La nonviolenza e' in cammino. 1227



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1227 del 7 marzo 2006

Sommario di questo numero:
1. "Il paese delle donne"
2. Riccardo Orioles: Elezioni
3. Giulio Vittorangeli: Elezioni
4. Giuliana Sgrena: Un anno dopo
5. Guido Caldiron intervista Soheib Bencheickh
6. Juergen Moltmann: La lezione di Bonhoeffer
7. Adriana Chemello presenta "Convertirsi alla nonviolenza?" di autori vari
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI. "IL PAESE DELLE DONNE"

Rivista cartacea quindicinale, sito internet e newsletter quotidiana diffusa
per posta elettronica: "Il paese delle donne" e' un utilissimo, tempestivo
strumento di informazione per tutte e tutti.
Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo e
riproponiamo la seguente scheda di autopresentazione.
*
L'associazione "Il paese delle donne" e' nata nel 1987 ed e' cresciuta
assieme alla Casa internazionale delle donne dove ha sede la redazione. Da
sempre ha lavorato sull'informazione, la scrittura e la comunicazione tra
donne. Alla pubblicazione de "Il foglio del paese delle donne" lavorano come
direttora responsabile Marina Pivetta, come amministratrice Franca Fraboni,
come coordinatrice editoriale Giovanna Romualdi, come grafica dell'edizione
cartacea Sofia Quaroni, come webmistress e responsabile del sito telematico
Cristina Papa, come presidente dell'associazione e responsabile del premio
letterario Maria Paola Fiorensoli, insieme a tutte le altre della redazione.
*
La nostra storia
L'associazione per l'informazione "Il paese delle donne" e' un'associazione
culturale senza fini di lucro, nata nel 1985 come gruppo redazionale delle
pagine di informazione al femminile all'interno del quotidiano romano "Paese
sera".
Successivamente, nel 1987 l'associazione ha voluto proseguire quell'impegno
editando direttamente "Il foglio del paese delle donne".
Il giornale cartaceo ha attualmente periodicita' quindicinale, e, dal 1995,
ha un supplemento telematico "Il paese delle donne - on line".
Dal 2000, promuove un premio di scrittura femminile dedicato a Maria Teresa
Guerriero (Maite'), un'artista che e' stata anche redattrice del nostro
giornale.
Nel tempo "Il paese delle donne" ha realizzato numerose trasmissioni per
emittenti radiotelevisive nazionali e locali.
*
La redazione
La redazione di Roma ha sede presso la Casa Internazionale delle donne, in
via della Lungara 19 (ingresso da Via della Penitenza 37/b), ed e' composta
da Manuela Algeri, Camilla Cascino, Maria Paola Fiorensoli, Olivia Fiorilli,
Franca Fraboni, Marta Marsili, Patrizia Melluso, Cristina Papa, Anna
Picciolini, Marina Pivetta, Giovanna Romualdi, Sofia Quaroni, Maria Russo,
Ines Valanzuolo.
Collaborano tra le altre: Patrizia Arnaboldi, Camilla Briganti, Lidia
Campagnano, Maria Grazia Campari, Nadia Cervone, Lidia Cirillo, Giancarla
Codrignani, Simona Davoli, Nadia De Mond, Alessandra Giannasi, Nella
Ginatempo, Marcella Mariani, Alessandra Mecozzi, Lea Melandri, Lidia
Menapace, Luisa Morgantini, Maria Grazia Rossilli, Sara Sesti, Monica
Soldano.
La redazione si riunisce tutti i martedi' alle ore 17,30, tutte le lettrici
sono le benvenute.
*
Per sostienere il nostro lavoro
Le spese relative alle edizioni cartacea e telematica de "Il paese delle
donne" sono finanziate esclusivamente attraverso le sottoscrizioni che
provengono dalla rete di lettrici e lettori.
Si puo' sottoscrivi sul c/c n. 69515005 intestato ad "Associazione Il paese
delle donne".
Abbonamento per 12 mesi all'edizione telematica: 21 euro; abbonamento per 12
mesi all'edizione cartacea: 42 euro; per associazioni e istituzioni: 83
euro.

2. RIFLESSIONE. RICCARDO ORIOLES: ELEZIONI
[Dalla rivista elettronica di Riccardo Orioles "La Catena di San Libero"
(per contatti e richieste: riccardoorioles at sanlibero.it) n. 323 del 5 marzo
2006. Riccardo Orioles e' giornalista eccellente ed esempio pressoche' unico
di rigore morale e intellettuale (e quindi di limpido impegno civile);
militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo
Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del
settimanale "Avvenimenti", cura attualmente in rete "Tanto per abbaiare - La
Catena di San Libero", un eccellente notiziario che puo' essere richiesto
gratuitamente scrivendo al suo indirizzo di posta elettronica; ha formato al
giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli
utenti della rete telematica vi e' anche la possibilita' di leggere una
raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro elettronico
Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile
leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori
di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e letterari. Due
ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa,
Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene
(Einaudi, Torino 1999)]

E cosi' manca un mese alle elezioni. Non sono elezioni democratiche (ormai,
perche' un'elezione sia democratica bastano un paio di passanti intervistati
alla meno peggio davanti a un seggio) e non lo sono perche' l'elettore ha
perduto il diritto concreto di scegliersi i propri rappresentanti: liste
bloccate, niente preferenze, ecc. Una volta, sarebbe scoppiata una
rivoluzione.
Non e' un'elezione, e' un referendum. Un referendum amaro, fra un aspirante
imperatore e una classe di senatori: ma un referendum che bisogna vincere,
perche' anche fra Mussolini e il re c'e' una bella differenza, o fra il
senato e Caligola, e persino fra un Berlusconi e un D'Alema.
Se vince il centrosinistra, la tendenza sara' - con tante belle parole - di
lasciare tutto piu' o meno com'e', con governanti meno cialtroni ma sempre
con un paese diviso fra vip e cococo'. Ma se vince la destra, comanderanno i
Goebbels e i Calderoli. Per questo, io vado a votare e vi consiglio di
andarci pure voi.
Eppoi chissa': puo' darsi che questa fine catastrofica di dieci anni di
governo degl'imprenditori - il signor B. era ufficialmente sostenuto dalla
Confindustria, il suo era il loro regime - ridesti nel popolo qualcosa. Puo'
darsi che le antiche idee - i diritti degli uomini, la dignita', il
non-ammazzare - riprendano vigore, come - per contraccolpo - la liberta'
dopo l'otto settembre. Puo' darsi che non sara' poi cosi' facile, cacciato
traumaticamente Berlusconi, berlusconeggiare con garbo e stile dopo di lui.
Puo' darsi, ci ricordano i vecchi, che si riesca a cacciare sullo slancio,
dopo il duce e il fascismo, anche il re: chi lo sa. Intanto, come cittadini,
ci schieriamo. Non sono tutti uguali. Non si resta a guardare.

3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: ELEZIONI
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Quasi inevitabile parlare di elezioni.
L'obiettivo primario e' battere la coalizione di centrodestra. E non e'
poco, e' una condizione della democrazia. Se Berlusconi dovesse vincere
nuovamente, non essendo all'ordine del giorno nessuna rivoluzione, non ci
resterebbe che il grido impotente della disperazione. Comunque ancora una
volta, si vota "contro" invece che "per"; e lo spazio e' davvero esiguo.
"La Casa delle liberta', con Bossi e Fini, avevano in comune l'attacco alla
Costituzione, al lavoro e alla cultura, la privatizzazione di tutto e un
colpo decisivo allo stato sociale. Questo li teneva uniti. Sulla sponda
opposta, da Rutelli a Bertinotti via Prodi e D'Alema hanno in comune la
restaurazione di quel che della Costituzione resta, l'abolizione del
conflitto di interessi, l'autonomia della magistratura e della Rai e
dell'informazione, un qualche equilibrio fra impresa e lavoro. Non e' molto,
ma va in direzione del tutto diversa" (Rossana Rossanda).
Intanto non possiamo non sottolineare come la campagna elettorale non faccia
della posizione sulla guerra e l'Iraq un punto qualificante. La maggioranza
degli italiani e' stata contro la partecipazione italiana alla guerra, dalla
quale chiede urgentemente di uscire, anche all'opposizione di
centrosinistra, senza nuovi martiri, perche' di Nassirya ne basta una sola.
Purtroppo, la favola della democrazia occidental-universale (ridotta
esclusivamente a democrazia elettorale: le elezioni sinonimo di panacea di
tutti i mali), esportata con la guerra, o viene affrontata dalla sinistra e
smontata con un minimo di sapienza critica, o a raccontarla restera' la
destra che meglio la incarna.
In un mondo in cui l'esercizio della forza sta diventando la forma
prevalente della politica, non possiamo trovarlo naturale: "Di nulla sia
detto 'e' naturale', in questo tempo di anarchia e di sangue, di ordinato
disordine, di meditato arbitrio, di umanita' disumanata" (Bertolt Brecht); e
la scelta pacifista e nonviolenta non puo' che essere una conquista. Fatta
di pratiche, non solo di parole o di facili slogan.
Riuscire a portare la scelta nonviolenza nella cultura profonda del
centrosinistra, contrapporla ai padroni del mondo, trarne le conseguenze in
chiave di politica internazionale, riproporre l'antico e dimenticato
obiettivo del disarmo e conquistarlo. "Si puo' fare questo ribadendo - come
fa il programma dell'Unione - che continueremo a essere un fedele alleato
degli Stati Uniti?" (Gabriele Polo, "il manifesto" del 22 febbraio 2006).
Non e' compito che riguarda solo l'Italia, ma l'Europa intera. Quell'Europa,
come non mai ossessionata da cio' che era o doveva essere, perdendo
l'occasione di diventare quello che poteva diventare. Cioe' di costruirsi,
nella contingenza del conflitto globale in corso dopo l'11 settembre, come
un'alternativa culturale e politica, disarmata e disarmante,
all'unilaterismo armato di Gorge Bush. Non dovremmo tutti tornare a pensare
e a reclamare la denuclearizzazione militare delle cinque potenze atomiche
"storiche"?
Intanto, sulla guerra, la violenza, ecc., ci si lacera anche all'interno del
movimento altermondialista: "Certo, ci sentiamo vicini da sempre a chiunque
si batta contro ogni forma di dominio imperiale: politico, economico,
militare, mediatico. Certo, siamo dalla parte dei palestinesi da sempre.
Certo, ci immedesimiamo nelle popolazioni che si vedono arrivare in casa
loro eserciti stranieri superarmati. Certo, siamo schierati al fianco di
tutti i derelitti del mondo che cercano un futuro migliore in casa nostra.
Ma quando andiamo a vedere le cose da vicino tutto si complica.
L'integralismo religioso, che e' diventato il collante di ogni resistenza,
e' lontanissimo dalla nostra sensibilita'. Le teocrazie, che si consolidano
grazie al sangue di tanti giovani kamikaze, non appartengono neanche
vagamente al nostro orizzonte politico-culturale, anzi ripugnano alla nostra
coscienza stralaica. L'antisemitismo, cresciuto confondendo rozzamente le
politiche di destra dello stato di Israele con le sue radichi ebraiche, ci
disgusta, e non ci sogneremmo (spero) neanche lontanamente di immaginarci in
quell'area un unico stato, lo stato palestinese" (Domenico Starnone). Se
tutto questo e' vero, vuol dire proprio che nemmeno per il movimento
altermondialista e' facile.
Dobbiamo orientarci a vista, ma un piccolo punto fermo resta, quello che
mette al primo posto la pace, la solidarieta', la democrazia, l'eguaglianza.
Una solidarieta' internazionale capace di affrontare il pauroso squilibrio
del mondo determinato dalla progressiva distruzione dell'ambiente naturale e
dell'abisso tra ricchezze insulse e poverta' terribili. Una solidarieta'
come tappa intermedia verso la giustizia; perche' l'idea di eguaglianza per
la liberta' e' tutta davanti a noi, se siamo capaci di vederla. Del resto,
le cose cambiano e a volte, lavorandoci sopra modestamente, giorno dietro
giorno, addirittura in meglio.

4. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: UN ANNO DOPO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 marzo 2006.
Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e
pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane
dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande
importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe,
durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A
Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo,
sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in
cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo
liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La
schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i
califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma
2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli,
Milano 2005.
Nicola Calipari, nato a Reggio Calabria, laureato in giurisprudenza, con una
straordinaria e prestigiosa esperienza nelle forze dell'ordine con ruoli di
grande responsabilita' nella lotta contro il crimine, da due anni
funzionario del Sismi, e' l'eroe che ha salvato la vita a Giuliana Sgrena;
e' stato ucciso il 4 marzo 2005 a Baghdad. Opere su Nicola Calipari: AA.
VV., Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico, Nuova iniziativa editoriale,
Roma 2005]

Un anno fa scrivevo sul "Manifesto" Il mese piu' lungo, il racconto del mio
sequestro. E' passato un anno: mesi di sofferenze fisiche e non solo, di
speranze di uscire dal ruolo di "ostaggio", di tentativi di elaborare il
lutto.
Quando, improvvisamente, nell'anniversario del mio sequestro, il 4 febbraio,
l'orologio si e' messo a correre all'indietro, all'impazzata. Di colpo e'
come se i mesi trascorsi fossero svaniti: ogni giorno di febbraio mi ha
riportato indietro, a un anno fa, mi sono tornati alla mente momenti
assolutamente insignificanti della mia prigionia, che pensavo ormai sepolti.
Ogni gesto e' diventata l'occasione per ricordare, persino l'andare a letto
e avvolgermi nelle coperte, per proteggermi dal freddo, dalla paura.
Per cercare di non pensare ho attraversato l'Italia e la Germania in lungo e
in largo per parlare del mio libro Fuoco amico, che non e' altro che la mia
drammatica esperienza intrecciata con la situazione irachena, quella si'
veramente sempre piu' drammatica. Come allora anche oggi non posso parlare
di me senza parlare dell'Iraq.
*
Intorno a me in questo vagare ho trovato tanta gente, tanta solidarieta',
tanta commozione. Giovani e donne che scoppiano in lacrime di fronte alle
mie emozioni, ai miei ricordi di Nicola Calipari, al fatto che la mia
tragedia mi impedisce di sentirmi completamente libera. La mia vita e'
cambiata. Come? Mi chiedono in molti. Sono cambiata dentro, e' difficile da
spiegare: insicurezze, paure, incubi, che mi portano a vivere alla giornata,
incapace di fare progetti. E anche fuori: per strada la gente mi guarda, mi
saluta, o semplicemente sorride. Qualcuno mi fissa con uno sguardo truce,
magari non sa nemmeno chi sono, ma io tremo. Una notorieta' improvvisa che
non avrei mai desiderato, condizionante. A volte mi fa sentire investita di
un ruolo che non posso assolvere.
Cosa devono fare i pacifisti? A volte rispondo che il mio sequestro ha dato
loro una spinta per tornare in piazza, quel 19 febbraio di un anno fa erano
in 500.000, mi hanno raccontato. Ma poi? Sembra che nessuno abbia saputo
raccogliere questa opportunita' di tornare a essere protagonisti. Speriamo
che la manifestazione del 18 marzo sia l'occasione. Ci sono tanti giovani
studenti che hanno fatto la tesi sul mio sequestro, su di me, sulla guerra e
l'informazione. Mi dicono che io sono per loro un "modello". Una bella
soddisfazione dopo le critiche di alcuni colleghi. Ma anche una grande
impotenza. In Iraq non si puo' piu' andare per informare, l'informazione e'
stata completamente militarizzata con l'istituzionalizzazione dei
giornalisti "embedded". Che fare? Dovrei sconsigliarli a intraprendere
questa strada, ma invece rispondo che non possiamo arrenderci, che
l'informazione puo' servire a sconfiggere la logica della guerra.
L'entusiasmo dei giovani deve essere alimentato e indirizzato piuttosto che
depresso. Negli anni scorsi quando andavo in giro a presentare i miei libri
trovavo gli aficionados, era difficile riempire le sale, c'era sempre
qualche motivo che limitava la partecipazione: pioggia, coincidenza con
altre iniziative, orario, etc. Ora invece le sale sono sempre piu' grandi e
sempre piu' piene, tante facce nuove, tante attese, tante speranze e
curiosita'. Non solo nei miei confronti. Cosa succede veramente in Iraq?
*
Purtroppo gli avvenimenti di questi giorni confermano quello che avevo
scritto basandomi semplicemente sull'osservazione della realta'. Come la
guerra civile strisciante che ora e' esplosa con tutta la sua violenza e che
sembra sorprendere ipocritamente chi l'ha favorita.
E poi, si sapra' mai la verita' sulla morte di Nicola Calipari? L'emozione
per la sua morte e' ancora viva tra la gente. E anche la richiesta di
verita'. La magistratura ha fatto un primo passo, importante, incriminando
Mario Lozano, l'unico soldato che secondo il rapporto della commissione
militare americana avrebbe sparato contro di noi, per omicidio volontario.
Perche' l'operato della magistratura abbia un seguito occorre pero' una
collaborazione delle autorita' Usa che puo' essere ottenuta solo con una
forte pressione politica. Che non possiamo aspettarci da questo governo
visto che il ministro Castelli non ha mai fatto nulla per ottenere una
risposta alle rogatorie. E ieri il ministro della difesa Antonio Martino,
durante la commemorazione di Calipari, e' arrivato a dire che e' stato il
fato a uccidere il dirigente del Sismi. Non il fuoco americano. Martino ha
osato piu' del comando Usa che aveva parlato di "fatale incidente". Poi, per
fortuna, Gianni Letta lo ha smentito.
*
Oggi, 4 marzo, torno con la mente a Baghdad, ripenso al fuoco che ci ha
colpito, alla breve gioia seguita dal grande dolore per la morte di Nicola.
Non possiamo arrenderci, finche' non sveleremo la verita'. Scoprire la
verita' fa parte del nostro lavoro e la mia speranza e' di poter tornare
presto a fare la giornalista come ho sempre fatto.

5. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA SOHEIB BENCHEICKH
[Dal quotidiano "Liberazione" del 24 febbraio 2006.
Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli
squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les
chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale,
Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002.
Soheib Bencheickh, prestigioso intellettuale musulmano, e' attualmente
direttore dell'Istituto superiore di scienze islamiche a Marsiglia]

"Come musulmano, e dicendo questo penso anche agli altri musulmani del
mondo, comprendo chi ritiene che la propria soggettivita' sia stata
scioccata dalle famose vignette che rappresentavano il profeta Maometto.
Questa comprensione scompare pero' se cambiamo piano, visto che per la
storia il profeta Maometto ha avuto una vita umana e chiunque ha il diritto
di criticarlo. Se i musulmani vogliono poter convivere con altre religioni o
filosofie, diventare cittadini del mondo, devono mettere in conto di subire
talvolta simili choc. Inoltre l'Islam appartiene all'umanita', a tutti,
compresi i non musulmani che devono cominciare a far sentire la loro voce,
criticando quando e' il caso e lodando quanto serve. Noi musulmani pensiamo
che l'Islam sia verita', ma non vogliamo obbligare nessuno a condividere il
nostro punto di vista".
Soheib Bencheickh non ha dubbi, togliere dall'angolo in cui si e' cacciato,
e nel quale e' stato posto, cio' che si potrebbe definire come lo "spazio di
senso islamico", e' un compito che appartiene a tutti. E certamente non ai
soli musulmani.
Tra gli intellettuali musulmani piu' noti e attivi di Francia, Bencheickh e'
stato per molti anni il Gran Mufti' di Marsiglia, la massima carica
religiosa islamica della seconda citta' transalpina, e, lasciato
quell'incarico da pochi mesi, e' oggi direttore dell'Istituto superiore di
scienze islamiche, sempre a Marsiglia. Lo abbiamo intervistato alla vigilia
della sua partenza per il nostro paese dove partecipera' al seminario "Noi e
l'Islam" promosso da Acli e Legambiente a Montepulciano nell'ambito delle
Giornate dell'interdipendenza.
*
- Guido Caldiron: Signor Bencheickh, cominciamo dalle vignette danesi che
hanno suscitato tanta rabbia nella comunita' musulmana. Qual e' il suo
giudizio su questa vicenda?
- Soheib Bencheickh: La prima causa di quanto sta avvenendo va cercata
nell'ignoranza: l'ignoranza degli insegnamenti fondamentali dell'Islam e
della sua filosofia. E' in seno alla cultura musulmana che sono stati
infatti tradotti i testi dei filosofi atei greci o indiani. Lo stesso Islam
che non solo ha arricchito il patrimonio culturale dell'umanita' ma che ha
rappresentato la fonte della civilta' occidentale durante il Rinascimento.
Detto questo, mi sembra che la reazione smisurata e sorprendente di alcuni
musulmani si ponga in aperta e totale contraddizione con questo patrimonio.
Non solo, mi sembra che allo stesso modo queste reazioni servano a
dimostrare che la religione musulmana e' cosi' fragile e "delicata" che una
semplice caricatura puo' sconvolgerla. Inoltre, nelle proteste e' emersa
anche una manipolazione politica, sia da parte di coloro che cercano di
mobilitare il popolo su questi temi per influire poi sulla politica dei
diversi paesi, sia da parte di alcuni regimi che cercano di conquistare una
legittimita' e un consenso che non hanno presentandosi come i "difensori
dell'Islam". La religione musulmana e' oggi oggetto di tutte queste
attenzioni interessate che hanno pero' scopi esclusivamente politici.
*
- Guido Caldiron: Tra le reazioni che si sono avute nel mondo dopo la
pubblicazione delle vignette in Danimarca, sembra pero' di poter distinguere
nettamente, in termini di violenza e aggressivita', tra cio' che e' accaduto
in Europa e quanto si e' visto ad esempio in Medioriente. E' il segno che i
musulmani europei si sentono ormai parte di uno spazio che appartiene loro e
nel quale rivendicano semmai sempre piu' la propria cittadinanza?
- Soheib Bencheickh: Credo si debba chiarire una cosa di fondo. In tutta
questa vicenda microfoni e telecamere sono stati volutamente puntati su una
minoranza di attivisti radicali. La maggioranza dei musulmani - e questo si
puo' cogliere leggendo anche la stampa di paesi che non si possono peraltro
definire "liberi", come l'Algeria, la Tunisia o la stessa Arabia Saudita -
non e' stata coinvolta e ha giudicato esagerate queste reazioni. Quanto alle
differenze che si sono registrate nelle diverse parti del mondo, e' chiaro
che i musulmani europei conoscono meglio la liberta' di espressione e che
trovano perlomeno surrealista esigere le scuse dei primi ministri dei paesi
che hanno pubblicato le vignette e che certo non gestiscono secondo i propri
voleri la stampa. In Occidente la stampa e' libera, e questa liberta'
consente ai cittadini di opporsi al rischio di derive autoritarie da parte
del potere politico e, allo stesso tempo, proteggersi dai dogmatismi
egemonici di alcune forme religiose.
*
- Guido Caldiron: Lei e' stato fino a pochi mesi fa la guida spirituale dei
musulmani di una grande citta' europea come Marsiglia. L'esperienza fatta
dall'Islam in Europa, territorio dove questa religione rappresenta una
minoranza di cittadini, quali effetti potra' avere sui paesi dove quella
islamica e' invece la fede della maggioranza della popolazione?
- Soheib Bencheickh: Questo elemento rappresenta oggi il cuore, il centro
del dibattito tra musulmani. Fino ad ora i musulmani sono stati troppo
sicuri delle loro verita', mentre oggi, anche nelle terre dell'Islam, credo
possano cominciare a fare l'esperienza di essere "minoranza". Ora, grazie
alla globalizzazione e alla democratizzazione dei media, anche le idee che
non piacciono alla maggioranza dei fedeli dell'Islam arrivano nei paesi in
cui loro vivono. Andiamo verso un mondo sempre piu' interconnesso, ma anche
sempre piu' plurale dove nessuno puo' piu' essere davvero "maggioranza" e
dove anche le culture piu' lontane sono sempre meno "esotiche". Un
cambiamento che non potra' che avere effetti benefici per tutti.
*
- Guido Caldiron: Nell'Islam c'e' oggi un grande dibattito intorno alla
nozione di "riforma". Quanto lei ha appena detto va in questa direzione e
davvero potra' aversi in quella musulmana una riforma del tipo di quella
conosciuta dal cristianesimo?
- Soheib Bencheickh: Viviamo in un'epoca di ignoranza nella quale abbiamo
perduto l'erudizione classica dell'Islam ma abbiamo prodotto comunque delle
risposte alle sfide nuove poste dalla globalizzazione e dalla cittadinanza
universale. Personalmente non sono pessimista quanto alle possibilita' che
ci potra' riservare il futuro. Solo nel XIX secolo la Chiesa Cattolica ha
espresso tutto il suo oscurantismo attraverso le dichiarazioni e gli atti di
Pio IX, ma questo non ha impedito alla storia di progredire, anzi, e cosi'
si e' arrivati al Concilio Vaticano II che solo un secolo dopo ha recepito
le conquiste fatte nel frattempo dall'umanita'. Quindi credo sia un buon
segno il fatto che si viva oggi una sorta di perdizione e di perplessita': i
musulmani saranno cosi' obbligati a creare per se' delle nuove risposte che
gli consentano di vivere allo stesso tempo il proprio essere fedeli
dell'Islam e l'appartenere a questo secolo.
*
- Guido Caldiron: Nel clima gia' avvelenato creato anche in Europa
dall'affaire delle vignette e dalla propaganda dei sostenitori dei due campi
dello "scontro di civilta'", l'assassinio da parte di alcuni ragazzi beur di
un giovane ebreo parigino, Ilan Halimi, sembra proporre anche in Francia la
presenza di una grave frattura tra comunita'. Vista da Marsiglia, come le
sembra la situazione?
- Soheib Bencheickh: L'inchiesta sull'assassinio di Ilan non e' ancora stata
chiusa e quindi e' difficile per il momento stabilire i motivi reali della
sua morte. Cio' che e' pero' gia' chiaro e' che si tratta di criminali. Ma
se domani emergera' che questi ragazzi che si dicono musulmani lo hanno
ucciso in quanto ebreo, credo sia importante che non vengano presentati e
definiti cosi'. Nel senso che si tratta in ogni caso solo di criminali che
meritano una posizione esemplare per quanto hanno fatto. Non devono essere
presentati come musulmani perche' viviamo oggi in un momento delicato nel
quale ogni generalizzazione puo' contenere pericoli e rischi. Io stesso ho
telefonato al presidente del Crif, l'organismo che rappresenta gli ebrei
francesi, e visto che da domani saro' in Italia, i miei collaboratori mi
rappresenteranno a Parigi nelle prossime manifestazioni di solidarieta' alla
famiglia dell'ucciso. Chi uccide qualcuno solo perche' appartiene a un'altra
comunita' culturale o religiosa, cerca in realta' di uccidere l'idea stessa
della convivenza tra religioni e culture diverse. Quanto al caso francese,
aggiungerei anche che gli ebrei di questo paese conoscono meglio dei
musulmani gli effetti del populismo e del razzismo per averli lungamente
subiti e sperimentati sulla loro stessa carne. Quando un ebreo ha paura, un
musulmano deve cominciare a preoccuparsi, anche perche' oggi e' spesso
contro di lui che questo stesso populismo agisce.
*
- Guido Caldiron: Lei sara' nei prossimi giorni in Italia, come valuta la
situazione di un paese dove le famose vignette sono esibite in tv da un
ministro e dove le tesi di Oriana Fallaci ottengono un enorme successo?
- Soheib Bencheickh: Diciamo che ho la massima fiducia nei cittadini e negli
intellettuali italiani, che votano ed eleggono i loro rappresentanti e che
possono decidere o meno del successo di un libro, perche' comprendano il
pericolo insito in una simile logica. Una logica che consiste nel mettere
una parte della popolazione contro un'altra, l'Occidente contro l'Oriente.
Tutto cio' non mi sembra degno di un paese che e' vicino, geograficamente e
culturalmente, al mondo musulmano.

6. MEMORIA. JUERGEN MOLTMANN: LA LEZIONE DI BONHOEFFER
[Dal sito del "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo il seguente testo
apparso sul quotidiano " Avvenire" del 9 febbraio 2006.
Juergen Moltmann, nato ad Amburgo nel 1926, prigioniero di guerra, pastore,
teologo; e' una delle voci piu' autorevoli della riflessione teologica
contemporanea. Nella genesi del suo capolavoro del 1964 (Teologia della
speranza) e' ovviamente forte ed esplicita l'influenza del pensiero di Ernst
Bloch e del suo "principio speranza". Altro suo grande capolavoro e' Il Dio
crocifisso del 1972. Opere di Jürgen Moltmann: segnaliamo particolarmente
Teologia della speranza, L'esperimento speranza, Dio nella creazione.
Dottrina ecologica della creazione, La giustizia crea futuro, Il Dio
crocifisso, tutti pubblicati presso la Queriniana, Brescia. Riportiamo di
seguito tutte le opere di Moltmann attualmente disponibili nel catalogo
della Queriniana: con Kuno Fuessel, Johann Baptist Metz e altri, Ancora
sulla "teologia politica": il dibattito continua; con Walter Kasper, Gesu'
si', chiesa no?; con Hans Kueng (a cura di), Una confessione di fede
ecumenica?; con Hans Kueng  (a cura di), La disputa dello Spirito santo; con
Hans Kueng  (a cura di), Chi ha la parola nella Chiesa?; con Hans Kueng  (a
cura di), Il diritto al dissenso; con Hans Kueng  (a cura di), Maria nelle
chiese; con Hans Kueng  (a cura di), Il cristianesimo tra le religioni
mondiali; con Hans Kueng  (a cura di), Una Convocazione ecumenica per la
pace; con Hans Kueng  (a cura di), Etica delle religioni universali e
diritti umani; con Hans Kueng  (a cura di), Il fondamentalismo come sfida
ecumenica; con Hans Kueng  (a cura di), Islam - una sfida per il
cristianesimo; con Karl-Josef Kuschel (a cura di), I movimenti pentecostali
come sfida ecumenica; con Pinchas Lapide, Monoteismo ebraico - Dottrina
trinitaria cristiana. Un dialogo; con Pinchas Lapide, Israele e Chiesa:
camminare insieme? Un dialogo; Teologia della speranza. Ricerche sui
fondamenti e sulle implicazioni di una escatologia cristiana; Prospettive
della teologia. Saggi; Il Dio crocifisso. La croce di Cristo, fondamento e
critica della teologia cristiana; (a cura di), Le origini della teologia
dialettica. Parte I: Karl Barth, Heinrich Barth, Emil Brunner - Parte II:
Rudolf Bultmann, Friedrich Gogarten, Edward Thurneisen; La chiesa nella
forza dello spirito. Contributo per una ecclesiologia messianica; Futuro
della creazione; Trinita' e Regno di Dio. La dottrina su Dio; Dio nella
creazione. Dottrina ecologica della creazione; La via di Gesu' Cristo.
Cristologia in dimensioni messianiche; Nella storia del Dio trinitario.
Contributi per una teologia trinitaria; Lo Spirito della vita. Per una
pneumatologia integrale; L'Avvento di Dio. Escatologia cristiana; Dio nel
progetto del mondo moderno. Contributi per una rilevanza pubblica della
teologia; Esperienze di pensiero teologico. Vie e forme della teologia
cristiana; Scienza e sapienza. Scienza e teologia in dialogo; In dialogo con
Ernst Bloch; La giustizia crea futuro. Una politica ispirata alla pace e
un'etica fondata sulla creazione in un mondo minacciato; Che cos'e' oggi la
teologia? Due contributi sulla sua attualizzazione; Chi e' Cristo per noi
oggi?; La fonte della vita. Lo Spirito Santo e la teologia della vita; (a
cura di), Biografia e teologia. Itinerari di teologi; Nella fine - l'inizio.
Una picccola teologia della speranza; Dio viene e l'uomo acquista la
liberta'. Conversazioni e tesi; Chi e' l'uomo?; Esperienze di Dio.
Speranza - Angoscia - Mistica; Religione, rivoluzione e futuro; Sul gioco.
Saggi sulla gioia della liberta' e sul piacere del gioco; Il linguaggio
della liberazione. Prediche e meditazioni; L'esperimento speranza.
Introduzioni; Nuovo stile di vita. Piccoli passi verso la "comunita'"; Uomo.
L'antropologia cristiana tra i conflitti del presente; con Walter Kasper,
Hans-Georg Geyer, Hans Kueng, Sulla teologia della croce; con Hans Kueng (a
cura di), La Bibbia nel conflitto delle interpretazioni; con Johann Baptist
Metz, Storia della passione. Due meditazioni su Marco 8,31-38; con Wolfhart
Pannenberg, Karl Rahner, Johann Baptist Metz e altri, Dibattito sulla
"teologia politica"; con Karl Rahner, Anton Voegtle e altri, Il simbolo
apostolico; con Richard Shaull, Helmut Gollwitzer e altri, Dibattito sulla
"teologia della rivoluzione". Opere su Juergen Moltmann: Rosino Gibellini,
La teologia di Juergen Moltmann, Queriniana, Brescia 1975.
Dietrich Bonhoeffer, nato a Breslavia nel 1906, pastore e teologo, fu ucciso
dai nazisti il 9 aprile del 1945; non e' solo un eroe della Resistenza, e'
uno dei pensatori fondamentali del Novecento. Opere di Dietrich Bonhoeffer:
Resistenza e resa (lettere e scritti dal carcere), Paoline, Cinisello
Balsamo (Mi) 1988; Etica, Bompiani, Milano 1969; presso la Queriniana di
Brescia sono stati pubblicati molti degli scritti di Bonhoeffer (tra cui
ovviamente anche Sanctorum Communio, Atto ed essere, Sequela, La vita
comune). Opere su Dietrich Bonhoeffer: Eberhard Bethge, Dietrich Bonhoeffer,
amicizia e resistenza, Claudiana, Torino 1995; Italo Mancini, Bonhoeffer,
Morcelliana, Brescia 1995; AA. VV., Rileggere Bonhoeffer, "Hermeneutica"
1996, Morcelliana, Brescia 1996; Ruggieri (a cura di), Dietrich Bonhoeffer,
la fede concreta, Il Mulino, Bologna 1996]

Dietrich Bonhoeffer e' senza dubbio il teologo tedesco del XX secolo piu'
noto al mondo. Dalla Polonia alla Corea esistono associazioni intitolate a
Bonhoeffer, presso il Seminario dell'Unione Teologica di New York c'e' una
cattedra dedicata a lui, le sue opere sono costantemente ripubblicate in
Germania e tradotte in molte lingue. In cosa consiste l'affascinante segreto
che si cela dietro il nome di Bonhoeffer?
Le sue due opere piu' importanti, l'Etica e l'epistolario Resistenza e Resa,
furono pubblicate solo dopo la sua morte dalla mano dell'amico Eberhard
Bethge. A lui spetta il merito della profonda influenza mondiale del
pensiero di Bonhoeffer. Ricordo gli anni del dopoguerra, quando ancora non
sapevamo nulla di questi libri. Fino al 1950 Bonhoeffer era conosciuto solo
a Berlino, in alcuni circoli ecclesiali, come teologo della Chiesa
confessante, ucciso il 9 aprile del 1945.
Sequela fu pubblicato postumo dall'ente di sostegno ai prigionieri di guerra
e giunse cosi' nel mio campo di prigionia e nelle mie mani. Accolsi la
"grazia a caro prezzo", che Bonhoeffer li' aveva elaborato, principalmente
come una legge difficile da rispettare, in particolare per un prigioniero
privato della liberta'. La "vita in comune" mi stava troppo stretta: ne
avevo abbastanza di essere costretto alla vita in comune nelle caserme,
nelle trincee e nei campi di prigionia, cercavo piuttosto la solitudine e la
liberta' della vita privata.
Piu' tardi, invece, durante i miei studi a Goettingen, uscirono l'Etica, nel
1949, e Resistenza e Resa, nel 1951, e mi colpirono come bombe. Ero rapito,
entusiasta e mi sentivo liberato. Li leggevo a sera come un breviario, per
assorbire completamente dentro di me questi nuovi pensieri teologici.
Si tratta di "lettere e scritti dal carcere", compresi nel periodo dal 5
aprile 1943 all'8 ottobre 1944. Al fidato amico Bethge, Bonhoeffer rivela i
problemi e le idee che gli stanno a cuore. Chi li legge prende parte a una
teologia in divenire e dai suoi pensieri non conclusi viene stimolato a
pensare in prima persona. Nella Dogmatica ecclesiale di Barth tutto e' gia'
concluso e ben elaborato in piu' di 8.000 pagine di ampio respiro. In
Bultmann ritroviamo sempre lo stesso metodo: l'interpretazione esistenziale.
Bonhoeffer invece coinvolge i lettori delle sue lettere in un processo di
pensiero teologico aperto e fa percorrere ai propri pensieri un viaggio in
proprio.
*
E' un percorso unico nella teologia, non solo in quella contemporanea, e
costituisce la grandiosa forza d'attrazione e la duratura influenza di
Dietrich Bonhoeffer, che non ci ha lasciato ne' una dottrina ne' una
dogmatica, ma una teologia vissuta e in divenire. Bonhoeffer inizia a
leggere il Nuovo Testamento a partire dall'Antico e non viceversa, come
Barth e l'intera tradizione cristiana prima di lui: "Negli ultimi mesi ho
letto molto di piu' l'Antico Testamento che il Nuovo. Solo quando si
riconosce l'impronunciabilita' del nome di Dio si puo' anche pronunciare
finalmente il nome di Gesu' Cristo; solo quando si ama a tal punto la vita e
la terra, che sembra che con esse tutto sia perduto e finito, si puo'
credere alla resurrezione dei morti e ad un nuovo mondo; solo quando ci si
riconosce sottomessi alla Legge di Dio, si puo' finalmente parlare anche
della grazia...". "Noi viviamo nel penultimo e crediamo l'Ultimo", ma non si
puo' pronunciare l'ultima parola prima della penultima.
*
Quando leggevamo questi pensieri nel 1951, nella Germania del dopoguerra, ci
sentivamo liberati da piu' punti di vista: Karl Barth e la teologia della
Chiesa confessante ci ripetevano continuamente la dichiarazione teologica di
Barmen del 1934: Cristo e' il centro della Bibbia, il centro della Chiesa,
il centro della fede. Il mondo e' malvagio - ma nella fede sei protetto. Era
sicuramente anche giusto, ma dov'e' l'orizzonte, dov'e' la circonferenza,
dov'e' la periferia? Ogni centro si riferisce senz'altro a una
circonferenza, e se quest'ultima non si vede piu', il centro diventa un
punto senza relazioni, la fede cristiana diventa sterile e si occupa solo
piu' di se stessa.
Nella resistenza contro la dittatura nazista la riflessione teologica sul
centro della fede cristiana era del tutto giusta, ma dopo la fine della
guerra si aprivano nuove possibilita' nella storia che non si potevano
cogliere con una fede sterile.
Bonhoeffer ci condusse al di fuori di una devozione ecclesiale diventata
sterile e ci apri' le porte a un'autentica mondanita', ci condusse dalla
fede direttamente nella vita. La fedelta' alla terra e' il motivo teologico
per la sua nuova visione di un'"autentica mondanita'" della fede cristiana;
su questa terra fu issata la croce di Cristo, su questa terra avvenne la sua
resurrezione e questa stessa terra diventera' l'abitazione della giustizia
di Dio. Non c'e' salvezza per gli uomini senza la salvezza della terra,
quella nuova terra sulla quale abita la giustizia. Oggi facciamo politica
mondiale, ma abbiamo bisogno di una politica della terra; facciamo economia
mondiale, ma abbiamo bisogno di un'economia della terra; sviluppiamo il
dialogo tra le grandi religioni, ma abbiamo bisogno di una religione della
terra; "globalizziamo", parliamo di Internet, ma il globo e' questa
meravigliosa e fragile terra. Bonhoeffer non sapeva nulla della crisi
ecologica, ma la sua teologia della fedelta' alla terra e' una grandiosa
teologia ecologica: l'ecologia e' la dossologia della terra.

7. LIBRI. ADRIANA CHEMELLO PRESENTA "CONVERTIRSI ALLA NONVIOLENZA?" DI
AUTORI VARI
[Ringraziamo Adriana Chemello (per contatti: achemello at alice.it) per questa
recensione. Adriana Chemello, amica della nonviolenza, gia' redattrice di
"Azione nonviolenta", e' docente di letteratura italiana presso la Facolta'
di Lettere e filosofia dell'Universita' di Padova; negli ultimi anni si e'
occupata in particolare del genere epistolare, di quello biografico e della
letteratura pedagogico-popolare, con particolare attenzione al tema della
lettura e della raffigurazione letteraria del lettore e della lettrice; ha
pubblicato numerosi saggi in volumi miscellanei in Italia e all'estero e ha
curato, tra gli altri, il volume Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari
dai Greci al Novecento, Guerini 1998. Tra le sue opere segnaliamo
particolarmente La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (un finissimo
studio sull'opera poetica di Danilo Dolci); tra i suoi contributi piu'
recenti: Vittoria Aganoor, Lettere a Giacomo Zanella (1876-1888), Eidos
1996; Parole scolpite. Profili di scrittrici degli anni Novanta, Il
Poligrafo 1998; Filippo Sacchi e Silvio Negro scrittori-giornalisti
vicentini del Novecento, Marsilio 2001; e con L. Ricaldone, Geografie e
genealogie letterarie, Il Poligrafo 2000]

Un antico motto latino recita: habent sua fata libello. Ogni libro ha il suo
destino. Quello di cui ci stiamo occupando (AA. VV., Convertirsi alla
nonviolenza? Credenti e non credenti si interrogano su laicita' religione
nonviolenza, a cura di Matteo Soccio, Il Segno dei Gabrielli Editore, Verona
2003, pp. 180, euro 14) e' uscito in un momento favorevole in cui la
nonviolenza sembra essere tornata prepotentemente d'attualita', non solo per
le ben note contingenze internazionali legate all'escalation del terrorismo
e della guerra in Iraq, ma soprattutto perche' in questi mesi il dibattito
politico ha incrociato con una frequenza inconsueta le tematiche legate alla
nonviolenza e ai suoi metodi di lotta. Inoltre, per fare fronte con
serenita' ed "apertura" al fenomeno dell'espansione della cultura e della
religione islamica in Occidente, a seguito di nuovi e massicci flussi
migratori, e' necessario avviare un confronto e un dialogo aperto tra le
diverse religioni per evitare che gli inevitabili conflitti legati alla
difesa delle molteplici diversita' degeneri in uno "scontro di civilta'",
anziche' in un positivo e creativo "cambio di civilta'".
Il libro che presentiamo, Convertirsi alla nonviolenza?, segnala, fin dalla
titolazione, una apertura al dialogo, al confronto, allo scambio: il punto
interrogativo finale conferisce all'enunciato un valore non assertivo ma
interlocutorio, una apertura alla riflessione comune in un orizzonte il piu'
possibile laico. Non intende cioe' imporre una verita' unica ed
incontrovertibile, bensi' problematizzare i termini della questione. Chi si
interroga si apre alla possibilita' di ricevere la parola dell'altro / degli
altri, e' disponibile all'ascolto, ad accogliere riflessioni altrui e punti
di vista diversi dai suoi. Questo libro si interroga e nel contempo
interroga i suoi lettori, costringendoli a concedersi una pausa, una
sospensione del ritmo frenetico quotidiano per pensare in pace, per pensare
alla pace e alle strade per renderla possibile.
Il sottotitolo rende piu' chiari ed espliciti i temi affrontati: avviare una
riflessione e un confronto sui temi della laicita', della religione, della
nonviolenza tra credenti e non credenti, tra coloro che fondano la propria
scelta nonviolenta su una convinzione religiosa, cioe' su una scelta di
fede, e coloro che invece si affidano al principio etico e morale del "non
uccidere" (o non procurare sofferenza ad un proprio simile), ancorandolo ad
un pensiero razionale e filosofico, a quella "ragione" che dall'Illuminismo
in avanti chiama in causa direttamente l'uomo e la sua autonoma capacita' di
giudizio ("Abbi il coraggio di conoscere", secondo il celebre imperativo
kantiano).
*
Il volume comprende quattordici contributi ed e' il risultato di un
seminario di studio sul tema "Laicita' Religione Nonviolenza", tenutosi a
Perugia (Villa Umbra) l'11 giugno 2002. I partecipanti al seminario hanno
accettato di approfondire insieme il nesso tra fede religiosa, visione laica
del mondo e scelta nonviolenta. Gli interventi sono quindi diversificati e
ad una lettura superficiale potrebbero sembrare tra loro non omogenei. Di
fatto, nella diversita' risiede la loro ricchezza, la capacita' di
affrontare le questioni da prospettive diversificate ma convergenti. Nello
sforzo di farne una fotografia d'insieme capace di rendere presente il libro
a chi ancora non ha avuto la possibilita' di vederlo e di sfogliarlo, ho
accorpato gli interventi secondo quattro tipologie che ora illustrero'.
Ci sono coloro che prendono spunto dalle loro convinzioni filosofiche,
dall'autorevolezza di un pensiero riconosciuto e si sforzano di dare una
definizione oggettiva dei termini in questione, a partire dal concetto di
laicita' (vd. Mario Martini, Laicita' religione nonviolenza; Enrico
Peyretti, Dieci tesi su "religioni violenza nonviolenza").
Altri preferiscono invece partire dalla loro fede, dalla scelta
confessionale, dichiarando fin dall'inizio la loro parzialita' (vd. Luciano
Benini, L'opzione nonviolenta dei cristiani; Eugenio Rivoir, Possono le
religioni e le chiese allevare figli nonviolenti?; Liviano Bonati, Laicita'
e nonviolenza).
Alcuni partono dalla loro esperienza individuale e soggettiva, dal "chi sono
io", portando una testimonianza di vita, come fanno Adriano Moratto, Gloria
Gazzeri e Luciano Capitini. Interrogandosi sui "valori" che stanno alla base
di una scelta nonviolenta, Adriano Moratto risponde: "Per un non credente di
chiarato, la scelta della nonviolenza e' obbligata. Non ha chiese, ne'
dogmi, ne' verita' rivelate da difendere. Non ha guerre giuste o pretese
giustificate: e' una pecora in mezzo ai lupi. La propria coscienza, il
dubbio che deriva dalla consapevolezza dei propri limiti, pur nella ferma
certezza di cio' in cui crede, lo spingono al dialogo, al confronto. Non
puo' usare che metodi e mezzi conseguentemente nonviolenti. Per quanto
riguarda i valori sono, per me, gli stessi che ho scoperto leggendo i
racconti di Tolstoj in un libro regalatomi quando avevo otto anni. Sono
valori eterni nella loro elementare semplicita': rispetto, perdono,
solidarieta' e amore. 'Infantilmente', come qualcuno ci accusa, credo che se
la guerra debba finire con la pace tanto vale cercare l'accordo prima. Credo
che se mi serve qualcosa sia meglio chiederla invece di strapparla a chi poi
mi fara' resistenza e si ribellera'. Credo che se ho delle capacita',
maggiori o diverse da altri, non ne ho anche la proprieta' esclusiva:
preferisco poter felicemente fare il Gondrano della situazione nella
fattoria degli animali: 'stupido e' chi lo stupido fa'. Ognuno ha i suoi
talenti da far fruttare per il bene comune ed io non sono abbastanza avido e
presuntuoso da ritenermi erede esclusivo delle risorse che mi sono venute,
per chissa' quali strade, da una storia millenaria" (p. 167).
Ci sono infine gli interventi di coloro che analizzano alcune esperienze
storiche per meglio evidenziare, attraverso alcuni percorsi singolari,
l'efficacia della nonviolenza. Troviamo qui i saggi sulla Laicita' di Gandhi
(di Matteo Soccio), su Capitini e la religione (Ornella Faracovi), su Danilo
Dolci e la santita' laica (di Sandro Mazzi). Ognuna di queste figure,
Gandhi, Capitini, Dolci, ha praticato, a modo proprio, la nonviolenza, cioe'
l'ha messa in pratica. Noi, a distanza di anni da quegli esperimenti,
possiamo leggerne il disegno, vedere e valutare il risultato, possiamo
cogliere l'unita' dell'insieme e comprenderne l'efficacia: la liberazione
dell'India, la diffusione della nonviolenza in Italia, le lotte con i
disoccupati della Sicilia e la costruzione della diga sullo Jato, ecc.
*
Particolarmente interessante il saggio che Matteo Soccio, curatore del
volume, dedica a Laicita' di Gandhi nei suoi esperimenti con la verita'.
Gandhi e' un uomo di fede che fa della sua "ricerca della verita'" il punto
di forza per cambiare il mondo. Dal saggio emerge in particolare la
modernita' del pensiero e dell'agire di Gandhi: la sovrabbondanza in lui
dell'elemento religioso non offusca, anzi rende piu' visibile la sua
laicita'. Questo, scrive Soccio, "e' il paradosso di Gandhi: da una parte e'
piu' vicino al fervore dei santi, all'entusiasmo dei fondatori di religioni,
dall'altra parte, in massima liberta' e sincerita', e' vicino agli umili o
onesti cercatori di verita'. L'uomo Gandhi e' un essere pensante e credente
e, fino in fondo padrone di se'. Elementi di laicita' infatti non e'
difficile trovarli perche' i suoi punti di vista sono il risultato di una
continua ricerca personale". Gandhi, come tutti i veri religiosi, e' un uomo
capace di produrre sconcerto. Pensiamo alla sua lettera indirizzata ad Adolf
Hitler, a cui si rivolge con l'appellativo di "amico", invitandolo a
desistere da metodi cosi' violenti, perche' nessuno "potra' gloriarsi di
racconti di gesta crudeli". Sappiamo che quella lettera non raggiunse mai il
suo destinatario, tuttavia leggendola ora riusciamo a cogliere la rara
sapienza, la sottile intelligenza e la laicita' di colui che la scrisse,
senza demonizzare il suo avversario ("amico"), anzi distinguendo nettamente
tra "peccato" e "peccatore". Ma la modernita' di Gandhi affiora anche nei
suoi discorsi rivolti alle donne, che egli considera "la meta' migliore
dell'umanita'", perche' la donna ha "maggiore intuizione, maggiore capacita'
di sacrificio, maggiore forza di sopportazione, maggiore coraggio". "Senza
di lei - scrive Gandhi - l'uomo non potrebbe esistere. Se la nonviolenza e'
la legge della nostra esistenza, il futuro e' con la donna" (p. 71).
*
Un libro ricco di contributi tutti interessanti, che ha il coraggio di porre
molti interrogativi, senza arrivare a soluzioni definitive e definitorie ma
lasciando aperto il discorso per ulteriori approfondimenti. Un libro che
mostra diverse forme e modalita' per praticare la nonviolenza, da quella di
impronta umanitaria e laica a quella incardinata ad una confessione
religiosa.
A mio modo di vedere si potrebbe - in conclusione - affermare che la
nonviolenza e' "un'eredita' senza testamento": un'eredita' preziosa da
valorizzare, da capitalizzare, da far fruttare; senza testamento in quanto
non ci sono eredi legittimi e/o illegittimi. Tutti possono partecipare di
questa risorsa, tutti possono usufruirne, possono metterla in pratica,
agirla e naturalmente reinventarla e ri-crearla.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1227 del 7 marzo 2006

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