La nonviolenza e' in cammino. 1165



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1165 del 4 gennaio 2006

Sommario di questo numero:
1. Paolo Predieri: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
2. La nonviolenza mese dopo mese
3. Il "Cos in rete" di gennaio
4. Il 14 gennaio per la liberta' del vivere e del convivere
5. Alexandra Poolos: Storia di Anna
6. Barbara Spinelli: Se questa e' vera democrazia
7. Donatella Di Cesare: Del tempo
8. Riedizioni: Daniel Defoe, Romanzi
9. Ristampe: Thomas Mann, Romanzi brevi
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI DI LAVORO. PAOLO PREDIERI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Paolo Predieri (per contatti: paoloanto.pred at lillinet.org) per
questo intervento. Paolo Predieri e' musicista, musicologo, amico della
nonviolenza tra i piu' noti, una delle figure di riferimento dell'impegno
nonviolento in Italia]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' da tanti anni e' un appuntamento
atteso e ritrovato con gioia e gratitudine, mese per mese, anno per anno.
Perche' e' il frutto della passione e del lavoro generoso di tanti amici,
alcuni conosciuti personalmente, altri solo (ma non e' poco!) per quanto
fanno e scrivono.
Perche' e' testimonianza e dimostrazione di una storia piccola per certi
versi, ma grande per altri, iniziata da persone come Aldo Capitini e Pietro
Pinna che hanno raccolto la fiammella della nonviolenza, l'hanno tenuta
accesa e viva e l'hanno passata ad altre che oggi continuano a trasmetterla
a beneficio di tutte e tutti.

2. STRUMENTI DI LAVORO. LA NONVIOLENZA MESE DOPO MESE
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza.
La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n.
10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente
bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza
Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta",
via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad
"Azione nonviolenta".

3. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI GENNAIO
[Dall'"Associazione nazionale amici di Aldo Capitini" (per contatti:
l.mencaroni at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo]

Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di gennaio 2006 del C.O.S. in rete, nel
sito: www.cosinrete.it
Nello spirito del Cos (Centro di orientamento sociale) di Capitini, le
nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui
temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo,
partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta,
educazione aperta, antifascismo, tra cui: Premi Aldo Capitini; La prima
guerra nonviolenta; I miti della nonviolenza; La donna del soldato; La
Chiesa dei poveri; La Chiesa e i ricchi; Ci sono arrivati; Usa e Cina:
pericolo mondiale; E a Gandhi perche' no?; La serendipity dei generali; Il
potere in Shakespeare; Caino a Roma; Parigi-Milano; Le competenze di pace;
Gli scienziati razzisti; Cattolici e Israele; ecc., piu' scritti di e su
Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S.
in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi a:
capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del Cos:
http://cos.splinder.com
Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato
indirizzo in: www.aldocapitini.it

4. APPELLI. IL 14 GENNAIO PER LA LIBERTA' DEL VIVERE E DEL CONVIVERE
[Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo]

Il prossimo quattordici gennaio segnera' una data importante nell'agenda
pubblica dell'Italia: sara' una giornata dedicata, come e' stato votato in
una assemblea di duemila donne, alla costruzione di un "ponte di liberta'"
tra Roma e Milano, ma sara' anche il giorno della convivenza tra soggetti
politici affini.
Due manifestazioni importanti: una a Milano delle donne che lanciano il loro
rifiuto nei confronti delle manipolazioni regressive sulla loro vita e sulla
loro sessualita'. Un'altra a Roma dove si svolgera' la manifestazione
nazionale per la richiesta dei Pacs, i patti di unione civile, che sono
possibili in quasi tutti i paesi europei e occidentali, ma che in Italia
trovano l'enorme ostacolo dell'asservimento della politica istituzionale
alle gerarchie ecclesiastiche. Lo stesso asservimento che intende rimettere
le donne sotto tutela, con la modifica della operativita' dei consultori.
Entrambi le manifestazioni appartengono dunque alla nuova frontiera della
"politica del vivere" contro la quale si stanno esercitando antichi poteri
forti.
Per questo occorre reagire in modo nuovo con molta fantasia evitando le
vecchie formule della politica istituzionale che spesso si e' dimostrata
inadeguata a risolvere la complessita' dei problemi.
Per lo stesso motivo il fatto che entrambe le manifestazioni per caso siano
state convocate nella stessa data puo' essere considerata una grande
opportunita' per costruire una giornata dedicata a quella liberta' del
vivere e del convivere che in Italia appare costantemente sotto attacco.
La liberta' delle donne nello spazio pubblico e' spesso stata oggetto di
aggressione nel corso degli ultimi mesi di questo anno: dalla triste vicenda
della "valanga azzurra" contro la rappresentanza femminile nella politica
istituzionale, alle pericolose e strumentali iniziative sulla legge 194 e
sul diritto di scelta di maternita'. Allo stesso modo il "grande operatore
biopolitico", costituito dal clero e dall'associazionismo confessionale,
dopo la pseudo-vittoria della legge sulla procreazione assistita, tenta di
schiacciare ogni possibile nuova forma di convivenza tra persone, al di
fuori della famiglia patriarcale.
E' quindi giusto e importante riprendere a manifestare per riappropriarci
delle parole politiche che mancano nel dibattito contemporaneo sulla difesa
della vita.
Da anni infatti il movimento delle donne e quello femminista condividono la
difficile battaglia per forme nuove di esistenza e di cura attraverso i
Pacs. Adesso l'associazionismo gay, lesbico e trans e il fronte laico hanno
la possibilita' di mostrare la loro attenzione alla liberta' delle donne.
Insieme possiamo costruire una alternativa politica alla centrifuga
mediatica che ci inonda e toglie spessore alla nostra esperienza umana,
impedendoci un dialogo approfondito sul salto di civilta' ormai necessario
per tutta l'umanita'.
Quel ponte tra Milano e Roma e' dunque una dimostrazione di come l'autonoma
determinazione delle donne possa incontrare persone altrettanto consapevoli
e capaci di nominare il proprio sapere sessuato, quindi cosciente del limite
e non universale, per costruire nuove forme di convivenza e un diverso
concetto di liberta': quella dell'essere e non dell'avere.
Spendiamo dunque il 14 gennaio per un sogno nuovo che esprima tutta la
ricchezza del possibile contemporaneo: la giornata della liberta' del vivere
e del convivere.
*
Prime firmatarie: Bianca Pomeranzi, Maria Rosa Cutrufelli, Edda Billi, Lea
Melandri, Elettra Deiana, Angela Azzaro, Carla Cotti, Stefania Vulterini,
Maria Luisa Boccia, Imma Barbarossa, Lidia Menapace,  Elena Del Grosso,
Daniela Dioguardi, Titti De Simone.

5. MONDO. ALEXANDRA POOLOS: STORIA DI ANNA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Alexandra Poolos. Alexandra Poolos e' corrispondente di "We News", ha
lavorato per Radio Free Europe, il "Wall Street Journal" e "Newsday";
insegna alla facolta' di giornalismo della Columbia University]

Anna Politkovskaya era esausta, l'ultima domenica notte di dicembre. Madre
di due figli, ed una delle piu' scomode giornaliste del suo paese, e' assai
conosciuta per i suoi reportage della guerra in Cecenia. Quella sera era
rimasta fuori al freddo, a Mosca, assieme ad altri dimostranti che
protestavano per la scomparsa delle liberta' democratiche in Russia. La
manifestazione, che cadeva nell'anniversario della battaglia di Mosca
durante la seconda guerra mondiale, ha contato migliaia di partecipanti.
Politkovskaya, tuttavia, era depressa dalla certezza che la maggior parte
dei russi non avrebbero neppure saputo che la dimostrazione aveva avuto
luogo. "E' proibito dar copertura giornalistica a tali attivita'. Non
abbiamo televisioni indipendenti, solo canali di stato. Abbiamo una radio
indipendente, e due giornali, ma assolutamente non sufficienti per un paese
grande come il nostro".
Ma protestare al gelo per la democrazia non e' nulla di nuovo, per lei, la
cui carriera giornalistica e' un esempio di coraggio e tenacia. A causa del
suo lavoro per il bisettimanale indipendente "Novaya Gazeta", ha dovuto
affrontare intimidazioni, minacce di morte, e persino un tentativo di
avvelenamento.
*
Politkovskaya ha narrato i conflitti in Cecenia stando sul posto, viaggiando
in remote e pericolose zone del sud caucasico, per narrare come la guerra
devasti le vite dei comuni cittadini. Ha dovuto affrontare soldati russi e
ribelli ceceni.
Recentemente, a New York, ha ricevuto un premio internazionale per il suo
lavoro: il Civil Courage Prize, che onora coloro che lottano contro
l'ingiustizia mettendosi a grave rischio personale. Nel 2002 aveva ricevuto
il riconoscimento per il coraggio nel giornalismo dall'International Women's
Media Foundation.
Anna Politkovskaya non crede, pero', che "coraggio" sia la parola giusta per
il suo lavoro: "Lo chiamerei piuttosto dovere. Sono sicura di voler fare
qualcosa per le altre persone usando il giornalismo, ecco tutto".
Anna dice anche che essere una donna giornalista, oggi in Russia, significa
vedere le cose in maniera molto differente dall'usuale, soprattutto in
materia di guerra. Spesso, racconta, i giornalisti di sesso maschile si
lasciano affascinare dal contesto: "Le armi a loro piacciono, gli piace
vederle. Ma le giornaliste, ed io fra esse, pensano per tutto il tempo che
e' terribile vedere armi e sentire i rumori della guerra, guardarla,
avvertirne l'odore".
La sua tenacia nel dare copertura alla seconda guerra cecena, che ebbe
inizio nel 1999 ed e' tuttora in corso, dice Anna, ha messo fine al suo
matrimonio nel medesimo anno. Suo marito ha lasciato la loro casa, dicendo
che non poteva piu' sopportare la preoccupazione e la solitudine che gli
derivavano dai lunghi viaggi di lei. Ma Anna crede che la fedelta' al
proprio essere giornalista e madre non si limiti allo scrivere articoli
sulle atrocita' testimoniate: e' stata spesso negoziatrice durante crisi e
assedi, e ha lavorato duramente per fornire cibo, alloggio e giustizia a
coloro che ne erano stati privati. "Devi scrivere di loro, questo e' certo,
ma in secondo luogo devi fare qualcosa di piu'. Se non hanno cibo, se non
hanno acqua, devi aiutarli a trovarli".
*
Anna Politkovskaya e' figlia di due diplomatici dell'Onu, ed e' nata a New
York nel 1958. Tutte le scuole le ha pero' frequentate in Unione Sovietica,
laureandosi infine in giornalismo alla prestigiosa Universita' di Mosca. Ha
lavorato per giornali di stato, ma ha preferito quasi subito la stampa
indipendente, dove ha iniziato ad offrire rendiconti non camuffati di cio'
che stava accadendo in Cecenia ed e' diventata una dei pochissimi
giornalisti che continuano ad occuparsi della regione.
Anna racconta che i problemi per una donna giornalista in Russia sono
numerosi: parla di costanti discriminazioni e molestie, e dice che e'
praticamente impossibile che una donna arrivi a cariche dirigenziali.
Di recente, il suo lavoro le e' quasi costato la vita. Lo scorso anno,
mentre agiva come negoziatrice durante la crisi della scuola presa in
ostaggio a Beslan, qualcuno le ha messo del veleno nella tazza del te'.
Sebbene Anna dica che non si puo' essere sicuri al cento per cento che fosse
lei il bersaglio, i suoi sospetti cadono sui servizi segreti russi.
La situazione, aggiunge, sta per peggiorare grazie al trattamento che il
governo di Vladimir Putin infligge alle istituzioni democratiche. Nel mese
di dicembre 2005, tanto per fare un esempio, Putin ha presentato un disegno
di legge che chiuderebbe tutte le sedi di ong straniere in Russia.
Nonostante l'aumento dei rischi, Anna sostiene che si puo' solo andare
avanti, con quella che chiama "la teoria russa delle piccole faccende". "In
Russia si dice che quando non puoi cambiare l'intero mondo, allora devi fare
delle cose piccole che pero' vadano ad aiutare le persone. Il giornalismo
russo ha ora la possibilita' di aiutare le persone nella loro vita
quotidiana e quando la loro vita quotidiana e' squassata dalla catastrofe.
Io ho deciso che e' una bella teoria, e che per me funziona".
*
Per maggiori informazioni gli articoli sulla Cecenia di Anna Politkovskaya
sono raggiungibili alla pagina web:
www.tjetjenien.dk/baggrund/politkovskaya.html

6. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: SE QUESTA E' VERA DEMOCRAZIA
[Dal quotidiano "La stampa" del 31 dicembre 2005. Barbara Spinelli e' una
prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo
particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001, 2004; una
selezione di suoi articoli e' in una sezione personale del sito del
quotidiano (www.lastampa.it)]

Pensare piu' profondamente la democrazia che abitiamo, riflettere su come
vogliamo costruirla o modificarla, correggerla o riesumarla, estenderla nel
mondo con la forza della legge o la legge della forza: forse e' questo il
compito piu' importante che dovremo affrontare nel tempo che abbiamo
davanti, a cominciare dall'anno nuovo.
Abbiamo sufficiente esperienza per iniziare simili meditazioni, disponiamo
di un numero sufficiente di fatti che aiutano a capire. Alle nostre spalle
abbiamo ormai quattro anni di guerre, condotte per diffondere nel mondo la
democrazia, e quattro anni non sono pochi per chi voglia andare oltre le
ideologie, oltre le retoriche, e provare ad abitare uno spazio in cui le
parole, almeno approssimativamente, coincidono con la realta'.
E' stato giusto rispondere al massacro dell'11 settembre 2001 con una
campagna militare intesa a esportare la democrazia in Paesi retti da despoti
come Afghanistan e Iraq? E quali sono gli ingredienti esatti, della
democrazia che si immagina d'esportare o d'aver gia' esportato? E per
concludere: in che modo questi anni di militarizzazione della diplomazia e
della politica hanno trasformato le democrazie che abitiamo, e l'idea che ci
facciamo di esse?
E' da quest'ultimo interrogativo che bisogna a mio parere cominciare,
perche' in qualche modo esso comprende tutti gli altri. Molti indizi
confermano che le democrazie hanno subito torsioni sostanziali e gravi, a
seguito della guerra iniziata nel 2001 contro il terrorismo internazionale.
La paura e' divenuta la ragion d'essere del potere, prima negli Stati Uniti
poi in altri Paesi occidentali, e il suo uso disinvolto ha fatto cadere una
serie di divieti che nella nostra civilta' sono essenziali, tanto da esser
stati iscritti in precise convenzioni internazionali all'indomani di due
guerre mondiali distruttive: divieto della tortura; divieto di uccidere,
torturare o umiliare i prigionieri di guerra; divieto di controllare le
esistenze private dei cittadini con la scusa di garantirne la sicurezza;
divieto di abolire quel che a ciascun uomo (amico o nemico) e' dovuto da
secoli: l'habeas corpus ("il tuo corpo ti appartiene") e cioe' il diritto a
comparire davanti a un giudice per conoscere il motivo per cui si e'
incriminati.
Questi divieti sono i freni che la democrazia pone a se stessa, e
l'amministrazione Bush li ha uno dopo l'altro aboliti, consapevolmente
scegliendo di non farsi piu' scrupoli. Le convenzioni internazionali sono
state ufficialmente denunciate e scavalcate, un'intera cultura basata sulla
remora morale e' franata. Ne e' nato un apparente paradosso: ecco un gruppo
dirigente che si professa liberale in economia - favorevole allo Stato
minimo - ma che in realta' usa la paura e la guerra per rendere illimitato
il potere presidenziale. Chi voglia conoscere il dramma aperto nelle
coscienze americane dai poteri esorbitanti che Bush ha accumulato in quattro
anni di guerra trovera' un dossier impressionante nel sito di Contropagina
(www.contropagina.com): e' un vero e proprio Stato parallelo quello
edificato dopo l'11 settembre, che controlla le telefonate e la posta
elettronica dei cittadini statunitensi senz'alcun permesso giudiziario, che
pratica sistematicamente la tortura dei prigionieri, che cattura sospetti di
terrorismo in territorio europeo, che affida un gran numero di sospetti a
Stati dove i diritti dell'uomo sono ignorati e gli interrogatori dei
detenuti piu' cruenti. Stati che Washington mostra di prediligere,
nonostante la retorica su liberta' e democrazia, e che nei fatti vengono
incoraggiati a perseverare nel male.
*
Si dira' che quattro anni non bastano a smantellare democrazie e culture
formatesi lungo secoli. La storia purtroppo dimostra che non e' vero: basta
un nonnulla, per scivolare dalla civilta' nella barbarie. Un minuto prima
che la Germania precipitasse nell'orrore di Hitler, veniva chiamata nazione
di poeti e pensatori.
Si dira' anche che il comandante in capo d'un paese in guerra ha il diritto
di prendersi poteri eccezionali, come sostengono i magistrati David Rivkin e
Lee Casey sul "New York Times". Ma di questa guerra non conosciamo ancora
l'autentico obiettivo e di conseguenza neppure la conclusione: in una guerra
senza fine, anche i diritti accampati dal potere esecutivo Usa, in patria e
nel mondo, sono senza fine.
Anche supponendo che l'obiettivo sia l'estensione della democrazia in Medio
Oriente e Golfo Persico: di che democrazia parliamo, precisamente? Non
rischiamo di screditarla radicalmente, nel momento in cui in casa le
democrazie "si tolgono i guanti" (cosi' si espresse all'inizio del 2002
Cofer Black, ex direttore dell'unita' antiterrorismo nella Cia) e fuori
casa - in paesi come l'Iraq - il progresso viene misurato dai numeri di
elettori che vanno alle urne e di poliziotti indigeni addestrati dagli Usa?
Non e' distorta e ridotta, una democrazia che si dice vittoriosa basandosi
su questi soli ingredienti? Anche chi appoggio' la guerra, come Thomas
Friedman, oggi dubita. Ancora non sappiamo - scrive - come e cosa hanno
votato 11 milioni di iracheni, in dicembre: se per la separatezza e i
privilegi della propria etnia o per una democrazia irachena.
E' dai tempi degli accordi di Dayton sui Balcani, nel 1995, che non sappiamo
piu' bene se democrazia sia un equilibrio di poteri che protegge i
cittadini, o un potere spartito fra etnie e clan. Nel medio-lungo periodo
puo' darsi che questi nodi saranno sciolti e che si vada davvero verso
esperienze democratiche piu' diffuse. Ma nel breve termine (e per breve
termine intendiamo gli anni che abbiamo alle spalle) son probabilmente piu'
numerosi i fattori negativi dei positivi. Il potere delle democrazie che
Washington vuole incarnare esce stremato dalla prova, e la sua forza e'
vista al tempo stesso come minacciosa e impotente. Alcuni progressi son
visibili in Iraq, Libano, Palestina, ma ancor piu' pesante e' la regressione
in Iran, in Egitto dove si rafforzano i Fratelli Musulmani, in Palestina
dove a gennaio la vittoria potrebbe andare ai fondamentalisti di Hamas, in
Pakistan dove sembra che Musharraf, per paura degli islamisti, impedisca
agli Usa d'arrestare Bin Laden. Oltre la guerra in Iraq l'America non puo'
andare, la guerra stessa e' giudicata perdente, ed e' questa convinzione che
ha spinto il presidente iraniano Ahmadinejad a dire impunemente quel che ha
detto sulla distruzione d'Israele e sull'Olocausto inventato.
Far cadere i nostri divieti esorta tutti i dittatori a fare lo stesso ed e'
un'incitazione a delinquere, per i regimi che vorremmo moderare: anch'essi,
se lo fa l'America, possono lasciar cadere ogni sorta di tabu' e insediarsi
comodamente nella barbarie.
*
C'e' infine da chiedersi se la battaglia per diffondere la democrazia abbia
rafforzato la sicurezza economica degli occidentali, e anche qui la risposta
e' difficilmente positiva.
Lanciare una guerra per dare una diversa stabilita' alla zona da cui viene
gran parte del nostro petrolio ha reso ancor piu' fragili le sicurezze di
ieri, e questo in un momento in cui i prezzi dell'energia salgono. Non solo:
esser capaci di una guerra lunga e costosa per il petrolio ha dimostrato non
la nostra autonomia, ma la nostra totale dipendenza dal greggio esterno.
L'Iran sa che con il suo petrolio puo' ricattare l'Europa e tessere
strettissimi rapporti con India e Cina, le due potenze in ascesa. La Russia
sa le stesse cose, e la seduzione-corruzione di Schroeder e' tipica dei
tempi che viviamo: per il petrolio siamo disposti a ogni cosa, bellicosa o
compromissoria che sia.
*
Un ulteriore veleno della democrazia e' la menzogna, dentro la quale da anni
viviamo ormai stabilmente: menzogne sulle armi e sul terrorismo sostenuto da
Saddam, menzogne recentissime sulle torture e le intercettazioni illegali
americane, che Bush nega perentoriamente di far praticare. Ulisse, nel
Filottete di Sofocle, insegna a Neottolemo l'arte della menzogna: con essa
si coprira' certo di vergogna, ma in cambio otterra' vittorie gloriose e in
futuro tornera' l'ora in cui si potra' ricominciare a vivere secondo
verita', nell'onore e nel pudore. Tutte le dittature ideologiche, tutti i
messianesimi politici hanno teorizzato questo fine che giustifica i mezzi,
questa preminenza dell'ideologia e delle parole sulla realta' e i fatti.
Dice Odisseo: "Ormai, fatta l'esperienza, vedo bene che fra i mortali
proprio la lingua, non certo le opere, e' alla guida di tutto".
Ormai, fatta l'esperienza di quattro anni di guerre per la democrazia,
sappiamo che le opere e i fatti possono crudelmente vendicarsi sulle
retoriche, rendendo dubbi non solo i mezzi ma anche i fini che a parole
vengono proposti.
Non si puo' diffondere in questi modi la democrazia, senza che essa perda
significato fuori e dentro le mura. Bush come comandante in capo ha forse
diritto a poteri esorbitanti in casa sua, ma con questi poteri ottiene e
dissuade in realta' sempre di meno. Per il momento sappiamo che si serve
della guerra per gonfiare il proprio potere e del proprio potere per fare
guerre, circolarmente avvitato su se stesso. E' sperabile che il circolo
vizioso s'interrompa, nell'anno che viene.

7. RIFLESSIONE. DONATELLA DI CESARE: DEL TEMPO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 dicembre 2005. Donatella Di Cesare,
gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del linguaggio, e' acuta
studiosa della riflessione filosofica contemporanea; dal sito
www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di Cesare si e'
laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di Roma. Ha
proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito il
dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di
filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha
ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer
all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche
anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il
concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario.
Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta'
di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa'
italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul
secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi,
della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International
Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore
della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica
dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di
filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti
volumi: Ermeneutica della finitezza, Guerini, Milano 2005; Wilhelm von
Humboldt y el estudio filosofico de las lenguas, Anthropos, Barcelona 1999;
Die Sprache in der Philosophie von Karl Jaspers, Francke Verlag
Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia greca, Bulzoni, Roma
1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia, esistenza,
comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G. Cantillo,
Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e' linguaggio.
Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova
2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo 1922-1929, a cura
di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von Humboldt, La
diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari
1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die Verschiedenheit der Sprache,
hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di Cesare, Paderborn, UTB,
1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo. Introduzione all'ermeneutica
del senso, a cura di Donatella Di Cesare, Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon
grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D. Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen
1996; Torah e filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, a cura di D. Di
Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze 1993; Karl Jaspers, Il
linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di Cesare, Guida, Napoli 1993;
Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Marietti, Milano
1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie der Linguistik. 1600-1800,
a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus Publikationen, Muenster 1990"]

Un anno e' finito, si e' concluso. Uno sguardo gettato al calendario, quello
tascabile, quello del computer o quello che abbiamo interiorizzato nostro
malgrado, ci presenta con spietatezza gli impegni cui non siamo riusciti a
far fronte, le scadenze non rispettate, le occasioni mancate. Qualche data
puo' essere rinviata all'anno appena cominciato. E il nuovo calendario
comincia a infittirsi. Siamo gia' sempre in ritardo. Il tempo manca, e'
consumato prima ancora che ci venga dato, inghiottito nella frammentazione
programmata di mesi, settimane e giorni, annientato nelle linee sottili di
una misurazione sempre piu' precisa in cui sembra non restare nessun margine
di gioco.
*
L'accelerazione non e' un rimedio
L'asfissia temporale, si sa, e' uno dei nostri mali. Non e' un male
individuale, per quanto possa colpire alcuni piu' di altri. E tanto meno e'
un male solo esistenziale. L'impressione vaga e generica della scarsita' di
tempo si e' andata definendo in questi ultimi anni nella certezza di una
sottrazione. Il tempo ci manca perche' non siamo noi a disporne liberamente.
Da quando la modernita' occidentale, insieme alle altre risorse della
produttivita', gestisce anche il tempo all'insegna della razionalita'
tecnica, si fa piu' chiaro il nesso su cui ha attirato l'attenzione Walter
Benjamin negli aforismi degli anni '20 intitolati Strada a senso unico: il
nesso tra tempo e potere, mediato ovviamente dal denaro. Ha potere chi
dispone di tempo, di quello proprio e di quello altrui. Industriali e
magnati della finanza si spacciano come padroni del tempo, quelli che
battono e scandiscono il ritmo sempre piu' accelerato. Tuttavia, alla
vorticosa economia di tempo non sfugge nessuno, neppure quelli che si
definiscono come manager, che pretendono - come indica il verbo inglese "to
manage" - di dirigere, gestire, amministrare il tempo, di maneggiarlo,
manovrarlo, domarlo. Implode qui finalmente l'analogia fra tempo e denaro.
Il tempo non e' denaro. Se il denaro perduto puo' essere recuperato, non
c'e' banca che dia in prestito il tempo.
E l'accelerazione non e' un rimedio. Piu' che mai viene alla luce - come
sottolinea Lothar Baier nel libro Non c'e' tempo! - il paradosso
dell'accelerazione destinata a non raggiungere mai la propria meta: ogni
guadagno di tempo richiede un nuovo investimento, aumenta il bisogno di
tempo. Lo mostra ogni innovazione del computer dove si riflette
perfettamente la logica, molto illogica, di un risparmio che finisce per
dissipare il tempo.
Pensata come un mezzo per battere il tempo, e per guidare la storia,
l'accelerazione, complice dell'economia e della tecnica, si rivela fine a se
stessa, una forza che non si lascia piu' manovrare. "Era come se non fosse
stato un obiettivo qualsiasi a imporre la fretta del mondo, ma la fretta
stessa fosse lo scopo" - scrive Karl Kraus nel 1909 in un saggio per la
rivista "La fiaccola". E paragona il progresso a un portiere d'albergo
andato in pensione: "i piedi erano di gran lunga piu' avanti, di certo la
testa rimase indietro e il cuore si indeboli'". Quasi cento anni dopo, nel
pamphlet L'incidente del futuro, il filosofo Paul Virilio sintetizza
l'ideale illuministico del progresso totalitario: "Progredire
corrisponderebbe ad Accelerare!". Dopo il secolo dei Lumi ci sarebbe il
secolo della velocita' della luce e infine il nostro: quello della luce
della velocita'. Qui l'accelerazione non si proietta piu' verso l'utopia, ma
corre verso la "ucronia" del tempo umano. Travolti e sopraffatti dalla
velocita' e dal suo progresso, di cui tuttavia godiamo, abbiamo la
sensazione di non poter sostenere il ritmo e di finire per essere tagliati
fuori. Inevitabilmente consideriamo con ostilita' il tempo, il nemico contro
cui lottiamo quotidianamente.
*
Nell'era della flessibilita'
Nell'ultimo giorno dell'anno, guardando impotenti le lancette dell'orologio
che segnano le ore mancanti alla fine, cerchiamo con petardi e spumante di
esorcizzare il mostro che da sempre ci angustia e ci opprime. Abbiamo paura
del tempo e del suo potere; ci illudiamo di poterlo prima o poi sconfiggere.
Sogniamo la atemporalita'. Ci sentiamo a nostro agio nell'atmosfera
atemporale prodotta dal 24-hours-banking, dalla nuova civilta' delle
ventiquattro ore, dove tutto e' sempre aperto e disponile, nulla si chiude e
si conclude. Cosi' crediamo di vivere gia' nell'era della flessibilita'
assoluta in accordo con il tempo universale. Las Vegas, nuova Mecca
dell'occidente, e' il tempio di questa atemporalita' venduta in centri
commerciali e casino' sui cui soffitti vengono proiettati artificialmente
cieli mattutini o cieli notturni. L'obiettivo e' la perdita del senso del
tempo che per alcuni produce disorientamento, per altri diventa una specie
di cocaina. Ma non occorre andare fino a Las Vegas per godere
dell'annullamento delle differenze temporali e per essere sollevati dal peso
del rapporto con il tempo. Ovunque e' in atto un processo di
sincronizzazione. E in molti casi e' evidentemente intenzionale.
*
All'ombra del calendario
Al dono dell'ubiquita' il canale televisivo Cnn cerca di aggiungere quello
dell'onnipresenza, bandendo fra l'altro dai suoi studi tutti gli orologi. Il
fenomeno e' quello che il ricercatore americano James T. Fraser ha chiamato
"ingrigimento del calendario". Sognando la atemporalita' ci consoliamo
vivendo nell'ombra di un calendario che diventa sempre piu' grigio perche'
si cancellano i limiti tra le ore, i giorni, le settimane, i mesi, le
stagioni.
La risposta al grigio di questo presente che domina con prepotenza sugli
altri tempi, sul passato e sul futuro, si traduce in depressione. "Le forme
del tempo ti si confondono, confluiscono l'una nell'altra, e quella che ti
si svela come vera forma dell'essere e' un presente senza dimensioni" -
cosi' Thomas Mann descrive la "malattia del tempo" nel suo romanzo La
montagna incantata. "Malattia" del nostro tempo che non tollera il tempo,
"malattia" che colpisce l'esperienza vissuta del tempo. Questo la distingue
dalla "malinconia" o dalla "tristezza opprimente" che i tedeschi chiamavano
e chiamano Schwermut. La depressione e' la "fatica di essere se'" - come
suggerisce il titolo del famoso studio di Alain Ehrenberg. Chi e' depresso
sembra non avere passato e non avere futuro; e' immerso in un presente da
cui non riesce a liberarsi, tanto meno per formulare progetti. E il
progetto - come ha insegnato Heidegger - e' la chiave dell'esistenza.
Esistere e' progettarsi, proiettarsi oltre se'. Se il depresso non lo fa,
non puo' farlo, se resta intorpidito nel suo andamento rallentato, e'
perche' risponde al ritmo imperativo dell'accelerazione che fa mutare
continuamente tutto sotto i suoi occhi, e' perche', seppure
inconsapevolmente, con piu' sensibilita' degli altri, protesta contro questo
ingrigimento sconcertante del tempo. Da quando il film della realta' esterna
scorre ben piu' veloce dei nostri dialoghi, la depressione dilaga e, dato
che quel film non e' molto piu' di un film, una finzione che pretende di
essere una costrizione alla realta', la sofferenza aumenta in ragione della
sua inutilita'. La "decelerazione" non e' certo un'alternativa. Chi la
sostiene, come il critico letterario tedesco Sten Nadolny, non ne vede
l'ambiguita'. Di fronte al ritmo incalzante la lentezza sembra la difesa
piu' comoda e tranquillizzante; ma e' anche vero che lascia tutto cosi'
com'e', che non cambia quella discordanza tra agire e comprendere che
ciascuno sperimenta ogni giorno. La lentezza conserva. A ben guardare non e'
che l'altra faccia della velocita': un modo di controllare il tempo. E a
nulla servono neppure i piccoli boicottaggi o le rivolte private, di solito
pagate a caro prezzo - come quella dell'agente di borsa che, allontanatosi
un attimo per mangiare un taco in un bar, perde parecchie migliaia di
dollari. D'altronde dobbiamo ammettere che poiche' non siamo quasi piu'
abituati ad avere tempo quando ce l'abbiamo lo dissipiamo, cosi' come
consumiamo le merci. "Terrorizzati dall'horror vacui - osserva Guenther
Anders ne L'uomo e' antiquato - ci sentiamo obbligati a frazionare questo
vacuum in un gran numero di attivita' che richiedono tempo, ovvero a
saturare il vuoto con attivita' divoratrici di tempo". Ci sostengono in
questa dissipazione nuovi siti web e nuovi canali - anche se ovviamente ne
usciamo piu' informati.
Ma quale forma ha assunto la nostra lotta contro il tempo nell'eta' della
mondializzazione dove tutto si svolge secondo un ritmo e un battito
sconosciuti forse in altre epoche? I risultati di questo processo accelerato
sono gia' sotto i nostri occhi: la devastazione programmata della terra, la
manipolazione politica e micropolitica del modo di pensare e di quello di
vivere, lo smarrimento nell'ebbrezza tecnologica.
*
Nel regno della memoria illimitata
Certo l'eta' della mondializzazione appare votata all'illimitato. In un
mondo concentrato ed accentrato da una interdipendenza terrestre e da una
universalita' cosmologica, l'illimitato spaziale e temporale sembra
l'aspirazione ultima. Se la parte piu' lontana del mondo e' gia' quasi qui,
fosse pure attraverso uno schermo, se il presente e' recepito e memorizzato,
in una memoria illimitata, come passato di quel che e' gia' futuro, il sogno
dell'onnipresenza, dell'onniscienza, dell'onnipotenza sembra a un passo.
Piuttosto che dubitarne, avanziamo riserve nei confronti di quei limiti che
restano ancora e che diventano tanto piu' insopportabili, tanto piu'
incomprensibili. L'illusione dell'illimitato aumenta la delusione per il
limite. La tecnica stessa - minaccia e chance insieme - dislocando e
differendo da un limite all'altro, non fa che moltiplicare le zone d'urto.
Presi in questo vortice, destinati all'illimitato, non possiamo piu'
accettare di essere noi stessi un limite.
L'incongruenza fra il tempo della nostra vita e il tempo del mondo ci sembra
assurda. Davvero la nostra vita non sara' alla fine che un episodio nella
vita del mondo? Non a caso Adolf Hitler, mai preoccupato per il futuro del
suo regime, fu invece ossessionato dall'idea di far coincidere la durata
della sua esistenza con la storia del mondo. "La sua unica esistenza -
commenta Hans Blumenberg - pretendeva di essere qualcosa dopo la quale non
avrebbe dovuto esserci null'altro". Questa pretesa narcisistica
caratterizza, anche se tacitamente, la nuova prospettiva temporale che si
impone nella seconda meta' del '900. Ma gia' nel saggio Malinconia di
sinistra del 1930 Benjamin descriveva i nuovi idolatri di se', "agenti senza
figli, venuti su dal nulla, che a differenza dei magnati della finanza non
prendevano disposizioni per decenni e per la loro famiglia, ma solo per se
stessi, e per un periodo di tempo che superava a malapena la stagione". E'
forse questo allora il nostro male: non poter piu' oltrepassare l'orizzonte
temporale in direzione del passato o del futuro, non poter pensare se non la
propria vita individuale, e solo per una stagione, non riuscire piu' a
immaginare qualcosa in comune con gli altri.
*
Questione di alta velocita'
La politica non fa che riflettere questa economia del tempo. Il treno e'
stato ed e' metafora del rapporto tra programma e velocita'. La costruzione
di una ferrovia, e non l'apertura di un nuovo spazio aereo, ha fatto
esplodere la protesta e sollevato la questione della "alta velocita'". Le
prime ferrovie hanno rappresentato la transizione verso una nuova epoca: le
rotaie superavano non solo fiumi e gole, ma anche l'abisso del tempo, e
aprivano una via ben tracciata al progresso. L'immagine del "treno della
storia", che avanza portando con se' le masse degli sfruttati e degli
oppressi si e' profondamente radicata.
Nonostante i dubbi su quel progresso, la locomotiva resta per noi tutti il
simbolo della rivoluzione. Ma il simbolo e la rivoluzione dovrebbero essere
reinterpretati. "Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della
storia universale. Ma forse non e' cosi'. Forse le rivoluzioni sono il freno
d'emergenza azionato dal genere umano in viaggio" - cosi' scrive Benjamin
nel 1940. Oggi nel treno ad alta velocita' il freno d'emergenza non c'e'
piu' e il suo posto e' stato preso dal sensore ottico dell'apertura
automatica delle porte. Ma vale piu' che mai l'indicazione di Benjamin e
quel gesto rivoluzionario di azionare il freno - al momento giusto, nella
"Jetztzeit". La rivoluzione e' una fenditura nella storia, e' una
interruzione nella continuita' del destino truccato da progresso, e'
l'istante in cui il tempo si arresta e si apre un varco messianico.
I colpi di stato hanno a che fare con il controllo del tempo - "un ultimo
sguardo all'orologio... e il Cile fu irriconoscibile", ricorda lo storico
Wolfgang Pohrt. All'opposto, le rivoluzioni riuscite irrompono al momento
giusto e interrompono il tempo - nel 1830 a Parigi i rivoluzionari sparavano
contro gli orologi delle torri. In una societa' che vive e costringe a
vivere secondo il motto "il tempo e' denaro' e' sempre piu' ridotto lo
spazio per il momento giusto. E il senso del tempo, che dovrebbe
riconoscerlo, si esercita solo nella verifica ossessiva delle ore e dei
minuti che passano. La nostra quotidiana esperienza del tempo e' quella del
tempo di cui disponiamo, che abbiamo o crediamo di avere, e' quella del
tempo vuoto che puo' essere colmato dall'affaccendamento o restare svuotato
nella noia. Cosi' finiamo per dimenticare che questo tempo puo' essere
interrotto da cio' che viene a suo tempo e scandisce un altro tempo che non
si lascia calcolare ne' riempire. E' il tempo pieno che ferma il tempo del
calcolo, che invita a indugiare, a intrattenersi, a partecipare, e' il tempo
della festa che c'e' quando e' celebrata, e' la celebrazione stessa del
tempo. Il che e' possibile solo quando si raccoglie una comunita', e la
comunita' e' tale grazie alla festa - in un presente dove ricorre il passato
e che resta aperto al varco di cio' che e' a venire.
*
L'agire inoperoso
Al suo libro La comunita' che viene Giorgio Agamben ha aggiunto una postilla
intitolata Tiqqun de la noche. La parola ebraica tiqqun significa
riparazione, redenzione, e costituisce "cio' che e' in questione nel libro".
Non e' il risultato di un'opera, ma al contrario l'inoperosita' e la
de-creazione dello Shabbat, del sabato. Questa inoperosita', che non e'
inerzia, ma un modo di agire dove e' importante il come e non il che, e'
indicato come il paradigma della politica che viene e che si scandisce con
un altro tempo, quello di una "specie particolare di vacanza sabbatica".
*
Scheda. Da leggere senza fretta
Per un quadro sociologico complessivo sulla questione del tempo nel mondo
contemporaneo si puo' leggere il volume di Lothar Baier, Non c'e' tempo!
Diciotto tesi sull'accelerazione, Bollati Boringhieri, Torino 2004, che
tuttavia e' deludente sotto il profilo filosofico.
Resta invece un punto di riferimento indispensabile Walter Benjamin, in
particolare con i seguenti saggi: Strada a senso unico, in Opere complete, a
cura di E. Ganni, vol. 2, Scritti 1930-1931, Einaudi, Torino 2001;
Malinconia di sinistra, in Opere complete cit., vol. 4. Scritti 1930-1931
cit.; Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi,
Torino 1997.
Riscoperto solo da alcuni anni e' il filosofo Guenther Anders del quale vale
la pena segnalare almeno L'uomo e' antiquato, vol. 2, Sulla distruzione
della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati
Boringhieri, Torino 2003.
Poco tradotto in italiano e' purtroppo Karl Kraus.
Affrontano temi strettamente connessi con la questione del tempo Giorgio
Agamben, La comunita' che viene, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Alain
Ehrenberg, La fatica di essere se stessi. Depressione e societa', Einaudi,
Torino 1999; Paul Virilio, L'incidente del futuro, Raffaello Cortina
Editore, Milano 2002.

8. RIEDIZIONI. DANIEL DEFOE: ROMANZI
Daniel Defoe, Romanzi, Gruppo editoriale L'Espresso, Milano 2005, pp. XXII +
1034, euro 12,90. Il volume contiene (riprendendo le traduzioni italiane
edite da Garzanti) Robinson Crusoe, Moll Flanders e Lady Roxana.
Lo sappiamo: e' un manigoldo, un voltagabbana, una spia, un razzista, una
personaccia con cui non accetteremmo di condividere la stanza in una
locanda. Ma bastano due paginette di colloquio tra Lady Roxana e il mercante
olandese per rivelare sulla famiglia come struttura di dominio patriarcale
cose che solo Casa di bambola e il femminismo, molti, molti anni dopo,
sapranno dire di nuovo e meglio; e il decorso della vita di Moll Flanders
e', al pari del diderotiano Nipote di Rameau o della Comedie humaine
balzacchiana, uno dei capolavori dell'analisi sociologica del modo di
produzione e dei rapporti di potere e di proprieta' - scilicet: delle
relazioni sociali, dei rapporti di classe - cui noi stessi ancora siamo
aggiogati; e sul colonialismo, il razzismo, lo schiavismo e l'autismo
imperialista dell'occidente Robinson Crusoe ci dice molto di piu' di tutta
la pubblicistica corrente del cosiddetto movimento altermondialista. Lo
sappiamo: e' un manigoldo, un voltagabbana, una spia, un razzista, una
personaccia con cui non accetteremmo di condividere la stanza in una
locanda. Ma s'impara di piu' dalle sue arruffate pagine che dai paludati
professori di tutte le professure che ancor oggi dalla cattedra e dallo
scranno, dal seggio e dal palco, dalle pagine odorose di petrolio e dallo
schermo luminoso di allucinazioni, pretendono parlarci della vita e della
liberta', e sono sovente i complici primi degli aguzzini nostri e di tutti.
Va da se', ma giova ripeterlo, che Defoe (o De Foe, a preferenza: il De al
cognome paterno Foe se lo aggiunse da se', come ognun sa) in italiano merita
di essere letto anche nella bella edizione in tre volumi a cura di Carlo
Izzo per Sansoni, Firenze 1958 e successive ristampe, che raccoglie
pressoche' tutta l'opera narrativa, una scelta limitata ma significativa
della varia pubblicistica, e un assaggio dell'epistolario.

9. RISTAMPE. THOMAS MANN: ROMANZI BREVI
Thomas Mann, Romanzi brevi, Mondadori, Milano 1977, 2005, diffuso in suppl.
a vari periodici Mondadori, pp. LVI + 774, euro 12,90. A cura di Roberto
Fertonani, alcuni dei capolavori di Mann: Tristano, Tonio Kroeger, La morte
a Venezia, Cane e padrone, Disordine e dolore precoce, Mario e il mago, Le
teste scambiate, La legge, L'inganno; tra i prestigiosi traduttori ci piace
segnalare in particolare il nome augusto di Lavinia Mazzucchetti.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1165 del 4 gennaio 2006

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