La domenica della nonviolenza. 88



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 88 del 27 agosto 2006

In questo numero:
1. Murray Bookchin: Il marxismo come ideologia borghese (1980)
2. Severino Vardacampi: Una postilla

1. MAESTRI E COMPAGNI. MURRAY BOOKCHIN: IL MARXISMO COME IDEOLOGIA BORGHESE
(1980)
[Da "A. rivista anarchica", n. 81, febbraio 1980 (disponibile anche nel sito
www.arivista.org) riprendiamo il seguente saggio tradotto dalla rivista
trimestrale "Our Generation", vol. 13, n. 3, edita a Montreal, in Canada.
Murray Bookchin, pensatore e militante libertario americano, e' stato tra i
principali punti di riferimento della "ecologia sociale"; nato a New York
nel 1921, figlio di emigrati russi (la nonna materna era una rivoluzionaria
populista), ha fatto l'operaio metalmeccanico, il sindacalista, lo
scrittore, il docente universitario; e' deceduto sul finire di luglio 2006.
Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2006 riprendiamo il seguente
necrologio scritto dall'assessore del Comune di Venezia Beppe Caccia: "La
traiettoria biografica di Murray Bookchin - che, nato nel Bronx nel 1921 da
una coppia di immigrati russi rivoluzionari (la madre attivista wobbly), si
e' spento il 30 luglio scorso a Burlington nel Vermont - ha attraversato
l'intero Novecento, ma i suoi prolifici (oltre una ventina i titoli,
centinaia gli articoli pubblicati) e generosi contributi teorici hanno
cercato di accompagnare le piu' diverse correnti del pensiero radicale del
diciannovesimo e ventesimo secolo dritte nel ventunesimo. L'intera sua opera
puo' essere definita, con le parole utilizzate dallo stesso Bookchin, come
una sorta di Aufhebung militante, di progressiva 'assunzione, sussunzione e
superamento' dei contenuti del marxismo come dell'anarchismo, della scuola
di Francoforte come dell'antropologia culturale, dell'urbanesimo utopistico
di Lewis Mumford come dell'etica della responsabilita' di Hans Jonas. Uno
sforzo che a taluni e' apparso come un patchwork un po' naif, ma sempre
compiuto nel segno dell'anticipazione, talvolta profetica, e del desiderio
collettivo di liberta'. Questo operaio autodidatta, tra i protagonisti del
grande sciopero della General Motors del 1946, pubblica nel 1952, sotto lo
pseudonimo di Lewis Herber per sfuggire alla caccia alle streghe
maccartista, un articolo dal titolo 'The Problems of Chemicals in Food'; e
dodici anni piu' tardi il libro dedicato ad Our Synthetic Environment, che
precede di sei mesi il ben piu' noto Primavera silenziosa di Rachel Carson:
scrive profeticamente nel 1964 degli effetti della chimica di sintesi sulla
salute umana, grazie all'ingresso dei pesticidi nella catena alimentare,
della diffusione del cancro come malattia tipica di quel 'cancro sociale'
rappresentato dal capitalismo e perfino dell'obesita' come disturbo
caratteristico di un'affluent society. Espulso giovanissimo dalle fila del
Partito comunista, dai primi anni Cinquanta si orienta verso un socialismo
libertario. Negli anni Sessanta, rivolto alle dinamiche gruppettare che
stavano affermandosi nella nuova sinistra americana, pubblica Listen
Marxist!, dove sostiene un 'anarchismo della post scarsita''. 'Il problema -
scrive - non e' quello di abbandonare il marxismo o di cancellarlo... in uno
stadio piu' avanzato di sviluppo del capitale rispetto a quello con cui Marx
aveva a che fare un secolo fa, in una fase piu' avanzata di sviluppo
tecnologico rispetto a quanto lo stesso Marx potesse aver previsto, e'
necessaria una nuova critica, che porti a nuove forme di lotta, di
organizzazione, di propaganda, di stili di vita'. Arrivato con questo
informalissimo curriculum all'insegnamento universitario, nel 1971 Bookchin
fonda con altri l''Istituto per l'Ecologia Sociale' a Plainfield, Vermont,
che continua ad essere un importante punto di riferimento internazionale per
le sue ricerche nel campo della teoria sociale, dell'eco-filosofia e delle
tecnologie alternative. E' a questo punto del suo percorso che Bookchin si
definisce, mettendo in guardia verso i rischi che comporta qualsiasi gabbia
ideologica, 'un ecologista sociale e un municipalista libertario'. Nel 1982
pubblica quella che puo' a ragione essere ritenuta la prima sintesi del suo
impegno teorico e militante, Ecologia della liberta' (tradotto in Italia,
insieme a Per una societa' ecologica e Democrazia diretta, da Eleuthera):
'il dominio dell'uomo sulla natura e' originariamente causato dal dominio
reale dell'uomo sull'uomo. La soluzione a lungo termine della crisi
ecologica dipendera' da una trasformazione fondamentale di come organizziamo
la societa', una nuova politica basata sulla democrazia face-to-face, su
assemblee di vicinato e sulla dissoluzione delle gerarchie'. Tra i promotori
del Green Left Network, ma anche critico acuto e feroce del suo programma,
tiene particolarmente alla distinzione politica tra l''ecologia sociale',
finalizzata alla radicale trasformazione dei rapporti sociali, e
l''ambientalismo' come tentativo di intervenire sugli impatti piu'
devastanti dell'economia capitalistica: 'Parlare di "limiti dello sviluppo"
nel mercato capitalistico - scriveva nel 1990 in 'Remaking society' rivolto
soprattutto agli analisti del Club di Roma e ad autori come Lester Brown o
Rifkin - e' privo di significato; e' come parlare di porre limiti alla
guerra in una societa' guerriera. La compassione morale a cui danno voce
oggi molti ambientalisti benpensanti e' cosi' naif come la compassione
morale delle multinazionali e' manipolativa. Il capitalismo non puo' essere
piu' "convinto" a porre dei limiti al proprio sviluppo di quanto un essere
umano possa essere "convinto" a smettere di respirare'. Allo stesso tempo
conduce una battaglia durissima contro i sostenitori della deep ecology,
denunciandone gli aspetti piu' spiritualisti e reazionari. Ma e' infine la
sua proposta 'comunalista', nel tentativo di 'andare oltre le tendenze del
secolo passato', a restare il contributo di maggiore originalita' per i
movimenti del XXI secolo. Una proposta articolata con grande chiarezza in
From Urbanization to Cities (1987), in grado, a vent'anni di distanza, di
continuare a far pulizia di tanta retorica debole della 'partecipazione' e
di altrettanto furbesco ambientalismo, 'eco-compatibile' soprattutto con le
contemporanee forme del dominio. 'L'immediato obiettivo dell'agenda del
municipalismo libertario e' quello di riaprire la sfera pubblica in
opposizione ad ogni statalismo, di permettere il massimo di democrazia nel
senso letterale del termine, di creare istituti che in forma embrionale
possano dare potenza alla gente'; 'Non vi puo' essere politica senza
comunita'. E per comunita' intendo una libera associazione di cittadini su
base municipale, rinforzata nella propria autonoma capacita' economica dai
propri organismi di base e il sostegno confederativo di altre comunita',
organizzate in reti territoriali'. Una radicalita' ricca d'innovazione, che
spiega forse l'incontro mancato con Bookchin di tanta parte della
discussione italiana ed europea". Tra le opere di Murray Bookchin: I limiti
della citta', Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La
Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della liberta', Eleuthera, Milano 1988
(terza edizione); Per una societa' ecologica, Eleuthera, Milano 1989;
Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia
diretta, Eleuthera, Milano 1993. Due saggi di Murray Bookchin abbiamo
riproposto ne "La domenica della nonviolenza" n. 87]

Il marxismo, forse il piu' notevole tentativo di demistificazione della
societa' borghese, si e' rivelato a sua volta la piu' astuta e sottile
mistificazione del capitalismo della nostra epoca. Non mi riferisco, con
cio', al "positivismo" latente nel pensiero di Marx, ne' a un riconoscimento
a posteriori dei suoi "limiti storici". Una seria critica del marxismo deve
prendere le mosse dalla sua intrinseca natura di prodotto piu' avanzato -
anzi, di momento culminante - dell'Illuminismo borghese. Non e' piu'
sufficiente vedere in Marx un punto di partenza per la nuova critica
sociale, accettare la validita' del suo "metodo" nonostante il contenuto
limitato che poteva abbracciare nel suo periodo storico, considerarne
liberatori gli obiettivi scindendoli dai mezzi e attribuirne gli errori e le
manchevolezze ai seguaci e agli epigoni.
In realta', il "fallimento" di Marx nella creazione e nello sviluppo di una
critica radicale del capitalismo e di una pratica rivoluzionaria non si puo'
neppure definire tale nel senso di un'impresa inadeguata agli obiettivi che
si era proposti. Al contrario, nei suoi aspetti migliori, il marxismo
tradisce se stesso, poiche' assimila inavvertitamente i caratteri piu' dubbi
del pensiero illuminista ed e' sorprendentemente vulnerabile dalle sue
implicazioni borghesi. Nei suoi aspetti peggiori, invece, la teoria marxista
rappresenta l'apologia di un'epoca storica nuova, testimone della fusione
tra "libero mercato" e pianificazione economica, tra proprieta' privata e
proprieta' nazionalizzata, tra competitivita' e manipolazione oligopolistica
della produzione e dei consumi, tra economia e stato - in breve, l'epoca
moderna del capitalismo di stato. La sorprendente congruenza del "socialismo
scientifico" di Marx - un socialismo che considerava la razionalizzazione
economica, la pianificazione produttiva e lo "stato proletario" come
obiettivi prioritari del progetto rivoluzionario - con l'intrinseco sviluppo
del capitalismo verso il monopolio, verso il controllo politico e verso un
apparente "stato di benessere" ha gia' fatto si' che alcune sue correnti
istituzionalizzate, come la socialdemocrazia e l'eurocomunismo,
contribuissero attivamente alla stabilizzazione di un'epoca di grande
razionalizzazione del capitalismo. In effetti, ci basta una lieve modifica
prospettica per essere in grado di valerci dell'ideologia marxista per
definire "socialista" l'era capitalista in cui viviamo.
Questa mutazione prospettica puo' essere liquidata come "volgarizzazione",
come "tradimento" del marxismo? Oppure realizza in pieno le tesi principali
di Marx - secondo una logica che Marx stesso non fu in grado di cogliere?
Quando Lenin descrive il socialismo come "nulla piu' che un monopolio
capitalista di stato volto a favore del popolo", volgarizza anch'egli il
pensiero marxista e ne contamina l'integrita'? O rivela invece le premesse
che vi sono insite, e che ne fanno, storicamente, l'ideologia piu'
sofisticata del capitalismo avanzato? Il senso di queste domande consiste
nell'appurare se esistono elementi condivisi da tutti i marxisti, tali da
costituire una base reale per la socialdemocrazia, l'eurocomunismo e le idee
di Lenin. Una teoria che viene cosi' spesso "volgarizzata", "tradita" e,
peggio, istituzionalizzata in forme di potere burocratico da quasi tutti i
suoi seguaci fa pensare che questi suoi "tradimenti" siano, tutto sommato,
una condizione normale della sua esistenza. Cio' che appare come una
"volgarizzazione", un "tradimento" e una manifestazione burocratica nel
fervore incandescente delle dispute dottrinali puo' invece rivelarsi, alla
fredda luce della storia, una fedele realizzazione dei suoi obiettivi. In
ogni caso, oggi, tutti i ruoli storici sembrano essere stati male assegnati.
Puo' darsi che non sia il marxismo a doversi rinnovare per mettersi
nuovamente al passo con le fasi piu' avanzate del capitalismo, ma siano
invece queste ultime, nelle societa' borghesi piu' tradizionali, a dover
guadagnare ancora terreno per raggiungere il marxismo, la piu' sofisticata
anticipazione ideologica dello sviluppo capitalista.
Sia ben chiaro che non si tratta di un gioco di parole puramente accademico.
La realta' offre esempi paradossali e incontestabili, piu' ancora della
storia. La bandiera rossa sventola su un mondo di nazioni socialiste che si
fanno guerra tra loro, mentre al di fuori dei loro confini i partiti
marxisti si preparano a un mondo sempre piu' orientato verso il capitalismo
di stato e che, per colmo d'ironia, funge da arbitro tra i paesi socialisti
in lizza - o si allinea con loro. Il proletariato, come la plebe del mondo
antico, gode di una partecipazione attiva a un mondo, la cui maggiore
minaccia e' rappresentata da una popolazione diffusa e frammentaria di
intellettuali, cittadini, femministe, omosessuali, ecologisti - in breve, da
una popolazione trans-classista, che esprime gli ideali utopici di
rivoluzioni democratiche ormai sepolte nella notte dei tempi. Dire che oggi
il marxismo non tiene in nessun conto questa costellazione non-marxista
significa peccare di eccessiva generosita' nei confronti di un'ideologia che
e' divenuta l'impersonificazione "rivoluzionaria" dello stato capitalista
reazionario. Le caratteristiche strutturali del marxismo si adattano
perfettamente a relegare questi nuovi fenomeni nell'oscurita', a distorcerne
il significato e, se vi sono altre possibilita', a ridurli a categorie
economiche.
Dal canto loro, i paesi e i movimenti socialisti non sono meno "socialisti"
per le loro "distorsioni" che per i "risultati" che dichiarano di aver
conseguito. Anzi, le "distorsioni" acquistano maggior significato dei
"risultati", perche' rivelano inequivocabilmente l'apparato ideologico che
serve a mistificare il capitalismo di stato. Di conseguenza, e' piu' che mai
necessario analizzare questo apparato, scoprirne le radici, svelarne la
logica e bandirne lo spirito dalla causa rivoluzionaria. Illuminato dal
fuoco spietato della critica, apparira' quale realmente e' - non
"incompletezza", "volgarizzazione", "travisamento", bensi' l'essenza storica
della controrivoluzione, di quella controrivoluzione che, piu' di ogni altra
ideologia dai tempi del cristianesimo ad oggi, ha usato efficacemente
l'illusione libertaria per soffocare la liberta'.
*
Marxismo e dominazione
La convergenza tra illuminismo e marxismo e' tale che entrambi sembrano
condividere una concezione scientistica della realta'. Cio' che spesso svia
i critici dello scientismo marxista, tuttavia, e' la misura in cui il
"socialismo scientifico" oggettivizza l'idea rivoluzionaria, privandola
percio' di ogni contenuto etico e di ogni finalita'. I recenti tentativi, ad
opera di alcuni neomarxisti, di infondere in questa dottrina un significato
psicologico, culturale e linguistico, affrontano candidamente il problema
sul terreno stesso della teoria marxista, senza sfiorarne l'intrinseca
natura. Percio', per quanto la loro opera possa risultare utile in termini
rigorosamente scientifici, essi contribuiscono, consciamente o
inconsciamente, a perpetuare il carattere mistificante del marxismo. Di
fatto, dal punto di vista della metodologia scientifica, il marxismo puo'
essere letto in molti modi diversi. Il celebre paragone che Marx traccia,
nella prefazione al Capitale, tra la sperimentazione del fisico che
riproduce allo "stato puro" i fenomeni naturali e la scelta dell'autore di
collocare in Inghilterra il locus classicus del capitalismo industriale del
suo tempo, rivela chiaramente una predisposizione scientifica, ulteriormente
confermata dall'affermazione, secondo cui Il capitale avrebbe rivelato le
"leggi naturali" del "movimento economico" del capitalismo; secondo la
quale, inoltre, l'opera avrebbe affrontato il problema della "formazione
economica della societa' [non solo del capitalismo - nota di Bookchin]...
come processo storico naturale". D'altra parte, queste affermazioni sono
controbilanciate dal carattere dialettico dei Grundrisse e dello stesso
Capitale, dialettica che indaga sulle trasformazioni interne della societa'
capitalista da un punto di vista organico e immanente, che mal si accorda
con la concezione della realta' che ha il fisico.
Cio' che contribuisce decisamente ad unire in Marx lo scientismo del fisico
alla dialettica, tuttavia, e' lo stesso concetto di "legge" - il preconcetto
secondo il quale la realta' sociale e la sua traiettoria si possono spiegare
in termini tali da rimuovere dal processo sociale ogni idea umana, ogni
influsso culturale e, significativamente, ogni fine etico. Marx chiarisce la
funzione di queste "forze" culturali, psicologiche ed etiche in modo tale
che esse appaiano contingenti alle "leggi" che agiscono oltre la volonta'
dell'uomo.
Le volonta' degli uomini, interagendo e ostacolandosi a vicenda, si
"elidono" l'una con l'altra e consentono al "fattore economico" di
determinare liberamente il corso degli eventi. O, per dirla nei termini
magniloquenti usati da Engels, queste volonta' comprendono "innumerevoli
forze intersecantesi, una serie infinita di parallelogrammi di forze da cui
scaturisce un'unica risultante - l'evento storico". Percio', alla lunga,
"sono le forze economiche a prevalere" (lettera a J. Bloch). Non e' per
nulla chiaro se Marx, che prendeva a paradigma il laboratorio del fisico,
fosse d'accordo con la geometria sociale di Engels. In ogni caso, cio' che
interessa non e' stabilire se le "leggi" sociali siano o meno dialettiche.
Il fatto e' che esse costituiscono una base consistente e oggettiva per lo
sviluppo sociale, caratteristica dell'approccio illuministico alla realta'.
Dobbiamo fermarci a considerare con attenzione tutte le implicazioni del
fenomeno sopra descritto in quella che potremmo chiamare la "teoria della
conoscenza" di Marx. Anche nella filosofia greca era presente un concetto di
legge, ma piu' nel senso di "destino", di moira, che di "necessita'" come
oggi la intendiamo. Nella moira era insito il concetto di "necessita'"
sorretta da un significato, da un fine eticamente condizionato, stabilito
dal "destino". La realizzazione pratica del "destino" era compito della
giustizia, o dike, che preservava l'ordine del mondo mantenendo tutti gli
elementi del cosmo entro i confini assegnati. La natura mitica di questa
concezione della "legge" non deve impedirci di coglierne i profondi
contenuti etici. "Necessita'" non significa semplicemente necessita', ma
necessita' morale, con un significato e uno scopo. Se la conoscenza umana ha
il diritto di presumere che esista un ordine mondiale - presunzione che la
scienza moderna condivide con la mitologia antica, al fine di rendere
possibile la conoscenza - essa ha anche il diritto di presumere che
quest'ordine possieda una sua intelligibilita' o un significato, e che possa
essere tradotto dal pensiero umano in una serie di rapporti finalizzati. Dal
concetto di fine, di obiettivo, contenuto implicitamente nella nozione di
ordine universale, i filosofi greci derivavano il diritto a parlare di
"giustizia" e di "conflitto" nell'ordine cosmico, di "attrazione" e di
"repulsione", di "ingiustizia" e di "compenso". Vista la necessita' di
giungere ad una filosofia della natura che renda possibile una visione
ecologica piu' acuta e profonda nei rapporti contorti dell'uomo con il mondo
naturale, esiste anche per noi il bisogno, meno mitico, di sviluppare una
nuova sensibilita' di tipo ellenico.
L'illuminismo, svuotando il concetto di legge di ogni contenuto, ha prodotto
il cosmo oggettivo, ordinato ma privo di significato. Laplace, il piu'
grande astronomo di quel periodo, nella sua famosa risposta a Napoleone non
solo elimino' del tutto Dio dalla descrizione del cosmo, ma soppresse anche
l'ethos classico che reggeva l'universo. Tuttavia, l'Illuminismo lascio'
all'ethos un campo d'azione - il campo sociale, nel quale l'ordine aveva
ancora un significato e il cambiamento aveva uno scopo. Il pensiero
illuminista mantenne la visione etica di una umanita' morale che si poteva
educare a vivere in una societa' morale. Questa visione, fortemente
impregnata dei concetti di liberta', di uguaglianza e di razionalita',
costitui' il fertile terreno sul quale si svilupparono, nel secolo seguente,
il pensiero socialista e anarchico.
Per colmo d'ironia, Marx completo' il pensiero illuminista riportando nella
societa' il cosmo di Laplace - non in modo rozzamente meccanicistico, ma
certamente da scienziato, in aperta e violenta opposizione con ogni forma di
utopia sociale. Assai piu' significativo dell'idea di Marx, secondo il quale
egli avrebbe dato al socialismo una base scientifica, e' il fatto, secondo
il quale egli diede basi scientifiche al "destino" sociale. Di conseguenza,
gli "uomini" erano da considerarsi (secondo le parole dello stesso Marx
nella prefazione al Capitale) la "personificazione delle categorie
economiche, i portatori di interessi di classe particolari", e non individui
dotati di volonta' e capaci di perseguire finalita' etiche. L'umanita' era
divenuta l'oggetto di una legge sociale, una legge privata di ogni
significato morale, come la legge cosmica di Laplace. La scienza non era
piu' semplicemente un mezzo per descrivere la societa', ma era divenuta il
destino stesso della societa'.
Cio' che appare particolarmente significativo in questa sovversione del
contenuto etico della legge - in questa sovversione della dialettica - e' il
modo in cui la dominazione e' elevata a fatto naturale. Essa e' connessa
alla liberta', come condizione preliminare e necessaria all'emancipazione
sociale. Marx, che in un certo senso si avvicino' alla concezione hegeliana,
secondo la quale la realizzazione delle potenzialita' umane passava
attraverso la consapevolezza e la liberta', non possiede un criterio morale
o spirituale intrinseco per affermare questo destino. Tutta la sua teoria e'
prigioniera della riduzione dell'etica a legge, della soggettivita' a
oggettivita', della liberta' a necessita'. La dominazione diviene
ammissibile come condizione preliminare e necessaria alla liberta', il
capitalismo come condizione preliminare e necessaria al socialismo, la
centralizzazione come condizione preliminare e necessaria alla
decentralizzazione, lo stato come condizione preliminare e necessaria al
comunismo. Sarebbe stato sufficiente affermare che il progresso materiale e
tecnologico e' condizione preliminare e necessaria alla liberta', ma Marx,
come vedremo, dice molto di piu' e in modo tale che se ne possono trarre
implicazioni sinistre per la realizzazione della liberta'. I limiti che il
pensiero libertario piu' puro poneva ad ogni trasgressione oltre i confini
morali dell'agire sono bollati come "ideologia" e liquidati. Naturalmente,
anche Marx avrebbe considerato una societa' totalitaria come una malefica
deviazione dalla sua visione sociale; tuttavia, il suo apparato teoretico
non contiene formulazioni etiche tali da escludere il concetto di
dominazione dalla sua analisi sociale. Secondo l'ottica marxiana, una
esclusione di questo genere avrebbe dovuto essere la conseguenza di una
legge sociale oggettiva - del processo della "storia naturale" -, cioe' di
una legge moralmente neutrale. Percio' il concetto di dominazione non puo'
essere criticato nei termini di un'etica che si richiami intrinsecamente
alla giustizia e alla liberta'; lo si puo' criticare - o convalidare - solo
sulla base di leggi oggettive con una loro propria validita', che esistono,
cioe', al di sopra degli "uomini" e al di sopra delle "ideologie". Questo
errore, che trascende il problema dello "scientismo" marxista, si rivela
fatale, poiche' apre la via alla dominazione, che diviene l'incubo latente
in ogni forma e in ogni successiva rielaborazione dell'ideale marxista.
*
La conquista della natura
La sua drammatica importanza diviene evidente se esaminiamo le basi su cui
si sviluppa l'ideale di Marx, poiche' scopriamo che, a questo livello, il
concetto di dominazione assume una funzione "guida" e chiarificatrice. Assai
piu' rilevante della concezione marxista di sviluppo sociale come "storia
dei conflitti di classe" e' l'idea del passaggio dell'umanita' dallo stadio
animale a quello sociale, dello "sradicamento" dell'umanita'
dall'"eternita'" ciclica della natura e del suo inserimento nella
temporalita' lineare della storia. Per Marx, l'umanita' assurge a una
dimensione sociale solo quando l'"uomo" acquisisce gli strumenti tecnici e
le strutture istituzionali che gli consentono di "conquistare" la natura;
una "conquista" che presuppone la sostituzione della parrocchialita' tribale
con l'umanita' "universale", dei rapporti di parentela con dei rapporti
economici, del lavoro concreto con il lavoro astratto, della storia naturale
con la storia sociale. In questo risiede il carattere "rivoluzionario" del
ruolo che il capitalismo gioca sulla scena sociale. "L'era borghese della
storia deve creare le basi materiali per un mondo nuovo - da una parte, il
rapporto universale fondato sulla mutua dipendenza degli uomini, e i mezzi
per questo rapporto; dall'altra, lo sviluppo delle forze produttive
dell'uomo e la trasformazione della produzione materiale in dominazione
scientifica degli agenti naturali", scriveva Marx il Le future conseguenze
della dominazione inglese in India (luglio 1853). "L'industria e il
commercio borghesi creano queste condizioni materiali per un mondo nuovo
nello stesso modo in cui le rivoluzioni geologiche hanno creato la
superficie della terra. Quando una grande rivoluzione sociale avra' preso
possesso dei risultati dell'era borghese, dei mercati mondiali e delle forze
moderne di produzione, e avra' sottoposto ogni cosa al controllo esercitato
in comune da tutti i popoli piu' progrediti, solo allora il progresso
dell'umanita' cessera' di assomigliare a quell'orrenda divinita' pagana, che
beveva il nettare solo nei teschi dei nemici uccisi".
L'autorevolezza delle formulazioni di Marx - lo schema evoluzionistico,
l'uso di analogie geologiche per illustrare lo sviluppo storico, il rozzo
scientismo con cui affronta i fenomeni sociali, l'oggettivizzazione delle
azioni umane in una sfera al di la' di ogni valutazione etica e
dell'esercizio della volonta' dell'uomo - e' ancora piu' sorprendente, se si
pensa al periodo cui esse appartengono (il "periodo" dei Grundrisse).
Inoltre, le sue affermazioni sono sorprendenti anche se pensiamo alla
"missione" storica che Marx attribuiva agli inglesi in India: la
"distruzione" dei modi di vita tradizionali della civilta' indiana ("la
distruzione della vecchia civilta' asiatica") e la "rigenerazione"
dell'India come nazione borghese ("porre le fondamenta materiali per una
societa' di tipo occidentale in Asia"). La coerenza di Marx merita rispetto,
non certo una dissennata rimanipolazione di idee classiche con esegetico
eclettismo, ne' un abbellimento teoretico o un "ammodernamento" che porti a
conclusioni forzate e prese a prestito da ideologie del tutto estranee al
suo pensiero. Riguardo al concetto di sviluppo storico come conquista della
natura, Marx e' assai piu' rigoroso dei suoi futuri seguaci e dei
neomarxisti dei giorni nostri. All'incirca cinque anni piu' tardi, nei
Grundrisse, avrebbe parlato della "grande influenza civilizzatrice del
capitale" in termini pienamente coerenti con il concetto della "missione"
inglese in India: "la creazione (da parte del capitale) di un livello
sociale, al cui confronto tutti i livelli precedenti appaiono come progressi
estremamente localizzati, come idolatria della natura. Per la prima volta,
la natura diviene semplicemente un oggetto per l'umanita', un mero
strumento; cessa di essere considerata una potenza e una forza in se stessa,
e la conoscenza teoretica delle sue leggi indipendenti diviene solo uno
stratagemma per soggiogarla ai bisogni dell'uomo, sia come oggetto di
consumo, sia come mezzo di produzione. Seguendo questa strada, il capitale
si e' spinto oltre i confini delle nazioni e oltre i pregiudizi; oltre la
deificazione della natura e il soddisfacimento ereditario e autosufficiente
dei bisogni esistenti, delimitati entro confini ben definiti; infine, oltre
la riproduzione dei modi di vita tradizionali. Ha esercitato, in questo
senso, un ruolo incessantemente distruttivo, rivoluzionario, abbattendo
tutti gli ostacoli che si frapponevano allo sviluppo delle forze produttive,
all'espansione dei bisogni, alla diversificazione della produzione, allo
sfruttamento e allo scambio delle forze naturali e intellettuali".
Queste parole potrebbero essere tratte direttamente dalla concezione di
d'Holbach della natura come "immenso laboratorio", dal peana di d'Alambert
nei confronti della nuova scienza, che "travolge tutto dinanzi a se'... come
un fiume che ha rotto gli argini", dall'ipostatizzazione di Diderot del
ruolo della tecnica nel progresso umano, dall'atteggiamento favorevole di
Montesquieu verso la violenza alla natura - atteggiamento che, combinato ad
arte con la metafora di William Petty sulla natura come "madre" e sul lavoro
come "padre" di tutti i beni materiali, rivela chiaramente la matrice
illuminista del pensiero marxiano. Come osservo' Ernst Cassirer a proposito
dell'Illuminismo: "Tutto il XVIII secolo fu permeato da questa convinzione,
e cioe' che fosse giunto ormai il momento di privare la natura dei suoi
segreti tanto accuratamente celati, non lasciarla piu' nell'oscurita', come
un mistero incomprensibile, dinanzi al quale provare meraviglia, di
sottoporla finalmente alla chiara luce della ragione e di analizzarne tutte
le forze fondamentali" (La filosofia dell'Illuminismo).
Anche prescindendo dalle radici illuministiche della dottrina marxista, la
concezione della natura come "oggetto" che l'"uomo" deve usare porta non
solo alla totale materializzazione della natura, ma anche dell'"uomo"
stesso. In realta', i processi storici si muovono, anche piu' di quanto Marx
fosse disposto ad ammettere, ciecamente, come quelli naturali, nel senso che
entrambi mancano di ogni consapevolezza. L'ordine sociale si sviluppa
secondo leggi che sono sovrumane tanto quanto l'ordine naturale. La teoria
marxista considera l'"uomo" come l'impersonificazione di due aspetti della
realta' materiale: in primo luogo, come produttore, che definisce se stesso
attraverso il lavoro; in secondo luogo, come essere sociale, con funzioni
prevalentemente economiche. Quando Marx dichiara che "gli uomini si
distinguono dagli animali perche' sono dotati di una coscienza, perche'
seguono una religione, o per qualsiasi altra ragione, (tuttavia essi stessi)
cominciarono a distinguersi dagli altri animali quando iniziarono a produrre
i mezzi per il proprio sostentamento" (L'ideologia tedesca), egli si
riferisce all'umanita' come a una "forza" del processo produttivo, distinta
dalle altre "forze" materiali solo in conseguenza della capacita'
dell'"uomo" di concettualizzare le operazioni produttive che gli animali
compiono istintivamente. E' difficile stabilire con esattezza quanto questa
concezione dell'umanita' si distacchi da quella classica. Per Aristotele,
l'"uomo" esprimeva la propria umanita' per il fatto di vivere in polis e
perche' era in grado di "rendere bella la propria esistenza". Tutto il
periodo greco distingueva gli "uomini" dagli animali per le loro facolta'
razionali. Se il "modo di produzione" non deve essere considerato
semplicemente un mezzo per la sopravvivenza, bensi' un "modo di vita", tale
per cui l'"uomo" si identifica con "cio' che produce e con il modo di
produrre" (L'ideologia tedesca), allora l'umanita' puo' essere considerata
uno strumento di produzione. La dominazione "dell'uomo sull'uomo" e'
soprattutto un fenomeno tecnico, piuttosto che un fenomeno etico. Secondo
questa concezione incredibilmente riduttiva, la validita' della dominazione
"dell''uomo sull'uomo" si deve valutare solo in termini di bisogni e
possibilita' tecniche, per quanto sgradito avrebbe potuto essere un simile
criterio anche a Marx, se ne avesse compreso appieno la brutale evidenza.
Anche la dominazione, come vedremo a proposito del saggio di Engels,
Sull'autorita', diviene cosi' un fenomeno tecnico necessario alla
realizzazione della liberta'.
La societa', a sua volta, diviene un modo di lavorare, da valutarsi in
rapporto alla sua capacita' di soddisfare i bisogni materiali. La societa'
di classe non potra' essere eliminata finche' il "modo di produrre" non
consentira' di disporre di tempo libero e di benessere materiali sufficienti
a realizzare l'emancipazione dell'uomo. Finche' non raggiungera' un livello
tecnico soddisfacente, il processo evolutivo dell'"uomo" non sara' completo.
In questo senso, gli ideali comunitari delle epoche passate erano pura
ideologia, poiche' un tentativo prematuro di realizzare una societa'
egualitaria "generalizzerebbe solo i bisogni, e con i bisogni si
riprodurrebbero inevitabilmente i conflitti e tutti i vecchi problemi"
(L'ideologia tedesca).
Infine, anche qualora si raggiungesse un livello tecnico adeguato, "la
liberta' non potra' realizzarsi finche' il bisogno e le necessita' esterne
renderanno indispensabile il lavoro dell'uomo. E' nella natura stessa delle
cose che la liberta' risieda al di fuori della sfera della produzione
materiale, nel significato piu' comune del termine. Anche l'uomo
civilizzato, come il selvaggio, deve lottare con la natura per soddisfare i
propri bisogni, per salvaguardare la propria vita e per riprodurla, e cio'
e' vero in tutte le societa' e con qualsiasi modo di produzione. Con il
progresso, si ampliano anche le necessita' naturali, perche' aumentano i
bisogni, ma nel contempo si accrescono anche le forze produttive, per mezzo
delle quali i bisogni vengono soddisfatti. In una situazione cosiffatta, la
liberta' puo' consistere solo nel fatto che l'uomo socializzato e i prodotti
associati regolino i loro scambi con la natura in modo razionale e la
assoggettino al comune controllo, invece di farsi governare da essa come da
una forza cieca e incontrollata; infine, nel fatto che essi assolvano questo
compito col minore spreco di energie e nelle condizioni piu' adeguate e piu'
consone alla natura umana. Tuttavia, cio' attiene ancora alla dimensione del
bisogno, della necessita'. Oltre questa dimensione ha inizio lo sviluppo
della potenzialita' umana, fine a se stesso, ovvero la dimensione della
liberta', che tuttavia puo' realizzarsi solo sulle fondamenta della
necessita' e del bisogno. Premessa e condizione essenziale a questo sviluppo
e' la riduzione dell'orario di lavoro" (Il capitale, vol. III). Lo schema
concettuale borghese raggiunge qui il suo punto culminante nelle immagini
del "selvaggio che deve lottare con la natura", dell'espansione illimitata
dei bisogni contrapposta alla limitazione "ideologica" degli stessi (ovvero,
alla concezione ellenica di misura, di equilibrio e di autosufficienza),
della razionalizzazione della produzione e del lavoro come obiettivi fini a
se stessi di una natura puramente tecnica, della netta dicotomia tra
liberta' e necessita' e del conflitto con la natura come condizione della
vita sociale in tutte le sue forme: di classe e non di classe, privatistica
o comunitaria.
In conseguenza di cio', oggi il socialismo si muove entro un'orbita nella
quale, per usare le parole di Max Horkheimer, "la dominazione della natura
comporta la dominazione dell'uomo", non solo "la sottomissione della natura
esterna, umana e non umana", ma anche della natura interiore dell'uomo
(Eclisse della ragione). In seguito alla separazione dal mondo naturale,
l'"uomo" non puo' sperare di redimersi dalla societa' di classe e dallo
sfruttamento finche' lui stesso, come forza tecnica tra le forze tecniche
create dal suo stesso ingegno, non riuscira' a trascendere la propria
oggettivazione. La condizione preliminare e necessaria a questo superamento
e' quantitativamente misurabile: "premessa e condizione essenziale a questo
sviluppo e' la riduzione dell'orario di lavoro". Finche' cio' non si sara'
realizzato, l'"uomo" sara' sottoposto alla tirannia della legge sociale,
alla schiavitu' del bisogno e della necessita' di sopravvivenza.
Il proletariato, come tutte le altre classi, e' prigioniero dei processi
impersonali della storia. Come classe maggiormente soggetta alla
disumanizzazione operata dalla societa' borghese, esso puo' trascendere la
propria oggettivazione solo attraverso il carattere "urgente, non piu'
mistificabile e assolutamente imperativo dei propri bisogni". Per Marx, "il
problema non e' cio' che questo o quel proletariato, o anche tutto il
proletariato, considera come suo obiettivo. Il problema e' che cosa e' il
proletariato e che cosa, in conseguenza del suo essere, deve fare". (La
sacra famiglia) Il suo "essere", qui, e' un oggetto, e la legge sociale non
e' "destino", ma necessita'. La soggettivita' del proletariato e' un
prodotto della sua oggettivita' - concezione, questa, che per colmo d'ironia
trova una sorta di conferma nel fatto che ogni appello rivoluzionario
rivolto esclusivamente a fattori oggettivi che intervengono nella formazione
della "coscienza proletaria" o coscienza di classe si ritorcono come un
boomerang contro il socialismo, in forma di una classe lavoratrice che ha
"aderito al capitalismo" e che reclama la sua parte di benessere nel
sistema. Cosi', come l'azione si fonda sulla reazione e la motivazione si
fonda sul bisogno, lo spirito borghese diviene lo "spirito terreno" del
marxismo.
La disillusione della natura porta alla disillusione dell'umanita'. L'"uomo"
diviene un agglomerato di interessi e la coscienza di classe diviene la
generalizzazione di questi interessi a livello di coscienza. Nella misura in
cui il concetto classico di realizzazione dell'individuo attraverso la polis
perde terreno di fronte al concetto di autoconservazione attraverso il
socialismo, il pensiero borghese acquista un grado tale di sofisticazione,
che i suoi primi portavoce (Hobbes, Locke) sembrano quasi degli ingenui. Ora
l'incubo della dominazione si rivela in tutta la sua logica autoritaria.
Come la necessita' diviene il fondamento della liberta', cosi' l'autorita'
diviene il fondamento di ogni coordinazione razionale. Questo concetto, gia'
implicito nella netta separazione operata da Marx tra la dimensione della
necessita' e quella della liberta' - una separazione che sara' aspramente
criticata da Fourier -, viene definito in termini espliciti nel saggio di
Engels, Sull'autorita'. Per Engels, la fabbrica e' un fatto naturale della
tecnica, non un modo specificatamente borghese per razionalizzare il lavoro:
di conseguenza, essa dovra' esistere nella societa' comunista, cosi' come in
quella capitalista, "indipendentemente dall'organizzazione sociale". Perche'
sia possibile coordinare l'attivita' della fabbrica, e' necessario che le
maestranze rinuncino ad ogni "autonomia" e "obbediscano ciecamente". Nella
societa' classista e nella societa' senza classi, la dimensione della
necessita' sara' sempre una dimensione di autorita' e di obbedienza, di
governanti e governati. In modo assolutamente coerente all'ideologia di
classe, Engels considera l'abbinamento tra socialismo, autoritarismo e
comando come un fatto perfettamente naturale. Da attributo sociale, la
dominazione diviene condizione essenziale alla sopravvivenza in una societa'
tecnicamente avanzata.
*
Gerarchia e dominazione
Strutturare un ideale rivoluzionario su una "legge sociale" priva di
qualsiasi contenuto etico, su un ordine privo di significato, su un aspro
contrasto tra "uomo" e natura, sulla necessita' piuttosto che sulla
consapevolezza - tutto cio', oltre al fatto di considerare la dominazione
una condizione essenziale alla liberta', l'associa al concetto esattamente
opposto, cioe' quello della coercizione. La consapevolezza diviene il
riconoscimento della mancanza di autonomia, cosi' come la liberta' diviene
il riconoscimento della necessita'. Ne deriva una politica "libertaria" che
riflette lo sviluppo della societa' capitalistica piu' avanzata verso la
nazionalizzazione della produzione, verso la pianificazione, la
centralizzazione, il controllo razionalizzato della natura - e il controllo
razionalizzato dell'"uomo". Se il proletariato non sa comprendere da solo il
proprio "destino", un partito che parla in suo nome puo' definirsi come
espressione della sua coscienza, anche se opera in senso contrario agli
interessi di quella classe. Se il capitalismo e' il mezzo attraverso il
quale l'umanita' opera storicamente la conquista della natura, le tecniche
dell'industria borghese dovranno solo essere riorganizzate per servire la
causa del socialismo. Se l'etica non e' altro che ideologia, gli obiettivi
del socialismo sono il prodotto della storia, piuttosto che
dell'intelligenza umana, e i problemi dei fini e dei mezzi per raggiungerli
dovranno essere esaminati non alla luce della ragione e della dialettica, ma
secondo i criteri dettati dalla storia.
Alcuni brani degli scritti di Marx sembrano potersi contrapporre a questo
quadro ripugnante del socialismo marxista. Nel suo "Discorso per
l'anniversario del 'Giornale del Popolo'" (aprile 1856), ad esempio, Marx
definisce "infame" la schiavitu' dell'"uomo" nel tentativo di conquistare la
natura. La "luce pura della scienza sembra poter brillare solo sullo sfondo
di un'oscura ignoranza" e il nostro progresso tecnologico "sembra ottenere
il risultato di conferire vita intellettuale alle forze materiali e di
tramutare, avvilendola, la vita umana in una forza materiale". Queste
valutazioni di tipo morale ricorrono negli scritti di Marx piu' come
spiegazioni di uno sviluppo storico che come giustificazioni tali da dargli
significato. Ma Alfred Schmidt, che le cita estesamente nel suo Il concetto
di natura in Marx, dimentica di dirci che Marx le considera spesso un segno
di immaturita' e di sentimentalismo. Il "discorso" si fa beffe di coloro che
"piangono" sulle miserie che il progresso tecnologico e scientifico porta
con se'. "Da parte nostra", dichiara Marx, "non sottovalutiamo l'acume di
chi non cessa di sottolineare queste contraddizioni. Sappiamo che per fare
funzionare al meglio le forze nuove e agguerrite delle societa' occorrono
uomini agguerriti - e da tali uomini e' formata la classe operaia". Il
discorso, infatti, si conclude con un tributo all'industria moderna e in
particolare al proletariato inglese, il "primogenito dell'industria
moderna".
Anche se consideriamo sincere quelle affermazioni di Marx, esse restano
tuttavia marginali rispetto al contenuto dei suoi scritti. Il tentativo di
redimere Marx e alcune parti della sua opera dalla logica che ispira il suo
pensiero e' puramente ideologico, perche' impedisce di valutare con
chiarezza il significato del marxismo nelle sue applicazioni pratiche e di
comprendere in quale misura un'"analisi di classe" possa svelare le cause
dell'oppressione. Eccoci dunque giunti al punto cruciale, al punto debole
della teoria socialista in generale: i limiti dell'analisi di classe, la
possibilita' di interpretare la storia e le crisi dei giorni nostri per
mezzo di una teoria basata sui rapporti di classe e di proprieta'.
Il socialismo antiautoritario - e, specificatamente, il comunismo
anarchico - si fonda sul concetto secondo il quale la gerarchia e la
dominazione non possono essere classificate nell'ambito del dominio di
classe e dello sfruttamento economico, e secondo il quale questi due
fenomeni rivestono un'importanza assai maggiore ai fini di una reale
comprensione dell'ideale rivoluzionario. Prima che l'"uomo" iniziasse a
sfruttare l'"uomo", comincio' a dominare la donna; e ancora prima, se
accettiamo il parere di Paul Radin, i vecchi iniziarono ad esercitare il
loro potere sui giovani attraverso la gerarchia dei gruppi di eta', delle
gerontocrazie, del culto degli antenati. La dominazione degli esseri umani
su altri esseri umani e' di molto antecedente la stessa formazione delle
classi sociali e dei modi di oppressione economica. Se "la storia di tutte
le societa' finora esistite e' la storia dei conflitti di classe", essa e'
preceduta da una fase storica piu' remota, e piu' importante: quella della
dominazione sociale ad opera delle gerontocrazie, del patriarcato, e anche
delle burocrazie. Indagare sulle origini della gerarchia e della dominazione
non e', evidentemente, lo scopo di questo scritto. Ho esaminato a fondo il
problema nel mio libro The Ecology of Freedom (L'ecologia della liberta'),
di prossima pubblicazione. L'indagine ci porterebbe oltre i confini
dell'economia politica, nella sfera dell'economia domestica e passeremmo
dalla dimensione sociale a quella familiare, dal conflitto di classe a
quello sessuale. Disporremmo cosi' di una nuova serie di dati e di
riferimenti psico-sociali, attraverso i quali interpretare il carattere e la
natura dell'oppressione, e saremmo in grado di aprire un nuovo orizzonte e
di attribuire un significato nuovo e diverso alla liberta'. Dovremmo
sicuramente accantonare la funzione che Marx assegna all'interesse e alla
tecnica come fattori sociali determinanti - il che non significa negarne la
funzione storica, ma semplicemente indagare anche nell'ambito di fattori non
economici, quali lo status sociale, l'ordine, il riconoscimento,
nell'ambito, cioe', di diritti e doveri che rappresentano forse persino un
peso, dal punto di vista materiale, per gli strati dominanti della societa'.
Una cosa, perlomeno, e' chiara: non si potra' piu' sostenere che una
societa' senza classi, senza sfruttamento materiale, sara' necessariamente
una societa' liberata. Nulla fa pensare che la burocrazia sia incompatibile
con una societa' senza classi, e cosi' la dominazione sulla donna, i
giovani, i gruppi etnici e persino le categorie dei professionisti.
Tutto cio' dimostra i limiti dell'opera di Marx, la sua incapacita' di
comprendere una dimensione storica tanto importante per la dimensione della
liberta' stessa. Nei confronti dell'autorita' Marx e' cosi' cieco da farla
diventare un fatto puramente tecnico della produzione, un "fatto naturale"
nel rapporto metabolico dell'"uomo" con la natura. Anche la donna non e'
sfruttata perche' l'uomo l'ha resa docile (o "debole", per usare un termine
con il quale Marx definiva il lato del carattere femminile che considerava
piu' amabile), ma perche' il suo lavoro e' legato alla schiavitu' dell'uomo.
I bambini sono "fanciulleschi", espressione di una natura umana selvatica e
indisciplinata. La natura, e' inutile dirlo, non e' altro che un oggetto, e
con un'azione di conquista bisogna impadronirsi delle sue leggi e
controllarle.
Non puo' esistere una teoria marxista sulla famiglia, sul femminismo,
sull'ecologia, perche' Marx nega l'esistenza di questi problemi o, peggio,
li tramuta in problemi economici. Di conseguenza, il tentativo di formulare
il femminismo in termini marxiani si risolve nella sterile richiesta di
"salario per le casalinghe", la psicologia marxista non e' altro che una
rilettura di Freud attraverso Marcuse, e l'ecologia vista con gli occhi di
Marx rivela soltanto che "l'inquinamento giova al profitto". Lungi dal
consentire una chiarificazione di questi problemi, che gioverebbe a una piu'
esatta definizione dell'ipotesi rivoluzionaria, questi tentativi di
ibridazione li rendono ancora piu' oscuri, e non ci aiutano a capire che le
donne della "classe dominante" sono dominate, a loro volta, dagli uomini
della loro stessa classe, che Freud e' semplicemente l'alter ego di Marx,
che il raggiungimento dell'equilibrio ecologico presuppone una nuova
sensibilita' e una nuova concezione etica, le quali non solo differiscono
dal pensiero marxista, ma sono in netto contrasto con esso. Il marxismo non
e' solo la piu' sofisticata ideologia del capitalismo di stato, ma impedisce
una concezione veramente rivoluzionaria della liberta'. Esso altera a tal
punto la nostra percezione dei problemi sociali, da non consentirci di
formulare un'ipotesi rivoluzionaria valida per cio' che concerne i rapporti
tra i sessi, la famiglia, la comunita', l'educazione e lo sviluppo di una
sensibilita' e di un'etica realmente rivoluzionarie. Ad ogni passo ci
imbattiamo in categorie economiche che reclamano la priorita' assoluta e che
compromettono fin dall'inizio l'esito dell'impresa. E limitarsi ad emendare
o a modificare queste categorie economiche significa riconoscere il loro
peso e la loro influenza nel programma rivoluzionario in forma alterata,
senza porre in dubbio il rapporto che le lega ad alcuni aspetti
fondamentali. Significa, in sostanza, avviare la nostra analisi in un vicolo
cieco.
L'elaborazione e lo sviluppo di un'ipotesi rivoluzionaria deve prescindere
fin dall'inizio dalle categorie marxiane e deve prendere le mosse, invece,
dalle categorie create dalla societa' gerarchica ai suoi primi albori, per
collocare poi le categorie economiche nel loro giusto contesto. Cio' che
vogliamo demolire non e' piu' soltanto il capitalismo, bensi' un mondo piu'
antico e arcaico, che sopravvive nel presente - la dominazione degli esseri
umani da parte di altri esseri umani, il fondamento razionale della
gerarchia in quanto tale.

2. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: UNA POSTILLA

Sia consentito a un vecchio marxista amico della nonviolenza esprimere
gratitudine e ammirazione per Murray Bookchin, anche se trova ingenerosi e
inadeguati alcuni dei giudizi sommari contenuti nel testo che precede:
nell'opera di Marx naturalmente vi e' anche ben altro che economicismo e
autoritarismo forieri di totalitarismo, ed altresi' l'illuminismo e' stato
anche ben altro che ragion strumentale preconizzante la societa'
amministrata. Non sono in Voltaire o in Diderot la ghigliottina e il
fascismo, come non sono in Marx i gulag. Ma detto questo la lettura di
questo saggio vivamente raccomandiamo, i nodi che pone non possono essere
elusi.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 88 del 27 agosto 2006

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