La domenica della nonviolenza. 56



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 56 del 15 gennaio 2006

In questo numero:
Franco Restaino: Il femminismo, avanguardia filosofica di fine secolo. Carla
Lonzi

RIFLESSIONE. FRANCO RESTAINO: IL FEMMINISMO, AVANGUARDIA FILOSOFICA DI FINE
SECOLO. CARLA LONZI
[Riproponiamo ancora una volta il seguente saggio di Franco Restaino, che
riprendiamo dalla rivista telematica "Per amore del mondo", n. 2 (nel sito
www.diotimafilosofe.it), precedentemente apparso nel volume Le avanguardie
filosofiche in Italia nel XX secolo, a cura di P. Di Giovanni, Franco
Angeli, Milano 2002, pp. 269-286.
Franco Restaino, nato ad Alghero (Sassari) nel 1938, docente universitario
prima a Cagliari e poi a Roma; "i suoi interessi di ricerca hanno riguardato
prevalentemente le filosofie inglese, scozzese, francese e statunitense
degli ultimi tre secoli. Ha intrapreso anche studi sull'estetica (avendola
insegnata per dieci anni) e negli ultimi anni ha ripreso ed esteso le sue
ricerche (iniziate negli anni Sessanta su Vailati) sull'area italiana,
occupandosi degli sviluppi del positivismo. Attualmente continua le sue
ricerche sulla recente filosofia inglese e statunitense, sui rapporti tra
filosofia di lingua inglese e filosofie europeo-continentali e sul pensiero
femminista". Tra le opere di Franco Restaino: La fortuna di Comte in Gran
Bretagna. I. Comte sansimoniano, in "Rivista critica di storia della
filosofia", XXIII, 1968, 2; II. Comte scienziato, ibidem, XXIII, 1968, 4;
III. Comte filosofo, ibidem, XXIV, 1969, 2; IV. Comte pontefice, ibidem,
XXIV, 1969, 4; J. S. Mill e la cultura filosofica britannica, La Nuova
Italia, Firenze 1968;Scetticismo e senso comune. La filosofia scozzese da
Hume a Reid, Laterza, Roma-Bari 1974; Note sul positivismo italiano
(1865-1908). Gli inizi (1865-1880), in "Giornale critico della filosofia
italiana", LXIV, 1985, 1; Il successo (1881-1891), ibidem, LXIV, 1985, 2; Il
declino (1892-1908), ibidem, LXIV, 1985, 3; David Hume, Editori Riuniti,
Roma 1986; Filosofia e postfilosofia in America. Rorty, Bernstein,
MacIntyre, Angeli, Milano 1990; Storia dell'estetica moderna, Utet, Torino
1991; Storia della filosofia, fondata da N. Abbagnano, in collaborazione con
G. Fornero e D. Antiseri, vol. IV, tomo II, La filosofia contemporanea,
Utet, Torino 1994, poi Tea, Milano 1996; "Esthetique et poetique au XVIIIe
siecle en Angleterre", in Histoire des Poetiques, a cura di J. Bessiere, E.
Kushner, R. Mortier, J. Weisberger, Presses Universitaires de France, Paris
1997; "La filosofia anglo-americana", in La filosofia della seconda meta'
del Novecento, a cura di G. Paganini, Piccin-Vallardi, Padova 1998; in
collaborazione con A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia
Scriptorium, Torino 1999; Storia della filosofia, 4 voll., Utet Libreria,
Torino 1999; La rivoluzione moderna. Vicende della cultura tra Otto e
Novecento, Salerno Editrice, Roma 2001.
Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze
nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo
di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di
Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi
parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978;
Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla
Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla
Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990]

La scelta di questo tema puo' apparire bizzarra o provocatoria; necessita
quindi di un chiarimento.
Il tema generale del convegno fa riferimento alle avanguardie della
filosofia italiana del Novecento. A parere di chi scrive, se si intende il
termine "avanguardia" nel suo significato corrente (un gruppo di persone che
propone tesi originali che danno luogo a una scuola, corrente o movimento
nel campo letterario, filosofico, artistico o altro), e' molto difficile
denominare col termine "avanguardia" una qualche scuola o corrente
filosofica del Novecento italiano (1). Pensiamo alle figure e scuole
emergenti via via lungo il secolo e alle denominazioni con le quali si suole
designarle: pragmatismo (nelle versioni Papini-Prezzolini e
Vailati-Calderoni), neoidealismo (nelle versioni crociana e gentiliana),
spiritualismo, marxismo, esistenzialismo, ermeneutica, storicismo, filosofia
analitica, tutte con poche o molte articolazioni interne.
Si tratta veramente di avanguardie che propongono qualcosa di originale
rispetto a quanto veniva teorizzato e praticato in altre scuole o correnti
della stessa denominazione in altre aree della cultura filosofica? O non si
tratta invece di una "importazione" o di una "reviviscenza" di posizioni
teoriche gia' presenti (talvolta nella stessa cultura filosofica italiana),
anche se in forme diverse, nella cultura filosofica internazionale?
Personalmente sono del parere che si debba rispondere positivamente alla
seconda delle due domande appena formulate.
Questa posizione potra' apparire riduttiva e addirittura lesiva del "buon
nome" della nostra cultura filosofica, ma solo a chi "misura" i contributi
teorici di essa alla produzione filosofica mondiale con occhi o pregiudizi
"nazionalistici". E' sufficiente dare uno sguardo alle storie della
filosofia, ai dizionari, ai "panorami" e alle enciclopedie della stessa
disciplina, apparsi negli ultimi anni e decenni nelle aree culturali che
hanno segnato piu' incisivamente la produzione teorica originale degli
ultimi due secoli (Germania, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti d'America),
per riscontrarvi la scarsa o nulla presenza di autori italiani (2). Una
sospetta convergenza antiitaliana? Crediamo di no. E' una realistica
constatazione e presa d'atto del fatto che il ricco e variegatissimo
dibattito filosofico del nostro Novecento (e di gran parte dell'Ottocento)
non e' sfociato in grandi elaborazioni teoriche riconoscibili o riconosciute
come tali nel mondo filosofico internazionale.
Non e' sfociato, si puo' aggiungere, neppure in opere divenute "classiche",
alle quali cioe' si ritorni in maniera ricorrente al di la' della cerchia
ristretta degli storici specialisti o dei laureandi impegnati nella
ricostruzione dei "dettagli" delle vicende della cultura filosofica italiana
contemporanea. Si pensi, per esempio, alla circolazione delle opere dei
"capiscuola" della filosofia italiana dell'ultimo secolo e del precedente.
Quali e quante di queste opere sono attualmente in circolazione, nei
cataloghi dei "libri in commercio"? Credo che sarebbe difficile farne un
elenco, anche breve. E' piu' facile, semmai, trovare in circolazione opere
di autori che hanno operato al di fuori delle principali correnti
filosofiche italiane del secolo e che vengono "lanciati" con una certa
fortuna da qualche editore prestigioso (si pensi a un Michelstaedter, a un
Rensi); autori che comunque non hanno lasciato tracce consistenti nel
dibattito filosofico contemporaneo.
L'Italia del Novecento non ha dunque avuto nessuna avanguardia filosofica?
Credo che si debba riconoscere, senza recriminazioni o irritazioni, che le
cose sono andate proprio cosi', almeno per quel che riguarda la produzione
dei filosofi maschi.
*
Secondo chi scrive, infatti, l'unica eccezione riguarda il pensiero di
orientamento femminista prodotto nel nostro paese, contemporaneamente al e
non in dipendenza dal pensiero femminista di area statunitense, inglese e
francese, dagli anni Settanta a oggi.
In questo caso si e' trattato, e si tratta, di una vera e propria
avanguardia filosofica che in consonanza con altre avanguardie di
orientamento affine in altre aree della cultura internazionale ha prodotto e
continua a produrre significative e originali elaborazioni teoriche; le
quali sono risultate riconoscibili e vengono riconosciute in quel ricco e
variegato mondo del pensiero delle filosofe anche se non ancora (o almeno
non nella misura dovuta) in quello del pensiero dei filosofi.
Che cosa e' stato e che cosa e' il pensiero femminista italiano, formatosi
in maniera originale negli stessi anni nei quali si e' andato formando
quello statunitense, inglese, francese? Esistono ormai testi riccamente
documentati in questo settore di studi, e ad alcuni di essi rimandiamo in
nota (3). Richiamiamo qui soltanto alcuni suoi caratteri qualificanti ed
elementi di informazione con riferimento anche al pensiero femminista non
italiano.
Il pensiero femminista italiano e' nato all'interno del movimento
femminista, formatosi nella seconda meta' degli anni Sessanta, come nei piu'
avanzati paesi del mondo occidentale, in seguito al distacco rapido e
crescente di gruppi di giovani militanti (prevalentemente studentesse
universitarie) dai partiti e movimenti di sinistra (parlamentare ed
extraparlamentare) accusati di "maschilismo" sia nella teoria sia nella
pratica.
Il distacco di tali gruppi di giovani militanti ha portato come conseguenza,
in Italia e negli altri paesi sopra nominati (Usa, Gran Bretagna, Francia),
la formazione di un numero consistente di esperienze militanti locali che
rifiutano la centralizzazione (tipica dei partiti e movimenti "maschilisti")
e praticano invece l'elaborazione di tecniche di discussione e di
elaborazione teorica (gruppi di autocoscienza) e pratico-politica
alternative, "femministe" appunto.
Il decentramento dell'attivita' teorica e politica non ha impedito affatto
la ricerca e l'individuazione di obiettivi comuni di lotta e rivendicazione
politica e legislativa: parita' di trattamento economico con i maschi, pari
opportunita', divorzio, aborto, consultori, asili d'infanzia e altri ancora
hanno contrassegnato per una quindicina d'anni la lotta femminista in tutto
il mondo occidentale. Tali obiettivi integravano quelli tradizionali,
risalenti al primo femminismo internazionale (dalla meta' dell'Ottocento al
1920 circa), relativi alla rivendicazione della uguaglianza giuridica
rispetto ai cittadini maschi sulle questioni del diritto al voto,
dell'accesso all'istruzione di livello superiore e universitario,
dell'accesso alle libere professioni e altri ancora.
La crescita politica, organizzativa (sempre decentrata, col rifiuto del
concetto di "capi" del movimento) e teorica negli anni intorno al 1970 ha
portato al privilegiamento di tematiche radicalmente nuove rispetto a quelle
del primo femminismo che puntava alla uguaglianza dei diritti e delle
condizioni di trattamento economico delle donne rispetto a quelli
riconosciuti ai maschi. Nasce allora quello che viene definito comunemente
femminismo "radicale", il cui intento di fondo, nei diversi paesi in cui si
forma contemporaneamente, anche se con accenti teorici differenziati, e'
quello appunto di andare "alla radice" delle cause che hanno reso la donna,
storicamente e non "naturalmente", inferiore all'uomo (4). Radice che non e'
soltanto, come riteneva il primo femminismo, giuridica ed economica.
La sfera della sessualita' viene riconosciuta e individuata, intorno al 1970
in tutti i movimenti femministi occidentali, come quella nella quale sta la
"radice" della inferiorita' imposta alla donna dal dominio dell'uomo,
dominio chiamato pressoche' da tutte le femministe "patriarcalismo". Non
l'appartenenza di classe, o quella di razza, che pure costituiscono nel
passato e nel presente cause importanti della inferiorita' delle donne, ma
essenzialmente la sfera della sessualita', con la proiezione della
differenza di "sesso" (anatomica, fisica) nella differenza di "genere"
(cioe' di ruolo sociale, familiare), costituisce per il nuovo femminismo
degli anni Sessanta-Settanta la vera "radice" di quella inferiorita'.
Il nuovo femminismo (nuovo rispetto a quello entrato in crisi e "in sonno"
dopo il 1920), o anche, come viene chiamato comunemente, il femminismo della
"seconda ondata" (la prima ondata e' quella esauritasi nel 1920), concentra
quindi nella sessualita' (tematica considera "tabu'" nel primo femminismo,
con alcune isolate eccezioni nel primo Novecento nel campo anarchico e
socialista, si pensi a Emma Goldmann) le sue riflessioni, analisi,
elaborazioni teoriche, dalle quali emergeranno anche le rivendicazioni
pratiche, politiche, legislative. In meno di dieci anni la produzione
teorica del femminismo radicale sviscera in tutti i suoi aspetti e
conseguenze la tematica della sessualita' non in maniera monolitica ma con
ricche articolazioni interne e accenti differenziati, e talvolta
conflittuali, su temi specifici quali la maternita', l'omosessualita', la
famiglia, la razza.
L'articolazione e la differenziazione interne al femminismo radicale,
caratterizzato inizialmente dall'appartenenza delle militanti alla classe
media (prevalentemente studentesse universitarie, status che in alcuni paesi
e' immediatamente segno di privilegio sociale), alla razza bianca e alla
pratica eterosessuale, aumentano rapidamente - soprattutto negli Stati Uniti
e in Gran Bretagna, paesi di forte presenza multietnica e di pronunciata
divisione classista - con l'emergenza di gruppi di giovani femministe
portatrici di condizioni diverse (di razza, di classe, di pratica sessuale)
(5).
*
Il femminismo italiano si e' formato e sviluppato, contestualmente a quello
internazionale, affrontando negli stessi anni buona parte degli stessi
problemi (per ragioni ovvie e' mancata una elaborazione relativa alle
questioni della razza, in un paese nel quale la presenza multietnica si
sarebbe realizzata soprattutto negli anni Ottanta e Novanta).
Si deve precisare pero' che nel femminismo italiano, negli anni della fase
"radicale", hanno prevalso (con l'eccezione di Carla Lonzi, su cui ci
soffermeremo) discussioni ed elaborazioni teoriche relative a tematiche e
rivendicazioni di carattere politico generale (divorzio, aborto, consultori,
parita' di trattamento economico) per le quali l'area italiana era un po' in
ritardo rispetto ai paesi piu' avanzati quali gli Stati Uniti, la Gran
Bretagna e la Francia. Soltanto negli anni Ottanta, con l'affermarsi di
alcune riviste a circolazione nazionale ("DWF", "Sottosopra", "Memoria"), di
alcuni centri di elaborazione divenuti punti di riferimento per un dibattito
teorico nazionale (Libreria delle donne di Milano, gruppo Diotima di Verona)
e soprattutto in seguito all'influenza decisiva (oltre che alla frequente
presenza personale nel caso di Luce Irigaray) delle idee provenienti in
particolare dalla Francia (la stessa Irigaray, J. Kristeva, H. Cixous) e in
generale dall'area anglosassone, il femminismo italiano ha affrontato nella
maniera piu' matura gli stessi temi che negli stessi anni e nei seguenti
avrebbero caratterizzato gli sviluppi piu' originali della produzione
teorica femminista, o "postfemminista". Possiamo citare qui le teoriche
femministe italiane piu' internazionalmente conosciute negli ultimi quindici
anni: da L. Muraro ad A. Cavarero, da T. De Lauretis a R. Braidotti (queste
ultime operano da decenni quasi esclusivamente fuori d'Italia).
A fianco ad esse opera un numero consistente di pensatrici che da una parte
tengono vivo il dibattito teorico interno al femminismo e dall'altra
contribuiscono ad estendere le tematiche di ricerca e di riflessione,
storico-filosofica oltre che teoretica, anche in ambito universitario. Per
quanto infatti non esistano in Italia i dipartimenti dedicati agli Women's
Studies e ai Cultural Studies, che in area soprattutto anglosassone ospitano
numerose ricercatrici di orientamento femminista, sono sempre piu' numerose,
giovani e meno giovani, le ricercatrici impegnate nel lavoro filosofico di
orientamento femminista. Il volume citato in una nota, quello degli indici e
degli abstracts dei venticinque anni di vita della rivista "DWF", pubblicato
nel 2001, puo' costituire una base iniziale di informazione sulla varieta' e
ricchezza di ricerche e riflessioni nell'ambito degli sviluppi piu' recenti
del pensiero femminista italiano.
*
Nel quadro di questo itinerario del femminismo italiano, qui sommariamente
ricordato, spicca, nella fase iniziale del movimento, la figura di Carla
Lonzi, la prima femminista "teorica" della fase "radicale" del femminismo
italiano, la prima lucida e ostinata sostenitrice della tesi della
"differenza sessuale" quale rivendicazione alternativa a quella della
uguaglianza fra donne e uomini.
Carla Lonzi (1931-1982) e' stata, fin dall'inizio del 1970, la principale
animatrice del gruppo femminista romano formatosi in quell'anno e
autodenominatosi "Rivolta Femminile". Nel ricco panorama di gruppi
femministi di quegli anni Rivolta Femminile si caratterizzava per un
distacco aperto dalle rivendicazioni e dalle lotte politiche e per un
altrettanto aperto privilegiamento del lavoro di elaborazione teorica. Carla
Lonzi non era, allora, della generazione piu' giovane della militanza
femminista, aveva dietro di se' un'attivita' di studiosa affermata nel campo
della critica d'arte, e il suo impegno teorico nella militanza femminista
costitui' una svolta importante nella sua vita, i cui problemi esistenziali
lei stessa mise a nudo nella produzione diaristica e filtro' in quella
poetica (6).
I suoi scritti teorici di rivendicazione femminista sono relativamente
pochi, risalgono agli anni 1970-1972 e sono contenuti nel volume dal titolo
Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, pubblicato dalla
casa editrice del gruppo, Rivolta Femminile, Milano 1974. Il titolo del
libro fa riferimento ai due saggi piu' noti e piu' organici dell'autrice,
rispettivamente del 1970 e del 1971. Esso contiene anche il Manifesto di
Rivolta Femminile con il quale il gruppo si fece conoscere affiggendolo in
molte parti di Roma nel luglio del 1970 e altri brevi scritti fra i quali
uno sull'aborto e uno sul significato dell'autocoscienza nei gruppi
femministi.
Il Manifesto di Rivolta Femminile contiene in nuce i motivi di fondo del
pensiero di Carla Lonzi, che potrebbe riassumersi con la frase "per la
differenza, contro l'uguaglianza", ovviamente da chiarire e precisare, come
faremo in questo scritto, seguendo e analizzando i testi dell'autrice. Il
suo pensiero si articola quindi, come vedremo subito: in una critica
radicale del sistema di dominio patriarcale, di cui individua e critica
fortemente i pilastri ideologici nel passato e nel presente; in una critica
radicale del matrimonio e della eterosessualita', pratiche entrambe imposte
da quel dominio; in una rivendicazione della differenza irriducibile della
donna e di pratiche sessuali assolutamente libere, "polimorfe" come dira'
con riferimento anche alla sessualita' infantile e adolescenziale; in una
teorizzazione infine della esistenza di due categorie di donna: quella
clitoridea (libera dalle imposizioni eterosessuali maschili e patriarcali,
disponibile ad una libera sessualita' polimorfa) e quella vaginale (soggetta
alle pratiche eterosessuali imposte dal dominio patriarcale e miranti al
solo piacere maschile); in un invito infine alle donne a liberarsi
dall'istituzione del matrimonio, dalla soggezione alle pratiche
eterosessuali vaginali, e a intraprendere la via clitoridea della libera
sessualita' polimorfa che cerca e trova il piacere femminile nella liberta'
dal dominio patriarcale.
Il pensiero di Carla Lonzi, che solo molti anni dopo sarebbe stato valutato
nella sua importanza teorica dal femminismo italiano, costituisce un momento
di effettiva "avanguardia" rispetto alla cultura filosofica dominante e
anche allo stesso femminismo italiano nella sua fase iniziale. Esso affronta
in maniera nuova, e propone in maniera nuova, i problemi centrali del
femminismo radicale, formulando teorizzazioni per molti aspetti simili a
quelle che le piu' avanzate teoriche femministe andavano formulando in area
anglosassone e francese. Su questo punto e' sufficiente controllare le date
dei principali contributi teorici di quelle aree, per i quali rinvio alla
raccolta recentissima curata da Barbara A. Crow, Radical Feminism, gia'
citata in nota.
*
Prima di esaminare e documentare il pensiero di Carla Lonzi nei suoi temi
piu' significativi ritengo utile riportare alcune frasi incisive e "forti"
dal Manifesto del luglio del 1970 che preannuncia, come si diceva, i motivi
di fondo del suo pensiero, in uno stile non argomentativo ma con
affermazioni brevi, lapidarie, spesso felicissime. Su differenza e
uguaglianza: "La donna e' l'altro rispetto all'uomo. L'uomo e' l'altro
rispetto alla donna. L'uguaglianza e' un tentativo ideologico per asservire
la donna a piu' alti livelli. Identificare la donna all'uomo significa
annullare l'ultima via di liberazione" (7). Su matrimonio e famiglia:
"Verginita', castita', fedelta', non sono virtu'; ma vincoli per costruire e
mantenere la famiglia. L'onore ne e' la conseguente codificazione
repressiva"; e piu' avanti: "Riconosciamo nel matrimonio l'istituzione che
ha subordinato la donna al destino maschile. Siamo contro il matrimonio"
(pp. 12-13; per comodita', d'ora in avanti citeremo direttamente e non in
nota le pagine del volume in cui si trovano i passi riportati o cui si fa
riferimento). Sull'origine antica e sulla permanenza del dominio
patriarcale: "Abbiamo guardato per 4000 anni: adesso abbiamo visto!" (p. 16,
una delle frasi "fulminanti" piu' felici); e ancora: "Alle nostre spalle sta
l'apoteosi della millenaria supremazia maschile. Le religioni
istituzionalizzate ne sono state il piu' fermo piedistallo", con la
precisazione poco piu' avanti: "La civilta' ci ha definite inferiori, la
Chiesa ci ha chiamate sesso, la psicanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha
vendute alla rivoluzione ipotetica" (p. 16, anche questa una delle frasi
piu' felici). Sulla responsabilita' dei filosofi nel teorizzare e perpetuare
ideologicamente il dominio patriarcale: "Della grande umiliazione che il
mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici
del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere
aggiuntivo per la riproduzione della umanita', legame con la divinita' o
soglia del mondo animale; sfera privata e pietas. Hanno giustificato nella
metafisica cio' che era ingiusto e atroce nella vita della donna"; e ad
esemplificazione di tale tesi generale, i bersagli sono Hegel e Marx:
"Sputiamo su Hegel. La dialettica servo-padrone e' una regolazione di conti
fra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il
grande oppresso della civilta' patriarcale. La lotta di classe, come teoria
rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude
la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del
proletariato" (p. 17) (8).
I brani riportati non hanno bisogno di commento. Non sono i documenti di uno
"sfogo" personale ma costituiscono i "titoli" dei temi di fondo della
riflessione dell'autrice, che ora seguiremo in maniera piu' dettagliata.
*
La cornice generale nella quale trovano spazio e sviluppo i temi piu'
significativi della riflessione di Carla Lonzi e' costituita, come si e'
visto, dalla coppia uguaglianza-differenza e dal rifiuto, in questa coppia
concettuale, del primo termine di essa. L'uguaglianza, abbiamo accennato,
era stato l'obiettivo di fondo del primo femminismo (quello, per intendersi,
delle "suffragette"): il movimento delle donne aveva fatto propri, aveva
preso sul serio, i principi che le teorie liberali, democratiche, socialiste
e comuniste, tutte proposte da pensatori maschi, avevano avanzato nell'eta'
moderna e contemporanea, e aveva chiesto al potere politico, sociale,
economico e culturale dei maschi di essere "coerente" con quei principi e di
metter fine alla discriminazione nei confronti delle donne in tutti i
settori e gli aspetti della vita dello stato. Nelle societa' capitalistiche
piu' avanzate, e in quelle richiamantisi al socialismo e al comunismo, nel
secolo appena concluso, la legislazione statale aveva risposto positivamente
a tali richieste, anche se spesso fra la legislazione formale e le pratiche
di fatto la distanza era grande e la discriminazione nei confronti delle
donne persisteva e persiste.
Con la ripresa del movimento delle donne negli anni Sessanta, in una parte
di esso continua forte la richiesta di uguaglianza giuridica, politica,
economica, non soddisfatta completamente dalla legislazione fino ad allora
"conquistata"; nella parte piu' giovane e piu' politicamente avanzata di
quel movimento l'obiettivo dell'uguaglianza viene invece messo ai margini o
respinto e si cerca semmai una risposta al perche' del sussistere della
differenza e della discriminazione nei confronti delle donne nonostante
molta parte della legislazione le neghi. E' il femminismo radicale: quello
che diventera' in tempi brevissimi maggioritario e tentera' di andare
appunto "alle radici" del problema relativo al sussistere delle
discriminazioni che rendono la condizione della donna inferiore a quella
dell'uomo. Le radici vengono subito individuate non nelle cause politiche,
legislative, economiche, culturali (cause non negate ma considerate
secondarie) ma in quelle legate alla sfera della sessualita': al dominio
sessuale dell'uomo sulla donna nelle forme molteplici assunte nel corso
della lunga storia di esso.
Carla Lonzi e' la prima femminista, in Italia, a collocarsi in maniera
originale sul piano teorico in questa nuova fase radicale del femminismo.
Nel suo pensiero la critica molto forte delle ideologie (religiose,
filosofiche, politiche, psicanalitiche) non e' mai separata dalla tesi di
fondo secondo la quale "dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia
dei sessi" (p. 14). Alla luce di questa tesi di fondo nell'importante saggio
Sputiamo su Hegel l'obiettivo dell'uguaglianza, non a caso proposto
inizialmente dai pensatori maschi nelle loro varie ideologie sotto il tema
dell'universalismo dei diritti, appare alla Lonzi o secondario o addirittura
fuorviante rispetto all'obiettivo primario che deve muovere dalla
differenza. Secondario, perche' l'oppressione della donna "non si risolve
nell'uguaglianza, ma prosegue nell'uguaglianza. Non si risolve nella
rivoluzione, ma prosegue nella rivoluzioneî"(p. 20). Fuorviante perche' "per
uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla
gestione del potere nella societa' mediante il riconoscimento che essa
possiede capacita' uguali a quelle dell'uomo. Ma il chiarimento che
l'esperienza femminile piu' genuina di questi anni ha portato sta in un
processo di svalutazione globale del mondo maschile. Ci siamo accorte che,
sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacita', ma una
particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non
implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del
concetto di potere" (ivi).
Carla Lonzi propone quindi, in maniera ricorrente, di andare al di la' del
fuorviante obiettivo dell'uguaglianza e di muovere dal concetto e dal fatto
della differenza non per piangerci su' e rammaricarsene (come una parte del
femminismo radicale avrebbe fatto agli inizi) ma per ricavarne obiettivi di
rivendicazione e di lotta non solo piu' avanzati ma genuinamente
"femministi". Líuguaglianza, sottolinea infatti, "e' un principio giuridico:
il denominatore comune presente in ogni essere umano a cui va reso
giustizia. La differenza e' un principio esistenziale che riguarda i modi
dell'essere umano, la peculiarita' delle sue esperienze, delle sue
finalita', delle sue aperture, del suo senso dell'esistenza in una
situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra donna e uomo
e' la differenza di base dell'umanita'" (pp. 20-21, corsivi nostri). E
ancora, con accenti piu' forti: "La differenza della donna sono millenni di
assenza dalla storia. (...) Non possiamo cedere ad altri la funzione di
sommuovere l'ordinamento della struttura patriarcale. L'uguaglianza e'
quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti. E quanto
si impone sul piano della cultura. E' il principio in base al quale
l'egemone continua a condizionare il non-egemone. (...) L'uguaglianza tra i
sessi e' la veste in cui si maschera oggi l'inferiorita' della donna" (p.
21).
*
Il saggio Sputiamo su Hegel che stiamo esaminando (anch'esso, come il
Manifesto di Rivolta Femminile, dell'estate 1970) e' dedicato in buona parte
ad un'analisi critica delle tesi di Hegel, Marx, Freud sulla condizione
della donna e sul suo ruolo nella societa', presente e futura, oltre che ad
una rapida ricostruzione del dibattito tra Lenin e le comuniste femministe
russe (in particolare Clara Zetkin) criticate da Lenin perche' proponevano
obiettivi sbagliati e fuorvianti rispetto a quelli indicati da lui e dal
gruppo dirigente del partito comunista. Si tratta di pagine importanti sul
piano della discussione teorica e della precisazione delle tesi della Lonzi,
ma l'analisi di esse non e' possibile in questa sede. Ci limitiamo pertanto
a riferirne alcuni passi o conclusioni, teoricamente significativi.
La Lonzi individua una continuita' fra le riflessioni hegeliane sulla
dialettica servo-padrone e quelle marxiane sulla lotta di classe: in
entrambe il concetto e il ruolo della donna appaiono emarginati rispetto ad
una teoria complessiva che non nasconde affatto i suoi caratteri
essenzialmente maschilisti.
Su Hegel, per esempio, scrive: "Nel principio femminile [il riferimento e'
qui alla nota trattazione hegeliana del ruolo della donna, nella
Fenomenologia dello Spirito] Hegel ripone l'apriori di una passivita' nella
quale si annullano le prove del dominio maschile. L'autorita' patriarcale ha
tenuto soggetta la donna e l'unico valore che le viene riconosciuto e'
quello di esservisi adeguata come a una propria natura" (p. 25). E ancora,
dopo analisi acute e profonde su alcuni momenti della Fenomenologia dello
Spirito e sul suo significato piu' generale (e qui appare evidente
l'accettazione dell'interpretazione di tale testo fornita da A. Kojeve),
Carla Lonzi afferma: "Nella concezione hegeliana il Lavoro e la Lotta sono
le azioni da cui parte il mondo umano come storia maschile. Lo studio dei
popoli primitivi offre invece la constatazione che il lavoro e' una
attribuzione femminile mentre la guerra e' il mestiere specifico del
maschio. (...) La specie dell'uomo si e' espressa uccidendo, la specie della
donna si e' espressa lavorando e proteggendo la vita" (pp. 50-51). In
quest'ultima affermazione, precisata e arricchita da altre, appare una forte
anticipazione teorica rispetto al valore "positivo" della differenza
rappresentata dal ruolo storico della donna rispetto a quello negativo
(guerre, stermini) rappresentato dall'uomo: temi che una parte consistente
del femminismo a livello internazionale avrebbe approfondito alcuni anni
dopo, anche se un primo preannuncio c'era stato, senza pero' essere stato
ripreso e sviluppato, nello scritto di Virginia Woolf del 1938, Le tre
ghinee.
Su Marx, che secondo la Lonzi prosegue le riflessioni hegeliane trasferendo
la tematica della dialettica servo-padrone in quella della lotta di classe,
le critiche non sono meno incisive e forti. Ridurre l'oppressione della
donna a quella piu' generale delle classi oppresse (ultima, il proletariato)
e' sbagliato sul piano storico, teorico e politico: "La donna e' oppressa in
quanto donna, a tutti i livelli sociali: non al livello di classe, ma di
sesso. Questa lacuna del marxismo non e' casuale, ne' sarebbe colmabile
ampliando il concetto di classe in modo da far posto alla massa femminile,
alla nuova classe. Perche' non si e' visto il rapporto della donna con la
produzione mediante la sua attivita' di ricostituzione delle forze-lavoro
nella famiglia? Perche' non si e' visto nel suo sfruttamento all'interno
della famiglia una funzione essenziale al sistema dell'accumulo di capitale?
Affidando il futuro rivoluzionario alla classe operaia il marxismo ha
ignorato la donna e come oppressa e come portatrice di futuro; ha espresso
una teoria rivoluzionaria dalla matrice di una cultura patriarcale" (p. 24).
Carla Lonzi procede ad una ricostruzione fortemente critica dell'analisi
della donna nei testi piu' significativi di Marx e di Engels in cui viene
affrontata tale tematica, per continuarla in relazione a Lenin e al
socialismo sovietico (in particolare nelle pp. 30 e segg.), sostenendo che
"la ripresa della liberazione della donna non avviene oggi nei paesi
socialisti, dove la struttura sociale ha assunto rigori da alto medioevo
mediante l'imposizione dei miti patriarcali riabilitati dalla rivoluzione,
ma all'interno degli stati borghesi nei quali il crollo dei valori puo'
compiersi soltanto attraverso l'intervento femminista. Esso infatti si
compie come crollo della concezione e della realta' patriarcali, nel quale
esito viene a manifestarsi la corrosione non solo della borghesia, ma di un
tipo di civilta' maschile" (pp. 33-34).
Il filone di pensiero hegelo-marxista, e le teorizzazioni e pratiche dei
regimi socialisti (oltre che il pensiero di Freud, al quale la Lonzi muove
critiche molto forti) hanno infatti lasciato intatto il pilastro principale
del dominio patriarcale, la famiglia. Cio' appare particolarmente grave
nella pratica dei sistemi sedicenti socialisti che hanno negato le
prospettive avanzate nel 1884 da Engels nel suo noto libro L'origine della
famiglia, della proprieta' privata e dello stato, particolarmente apprezzato
in ambito femminista in quanto prospettava la dissoluzione dei ruoli
nell'ambito della famiglia con l'avvento della rivoluzione socialista e con
la presa del potere da parte del proletariato. Contrariamente alle promesse
e alle aspettative sul piano teorico, "la dittatura del proletariato ha
dimostrato a sufficienza di non essere portatrice della dissoluzione dei
ruoli sociali: essa ha mantenuto e consolidato la famiglia quale centro in
cui si ripete la struttura umana incompatibile con qualsiasi mutamento
sostanziale dei valori. La rivoluzione comunista e' avvenuta su basi
politico-culturali maschili, sulla repressione e la strumentalizzazione del
femminismo, e deve adesso far fronte a quella rivolta contro i valori
maschili che la donna vuole portare fino in fondo, oltre la dialettica delle
classi interne al sistema patriarcale" (p. 34).
*
Il tema della famiglia e' ricorrente nei testi di Carla Lonzi ed e' legato a
quello del dominio sessuale maschile, a quello del lavoro domestico svolto
gratuitamente oltre il lavoro fuori casa, a quello della maternita', a
quello della critica molto forte alle teorie e analisi di Freud.
Abbiamo gia' citato, all'inizio dell'esame del pensiero della Lonzi, alcune
frasi radicalmente negative sulla famiglia e sull'istituzione matrimonio
"che ha subordinato la donna al destino maschile" (p. 12). Carla Lonzi
afferma piu' volte il rifiuto del matrimonio come istituzione, e della
famiglia come luogo della schiavitu' della donna: "La donna e' sottoposta
tutta la vita alla dipendenza economica prima della famiglia del padre, poi
di quella del marito. Ma la sua liberazione non consiste nel raggiungere
l'indipendenza economica, ma nel demolire quella istituzione che l'ha resa
piu' schiava e schiava piu' a lungo degli schiavi" (p. 45). La Lonzi vede
anche nel pensiero di Freud una persistenza dell'ideologia patriarcale che
confina la donna nell'ambito della famiglia con le motivazione le piu' varie
ma tutte convergenti nella volonta' di mantenerla soggetta non solo ai
poteri ma anche ai desideri e al piacere dell'uomo (da qui la tematica, come
vedremo piu' avanti, della donna vaginale - matrimonio, eterosessualita',
dominio e piacere maschili - e della donna clitoridea - liberta' sessuale e
piacere della donna). Anche la tesi del complesso di Edipo viene considerata
e criticata in questo ambito di affermazioni e valutazioni: "La famiglia e'
l'istituzione in cui si sono espressi i tabu' di cui l'uomo adulto ha sempre
circondato i rapporti liberi tra la donna adulta e il giovane. La
psicanalisi ha riproposto questa situazione nei termini di tragedia
[complesso di Edipo] che le aveva decretato l'antichita'. La tragedia e' una
proiezione maschile perche' nel momento in cui l'uomo e' spinto dai suoi
cicli di vita verso nuovi oggetti sessuali, non sopporta che la donna
manifesti una sua conformazione dei desideri e che qualche ripercussione si
verifichi nell'ambito dei suoi possessi. (...) Dietro il complesso di Edipo
non c'e' il tabu' dell'incesto, ma lo sfruttamento di questo tabu' da parte
del padre a sua salvaguardia" (pp. 41-42). Sono brani molto profondi,
seguiti da altri, che per ragioni di spazio non possiamo riportare e
analizzare, nei quali la tematica della famiglia, del dominio sessuale
maschile, della imposizione di un solo partner sessuale (il marito) alla
donna, privata del piacere dalla imposizione di una sola pratica sessuale
(la penetrazione vaginale), della maternita' (una frase a p. 40 e' molto
significativa in proposito: "non e' il figlio che ci ha fatto schiave, ma il
padre"), viene sviluppata in maniera originale e con forti motivazioni
teoriche oltre che di esperienza reale.
*
Con queste ultime tematiche entriamo in quello che costituisce lo sviluppo
piu' significativo e innovativo del pensiero di Carla Lonzi, preparato da
alcuni brevi scritti e attuato nel saggio piu' lungo e organico dal titolo
La donna clitoridea e la donna vaginale, del 1971. In questi ultimi scritti
teorici l'autrice prende di petto le questioni centrali relative alla
sessualita': dalla maternita' all'aborto, dalla critica
dell'eterosessualita' "vaginale" imposta dal dominio patriarcale come unica
e "naturale" pratica sessuale alla rivendicazione di una sessualita' libera
e polimorfa come pratica di autonomia femminile e di liberazione da quel
dominio.
Le tesi di fondo di questo aspetto centrale e radicale del pensiero di Carla
Lonzi compaiono in forma piu' breve nello scritto Sessualita' femminile e
aborto, e in forma piu' lunga e piu' riccamente argomentata nel saggio La
donna clitoridea e la donna vaginale. Entrambi gli scritti sono dell'estate
1971.
Il tema dell'aborto, nel primo dei due saggi, viene affrontato in maniera
radicale e originale, nel senso che l'autrice rifiuta la rivendicazione
politica, rivolta sostanzialmente ai maschi, di legalizzazione dell'aborto,
e perviene a proposte che coinvolgono soltanto il mondo femminile, al quale
spetta di mettere in pratica quella liberta' sessuale che renda obsoleto il
problema della legalizzazione dell'aborto da parte di un parlamento
maschile.
Carla Lonzi va subito al cuore del problema con un interrogativo rivolto
alle donne e con una risposta articolata che pone le premesse delle
conclusioni originali e atipiche, in quel momento, rispetto alla generale
richiesta di legalizzazione dell'aborto da parte del movimento femminista:
"Le donne abortiscono perche' restano incinte. Ma perche' restano incinte?
E' perche' risponde a una loro specifica necessita' sessuale che effettuano
i rapporti col partner in modo tale da sfidare il concepimento? La cultura
patriarcale non si pone questa domanda poiche' non ammette dubbi sulle leggi
'naturali'. Evita solo di chiedersi se in questo ambito cio' che e'
'naturale' per l'uomo lo e' altrettanto per la donna. (...) Ma noi sappiamo
che quando una donna resta incinta, e non lo voleva, cio' non e' avvenuto
perche' lei si e' espressa sessualmente, ma perche' si e' conformata
all'atto e al modello sessuale sicuramente prediletti dal maschio
patriarcale, anche se questo poteva significare per lei restare incinta e
quindi dover ricorrere a una interruzione della gravidanza" (pp. 68-69). Le
donne sono quindi costrette all'aborto perche' sono costrette a una pratica
sessuale, imposta dal sistema patriarcale come unica "naturale", che porta
alla gravidanza.
E perche' il sistema patriarcale ha imposto tale pratica sessuale? Questa e'
l'altra domanda chiave la cui risposta porta l'autrice alle tesi piu'
radicali sulla sessualita'. Secondo la Lonzi alla base della imposizione
patriarcale della eterosessualita' vaginale sta il piacere dell'uomo,
ricercato e attuato alle spese di quello della donna, esclusa dal piacere in
questa pratica: "Nel mondo patriarcale (...) l'uomo ha imposto il suo
piacere. Il piacere imposto dall'uomo alla donna conduce alla procreazione
ed e' sulla base della procreazione che la cultura maschile ha segnato il
confine tra sessualita' naturale e sessualita' innaturale, proibita o
accessoria e preliminare. (...) Noi dobbiamo assolutamente intervenire con
la coscienza che la natura ci ha dotate di un organo sessuale distinto dalla
procreazione e che e' sulla base di questo che noi troveremo la nostra
autonomia dall'uomo come nostro signore e dispensatore delle volutta' alla
specie inferiorizzata, e svilupperemo una sessualita' che parta dal nostro
fisiologico centro del piacere, la clitoride" (p. 69).
Prima di passare, nel saggio successivo sulle due categorie di donna, alle
tesi piu' generali e radicali fondate sulla distinzione tra sessualita'
vaginale imposta e sessualita' clitoridea libera, la Lonzi conclude le sue
considerazioni su sistema patriarcale, sessualita' vaginale, concepimento e
aborto, evidenziando le conseguenze ultime, sulla donna, della sessualita'
"naturale" imposta dal piacere maschile: "Il concepimento dunque e' frutto
di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna, che viene poi
responsabilizzata di una situazione che invece ha subito. Negandole la
liberta' di aborto l'uomo trasforma il suo sopruso in una colpa della donna.
Concedendole tale liberta' l'uomo la solleva della propria condanna
attirandola in una nuova solidarieta'" (p. 70). Queste due ultime frasi
indicano una profonda consapevolezza, da parte di una donna "liberata",
della complessita' del problema relativo al concepimento, alla gravidanza,
all'aborto, e preannunciano la proposta di autonomia "radicale" della donna,
e delle sue pratiche sessuali e di piacere, dal dominio patriarcale: dominio
che non si limita a "provocare" gravidanze non volute dalla donna, ma giunge
alla colpevolizzazione della donna e addirittura alla perpetuazione di quel
dominio sia negandole sia concedendole la liberta' di abortire. Sia il
concepimento sia l'aborto, nel sistema patriarcale, appaiono "gestiti"
dall'uomo: "Sotto questa luce la legalizzazione dell'aborto chiesta al
maschio ha un aspetto sinistro poiche' la legalizzazione dell'aborto e anche
l'aborto libero serviranno a codificare le volutta' della passivita' come
espressione del sesso femminile e a rafforzare cio' che sottintendono e
cioe' il mito dell'atto genitale concluso dall'orgasmo dell'uomo nella
vagina" (p. 71).
E' a questa situazione, perdurante da migliaia di anni, che la Lonzi si
ribella a nome di tutte le donne schiavizzate dal sistema patriarcale; ed e'
a questa situazione che essa contrappone una possibile via d'uscita proprio
a partire dalla sfera della sessualita', affermando che la donna "gode di
una sessualita' esterna alla vagina, dunque tale da poter essere affermata
senza rischiare il concepimento" (p. 70). La donna puu' e deve mirare, per
liberarsi dal dominio patriarcale che trova il suo fondamento nella sfera
della sessualita', a una civilta' in cui si pratichi una libera sessualita'
polimorfa; una sessualita' cioe' non vincolata all'eterosessualita' vaginale
con finalita' o conseguenze procreative, ma tale per cui "da luogo della
violenza e della volutta' [maschile] la vagina diventa, a discrezione, uno
dei luoghi per i giochi sessuali. In tale civilta' apparirebbe chiaro che i
contraccettivi spettano a chi intendesse usufruire della sessualita' di tipo
procreativo, e che l'aborto non e' una soluzione per la donna libera, ma per
la donna colonizzata dal sistema patriarcale" (p. 75).
*
Dalle premesse poste nel breve saggio su Sessualita' femminile a aborto
muove lo sviluppo organico del pensiero di Carla Lonzi realizzato nel piu'
noto saggio La donna clitoridea e la donna vaginale. In esso l'autrice
perviene a conclusioni radicali, alla esaltazione di un libertarismo
sessuale della donna, alquanto "inattuale" nel momento in cui venne
proposto, ma in linea con alcune delle posizioni piu' radicali e piu'
avanzate che a livello internazionale venivano proposte anche se non
largamente condivise (9). Soltanto qualche anno dopo, con l'emergere
pubblico del dibattito sull'omosessualita' femminile e con la rivendicazione
di questa quale vera pratica di liberazione dal sistema patriarcale, le tesi
di Carla Lonzi avrebbero avuto una qualche eco (10).
Il saggio della Lonzi si presenta anche con aspetti "didattici", nel senso
che spiega in termini elementarissimi, con estrema chiarezza, la "meccanica"
fisiologica della sessualita' femminile, dei suoi organi, dei suoi modi e
dei suoi diversi tipi di piacere e di orgasmo, utilizzando anche
illustrazioni sui dettagli fisiologici e anatomici, per muovere verso un
discorso teorico e di rivendicazione culturale e politica di estrema
radicalita'.
Premesso che "il sesso femminile e' la clitoride, il sesso maschile e' il
pene"; che "la vagina e' la cavita' del corpo femminile che accoglie lo
sperma dell'uomo e lo inoltra nell'utero affinche' avvenga la fecondazione
dell'ovulo"; che "il momento in cui il pene dell'uomo emette lo sperma e' il
momento del suo orgasmo"; che "nell'uomo dunque il meccanismo del piacere e'
strettamente connesso al meccanismo della riproduzione"; la Lonzi individua
e indica subito la "differenza" essenziale tra la sessualita' maschile e
quella femminile: "Nella donna meccanismo del piacere e meccanismo della
riproduzione sono comunicanti [cioe' la clitoride e' vicina ma non identica
alla vagina], ma non coincidenti" (p. 77). Ma questa differenza e' stata
negata dalla pratica eterosessuale vaginale imposta dal sistema patriarcale,
che ha negato autonomia e legittimita' al piacere clitorideo, condannandolo
come innaturale o come infantile (Freud) e in alcuni casi negandolo alla
radice (la Lonzi aveva fatto riferimento, in pagine precedenti, alle
pratiche di clitoridectomia in alcune aree del mondo islamico).
Ora, continua la Lonzi, "la donna si chiede: su quale base si e' postulato
che il piacere clitorideo esprime una personalita' femminile infantile e
immatura? Forse perche' esso non risponde al modello sessuale procreativo.
Ma il modello procreativo non e' quello in cui si e' cristallizzato il
rapporto eterosessuale - anche quando il fine procreativo viene
accuratamente evitato - secondo la netta preferenza del pene-egemone? Dunque
il piacere clitorideo deve il suo discredito al fatto di non essere
funzionale al modello genitale maschile" (p. 81). La donna e' stata
costretta, nel sistema patriarcale di ultramillenaria durata, ad accettare e
a introiettare anche sul piano psichico il primato, anzi il carattere
esclusivo, della eterosessualita' vaginale, funzionale al piacere e al
dominio maschili. La via della liberazione della donna passa per il rifiuto
di questa eredita' codificata da tutte le forme di ideologia e divenuta
patrimonio psichico della stessa donna, passa per la "conquista" della
sessualita' clitoridea, unanimemente condannata e demonizzata nel sistema
patriarcale: "Per godere pienamente dell'orgasmo clitorideo la donna deve
trovare un'autonomia psichica dall'uomo. Questa autonomia psichica risulta
cosi' inconcepibile per la civilta' maschile da essere interpretata come un
rifiuto dell'uomo, come presupposto di una inclinazione verso le donne. Nel
mondo patriarcale dunque le viene riservato in piu' l'ostracismo che si ha
per tutto cio' che si sospetta un'apertura all'omosessualita'" (p. 83).
A questo punto Carla Lonzi puo' proporre la contrapposizione che da' il
titolo al saggio e che costituisce l'alternativa di fronte alla quale le
donne devono operare la loro scelta essenziale: per o contro il sistema
patriarcale, per o contro la liberta' della donna e la liberazione da quel
sistema: "Dal punto di vista patriarcale la donna vaginale e' considerata
quella che manifesta una giusta sessualita' mentre la clitoridea rappresenta
l'immatura e la mascolinizzata, per la psicoanalisi freudiana addirittura la
frigida. Invece il femminismo afferma che la vera valutazione di queste
risposte al rapporto col sesso che opprime e' la seguente: la donna vaginale
e' quella che, in cattivita', e' stata portata a una misura consenziente per
il godimento del patriarca mentre la clitoridea e' una che non ha
accondisceso alle suggestioni emotive dell'integrazione con l'altro, che
sono quelle che hanno presa sulla donna passiva, e si e' espressa in una
sessualita' non coincidente col coito" (pp. 83-84).
Tutto il saggio ruota su questa contrapposizione, affrontata con l'analisi
dei suoi aspetti fisiologici, psichici, sociali (l'istituzione matrimonio e
la necessita', per la donna liberata, di uscirne). Largo spazio e' dedicato
alla critica della psicoanalisi nelle versioni di Freud e di Reich. La Lonzi
non accetta l'identificazione di donna clitoridea e di donna omosessuale. Il
rifiuto dell'eterosessualita' fondata e codificata sulla penetrazione
vaginale non e' il rifiuto dell'eterosessualita'. La Lonzi insiste anzi sul
fatto che la vagina, per quanto sia organo erogeno "moderato", costituisce
uno dei possibili luoghi di "giochi" erotici e sessuali con l'uomo.
L'autrice non rifiuta il rapporto sessuale della donna con l'uomo, ma il
carattere "passivo" di tale rapporto, per cui "per provare l'orgasmo durante
il coito la donna deve avere dell'uomo un'idea che trascenda l'idea che essa
ha di se stessa e convincersi di stare con un uomo all'altezza dell'alta
idea che essa ha dell'uomo" (p. 108).
La Lonzi mira a una liberazione della donna che comporti non piu' la
passivita' nel rapporto sessuale con l'uomo ma la liberta' di iniziativa, la
"rinegoziazione" del rapporto eterosessuale: "Nella seduta amorosa la donna
non deve aspettare dall'uomo delle maldestre iniziative sulla clitoride che
la disturbano, ma deve mostrare lei stessa quale e' la carezza ritmica
preferita che, ininterrotta, la porta al punto del godimento. Il rapporto
con una donna che vuole il piacere clitorideo come piacere sessuale in
proprio non presuppone una tecnica e gesti erotici inusitati, ma un diverso
rapporto tra soggetti che riscoprono le loro fonti del piacere e i gesti ad
esse convenienti. L'uomo deve sapere che la vagina e', per la donna, una
zona moderatamente esogena e adatta ai giochi sessuali, mentre la clitoride
e' l'organo centrale della sua eccitazione e del suo orgasmo" (p. 113).
Va da se' che tutte le forme di erotismo e di autoerotismo devono essere a
disposizione della donna liberatasi dal dominio patriarcale. Nello scritto
precedente la Lonzi aveva indicato nella libera sessualita' polimorfa
l'orizzonte della nuova donna liberata. In questo piu' organico saggio
ripropone in forme piu' riccamente sviluppate questo tema, esteso a tutti
gli esseri umani, compresi i bambini (nel Manifesto di un anno prima aveva
scritto: "Sono un diritto dei bambini e degli adolescenti la curiosita' e i
giochi sessuali", p. 16):  "Il sesso e' una funzione biologica essenziale
dell'essere umano e vive di due momenti: uno personale e privato che e'
l'autoerotismo, uno di relazione che e' lo scambio erotico con un partner"
(p. 113). Anche l'autoerotismo e' quindi una delle forme "essenziali" di
quella funzione biologica che e' il sesso, e anche in questa sfera la donna
e' stata "inferiorizzata" dal sistema patriarcale: "L'interdizione
all'autoerotismo ha colpito duramente la donna poiche' non solo l'ha privata
o l'ha disturbata in questa realizzazione di se', ma anche l'ha consegnata
inesperta e colpevolizzata al mito dell'orgasmo vaginale che per lei e'
diventato 'il sesso'" (ivi).
Nella parte finale del saggio Carla Lonzi evita di presentare la donna
clitoridea, liberata dal sistema patriarcale, come qualcosa di eccezionale,
di eroico, da esaltare; anzi ritiene che la donna clitoridea debba essere la
donna "normale" in una civilta' nella quale sia stato sconfitto il sistema
patriarcale senza per questo mirare a un idealizzato e utopico sistema
matriarcale. Una donna normale di fronte a un uomo normale: entrambi esseri
sessuati, ma con le loro "differenze" da valorizzare e non da mortificare al
servizio dell'uno/a o dell'altro/a: "La donna clitoridea non ha da offrire
all'uomo niente di essenziale, e non si aspetta niente di essenziale da lui.
Non soffre della dualita' e non vuole diventare uno. Non aspira al
matriarcato che e' una mitica epoca di donne vaginali glorificate. La donna
non e' la grande-madre, la vagina del mondo, ma la piccola clitoride per la
sua liberazione. Essa chiede carezze, non eroismi; vuole dare carezze, non
assoluzione e adorazione. La donna e' un essere umano sessuato. (...) Non e'
piu' l'eterosessualita' a qualsiasi prezzo, ma l'eterosessualita' se non ha
prezzo" (p. 118). E quel che fa la differenza, nei due tipi di sessualita'
ed eterosessualita', e' la passivita' o l'assenza di questa: "La passivita'
non e' l'essenza della femminilita', ma l'effetto di un'oppressione che la
rende inoperante nel mondo. La donna clitoridea rappresenta il tramandarsi
di una femminilita' che non si riconosce nell'essenza passiva" (p. 134).
*
Qui possiamo dar termine al nostro contributo, che voleva essere
prevalentemente informativo e che per tale motivo ha abbondato in
riferimenti testuali numerosi e talvolta lunghi. Il pensiero di Carla Lonzi
e' legato a un momento iniziale e radicale del femminismo, italiano e
internazionale. Esso presenta forti momenti di originalita' e tratta temi
che negli anni successivi avrebbero avuto sviluppi teorici riccamente
diversificati, sia in Italia sia fuori d'Italia. Non e' un pensiero
conosciuto o studiato nella filosofia fatta secondo il genere maschile. Non
e' questo, pero', un limite di quel pensiero, ma di quella filosofia, che
tarda ancora a prendere atto del fatto che il pensiero delle donne, dopo la
Lonzi e grazie anche ad essa, ha raggiunto livelli di approfondimento e di
ampiezza tematica, sia sul piano teorico sia su quello storiografico, che
potrebbero portare nuova linfa ad una filosofia nel suo complesso
vivacchiante da un po' di anni senza dare segni di una qualche originalita'
(11).
*
Note
1. Per una recente ricostruzione storico-teoretica del concetto di
avanguardia si veda, del vol. di L. Ferry, Homo Aestheticus, Grasset, Paris
1990, il cap. "Le declin des avant-gardes: la postmodernite'", pp. 269-342.
2. Qualche anno fa ho segnalato e documentato ampiamente, in una rassegna di
testi di questo genere di area inglese e statunitense, tale fatto. Si veda
F. Restaino, La filosofia italiana vista dagli anglostatunitensi, in
"Rivista di storia della filosofia", LIII, 1996, 4, pp. 921-942. Ai testi
cui fa riferimento la rassegna si deve aggiungere, a conferma, la recente
The Columbia History of Western Philosophy diretta da R. H. Popkin e scritta
da una sessantina di autorevoli storici della filosofia, Columbia University
Press, New York 1999.
3. Il testo piu' ricco e piu' documentato, che ricostruisce la formazione
del pensiero femminista italiano dalla fine degli anni Sessanta e' quello a
cura di P. Bono e S. Kemp, Italian Feminist Thought, Blackwell, Oxford 1991.
Per indicazioni bibliografiche piu' aggiornate si veda F. Restaino, A.
Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino 1999. Una
fonte preziosa di informazione e' la principale rivista femminista italiana,
"DWF", per la quale si veda l'utilissimo volume, supplemento al n. 4/2000,
curato da F. Perrone e V. Chiurlotto, DWF. 1975-2000. Indici & Abstracts,
Utopia, Roma 2001.
4. Oltre alle opere indicate nelle bibliografie dei testi citati nella nota
precedente si veda ora il vol. a cura di B. A. Crow, Radical Feminism. A
Documentary Reader, New York University Press, New York 2000. E' la piu'
ricca e articolata raccolta di testi, ragionatamente presentati, che
documentano i principali temi di elaborazione teorica di questa fase del
femminismo contemporaneo, collocabile negli anni 1967-1975.
5. Su questi aspetti nuovi che porteranno alla crisi del femminismo radicale
intorno al 1975 e all'emergere di nuove elaborazioni teoriche sempre piu'
raffinate e "accademiche" (per le quali e' diffusa la denominazione di
"post-femminismo") contestualmente alla crisi del femminismo come movimento
pratico-politico organizzato (anche se in maniera molto decentrata) si veda
l'ottimo vol. di I.Whelehan, Modern Feminist Thought. From the Second Wave
to "Post-Feminism", Edinburgh University Press, Edinburgh 1996. Ulteriori
informazioni e indicazioni bibliografiche nel gia' citato vol. di F.
Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe.
6. La biografia e l'attenta ricostruzione del pensiero teorico di C. Lonzi
e' l'oggetto di un libro esaustivo di M. L. Boccia, L'io in rivolta. Vissuto
e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990. L'autrice ricostruisce
con rigore e impegno, servendosi largamente della produzione diaristica, le
vicende biografiche di C. Lonzi, morta relativamente giovane a causa di una
lunga malattia incurabile.
7. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale,
Rivolta Femminile, Milano 1974, p. 11.
8. Una storia delle teorizzazioni dei filosofi sulla donna non e' stata
ancora scritta, anche se molti contributi di studiose femministe nelle
diverse aree della cultura internazionale e nazionale hanno contribuito a
preparare i materiali per una tale storia. Recentemente tre studiose
francesi, F. Collin, E. Pisier, E. Varikas, hanno curato il grosso volume
(830 pagine) Les femmes de Platon a' Derida. Anthologie critique, Plon,
Paris 2000. Il volume si raccomanda alla lettura sia per le accurate
presentazioni di ogni autore, sia per l'intelligente scelta dei brani, sia
per la ricchissima e aggiornatissima bibliografia di ampiezza
internazionale. Dovrebbe essere una lettura obbligata, per le donne e per
gli uomini che abbiano interesse alla filosofia.
9. La tematica relativa alla differenza tra pratiche sessuali centrate sulla
vagina e quelle centrate sulla clitoride veniva proposta in un brevissimo
scritto di Anne Koedt, circolato in forma di ciclostilato nel 1968 e
pubblicato nel 1970 in una dimensione piu' lunga, dal titolo The Myth of the
Vaginal Orgasm. Lo si trova nelle pp. 64-66 del volume gia' citato a cura di
B. A. Crow, Radical Feminism, oltre che nelle pp. 333-343 del volume curato
da M. Schneir, The Vintage Book of Feminism, Vintage, London 1994 (in questo
volume lo scritto viene inquadrato nel dibattito aperto nel 1966 dal celebre
libro inchiesta di W. H. Masters, V. E. Johnson, Human Sexual Response, nel
quale per la prima volta si rendeva noto al grande pubblico che Freud e
tutta la tradizione sessuologica avevano sbagliato nell'individuare la fonte
del piacere e dell'orgasmo femminili nella vagina anziche' nella clitoride,
fonte di piacere, secondo Freud, soltanto per la bambina e l'adolescente, la
cui sessualita' avrebbe raggiunto la piena maturita' soltanto con il piacere
e l'orgasmo vaginali; Freud concludeva anche che la frigidita' femminile
dipendeva dal non voler abbandonare la fase clitoridea e dal rifiutare il
rapporto con il maschio nella fase della penetrazione vaginale). Lo scritto
di A. Koedt e' rivolto principalmente a confutare le tesi di Freud, e in
questo compito e' stato molto efficace e fortunato in ambito femminista.
10. Su questo dibattito e sulla bibliografia relativa mi permetto di
rinviare al gia' citato vol. di F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie
femministe.
11. Su questa sordita' della filosofia "maschile" rispetto ai contributi
teorici provenienti dalla filosofia "femminile" e femminista mi permetto di
rinviare al mio articolo Femminismo e filosofia: contro, fuori o dentro?, in
"Rivista di storia della filosofia", LVI, 2001, n. 3, pp. 455-472.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 56 del 15 gennaio 2006

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