tempo di vacanze e, per chi
voglia approfittarne, l'iniziativa turistica e' nata da due anni e si svolge
a Jaroslav, citta' storica a 250 chilometri da Mosca. Con 70 dollari al
giorno, e 600 dollari per la "serie completa" di dieci giorni. La stessa
agenzia turistica propone anche emozioni piu' costose: guidare un carro
armato (6.000 dollari per un'ora) o salire a bordo di un aereo da trasporto
militare (10.500 dollari).
L'altro risvolto di queste conseguenze della militarizzazione culturale
della societa', e' l'alto tasso di morti tra i soldati di leva e di
ufficiali uccisi dai commilitoni esasperati.
*
Ma anche una sempre piu' significativa opposizione al militarismo, compiuta
da donne che si pronunciano, in nome del loro essere madri, contro le
pratiche di nonnismo (particolarmente diffuse in Russia) e l'obbligo di
leva.
L'Unione dei Comitati delle Madri dei Soldati Russi (Ucsmr, sito:
www.ucsmr.ru) e' una rete di associazioni ad ampia, ma non unica,
maggioranza femminile, che recentemente ha deciso di costituirsi in Partito
Popolare Unito delle Madri dei Soldati con la prospettiva di partecipare
alle elezioni politiche del 2007.
L'inizio della loro storia, e la fondazione del primo comitato, a San
Pietroburgo, risale al 1989, al picco della mobilitazione democratica della
perestrojka quando emergeva pubblicamente, come parte della glasnost, la
violazione sistematica dei diritti umani all'interno dell'apparato militare
sovietico. In particolare aveva suscitato scalpore, e una pubblica indagine,
il caso della recluta Arturas Sakalauskas, che ripetutamente torturato e
violentato da tre militari in servizio, li aveva infine uccisi, con l'arma
in dotazione.
Da allora le Madri dei Soldati hanno operato varie forme di protesta: marce,
raduni, picchetti, pubblicazioni sui diritti umani, dimostrazioni
simboliche, gratuita consulenza legale alternativa a coloro che abbiano
subito violenza nell'esercito e cercano avvocati non collusi con le forze
armate. Nei confronti della guerra in Cecenia l'Ucsmr, oltre ad aiutare le
madri in cerca dei cadaveri dei loro figli, indicando percorsi e
raccogliendo soldi per il viaggio, si oppone alla guerra in maniera molto
chiara, creando alleanze con le donne cecene, anche loro organizzatesi, e
tra le quali spicca la figura di Zainap Gashaeva (su di lei in internet:
www.cocathedove.com).
L'impegno di queste donne non e' solo quello della madre che vuole,
egoisticamente, salvare il proprio figlio, perche' la loro richiesta di
abrogare (come in Italia e in altri paesi europei sta gia' accadendo)
l'obbligo di leva non ricade solo sul destino dei loro figli, ma sulla
trasformazione delle coscienze di generazioni di giovani uomini, e quindi su
tutta la societa' civile. Come gia' sa chi ha fatto il servizio civile: se
un giovane uomo, o donna, trascorre un periodo di tempo ad assistere persone
sofferenti, o a collaborare con Ong e simili, il bagaglio culturale, e di
coscienza, che poi riversera' nelle proprie relazioni interpersonali e
sociali sara' certo diverso da quello di chi, per lo stesso periodo di
tempo, sia stato sottoposto all'addestramento del nonnismo.

7. MAESTRE. FATEMA MERNISSI: CERTE VERITA'
[Da Fatema Mernissi, L'harem e l'Occidente, Giunti, Firenze 2000, p. 94.
Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) e'
nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale di forte impegno
civile, impegnata per i diritti delle donne, per la democrazia e i diritti
umani di tutti gli esseri umani, docente universitaria di sociologia a
Rabat, studiosa del Corano, saggista e narratrice; tra i suoi libri
disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane
dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La
terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam
e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004. Il
sito internet di Fatema Mernissi e' www.mernissi.net]

Ci sono certe verita' che richiedono molto tempo per essere digerite.

8. MAESTRE. SILVIA VEGETTI FINZI: UN BALZO DI STRAORDINARIA SEMPLICITA'
[Da Silvia Vegetti Finzi, "Il mito delle origini. Dalla Madre alle madri, un
percorso di identita' femminile", in Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia
Vegetti Finzi, Se noi siamo la terra, Il Saggiatore, Milano 1996, a p. 70.
Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta,
docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale
delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia
biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938.
Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso
l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio
degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata
dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento
scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della
famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del
Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna
psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista,
collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il
Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della
Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della
Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del
comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago
ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura'
di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari.
Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi
scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E'
membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della
Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de
la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi,
il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio
nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia
antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi
di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a
ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri,
intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come
storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile,
intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle
espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati
dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato
i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di
iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza,
l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico,
dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti
psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una
corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline
psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga
sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce
all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le
opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi,
Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il
Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La
Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986;
La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte.
Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di),
Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della
famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992;
(con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria
Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque
anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994;
(con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La
psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996;
(con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita'
femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con
altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un
figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997;
(con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del
patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg &
Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi
adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003;
Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i
genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005]

Sara' piuttosto un balzo di straordinaria semplicita' a ricollocarci in una
possibile genealogia femminile, fondata sulla priorita' dell'origine
piuttosto che della fine, della nascita contro la morte, della potenza
rispetto al potere, della Madre invece che del Padre.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 79 del 31 agosto 2006

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