La nonviolenza e' in cammino. 1340



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1340 del 28 giugno 2006

Sommario di questo numero:
1. Nando dalla Chiesa: Felicita'
2. Alessandro Dal Lago: La guerra e le sue metamorfosi
3. Umberto Santino: Sul risultato delle elezioni regionali siciliane
4. Beatrice Busi presenta due recenti libri sulla biopolitica
5. Federica Resta presenta "La vita e le regole" di Stefano Rodota'
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. NANDO DALLA CHIESA: FELICITA'
[Dal sito www.nandodallachiesa.it riprendiamo la seguente testimonianza.
Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente
universitario, parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di
riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di
straordinaria limpidezza morale. Dal sito sopra citato riprendiamo anche
questa breve autopresentazione di Nando dalla Chiesa: "Chi sono? Uno che ama
impegnarsi, specialmente se sono in gioco la liberta' e la giustizia. Ma
anche la decenza mentale e morale. Insomma, mi piace la democrazia e ho
cercato di darmi da fare per lei in tanti modi, anche se non ho ancora
capito se lei me ne sia grata. Ora sono senatore ma domani non lo saro'
piu'. Sono della Margherita ma sono soprattutto un ulivista convinto,
praticamente un fan del partito democratico che si vorrebbe fare. Il
mestiere, dite. Gia', sono un sociologo dell'economia, laureato in Bocconi e
insegno la mia materia a Scienze Politiche di Milano (ma per ora sono in
aspettativa). Scrivo libri (fino a oggi una ventina) e collaboro con diversi
giornali. In particolare mi onoro di essere tra gli editorialisti
dell'Unita' di Furio Colombo e Antonio Padellaro. Da qualche tempo sono
anche editore. Ho fondato una casa editrice che non e' nemmeno piu' solo una
promessa e che si chiama Melampo. Soci d'avventura, Lillo Garlisi e Jimmy
Carocchi, miei allievi bocconiani arrivati al successo nell'editoria per i
fatti loro. Faccio pure del teatro. O meglio, a tanto mi ha spinto l'era
berlusconiana. E penso che nei prossimi anni mi ci dedichero' un bel po'. E
infine, mi piace fondare. Mica solo la casa editrice. Ho fondato un circolo
di nome 'Societa' civile' nella Milano degli anni ottanta. Una splendida
creatura collettiva che ha tenuto botta al regime della corruzione di quel
periodo. Poi, con il mio amico Gianni Barbacetto, ho fondato il mensile
omonimo, grande esperienza giornalistica fatta da ragazzi irripetibili. Ho
fondato con Leoluca Orlando e Diego Novelli la Rete, un movimento che diede
agli inizi degli anni novanta dignita' politica nazionale all'idea che si
dovesse combattere la mafia. Ho fondato il piccolo movimento di Italia
democratica, anche quello con mensile, che conflui' nell'Ulivo battendosi
contro il razzismo e la secessione. E pure Omicron, rivista sulla
criminalita' organizzata al nord, sempre con Gianni Barbacetto. E il
comitato di parlamentari 'La legge e' uguale per tutti' per fronteggiare
l'offensiva del signor B.; un comitato alla testa di tante manifestazioni
degli ultimi cinque anni e che ha prodotto l'unica esperienza di teatro
civile al mondo fatto da parlamentari. Ho anche fondato con Fabio Zanchi e
Lidia Ravera il Mantova Musica Festival, giunto ormai alla terza edizione e
nato per contestare Sanremo finito nelle mani di Tony Renis. Soprattutto ho
fondato una famiglia con Emilia. Ne sono nati Carlo Alberto e Dora, i miei
gioielli, che se li avesse visti Cornelia ne sarebbe rimasta folgorata,
altro che i suoi Gracchi, con tutto il rispetto...". Opere di Nando dalla
Chiesa: Il potere mafioso. Economia e ideologia, Mazzotta 1976; Delitto
imperfetto. Il generale, la mafia, la societa' italiana, Mondadori 1984,
Editori Riuniti 2003; (con Pino Arlacchi), La palude e la citta'. Si puo'
sconfiggere la mafia, Mondadori 1987; Il Giano bifronte. Societa' corta e
colletti bianchi: il lavoro, la cultura, la politica, Etas libri 1987;
Storie di boss ministri tribunali giornali intellettuali cittadini, Einaudi
1990; Dizionario del perfetto mafioso. Con un breve corso di giornalismo per
gli amici degli amici, Mondadori 1990; Il giudice ragazzino. Storia di
Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione,
Einaudi 1992; Milano-Palermo: la Nuova Resistenza (a cura di Pietro
Calderoni), Baldini & Castoldi 1993; I trasformisti, Baldini & Castoldi
1995; La farfalla granata. La meravigliosa e malinconica storia di Gigi
Meroni il calciatore artista, Limina 1995; La politica della doppiezza. Da
Andreotti a Berlusconi, Einaudi 1996; (a cura di), Carlo Alberto dalla
Chiesa, In nome del popolo italiano. Autobiografia a cura di Nando dalla
Chiesa, Rizzoli 1997; Storie eretiche di cittadini perbene, Einaudi 1999;
Diario di fine secolo. Della politica, della giustizia e di altre
piccolezze, Edizioni Pequod 1999; La partita del secolo. Storia di
Italia-Germania 4-3. La storia di una generazione che ando' all'attacco e
vinse (quella volta), Rizzoli 2001; La legge sono io. Cronaca di vita
repubblicana nell'Italia di Berlusconi. L'anno dei girotondi, Filema
edizioni 2002; La guerra e la pace spiegate da mio figlio, Filema edizioni
2003; La scuola di via Pasquale Scura. Appassionato elogio dell'istruzione
pubblica in Italia, Filema edizioni 2004; La fantastica storia di Silvio
Berlusconi. Dell'uomo che porto' il paese in guerra senza avere fatto il
servizio militare, Melampo 2004;  Capitano, mio capitano. La leggenda di
Armando Picchi, livornese nerazzurro, Limina 1999, nuova edizione 2005; Vota
Silviolo!, Melampo 2005. Scritti su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono
in vari libri di carattere giornalistico (tra gli altri di Giorgio Bocca,
Giampaolo Pansa, Corrado Stajano); tra le intervista si veda ad esempio
quella contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli 1988. Il
sito di Nando dalla Chiesa e': www.nandodallachiesa.it]

Sono felice. Felice. Di una felicita' intensa. Immensa. Viva l'Italia del 26
giugno. Viva l'Italia che ha fatto la cosa piu' importante che un popolo
possa fare: difendere la sua Costituzione. Viva Milano, medaglia d'oro della
Resistenza, che ha fatto vincere i no, unico capoluogo con Mantova in tutta
la Lombardia. Sabato sera, quando mi erano stati comunicati i risultati dei
vari sondaggi d'opinione (vincono di misura i si' se vota piu' del 50 per
cento), ero stato preso dall'angoscia. Avevo pensato che se la Costituzione
fosse stata ripudiata dagli italiani, sarebbe stato il completamento di uno
sfacelo etico-politico. Che non ci saremmo piu' ripresi. Magari avrebbe
tenuto il governo. Ma il suo fondamento etico non sarebbe stato piu' lo
stesso. Ho preso le gocce per dormire, dicendo a chi mi stava intorno nel
breve week end di riposo che "se vince il si' e' come se mi cambiassero il
cognome, la mia carta d'identita'". Non esageravo, per me era davvero cosi'.
Non e' stato cosi'. Abbiamo vinto. E abbiamo gioito stasera in piazza Duomo,
in trecento, chiamati all'ultima ora da me medesimo e da alcuni amici,
perche' sembrava che nessuno avesse voglia di festeggiare. Per carita', non
sia mai che ci facciamo del male... Abbiamo ringraziato le signore dei
gazebo, perche' l'impegno di questi mesi e' stato in gran parte femminile.
Sventolato il tricolore del 26 giugno e della Liberazione, mentre Speroni
annunciava che l'Italia e gli italiani fanno schifo (che e' quello che lui e
i suoi amici pensano realmente...).
Quando ho invitato una mia amica a venire in Duomo mi ha risposto che era a
Roma, dove si erano riuniti a festeggiare quelli che hanno lavorato
"davvero" per il referendum. Complimenti a chi ha lavorato "davvero". E
chissa' se cambieremo mai. Io mi auguro solo che questa vittoria non ci
faccia montare la testa. E non ci faccia pensare che per gli italiani tutto
va bene cosi' com'e' stato finora. Ne' ci induca a inciuci gia' tentati con
esiti micidiali. Nel frattempo diamo un'occhiata a chi doveva svolgere una
funzione di garanzia alla Rai: non ha saputo dare alcuna garanzia nemmeno
quando c'e' stata di mezzo la posta suprema della Costituzione. Chi
garantisce che cosa?

2. RIFLESSIONE. ALESSANDRO DAL LAGO: LA GUERRA E LE SUE METAMORFOSI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 giugno 2006 riprendiamo l seguente
saggio li' apparso come anticipazione dalla rivista ´Conflitti globali"
giunta al terzo numero. Alessandro Dal Lago e' docente di sociologia dei
processi culturali all'Universita' di Genova, presso la stessa Universita'
coordina un gruppo di ricerca sui conflitti globali; e' membro della
redazione della rivista filosofica "aut aut", ha curato l'edizione italiana
di opere di Hannah Arendt e di Michel Foucault. Tra le opere di Alessandro
Dal Lago segnaliamo particolarmente Non-persone. L'esclusione dei migranti
in una societa' globale, Feltrinelli, Milano 1999. Cfr. inoltre: I nostri
riti quotidiani, Costa & Nolan, Genova 1995; (a cura di), Lo straniero e il
nemico, Costa & Nolan, Genova 1997; La produzione della devianza, Ombre
corte, Verona 2001; Giovani, stranieri & criminali, Manifestolibri, Roma
2001. Polizia globale. Guerra e conflitti dopo l'11 settembre, Ombre corte,
Verona 2003]

Quando le truppe delle nazioni belligeranti cominciarono a massacrarsi
nell'estate del 1914, le loro divise erano per lo piu' quelle di trent'anni
prima. Con l'eccezione degli inglesi, che avevano rinunciato da tempo alla
tradizionale giubba rossa in favore del kaki, tutti gli altri mantenevano i
segni esteriori di un modo di combattere che non esisteva piu'. I belgi
portavano ancora il kepi' e le spalline con le nappe, mentre i tedeschi
avevano ancora l'elmo con il chiodo della guerra franco-prussiana. I russi
erano abbigliati con la tipica tunica contadina e il berretto con visiera
della guerra con i giapponesi. I francesi avevano il lungo cappotto
rimboccato e spesso i pantaloni rossi del 1870. I copricapi della cavalleria
erano vari e bizzarri quanto le specialita' di un'arma considerata ancora la
piu' nobile, mentre i corazzieri portavano ancora la corazza e il cimiero
con la coda di cavallo. Nel giro di pochi mesi, la guerra di trincea
cancello' tutto questo tripudio di colori, mostrine, coccarde ed elmi
luccicanti. I cavalli restarono nei trasporti e, sostituiti progressivamente
da camion e, verso la fine della guerra, dai prototipi di carri armati,
finirono in gran parte per essere mangiati.
I combattenti si assomigliarono tutti, spettri grigiastri in tute stracciate
sullo sfondo di panorami tutti uguali: trincee fangose, pianure disseminate
di mozziconi d'alberi e bucate dalle voragini delle esplosioni. I soldati
erano divenuti operai della morte di massa.
*
Da guerriero a operaio
La trasformazione del guerriero in operaio - come aveva preconizzato Ernst
Juenger - trovo' il suo apice nella seconda guerra mondiale e nei conflitti
che seguirono: Indocina, Corea, Vietnam. In una delle battaglie piu'
sanguinose ed emblematiche del secondo conflitto mondiale, Stalingrado, gli
operai russi saltavano direttamente su carri armati che avevano appena
finito di assemblare per affrontare i tedeschi. I vietminh e i vietcong
allestivano vere e proprie citta' sotterranee dotate di ospedali, officine e
depositi da cui sbucavano per gettarsi contro francesi e americani. Forse,
l'esempio estremo di una societa' civile che si prolunga, senza soluzione di
continuita', nel suo esercito e' Israele, un paese in cui ogni studente,
lavoratore o tecnico e' prima di tutto un soldato potenziale, pronto a
raggiungere il suo reparto in poche ore. E' in tutti questi conflitti che il
soldato-operaio si e' trasformato in soldato-tecnico, finendo per obliterare
il suo predecessore.
Indipendentemente dalla natura degli eserciti contemporanei (per lo piu'
formati da volontari, con l'eccezione di Israele), il combattente e'
divenuto ormai un "operatore". Gli strumenti che impiega sono complessi,
sofisticati, costosissimi. Nelle visioni della Rma (la "rivoluzione nelle
questioni militari", di cui si discute incessantemente negli Stati Uniti da
un quindicennio), arerei e carri armati senza pilota, per non parlare di
veri e propri robot capaci di autonomia operativa, tendono a sostituire i
combattenti in carne e ossa. Il sistema di comando e di controllo, che
comprende ormai il coordinamento di satelliti, specialisti sul terreno,
artiglieria, aviazione tattica e strategica, e' interamente informatizzato e
largamente automatizzato, almeno nelle intenzioni e nei progetti.
Un esercito sul terreno tende ad assomigliare a una sorta di impresa
delocalizzata, con i suoi complicati sistemi di approvvigionamento,
produzione automatica just in time, turn-over delle maestranze, management
ad hoc, marketing, pubblicita', struttura delle comunicazioni. Si tratta di
produrre morti, invece che beni oppure servizi, ma, come si puo' vedere
dalla progressiva integrazione di business strategico e strategia del
business, metodi industriali e metodi militari finiscono per convergere. I
comandi militari, in Iraq o in Afghanistan, ricordano, con le file di
postazioni di computer in cui siedono uomini e donne in divisa, gli uffici
di societa' finanziarie in cui, fianco a fianco, giovani vestiti tutti allo
stesso modo spostano sugli schermi ingenti quantita' di denaro.
Naturalmente, si tratta di una versione caricaturale della realta', se non
di un'utopia. Questo modo aziendalistico di concepire la guerra si scontra
con il fatto banale che nessuna armata iper-tecnologica e' immune dai
contraccolpi di quella che viene definita guerra asimmetrica. Alla fine il
combattente, per quanto iper, iper-nutrito, iper-armato e
iper-specializzato, deve affrontare il nemico, il quale non e' disposto ad
accettare in partenza di essere sconfitto perche' arretrato. Insomma, anche
il supersoldato contemporaneo - attrezzato piu' come un astronauta che come
un combattente tradizionale - deve misurarsi con l'"altro" in qualche
momento della verita'. Ed ecco forme "sleali" di guerra - attentati,
agguati, colpi sparati a casaccio, autobombe, attacchi suicidi - di fronte a
cui anche l'attuale "impresa militare" si trova a mal partito, almeno fino a
quando il fattore umano restera' decisivo.
*
Antidoti all'asimmetria
Il soldato-operatore torna di colpo un fantaccino, quando scopre che il suo
modo di fare la guerra ha gia' creato degli antidoti. Inventare antidoti
agli antidoti e' l'obiettivo supremo di un pensiero strategico vittima
probabilmente delle illusioni dell'opulenza e della tecnologia.
Ma l'evoluzione dei combattenti secondo le linee evolutive del progresso
economico e tecnologico - dall'artigiano al soldato e da questi al tecnico,
fino all'utopia dell'operatore intoccabile - e' soltanto un aspetto della
metamorfosi della guerra. Persino nella piu' automatizzata delle imprese,
qualcuno - di solito un lavoratore sottopagato, uno straniero, un nativo, un
clandestino - deve assicurare le condizioni oggettive o rimuovere i resti
materiali della produzione "intelligente": manutentori, spedizionieri,
cuochi, lavapiatti, uomini e donne delle pulizie. Ed ecco che, analogamente,
le armate avveniristiche si avvalgono dei servizi di una schiera di
operatori che assicurano la sopravvivenza, sotto ogni punto di vista, degli
uomini in divisa: camionisti, cuochi, guardie del corpo e perche' no, anche
addetti agli interrogatori, tutta gente definita con il generico termine di
contractor, in cui rientrano veri e propri mercenari, figure ambigue di
specialisti che hanno un piede dentro l'armata e uno nelle imprese che
forniscono sicurezza, disperati e avventurieri di ogni tipo.
Il peso di questo esercito di comprimari nell'ombra, che nella guerra del
Golfo era intorno al 10 per cento, e' cresciuto nei Balcani ed e'
probabilmente pari a un quinto delle truppe regolari nell'Iraq
contemporaneo, dove si aggiunge a tutti gli imprenditori d'avventura che
partecipano alla "ricostruzione", agenti dei servizi segreti, diplomatici e
guardie private che proteggono gli uni e gli altri e se stessi.
*
Security globale
Mentre la guerra si privatizza, la sicurezza interna ai paesi che
partecipano a qualsiasi titolo a conflitti esterni, si militarizza.
Nell'epoca di enduring freeedom e della guerra senza fine al terrorismo, e'
divenuto normale vedere agli angoli delle strade, nelle stazioni e negli
aeroporti uomini in divisa, regolari o privati incaricati di proteggere,
ispezionare o semplicemente rassicurare. In realta', come dimostrano gli
esempi di Seattle e di Genova, la comparsa di ogni tipo di armigeri in
pubblico e in operazioni che in teoria dovrebbero essere civili e'
precedente all'11 settembre. Ma dopo questa data, la loro presenza e'
normale e di fatto accettata, cosi' come lo sono il controllo delle
comunicazioni private e persino l'attivita' di agenti segreti che, a
dispetto di confini, sovranita' nazionali e leggi, danno la caccia a
terroristi, reali, presunti o simpatizzanti, radicali, islamisti o
semplicemente a chi e' ritenuto rientrare in queste categorie.
Cosi', se e' vero che la guerra - salvo tragiche eccezioni - e' tenuta
lontano dall'occidente o dal nord ricco del mondo, la sua ombra si allunga
sulla vita quotidiana e sul nostro modo di pensare. Non importa perche' si
va a morire in terre lontane, se si e' soldati regolari, o se ci si va per
denaro se si e' operatori civili. E' sufficiente andarci e trovare la morte
per meritare il plauso ufficiale della nazione, e persino riconoscimenti al
valor "civile" che un tempo sarebbero stati conferiti a vedove di intrepidi
pompieri o giovani ardimentosi capaci di strappare una scolaretta a un fiume
in piena.
*
Sotto mentite spoglie
Dumezil, in un famoso saggio, rifletteva sullo statuto ambivalente del
guerriero, onorato e al tempo stesso tenuto ai margini della vita civile.
Qualcuno che si macchia di sangue in nostro nome e che, pertanto, esauritasi
la necessita' del tempo di guerra, la societa' rimuove, dopo averlo
ricoperto di medaglie e stordito con le fanfare. Sembra che oggi
l'ambivalenza si stemperi in ambiguita', ipocrisia e dissimulazione. Poiche'
operatori militari e lavoratori della sicurezza tendono ad essere la stessa
cosa, se non le stesse persone, guerra e pace, vita militare e vita civile
si compenetrano. Ma non e' la civilta' ad avere colonizzato la guerra. E'
questa, sotto le mentite spoglie della protezione sociale, a colonizzarci.
Certo, tutto e' cominciato, apparentemente, quando la citta' simbolo del
ventesimo secolo, la sua capitale, e' stata colpita nelle sue insegne piu'
vistose. Ma chi potra' stabilire, quando la storia di tutto questo sara'
scritta equanimemente o almeno in una prospettiva storica e non d'emergenza,
chi davvero ha cominciato per primo? Importava a Omero di dare in eterno la
colpa a Paride della guerra di Troia? Sta di fatto che una volta
metabolizzata, la guerra resta tale anche se si traveste da civilta'. E
questa e' l'estrema metamorfosi della guerra, divenire una variante della
vita quotidiana.

3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: SUL RISULTATO DELLE ELEZIONI REGIONALI
SICILIANE
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per
contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax:
091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo
il seguente intervento di Umberto Santino originaramente apparso sulla
rivista "Carta", n. 21, del 9 giugno 2006.
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata
"Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino"
apparsa su questo stesso foglio nei nn. 931-934.
Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla
mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice
dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa'
civile impegnati contro la mafia. E' stata recentemente eletta consigliera
alla Regione Sicilia. Dal sito della Wikipedia (http://it.wikipedia.org)
riprendiamo la seguente piu' ampia notizia biobibliografica: "Rita
Borsellino (Palermo, 2 giugno 1945) e' una cittadina siciliana nota per il
suo impegno in campo politico e sociale. Sorella del magistrato Paolo
Borsellino, nel 1967 si laureo' in farmacia all'Universita' degli Studi di
Palermo, esercitando la professione di farmacista nel capoluogo siciliano
per vari anni. E' divenuta, in seguito all'assassinio del fratello,
testimone della lotta alle criminalita' organizzate. Nel 1995 divenne
vicepresidente di Libera, associazione antimafia fondata da don Luigi
Ciotti, di cui e' stata nominata presidentessa onoraria nel 2005. Con Libera
ha contribuito in maniera determinante allíapprovazione delle legge 109/96
sull'uso sociale dei beni immobili confiscati alle mafie e sostiene
attivamente il progetto Libera Terra. Dal 1992 e' impegnata attivamente
nella societa' civile nel campo dell'educazione alla legalita' democratica,
nel diffondere una cultura di giustizia e solidarieta', non solo per tener
vivo il ricordo del fratello e di tutte le vittime della mafia, ma
soprattutto perche' in particolare le nuove generazioni attraverso la
conoscenza dei fatti acquistino consapevolezza dei propri diritti, del
valore della legalita' e della democrazia, una coscienza critica e
responsabile che, una volta adulte, consenta loro di fare scelte giuste e
coerenti per il bene loro e della collettivita' nella quale sono chiamate a
vivere. Dal 1994 assieme all'Arci Sicilia e in seguito con la collaborazione
di Libera contribuisce all'ideazione e alla crescita dell'iniziativa della
Carovana Antimafie, un'esperienza ormai di carattere internazionale che mira
a "portare per tutte le strade" l'esperienza di un'antimafia propositiva che
vuole incidere positivamente sulla realta' economica, sociale,
amministrativa dei luoghi che attraversa stringendo intrecci solidali ed
etici tra i cittadini, le istituzioni e le diverse realta' della societa'
civile organizzata presenti sui territori. Dal 1998 e' presidentessa della
'Associazione Piera Cutino - guarire dalla talassemia', associazione senza
scopo di lucro che promuove la ricerca medica contro la talassemia. Numerose
sono state le sue iniziative contro le attivita' mafiose ed in favore
dell'emancipazione delle donne. Tra le sue opere, impregnate proprio di
questi temi, si ricordano Nonostante Donna. Storie civili al femminile
(1996); La fatica della legalita' (1999); I ragazzi di Paolo. Parole di
resistenza civile (2002); Fare memoria. Per non dimenticare e per capire
(2003); Rita Borsellino - Il sorriso di Paolo (2005). Alla fine del 2005 si
e' intensificato il suo impegno politico accettando la proposta, veicolata
dalla coalizione di centrosinistra, di candidarsi alla presidenza della
Regione Sicilia nelle amministrative della primavera 2006... E' sposata dal
1969 e ha tre figli"]

Rita Borsellino non ce l'ha fatta. Certo, il consenso per Cuffaro si e'
notevolmente ristretto (passa dal 59 per cento delle regionali del 2001
all'attuale 52,9), la Borsellino riesce a raggiungere il 42,2 per cento,
mentre Leoluca Orlando nel 2001 era arrivato solo al 36,6, ma il dato di
fondo e' che la maggioranza dell'elettorato siciliano rimane legata a un
sistema di potere che rimonta agli anni '40, ai primi passi della Regione a
statuto speciale.
E bisogna chiedersi perche' e' durato tanto tempo. La risposta, almeno in
termini generali e schematici, non e' difficile. La Democrazia cristiana
prima, il centrodestra adesso sono riusciti a coltivare gli interessi degli
strati sociali piu' forti, piu' o meno direttamente legati ad ambienti
mafiosi, e a tenere a galla una rete di consenso tra gli strati piu' deboli,
distribuendo redditi e offrendo opportunita' che assicurino la sussistenza.
Le sinistre e il centrosinistra non sono riusciti e non riescono a costruire
un blocco sociale alternativo.
Con la candidatura di Rita Borsellino, venuta dopo vani tentativi di trovare
una candidatura credibile tra le file dei partiti, si era aperta una
prospettiva nuova, che ha portato al coinvolgimento della societa' civile
nella redazione del programma, ma nella scelta dei candidati sono ritornati
a pesare vecchi vizi. Esigua e inadeguata la rappresentanza
dell'associazionismo, nessuno spazio ai protagonisti di lotte esemplari,
come quella per la casa; i partiti, che hanno considerato la Borsellino un
personaggio estraneo e hanno maldigerito la sua vittoria nelle primarie,
hanno imposto i loro uomini e non si sono certo sbracciati durante la
campagna elettorale. Tutto questo puo' avere influito, ma il problema di
fondo rimane la mancanza di una strategia politica. Le iniziative antimafia
degli ultimi anni, nelle scuole, con l'antiracket e l'uso sociale dei beni
confiscati, non sono riuscite a far lievitare un movimento di liberazione in
cui si riconosca gran parte della popolazione.
Puo' anche darsi che, utilizzando il voto disgiunto, si sia voluto esprimere
il distacco da Cuffaro per le sue disavventure giudiziarie, ma dopo gli
esempi di Marcello Dell'Utri, di Gaspare Giudice, Calogero Mannino, dello
stesso Cuffaro, candidati ed eletti alle elezioni politiche nonostante i
processi in corso, non tener conto delle incriminazioni e neppure delle
condanne fa parte del paesaggio politico nazionale.
Cosa fare adesso? Le elezioni regionali non sono l'ultima spiaggia e fare
una buona opposizione non significa rassegnarsi a gestire la sconfitta in
qualche modo. Se si vuole costruire una strategia bisogna elaborare progetti
che diano risposte concrete ai problemi posti dalla disoccupazione e dalla
precarieta', dai bisogni collettivi, organizzando la partecipazione,
riscoprendo la presenza sul territorio, senza attendere miracoli e senza
riproporre deleghe. Se si camminera' in questa direzione, queste elezioni
possono essere una premessa e un laboratorio e non la riconferma di una
Vandea senza speranza.

4. LIBRI. BEATRICE BUSI PRESENTA DUE RECENTI LIBRI SULLA BIOPOLITICA
[Dal quotidiano "Liberazione" del 23 giugno 2006.
Beatrice Busi, giornalista e saggista, impegnata nell'esperienza di
"A/Matrix", collabora con varie testate.
Antonella Cutro e' ricercatrice presso l'Universita' degli Studi di Salerno.
Si occupa in particolare del rapporto tra pensiero politico e saperi
biologici. Opere di Antonella Cutro: Michel Foucault. Tecnica e vita.
Biopolitica e filosofia del bios, Bibliopolis, 2004; (a cura di),
Biopolitica. Storia e attualita' di un concetto, Ombre Corte, 2005.
Michel Foucault, filosofo francese (Poitiers 1926 - Parigi 1984), critico
delle istituzioni e delle ideologie della violenza e della repressione.
Opere di Michel Foucault: Storia della follia nell'eta' classica, Rizzoli;
Raymond Roussel, Cappelli; Nascita della clinica, Einaudi; Le parole e le
cose, Rizzoli; L'archeologia del sapere, Rizzoli; L'ordine del discorso,
Einaudi; Io, Pierre Riviere..., Einaudi; Sorvegliare e punire, Einaudi; La
volonta' di sapere, Feltrinelli; L'uso dei piaceri, Feltrinelli; La cura di
se', Feltrinelli. Cfr. anche i tre volumi di Archivio Foucault. Interventi,
colloqui, interviste, Feltrinelli. In italiano sono stati pubblicati in
volume anche molti altri testi e raccolte di interventi di Foucault, come
Malattia mentale e psicologia, Cortina; Questa non e' una pipa, Serra e
Riva, Scritti letterari, Feltrinelli; Dalle torture alle celle, Lerici;
Taccuino persiano, Guerini e associati; e varie altre raccolte di materiali,
trascrizioni di conferenze, seminari. Opere su Michel Foucault: tra le molte
disponibili segnaliamo Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza;
Vittorio Cotesta, Linguaggio, potere, individuo, Dedalo; Hubert L. Dreyfus,
Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie; Didier
Eribon, Michel Foucault, Flammarion; Francois Ewald, Anatomia e corpi
politici. Su Foucault, Feltrinelli; Jose' G. Merquior, Foucault, Laterza;
Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri; Paolo
Veronesi, Foucault: il potere e la parola, Zanichelli; cfr. anche il recente
volume di "Aut aut", n. 232, settembre-ottobre 2004, monografico su Michel
Foucault e il potere psichiatrico]

Piu' che ad una categoria del pensiero, la biopolitica assomiglia ad uno
strano animale proteiforme. Flessibile, liquida e sinuosa, riesce ad
adattarsi ad ambienti teorici molto diversi tra loro. Come testimonia
l'antologia curata da Antonella Cutro (Biopolitica. Storia e attualita' di
un concetto, Ombrecorte, pp. 171, euro 16) l'idea di un "governo della vita"
ha un'origine lontana e un raggio d'azione molto ampio che si estende dal
concetto positivista di biocrazia coniato da Auguste Comte a meta'
dell'Ottocento fino alle ricerche attuali del gruppo dei Biopolitics
americani, impegnati nella definizione di un approccio biologico allo studio
della politica. In mezzo ci sono alcuni tristissimi capitoli della storia
del pensiero occidentale che tracciano una linea di continuita' tra
l'eugenetica statunitense di inizio Novecento e la tanatopolitica nazista
entrambe legate a quelle estremizzazioni razzistiche del darwinismo sociale
che tentava spiegazioni biologiche delle disuguaglianze di classe.
*
Per chi intende la politica non solo come tecnica della governance ma
soprattutto come arte creativa per una radicale trasformazione
dell'esistente, il lavoro fondamentale nella riflessione sulla biopolitica
rimane comunque quello di Michel Foucault.
Il filosofo francese la utilizza per la prima volta in una conferenza sulla
nascita della medicina sociale tenuta nel 1974 all'Universita' di Rio de
Janeiro, ma e' nel primo volume della Storia della sessualita' che vengono
gettate le basi della tesi sulla biopolitica sviluppata tra il 1976 e il
1979 nei corsi svolti al College de France. "Si potrebbe dire che al vecchio
diritto di far morire o di lasciar vivere si e' sostituito un potere di far
vivere o di respingere nella morte... La vecchia potenza della morte in cui
si simbolizzava il potere sovrano e' ora ricoperta accuratamente
dall'amministrazione dei corpi e dalla gestione calcolatrice della vita". Il
passaggio di consegne dal potere sovrano al biopotere si costituisce e si
articola principalmente in due forme: una "anatomo-politica del corpo umano"
impegnata nel processo di normalizzazione delle sessualita' eccentriche
oltre che dell'addomesticamento dei corpi ai ritmi e alle esigenze del
lavoro produttivo e riproduttivo, ma anche una "bio-politica della
popolazione", ovvero la creazione di un apparato specifico di sapere e
potere che passa attraverso fenomeni di "statalizzazione del biologico"
legati all'affermazione dell'economia liberale come strumento di governo.
"Su questo sfondo si puo' capire l'importanza assunta dal sesso come oggetto
di scontro politico: esso e' l'elemento di connessione dei due assi lungo i
quali si e' sviluppata tutta la tecnologia politica della vita... il sesso
e' contemporaneamente accesso alla vita del corpo e della specie. Ci si
serve di esso come matrice delle discipline e principio delle regolazioni".
*
Tra le cinquantasei voci che costituiscono il recente e corposo volume
Lessico di biopolitica (Manifestolibri, pp. 382, euro 30), le piu'
interessanti sono proprio quelle piu' fedeli all'impostazione foucaultiana
che desiderava tenere assieme problematizzazione della biopolitica e analisi
sull'emergere di pratiche di resistenza radicate nel corpo. Talmente fedeli
a Foucault da reiterarne anche la sua sottovalutazione del movimento
femminista che ha invece rappresentato un potentissimo "brivido sociale"
proprio a partire dalla politicizzazione del sesso e delle relazioni. In
particolare sono i lemmi relativi a Corpi, Differenze, Singolarita' e
Sessualita', oltre a quella specifica sulle Pratiche di resistenza che ci
aiutano ad uscire dal dibattito accademico.
"Riappropriandosi del diritto a esprimere un sapere sulla propria
condizione, i gay, le lesbiche, i delinquenti, i pazzi, hanno fatto emergere
le strategie attraverso cui i discorsi medici, giuridici, scientifici,
religiosi, delegittimano e squalificano le loro condotte. A partire dalla
denaturalizzazione delle proprie forme di vita, le minoranze hanno avviato
una lotta politica contro il sistema sociale che crea esclusione e stigma"
("Pratiche di resistenza").
Ma lo sganciamento della sessualita' dalla riproduzione e delle identita'
dal sesso anatomico operato dai movimenti degli anni Settanta che ha aperto
ampi spazi di liberta' sociale nei processi di soggettivazione, di
costruzione delle identita' e delle relazioni affettive, e' una lotta
politica ancora attualissima.
"La riduzione a natura di qualunque stile di vita poco incline al
conformismo sociale e' un escamotage della razionalita' scientifica per
difendere i confini normativi definiti dall'organizzazione
politico-sociale": una mossa riduzionista che sembra non conoscere sosta e
deve farci stare costantemente in guardia riguardo ad ogni "uso pubblico"
della biologia in favore di una presunta naturalita' dell'ordine sociale. E
la tendenza neoconservatrice di una larga parte della maggioranza di governo
che si e' espressa nell'istituzione di un Ministero della famiglia e di una
Commissione interministeriale di bioetica presieduta dal Ministro degli
interni, la dice lunga sull'attualita' stringente di una riflessione e un
dibattito approfondito sulla biopolitica. Come abbiamo tristemente gia'
sperimentanto durante la campagna referendaria sulla legge 40, la posta in
gioco attuale nello scontro tra Stato, Chiesa e Grande Scienza e' proprio la
stessa definizione di "vita". Ma come sottolinea Foucault, "questo non
significa che la vita sia stata integrata in modo esaustivo a delle tecniche
che la dominano e la gestiscono; essa sfugge senza posa".
*
Dopo la potente esperienza dei movimenti delle "minoranze" negli anni
Settanta rimane aperto l'interrogativo su quali siano le forme
dell'organizzazione e della lotta adeguate al presente. Rileggendo Foucault,
quando nella Volonta' di sapere scrive che e' la vita intesa "come bisogni
fondamentali, essenza concreta dell'uomo, realizzazione delle sue
virtualita' e pienezza del possibile" a rappresentare la posta in gioco
delle lotte politiche contemporanee anche quando si modulano attraverso
richieste di diritti, non possiamo non guardare al significato dei movimenti
recenti che, da Roma a Parigi, hanno espresso gesti di ribellione e
biosindacalismo radicale contro la precarieta' come dispositivo di controllo
postfordista. Diritto alla casa, diritto al reddito, diritto alla formazione
e alla libera circolazione dei saperi, diritto alla liberta' di movimento
delle persone significano semplicemente diritto alla vita. L'unico diritto
alla vita che un governo di centrosinistra dovrebbe preoccuparsi davvero di
garantire: di fronte alle continue rapine del biopotere le lotte sociali non
possono essere arrestate. Piuttosto, sono destinate a generalizzarsi.

5. LIBRI. FEDERICA RESTA PRESENTA "LA VITA E LE REGOLE" DI STEFANO RODOTA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 giugno 2006.
Federica Resta insegna diritto penale all'Universita' di Foggia e collabora
a varie pubblicazioni specializzate.
Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente
all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e
seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo,
Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e'
Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e
Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste
"Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al
Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati
internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al
2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati
personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della
responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella
societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e
controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo
sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile
diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio
di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di
Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994;
Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia
e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997;
Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della
Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e
liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano
2006]

Qual e' il vero limite, il katechon, del nostro fare quando esso coinvolge
la vita? Spesso inseguiamo etiche immaginarie o ci affidiamo a improbabili
leggi, finendo per riprodurre quel mondo joyceano insieme "stracolmo di
cultura e totalmente privo di saggezza". L'incipit di Stefano Rodota' e'
coinvolgente: il diritto cui si rimanda costantemente quando sono in ballo
le questioni del nascere, del vivere, del morire, e' nello stesso tempo
troppo presente e troppo assente. Vive di vuoti e pieni: o e' ipertrofico e
eccessivo, o del tutto latitante. Caduta l'illusione illuministica di poche
e chiare leggi, oggi ci ritroviamo con una melmosa inflazione di norme che
appannano e spesso rimuovono il problema. I novissima che si affacciano
sotto forma di hard cases, casi difficili, da Terry Schiavo a Mrs. Pretty a
Perruche, ne sono una puntuale conferma.
Liberta'/costrizione; responsabilita'/immunita'; scelta/imposizione;
possibilita'/necessita'; rispetto/violazione; legittimita'/violenza. Sono
soltanto alcune delle coppie oppositive, con le quali ciascuno di noi si
confronta ogni giorno, soprattutto quando sono in ballo le scelte della vita
quotidiana. Sono i poli opposti di un conflitto su cui la societa'
costruisce dinamiche ed equilibri, in una profonda e costante tensione tra
la vita e le regole.
*
Potere sublimato
Rodota' torna oggi a farci riflettere su questo gioco, sottile e complesso
ad un tempo, tra l'"eccedenza" della vita rispetto ad ogni forma che ne
cristallizzi il fluire, e la pretesa, titanica ed allo stesso tempo ingenua,
del diritto di disciplinarne ogni aspetto; anche quelle dinamiche multiformi
e inspiegabili che parlano una lingua diversa inaccessibile alla semantica
delle norme, dei divieti, della regolamentazione degli spazi di liberta'.
In un'epoca in cui la tecnica sembra mutare gli stessi confini ed il senso
profondo della vita e delle sue figure (il corpo, la nascita, la morte, il
dolore, l'identita' fisica e psichica, la convivenza, l'autodeterminazione,
gli spazi e le condizioni della realizzazione del se'), una politica del
diritto arrogante avanza la pretesa di decidere quando e come la vita debba
avere un inizio ed una fine; se e in che termini assicurare il dominio del
se', la trasparenza e il controllo della propria sfera privata; se e a quali
condizioni garantire a ciascuno la realizzazione della propria personalita'
conformemente al proprio sistema di valori e alle proprie aspirazioni
legittime.
Nel disciplinare la volonta' di potenza della tecnica sulla vita, il diritto
ne simula il codice del potere, sublimato e ritualizzato nell'idea,
"demonicamente ambigua", della forza della legge. Come quella della
tecnologia scientifica, definita da Nietzsche "lunga e antica paura, fattasi
infine sottile, spirituale, intellettuale", la storia del diritto e del
processo di normazione della vita affonda le sue radici nel tentativo di
esorcizzare il terrore della violenza, affermando malinconicamente
l'inviolabilita' di diritti umani minacciati da quella stessa umanita' che
vorrebbe tutelarli.
La realta' attuale dimostra tragicamente il paradosso di un diritto che,
nella pretesa di tutelare l'umanita' da se stessa oltre ogni limite e ad
ogni costo, rinnega la propria differenza dalla forza. Si pensi al Patriot
Act statunitense che, in nome della suprema esigenza di sicurezza della
societa' da un nemico dall'identita' incerta, ha giustificato gravi
violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini, costruendo uno stato di
polizia globale che fa della tecnologia un'arma per la tanatopolitica,
legittimando la tortura e la carcerazione indefinita di persone, anche
soltanto sospettate di essere enemy aliens. Ma non meno violente e
illiberali sono le leggi che, imponendo un sistema eteronomo di valori di
cui proclamano la cogenza universale, pretendono di sostituirsi alla persona
nella scelta su aspetti decisivi della vita, soprattutto, ma non solo, nel
rapporto con la tecnica (se e come procreare, in che limiti accettare il
dolore e la cura, quando preferire una morte dignitosa ad un'esistenza
artificiale, ma anche se e perche' portare il chador, quale modello di
famiglia scegliere, fino a che punto accettare le nuove "schiavitu'"
derivanti da usi impropri della genetica e della telematica). In nome di un
astratto dovere pubblico di tutela dell'individuo da se stesso, il diritto
finisce con l'espropriare la persona del proprio "spazio di decisione" sulle
scelte che ne riguardano la vita, il corpo e l'identita' che esso, unione di
soma e psyche', esprime.
Ma del rapporto tra tecnica e vita, il diritto simula la piu' profonda
ambivalenza del pharmakon: come l'antidoto che avvelena nel salvare la vita,
cosi' il diritto (soprattutto, ma non solo, il diritto penale) e' sacrificio
ritualizzato, e' legittimazione della forza; disciplina e monopolio di
quella violenza da cui immunizza il corpo sociale. Il monito di Nietzsche ai
giudici ne e' forse l'emblema piu' significativo: "Il vostro uccidere
dev'essere compassione e non vendetta. E mentre uccidete, fate in modo di
giustificare voi stessi la vita!". La cristallizzazione del flusso,
spontaneo e libero, dell'esistenza, in forme universalmente vincolanti e
cieche alla singolarita' individuale, rischia di paralizzarne la vitalita',
nel momento stesso in cui dichiara di volerla proteggere.
*
Nuda vita e norma astratta
Nel tentativo di regolamentare la vita e le scelte individuali che ad essa
danno un senso piu' profondo della mera esistenza biologica, il diritto
valica i suoi stessi limiti, e mistificante e' la sua pretesa di ricondurre
la nuda vita a norma astratta; la felicita' interiore a diritto azionabile;
la liberta' a questione politica di sicurezza. Ed e' la forza della vita a
reagire, con una logica immunitaria, a questa arroganza del diritto, non
soltanto perche' ogni norma e' tale perche' puo' essere violata
(significativi in tal senso i fenomeni di "turismo procreativo, abortivo,
dell'eutanasia" che Rodota' menziona). Ma anche e soprattutto perche' la
vita e' e resta umana, troppo umana per essere ridotta ad oggetto di un
dovere quanto di una semplice pretesa.
Cosi', anche una legge proibizionista in materia di procreazione assistita
(quale la nostra 40/2004), non potra' imporre l'impianto coattivo di
embrioni nell'utero della donna che abbia revocato il consenso dopo la loro
formazione; ne' potra' sanzionare la coppia che violi il divieto di
fecondazione eterologa. Del resto, leggi che, come il nostro codice penale,
vietano l'eutanasia, non puniscono il suicidio neppure nella forma tentata,
e negherebbero diritti umani dichiarati inviolabili da Costituzioni e
trattati internazionali se esigessero l'alimentazione forzata di detenuti in
sciopero della fame, o se imponessero coattivamente la trasfusione al
soggetto che la rifiuti per motivi religiosi.
Di fronte alla volonta' di potenza tecnocratica di una biopolitica che
riduce la vita, e le scelte etiche ad essa relative, a questioni pubbliche
da dominare con la logica del potere e la ragion di stato, la riaffermazione
della dimensione assiologica dell'esistenza e della dignita' della persona
esige un ripensamento della funzione e dei limiti del diritto, che non
"allontani da se' la vita, ma cerchi di penetrarvi" (Rodota'). Una politica
per (e non su) la vita, che si faccia uno strumento sobrio e mite per la
realizzazione delle liberta' e dei diritti di tutti, non puo' che iniziare
con il prendere sul serio il sistema dei diritti umani, quale espressione
dell'articolarsi del diritto alla vita. La pretesa che dobbiamo avanzare nei
confronti del diritto e' che divenga una tecnica di soluzione nonviolenta
dei conflitti; strumento di garanzia della persona da ogni forma (dalle piu'
evidenti a quelle piu' sottili e pertanto piu' subdole) di coercizione, o di
imposizione di valori nei quali si riconosca soltanto una parte dei
cittadini. Mite e "leggero" sulle questioni che solo il singolo possa
decidere secondo coscienza, il diritto deve invece intervenire con la
cogenza delle prescrizioni positive a tutela dei soggetti deboli, degli
esclusi dal patto sociale che l'assolutismo del mercato e una cittadinanza
ancora una volta censitaria relegano ai margini della comunita'.
Mettere il diritto al servizio del "mestiere di vivere" - come auspica
Rodota' - significa allora renderlo strumento di protezione della vita; di
ogni frammento di vita, dell'esistenza concreta di ogni essere umano,
affermandone i bisogni reali come diritti.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1340 del 28 giugno 2006

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