Nonviolenza. Femminile plurale. 40



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 40 del primo dicembre 2005

In questo numero:
1. Lidia Menapace: Una politica delle donne
2. Luisa Morgantini: Solidarieta' con gli attivisti del "Christian
Peacemaker Team" rapiti in Iraq
3. La newsletter di novembre della Libreria delle donne di Milano
4. Paola Mancinelli: Franz Rosenzweig e la questione dell'essere (parte
prima)
5. Gabriele Polo presenta "La ragazza del secolo scorso" di Rossana Rossanda
6. Simone Weil: Propaganda e fanatismo

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: UNA POLITICA DELLE DONNE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il
futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Carissime,
molti indizi dicono che vi e' una profonda insoddisfazione (per usare un
termine dolce) tra le donne di sinistra verso il centrosinistra intero: si
protesta inutilmente per avere un qualsiasi cenno teorico o pratico in tema
di riequilibrio della rappresentanza; per una qualsiasi ammissione che il
patriarcato e' diffuso anche a sinistra; perche' la questione del referendum
sulla legge della fecondazione assistita sia considerata un problema
politico a tutto tondo; un qualsiasi allarme perche' il clericalismo ormai
lascia vedere un disegno neotemporalista preciso, anche se del tutto
antistorico; e ultima ma non ultima la questione degli attacchi alla 194
viene affrontata con piccole furberie anche da donne dell'Unione, come se
non fosse una questione politica generalissima e non potesse certo essere
trattata col solito lamento sulle povere donne preda di tragedie e bisognose
di protettori: non ne vogliono piu' nemmeno le prostitute, giustamente;
l'autodeterminazione e' passata nella coscienza di molte e stupisce che
donne politicizzate la deprimano  o considerino poco.
Di contro viene lanciata da donne (e non solo) una bella campagna dal titolo
sarcastico "Fare breccia" (si intende di Porta Pia) e dal sottotitolo
eloquente "Piu' autodeterminazione, meno Vaticano"; donne di cultura
islamica si definiscono "Donne che vivono 'sotto' la legge islamica" (e non
piace loro affatto); durante i fatti delle banlieues un bel documento di
donne (che i giornali di sinistra non hanno pubblicato) mostrava un taglio
molto diverso e lamentava tra l'altro che il laicissimo stato francese
quando deve occuparsi di cittadini o cittadine di presunta confessione
islamica, se la intende con le autorita' religiose e non con i suoi
cittadini definiti semplicemente "marmaglia"; anche da noi il ministro
dell'Interno costituisce una consulta islamica come se qualcuno potesse
essere registrato all'anagrafe con la sua determinazione eventualmente
religiosa. Non se ne puo' piu'.
*
Ci si dice di stare buone, perche' ci sono le elezioni e si deve buttare
giu' Berlusconi. D'accordo, purche' non sia la solita riedizione della
politca dei due tempi: prima facciamo la rivoluzione, poi in un secondo
tempo anche le questioni delle donne.
Come e' noto il secondo tempo non arriva mai e intanto la situazione delle
donne peggiora: il piu' recente esempio e' la questione palestinese dove,
avendo messo da parte donne che si opponevano anche ad Arafat proprio sul
tema dei tempi, la condizione delle donne e' ricaduta nelle forme piu'
lamentevoli di fondamentalismo e di sottomissione (le palestinesi erano
molto laiche prima della seconda Intifada militarizzata). Per i Pacs
sappiamo: mancano anche le piazze, sempre gia' date ad altre iniziative.
Donne di Napoli si costituiscono intanto in una associazione di "Donne
laiche di sinistra"; con Ileana Montini, Maria di Rienzo e altre abbiamo
messo giu' un manifesto; gli scritti di Lea Melandri sono da condividere
tutti appassionatamente tanto sono belli forti eloquenti e duri, ecc.ecc.
*
Scrivo dunque  per dire che dobbiamo far sentire la nostra voce in ordine a
due questioni subito:
1) il femminismo e' una questione e cultura e soggettivita' politica
generalissima, e include riequilibrio, fine della discriminazione, revisione
dei temi del patriarcato, ecc. ecc.
2) il centrosinistra non puo' essere "diretto" come se fosse un partito
molto democratico del quale l'ufficio politico o politburo o Cei e'
legittimato a prendere decisioni su temi sanciti in congressi o concili:
molte e moltissime di noi pensano che non potra' ne' dovra' mai diventare
cio'; bensi' essere una incipiente forma politica complessa che governa in
modo nonviolento e democratico la molteplicita' dei soggetti di una societa'
complessa attraverso la formazione di forme politiche nuove, come accordi,
convenzioni, aree tra soggetti e partiti "alla pari". L'altra strada, quella
della riduzione della complessita' attraverso decisionismo presidenzialismo
e plebiscito e' quella che fu scritta in analisi da Luhmann per Thatcher,
Kohl, Reagan, Craxi. Non pare il caso di procedere in quella direzione, o
no?
*
Insomma facciamoci sentire: una politica che ci marginalizza non puo'
nemmeno vincere le elezioni, e se le vince produce un berlusconismo "di
sinistra" del quale davvero non si sente la mancanza, dato che - tra
l'altro - c'e' gia' stata la prova storica che esso e' solo il terreno di
coltura per un nuovo avanzamento culturale della destra, che poi conquista
anche un governo piu' facile da mandare avanti a destra su vari terreni
(scuola, mercato del lavoro, guerra, alta velocita', ponte sullo stretto,
laicita', ecc. ecc.): sarebbe questa l'alternanza? No grazie.

2. SOLIDARIETA'. LUISA MORGANTINI: SOLIDARIETA' CON GLI ATTIVISTI DEL
"CHRISTIAN PEACEMAKER TEAM" RAPITI IN IRAQ
[Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int)
per questo intervento. Luisa Morgantini, parlamentare europea e presidente
della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo
palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace;
il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito
www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5
novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di
Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal
1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove
ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971
ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore
dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la
sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta
nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato
metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per
il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata
responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato
metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano
nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel
Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism).
Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in
Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo
alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di
Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora
esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione
non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa,
Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata
in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo
anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di
ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la
mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e
israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza
con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la
guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo
all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra.
Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in
Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si
occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del
conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di
relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare
con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino
del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia
continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la
pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma
2004]

Care tutte e tutti,
e' arrivato oggi un comunicato stampa di Ism Media Group che esprime
solidarieta' alle quattro persone dell'ong canadese Christian Peacemaker
Team rapite in Iraq, due delle quali hanno lavorato a lungo e intensamente
in Palestina.
Domani a Ramallah si terra' una manifestazione di solidarieta' per i quattro
ostaggi rapiti. Tom Fox ha lavorato presso il Christian Peacemaker Team di
Hebron e ha partecipato alle numerose manifestazioni e iniziative contro il
Muro a Jayyous. Harmet Sooden, cittadino canadese, ha lavorato a Nablus e
Jenin con il Movimento internazionale di solidarieta' (Ism). Harmet doveva
tornare in Palestina a dicembre, ma prima aveva deciso di unirsi alla
delegazione di Christian Peacemaker Team che si stava recando in Iraq per
due settimane. Un viaggio che aveva lo scopo di entrare in comunicazione con
le ong locali, con gruppi cristiani e musulmani, e associazioni per i
diritti umani per documentare le risposte nonviolente che in Iraq ci sono
all'occupazione militare americana. Sarebbe bene mobilitarci anche per loro.

3. STRUMENTI. LA NEWSLETTER DI NOVEMBRE DELLA LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO
[Dalla Libreria delle donne di Milano (per contatti: e-mail:
info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo la newsletter n. 7 del novembre 2005, a cura di
Serena Fuart. Serena Fuart e' una prestigiosa intellettuale femminista]

Anche questo mese la redazione del sito della Libreria delle donne di Milano
invita a leggere e riflettere sui temi di attualita' e di politica delle
donne: tra gli aggiornamenti importanti nelle sezioni ricordiamo quelli in:
"Cosa c'e' di nuovo", la "Stanza del lavoro" e "La Costola di Eva e il Pomo
d'Adamo".
Una nuova sezione di contributi inoltre sara' interamente dedicata all'arte,
"LiberArte", visitatela.
*
La madre dopo il patriarcato. Il 28 ottobre Luisa Muraro si e' congedata
dall'insegnamento universitario. In tale occasione ha tenuto la lectio
magistralis all'interno del Grande seminario di Diotima quest'anno
intitolato "L'ombra della madre": ri-trattazione de "L'ordine simbolico
della madre", suo notissimo testo del 1991, considerato cruciale per il
pensiero della differenza sessuale. "L'ordine simbolico della madre quindici
anni dopo": questo il punto principale dell'intervista apparsa sul
quotidiano "Il manifesto" fatta per l'occasione da Ida Dominijanni a Luisa
Muraro. Molti i nodi affrontati, tra cui: il femminismo come terapia
politica dell'isteria, l'ombra del negativo nei rapporti fra donne, la
differenza nel pensiero politico.
*
Basta, Ruini! In un piccolo testo, arguto e divertente, Vita Cosentino si
addentra nel fastidio che prova alle dichiarazioni del cardinale Ruini: "Per
quello che dice e per come agisce Ruini mi sembra animato da una concezione
del potere che non ha niente da invidiare a un dittatore. Con una pretesa in
piu': entrare e dominare fin nelle camere da letto, entrare e dominare fin
nella mente degli essere umani. Che spesso sono donne. Di fatto, in quasi
tutte le questioni su cui si esprime si tratta di un corpo e di una mente di
una donna. E questo mi sembra davvero troppo".
*
Continuiamo a riflettere sul tema della conciliazione famiglia-lavoro. "Un
asilo-nido a Palazzo di giustizia? Ci manderei subito la mia figlia piu'
piccola". Laura Amato parla (in un articolo del quotidiano "La repubblica"
del 5 novembre 2005) in doppia veste: pm e mamma. Appesa al muro c'e' la
toga e nella borsa la foto delle bambine. Tre. Occhi castani, azzurri e
verdi. Un asilo-nido in mezzo alle aule? "Sarebbe un segnale importante.
Oggi la maggioranza dei nuovi magistrati sono donne, ma il nostro non e' un
lavoro facile per le mamme, non sono previsti part-time o permessi per
allattare. E' difficile conciliare la famiglia con udienze e turni. E poi le
mie figlie sanno che faccio il magistrato, mi piacerebbe che potessero
venire qui, perche' sarebbero piu' vicine e conoscerebbero il mio ambiente
di lavoro".
*
Nella sezione "La costola di Eva e il pomo d'Adamo" in rassegna stampa
alcuni testi del quotidiano "Liberazione" sulla violenza maschile ancora
dirompente. "Maschi, perche' uccidete le donne?". "La nostra epoca rida'
legittimita' alla guerra, nella famiglia fioriscono violenza e
sopraffazione. La nostra cultura e' patriarcale". Non e' immediatamente
facile trovare spiegazioni al dato reso noto dal Consiglio d'Europa: la
prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni, nel mondo, ma anche
in Europa, e' l'aggressione violenta da parte dei loro compagni di vita. Lo
afferma una ricerca del neonato "Osservatorio criminologico e
multidisciplinare sulla violenza di genere". Dieci uomini che scrivono per
'Liberazione' cercano  di superare l'incredulita', interrogare se stessi e
la propria consapevolezza di genere e tentare una spiegazione.

4. RIFLESSIONE. PAOLA MANCINELLI: FRANZ ROSENZWEIG E LA QUESTIONE
DELL'ESSERE (PARTE PRIMA)
[Ringraziamo Paola Mancinelli (mancinellipaola at libero.it) per averci messo a
disposizione il seguente saggio su "Rosenzweig e la questione dell'essere:
pensare l'inizio in una terra altra" che anticipa alcuni temi del suo volume
di prossima pubblicazione su Rivelazione e linguaggio. Ripensare l'essere
con Franz Rosenzweig.
Paola Mancinelli, nata ad Osimo (An) il 28 giugno 1963, dottore di ricerca
in filosofia teoretica e docente di scuola superiore, saggista e poetessa,
si e' occupata tra l'altro del rapporto fra mistica e filosofia e la
violenza del sacro in Rene' Girard, del pensiero di Rosenzweig e
dell'influenza dell'ebraismo nel rinnovamento dell'ontologia; collabora alle
riviste "Filosofia e teologia" e "Quaderni di scienze religiose" ed alla
rivista telematica di filosofia "Dialeghestai". Fra le opere di Paola
Mancinelli: Vibrazioni, Pentarco, Torino 1985; Come memoria di latente
nascita, Edizioni del Leone, Venezia, 1989; Oltre Babele, Edizioni del
Leone, Venezia, 1991; Cristianesimo senza sacrificio. Filosofia e teologia
in Rene' Girard, Cittadella, Assisi 2001; Homo revelatus, homo absconditus,
di alcune tracce kierkegaardiane in Rene' Girard, in AA. VV., "Nota Bene,
Quaderni di studi kierkegaardiani", Citta' Nuova, Roma 2002; La metafisica
del silenzio, Stamperia dell'Arancio, Grottammare, 2003; Rivelazione e
linguaggio. Ripensare l'essere con Franz Rosenzweig (di prossima
pubblicazione).
Franz Rosenzweig, filosofo illustre, nato a Kassel nel 1886, muore nel 1929
a Francoforte; con Martin Buber ha realizzato la traduzione tedesca della
Bibbia ebraica. Opere di Franz Rosenzweig: Hegel e lo stato (1920), Il
Mulino, Bologna 1976; La stella della redenzione (1921), Marietti, Casale
Monferrato 1981 (il suo capolavoro, come e' noto); Il nuovo pensiero (1925),
Arsenale, Venezia 1983. Opere su Franz Rosenzweig: segnaliamo almeno i saggi
di Scholem, Levinas, Cacciari; un'agile sintesi introduttiva (con una
perspicua bibliografia) e' quella di Giovanni Fornero nella Storia della
filosofia fondata da Nicola Abbagnano, IV volume, secondo tomo, Utet, Torino
1994, poi vol. IX, Tea, Milano 1996 (ivi alle pp. 3-19)]

Preludio: Essere senza ontologia: distretta e sfida della filosofia
contemporanea
Riproporre la questione dell'essere nella sua centralita' e' stato
certamente un merito heideggeriano, cosi' come quello di
attraversare-superare (secondo i termini tedeschi Ueberwindung - Verwindung)
il pensiero metafisico, colpevole dell'oblio dell'essere e dello smarrimento
di esso di volta in volta nelle maglie del fondamento entificante; in ultima
analisi del Summum ens. In questo senso la sfida per la filosofia e'
serrata, quanto invitante; occorre, infatti, ribaltare i termini, e trovare
un linguaggio consono alla nuova comprensione dell'essere, inteso, dapprima
come progetto appropriante dell'esser-ci, sottratto alla cattura ontica, poi
come evento ed invio storico-destinale del linguaggio e della parola. Si
tratta, in ultima analisi di prendere congedo dalla metafisica ontologica in
un lungo addio che la attraversi per poter, di conseguenza, ripensare
l'inizio.
Questa esigenza del novum del pensiero accomuna Heidegger e Rosenzweig; non
solo: essa attesta entrambi i pensatori sull'orizzonte della finitudine e
della storicita', fornendo loro - attraverso l'essere per la morte, se pur
diversamente elaborato e riproposto da Rosenzweig - il dato fenomenologico
irriducibile capace di ripercorrere criticamente la tradizione filosofica,
suscitando in essa la possibilita' di un nuovo inizio. Cio' che, a nostro
avviso, dovrebbe essere rivendicato con motivazioni inequivocabili, e' il
fatto che tale rinnovamento del pensiero dell'inizio nasce da una profonda
interazione con la tradizione ebraico-biblica, la quale costituisce,
altrettanto legittimamente del versante greco, il senso della riflessione
filosofica dell'occidente (1).
Riteniamo, pertanto, che il pensiero di Rosenzweig sia capace di dare conto
di questo altro inizio, e di evidenziare in modo eloquente che: "se l'essere
e' altro da quello che l'ontologia aveva compreso (...) e' perche' ha
abitato una terra diversa" (2). Questo non tanto perche' Rosenzweig
tematizza alla maniera di Heidegger l'istanza di una riproposta questione
ontologica, quanto perche', soffermandosi sul concetto centrale della
Rivelazione e sul suo carattere di evento della Parola che rinnova la
creazione ad ogni istante, attraverso il dono mattutino del linguaggio
all'uomo, sembra far emergere da questa terra altra - che e' per l'appunto
la tradizione ebraico-biblica - quegli stessi caratteri portanti con cui
Heidegger definisce la questione dell'essere. La cosa risulta tanto piu'
pregnante specie se si considera come dopo la "svolta", la questione
dell'essere viene connessa da Heidegger ad un pensiero dell'ascolto e della
rammemorazione, scaturito dal linguaggio e dal suo carattere di evento.
Qui si gioca la contemporaneita' non solo cronologica, dei due pensatori.
Entrambi partono, infatti, dall'effettivita' dell'esistenza e prendono le
distanze dall'ego sum dell'autocoscienza cartesiana, svuotata di ogni
implicazione storica. L'essere dell'esser-ci e', infatti, legato
all'esser-sempre mio ed al fatto che l'esserci e' l'appellato (3). Se pur
con esiti diversi, specie per quanto concerne la categoria dell'alterita', e
l'elaborazione della seconda persona, sviluppata nella Stella, ci sembra che
il pensiero di Heidegger sia di fatto attraversato in qualche modo dalla
tradizione biblica; piu' precisamente - come sostiene M. Zarader - dal Dio
della Bibbia, questo Dio senza cui linguaggio e pensiero perderebbero il
loro senso specificatamente ebraico (4).
In virtu' di questo fatto crediamo che sia possibile, avvalendoci di
un'auscultazione di questa "terra altra", che e' Gerusalemme nei riguardi di
Atene, nella quale il pensiero di Rosenzweig funge da criterio orientativo,
riprendere la questione dell'essere. Riteniamo, infatti, che il mondo
biblico possa aiutarci a ripensarla depurata dall'ispessimento
ontologico-metafisico. Naturalmente siamo consapevoli della difficolta', che
gia' fu heideggeriana, di inventare nuove categorie linguistiche in grado di
rendere ragione di tale attraversamento-superamento. Nutriamo pero' la
convinzione che il contributo di Franz Rosenzweig alla riflessione sulla
comprensione dell'essere a partire dal mondo biblico sia fondamentale. Egli
stesso lo ripensa, infatti, con una originarieta' assolutamente nuova, pur
nell'ambito dell'antico pensiero ebraico, come evento storico aperto che
accade tra gli uomini e ad essi stessi (5).
L'interrogazione altrettanto serrata del retaggio biblico e della
letteratura midrashica potranno, cosi', essere una preziosa chiave
ermeneutica per rileggere in modo critico la storia dell'essere, l'avventura
della sua progressiva rottura dell'identita' con il pensiero, nonche' quella
della totalita' metafisica dalla Jonia a Jena, fino a giungere all'istanza
di un essere altrimenti. E' altrettanto opportuno, tuttavia, riflettere sui
diversi motivi di crisi di una comprensione dell'essere secondo l'orizzonte
greco-occidentale, convenuto, in ultima analisi, su un'istanza di tipo
ontoteologico. Se e' vero che il pensiero greco classico, fatto proprio
dalla tradizione patristico-medievale e tramandato fino alla tradizione
cartesiana moderna, ha contribuito allo sviluppo dell'ontoteologia
occidentale, tanto che anche i grandi interpreti dell'Antica Alleanza hanno
tradotto in tal senso il messaggio della Rivelazione, e' altrettanto
indubbio che proprio su questo fronte ha iniziato a determinarsi la crisi.
La comprensione dell'essere come presenza o come ousia, ha infatti
determinato quella sorta di oblio dell'essere, che Nietzsche ha chiamato
morte di Dio (6). Cio' rende quanto mai necessario ripensare questo inizio e
comprenderlo nella sua totale alterita'.
Dunque l'ebraismo come altro inizio; ma per questo e' necessario misurarsi
ed andare con Heidegger oltre Heidegger, sia pur ricchi delle sue
suggestioni, per interpellare Rosenzweig e riportare alla luce quella "dette
impensee" con l'universo ebraico. Occorre elaborare altresi' un pensiero
della parola su questa scorta biblica, per poter dare ancor piu'
consapevolmente conto di come il linguaggio sia "Haus des Seins", dimora
dell'essere.
Si deve, da questo punto di vista, raccogliere la sfida che aveva gia'
lanciato in modo inequivocabile Emmanuel Levinas: considerare e
riappropriarsi del versante biblico come della propria legittima tradizione
(la Bibbia altrettanto legittimamente che Omero); non solo, ma anche
ravvisare nelle Scritture bibliche la possibilita' di filosofare. Ci sembra
che questa sfida sia stata gia' presentita e accolta da Franz Rosenzweig; la
Stella e' certamente, almeno in uno degli strati possibili delle sue
infinite letture, un commento alla Bibbia, ma essa si attesta ad un tempo
nella sua architettura filosofica. Dobbiamo in tal senso concludere che la
stessa tradizione biblica offra un'occasione notevole per ripensare
l'essere, e la Stella della Redenzione ne e' una prova incontrovertibile.
Secondo quanto Casper scrive, infatti: "Il contributo decisivo della Stella
della Redenzione di Rosenzweig consiste in questo: in essa dapprima si mette
in luce analiticamente la possibilita' di pensare l'essere come "evento
accaduto" che ha avuto luogo nella rivelazione biblica intesa come cio'
"oltre cui non si puo' pensare cosa piu' grande". Con cio' si fonda la
comprensione della realta' in generale su un'esperienza dell'essere piu'
originaria di quella dell'essere in quanto presenza. E solo grazie a
quest'esperienza piu' originaria si puo' parlare autenticamente di Dio" (7).
Filosofia e teologia sono dunque preziose nella loro correlazione al fine di
un rinnovarsi del pensiero; il segreto sta senza dubbio in quella e; l'und
della correlazione, con la quale Rosenzweig connetteva ebraismo e filosofia,
germanita' ed ebraicita' (Deutschtum und Judentum), riportando ad un tempo
la vita e la storicita' a dignita' filosofica. Nella categoria della
rivelazione si puo', infatti, cogliere la pietra angolare di un'autentica
elaborazione filosofica, in cui si intravede gia' in nuce la possibilita' di
riproporre la questione dell'essere, cercando di attraversare le distrette
del linguaggio. La rivelazione e' cio' che consente la svolta dalla fissita'
del pensiero senza tempo alla sonorita' vivente della parola, e, grazie alla
nuova ermeneutica grammaticale che Rosenzweig elabora con impareggiabile
maestria, essa consente di attestarsi sull'orizzonte della Parola, di
cercare la parola di Dio in quella dell'uomo. Fondamentale risulta, a questo
proposito, l'elaborazione di categorie narrative, dialogiche, liturgiche e
celebrative, in cui si tratta sempre di un lasciar risuonare ed ascoltare,
di testimoniare un venire all'essere.
Per tornare alla suggestione filosofica della Bibbia, ci sembra utile citare
quanto asserisce uno studioso francese di Rosenzweig, Gerard Bensussan,
circa la categoria della temporalita' e quella dell'essere del linguaggio:
"La Stella scruta la parola di Dio portata dalla voce biblica e vi ritrova
il tracciato di tre "grammatiche", narrativa, dialogica, corale, perche', in
effetti, noi cerchiamo la parola dell'uomo nella parola di Dio. Tre tempi
(passato, presente, futuro), tre modi (logos, eros, pathos), tre movimenti
(evento, esperienza, atto), in cui si strutturerebbe la maniera
biblico-ebraica di manifestazione dell'essere del linguaggio" (8).
Evidente e' qui un'anticipazione delle istanze heideggeriane, nonche' la
possibilita' di elaborare, dal punto di vista biblico, una filosofia della
parola che rispecchi il carattere eventuale e linguistico dell'essere di cui
parla Heidegger in Unterwegs zur Sprache, e preluda ad una sorta di
de-ontologizzazione, segnando un definitivo congedo da un approccio
sostanzialistico ed ontoteologico. Sembrerebbe dunque che la questione
dell'essere si attesti su una zona di transizione fra due terre, quella
greca da un lato e quella biblico- ebraica dall'altro, ma cio' non significa
affatto l'escludersi reciproco delle due prospettive, quanto un reciproco
comprendersi l'uno alla luce dell'altra. La provenienza biblico-ebraica
designa un'esperienza di fede, che pero' nell'ebraismo ha un diverso codice
rispetto a quello greco; in ebraico la fede viene tradotta con il termine
emunah, derivante dal verbo mn (da cui amen) che significa aderire a, essere
fedeli a. Dunque risulta sempre come fides ex auditu, sulla base della quale
si rinnova la consistenza creaturale dell'uomo (in quanto esserci) e la
fedelta' del Dio dei Padri (9). Proprio a motivo di cio' possiamo ravvisare
la mancanza di un aspetto fondativo alla maniera della metafisica, forse e'
questo che puo' indicarci il sentiero di un altrimenti dire.
Riteniamo allora che sia legittima l'affermazione secondo cui la
particolarita' dell'ebraismo e della sua fenomenologia rappresenta ad un
tempo una prospettiva sul campo aperto della realta', illuminante anche per
la stessa filosofia. Come non pensare, ad esempio, all'insistenza
heideggeriana sulla differenza ontologica, sull'impossibile reductio
dell'essere agli enti (sia pur al Summum Ens fondante) e di conseguenza a
quella svolta in cui, incamminandosi per i sentieri del linguaggio,
Heidegger ha cercato un diverso statuto dell'Essere, sia pur non
esplicitando il suo debito con l'ebraismo? O forse, la critica
all'ontoteologia non sarebbe il risultato di un'auscultazione piu' autentica
dell'ebraismo biblico, di un abitare, pur provvisoriamente, questa terra
altra?
Un altro dato ci sembra da questo punto di vista incontrovertibile: quello
che riguarda la possibilita' di un pensiero della parola che permetta
un'apertura, un venire all'essere. Gia' la lingua ebraica possiede un
termine che sembra porre una tale premessa e che indica una nuova frontiera
filosofica, le cui sollecitazioni ci sono ancora una volta note grazie ad
Heidegger; il termine in questione e' yesh (10). Nella tradizione
cabalistica il termine si riferisce dapprima alla creatio ex nihilo (in
ebraico yesh me'ayn), tuttavia - come sottolinea Neher - esso sottende
altresi' il sorgere della creazione, non gia' dal nulla, ma da 'ayn,
dall'abisso divino. In tal modo yesh starebbe ad indicare un venire
all'essere, nel senso pero' di un ek-sistere, e questo renderebbe l'idea di
un'apertura, per cosi' dire, donante (11).
Cio' puo' richiamare alla mente il tedesco es gibt, che - come insegna
Heidegger - dovrebbe tradursi piu' propriamente si da' (12). In tal senso,
esso suppone un'istanza di gratuita' e di apertura e questo e' certamente un
contributo importante dell'ebraismo alla filosofia, perche' sembra gettare
le basi anche per una comprensione dell'essere come evento (Ereignis) che si
da' nella possibilita' acroamatica (13). In base a queste considerazioni ci
sembra che, pur non tematizzando mai un'ontologia cosi' come la potrebbe
intendere un retaggio tipicamente greco, l'ebraismo sia pero' in grado di
illuminare le prospettive e gli orizzonti di una nuova comprensione
dell'essere, attestato, ora, grazie all'apporto dell'ermeneutica, su istanze
linguistiche. Forse su questo pensiero della parola, Atene e Gerusalemme
possono incontrarsi, ma certamente Gerusalemme, ipostatizzata nel nostro
caso dalla figura di Franz Rosenzweig, ha a suo merito un'altra istanza
fondamentale, quella della temporalita', categoria trascendentale a partire
da cui la comprensione dell'essere accade.
Queste note introduttive avevano lo scopo di immettere nel cuore di un
problema delicato quanto nodale, e di rendere ragione del fatto che stiamo
tentando di sviluppare la questione dell'essere spostandola su un terreno
che sembrerebbe non competerle affatto. Siamo consapevoli di correre il
rischio di una forzatura, ma riteniamo che proprio l'ambito ermeneutico nel
quale ci muoviamo ci sostenga in un'operazione che non intende affatto
forzare, quanto invece interrogare e vivificare i testi, provando altresi',
in virtu' della fusione di orizzonti, a dialogare con lo stesso autore, in
una contemporaneita' diacronica che permetta di leggere sinotticamente e di
recepire sempre piu' profondamente la tradizione di pensiero della quale
siamo partecipi.
*
Note
1. Rinviamo su questo in modo particolare a M. Zarader, La dette impensee,
Heidegger et l'heritage hebraique, Seuil, Paris 1990, nonche' a D. Banon, La
lecture infinie. Les voies de l'interpretation midrachique, Seuil, Paris
1987, l'analisi dei quali riteniamo preziosa per lo sviluppo della nostra
tematica.
2. M. Zarader, op. cit., p. 143. Qui di seguito il testo francese: "Si
l'etre 'est' autre que ce qu'en avait compris l'ontologie, c'est parce que
celui-ci avait habite' une terre differente".
3. Su questo rinviamo a K. Loewith, M. Heidegger und F. Rosenzweig, trad.
it. cit., p. 84. Questo saggio ci sembra prezioso per poter comprendere il
contatto-contrasto dei due pensatori riguardo all'elaborazione dell'esserci
per la morte, intesa da Heidegger come possibilita' autentica anticipata
nella decisione e nel carattere ek-statico dell'esistenza, concepita al
contrario da Rosenzweig come apertura alla Rivelazione sempre rinnovantesi e
anticipazione escatologica nell'adesione al comandamento.
4. M. Zarader, op. cit., p. 129.
5. Si veda a questo proposito l'interessante articolo di Casper, La sfida di
Rosenzweig al pensiero cristiano, in "Filosofia e Teologia", n. 2, 2000, p.
147.
6. Ibidem.
7. Ivi, p. 248.
8. G. Bensussan, Parole, langage et temporalites: la Bible dans l'Etoile de
la Redemption, in "Revue de Metaphysique et de Morale", n. 4, 2000, p. 477.
9. Si veda per questo la bella analisi fatta da M. Buber, Der Glaube der
Propheten, trad. it. di A. Poma, La fede dei profeti, Marietti, Genova 1985.
10. Rinviamo a A. Neher, Chiavi per l'ebraismo, Marietti, Genova 1988, p.
50.
11. Su questo rimandiamo anche a C. Di Sante, Lo straniero nella Bibbia.
Saggio sull'ospitalita', Citta' Aperta, Troina 2002, p. 84.
12. Rinviamo in particolare a M. Heidegger, Sein und Zeit, Niemeyer Verlag,
Tuebingen 1927, p. 7, trad. it. di P. Chiodi, Essere e Tempo, Utet, Torino
1969, seconda edizione 1986, p. 59, e soprattutto a Zeit und Sein, trad. it.
di E. Mazzarella, Guida Editori, Napoli 1980, p. 101, in particolare nota 5.
13. Su questo rinviamo senza dubbio a B. Casper, Das dialogische..., cit.,
nonche' a M. Heidegger, Unterwegs zur Sprache, Neske, Pfullingen 1959, trad.
it. di A. Caracciolo, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1988.
Per cio' che concerne lo sviluppo di una teoria dialogica della verita' e
dell'essere si veda R. Mancini, L'ascolto come radice, Edizioni Scientifiche
italiane, Napoli 1985.
(Parte prima - segue)

5. LIBRI. GABRIELE POLO PRESENTA "LA RAGAZZA DEL SECOLO SCORSO" DI ROSSANA
ROSSANDA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 novembre 2005.
Gabriele Polo e' giornalista e direttore del quotidiano "Il manifesto".
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un
viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani,
Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986,
Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine
secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve.
Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine,
Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro
intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e
proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in
articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

"Si puo' fare quello che si vuole, ma bisogna pagarne il prezzo". E' in
questa frase del padre una delle possibili chiavi di lettura de La ragazza
del secolo scorso (Einaudi, pp. 387, euro 18), politicissima autobiografia
di Rossana Rossanda, da oggi in libreria. Perche' dietro quel titolo
apparentemente leggero c'e' tutto il dover essere teso a cambiare il mondo
di una generazione di militanti di cio' che abbiamo chiamato "movimento
operaio organizzato", la convinzione di non trovare limiti se non nel costo
da far pagare a se stessi in nome di una trasformazione necessaria. Un dazio
che non era considerato un sacrificio personale, perche' iscritto in un
movimento che arricchiva - anche attraverso le sconfitte - la storia
personale degli individui. E di costi Rossana ne ha pagati nella sua lunga
vita.
Li racconta inserendoli nella vicenda collettiva del movimento comunista
internazionale, soprattutto in quel Pci che ne ha rappresentato una variante
del tutto particolare. Ma sono costi che si potevano pagare (anche se oggi
puo' sembrare incomprensibile ai piu'), "almeno finche' il Pci organizzo' ed
espresse i senza mezzi di produzione", fino a quel momento "i suoi limiti,
le sue rozzezze e settarismi o prudenze furono sopportabili". Per questo la
storia della "ragazza del secolo scorso" - che dall'infanzia attraversa il
fascismo, la resistenza, la militanza comunista a Milano e "l'ascesa" a
dirigente nazionale a Roma - si interrompe al momento della radiazione dal
partito, quando il costo era diventato troppo alto, non limitandosi solo a
rinunce personali e politiche ma arrivando alla messa in discussione delle
stesse ragioni che avevano portato migliaia di persone a dedicare tutta la
propria esistenza alla politica e al partito-intellettuale collettivo.
Quello che viene dopo e' si' una continuazione in altra forma del prima, ma
"e' un'altra storia" - conclude Rossanda alludendo agli anni del
"Manifesto" - e vien da pensare che non e' la storia che piu' interessa alla
fondatrice di questo giornale. Non per snobismo, ma perche' lo scopo del
libro e' spiegare i motivi di una scelta di vita e provocare il mondo sulla
sconfitta delle risposte date alle domande, visto che le seconde sono
rimaste inevase e - per questo - attuali, mentre sulle prime nessuno ha
voluto riflettere davvero, rimuovendo semplicemente una storia,
"liquidandola" denuncia Rossanda. E lei pensa che questo sia il vero dramma,
che da li' bisogna ripartire, altrimenti l'oggi precipitera' nel vuoto della
politica come pura rappresentazione di un nulla privo di radici.
*
La ragazza del secolo scorso e' un libro facile da leggere ma difficile da
digerire. Le pagine scorrono via piacevolmente - in un intreccio di episodi
pubblici e privati - ma alla fine i nodi sono tutti li', non sciolti,
squadernati allo scopo di provocare riflessione, che per Rossanda e' la
principale natura della politica. "Cosa siamo stati e perche' siamo stati
cosi'?", cioe' perche' i comunisti italiani non hanno avuto il coraggio di
andare fino in fondo nella critica del socialismo reale, almeno a partire
dalle rivolte del '53 in Germania dell'est e del '56 in Ungheria ("quando
perdemmo per sempre l'innocenza")? Perche' i quadri e i militanti delle
federazioni del nord non hanno saputo "imporre" al partito romano, all'alba
degli anni Sessanta una visione meno consolatoria del capitalismo italiano
("straccione e pauperista" lo bollavano a Botteghe Oscure quando era in
corso il boom economico) e piu' attenta alla nascita di una nuova classe
operaia, a quelle masse "trattate sempre come gattini ciechi"? Perche' la
sinistra del partito non ha avuto il coraggio di "rompere" con il
moderatismo politicistico della direzione quando gia' si intravedeva
l'insorgenza di un conflitto sociale (il '68-'69) che poi avrebbe spiazzato
il Pci, costringendolo a rimozioni o rincorse? Una risposta Rossanda la da':
"Il partito era l'unico luogo in cui non ci si sentiva soli, fuori di esso
non saremmo stati nulla". E' una logica dura - quella del costo da pagare,
appunto - la stessa che fa venire alla mente un libro ben piu' tragico, Buio
a mezzogiorno di Arthur Koestler, la vicenda romanzata dei processi
staliniani del '36, la confessione-resa del "compagno Rubasciov" (in cui
sono echeggiati alcuni tratti della vicenda di Bucharin): "Ho pensato e
agito come dovevo, ho eliminato persone che amavo e dato potere ad altre che
aborrivo. La storia mi ha messo dove mi sono trovato: se ho avuto ragione
non ho nulla di cui pentirmi, se ho sbagliato paghero'". Quel fine supremo,
quell'aver di fronte un mondo di fuoco e acciaio, quel nemico sempre in
agguato e sempre da sconfiggere, "costringono" il comunista alla supremazia
dei fini sui mezzi e a considerare se stesso null'altro che un mezzo. Fino a
far diventare il partito un fine, un moloch indiscutibile, altrimenti si e'
perduti.
*
Ma Rossanda non conosce la resa del "compagno Rubasciov" ed e' per questo
che interroga e chiede a tutti di farlo i nodi irrisolti della sua storia
che e' storia di tante e tanti. Non solo - anche se e' una condizione
essenziale - perche' vive nel partito di Togliatti e non in quello di
Stalin, nell'Italia del dopoguerra e non nell'Urss degli anni Trenta. Ma
anche perche' a ogni caduta e a ogni omissione c'e' sempre una rinascita in
cui trovare una via d'uscita persino gioiosa. Forse sara' quel relativismo
incompatibile con il fanatismo della gente di confine trasmessole dalla
famiglia mitteleuropea a Pola, ma il senso di colpa di non aver capito la
tragedia totalizzante del fascismo se non con le bombe sulla testa si
ribalta nell'azione della lotta partigiana; la delusione dell'esito
democristiano che ghettizza le speranze della Resistenza si risolve nella
scoperta del mondo operaio di cui si riempiono le sezioni comuniste nei
sottoscala milanesi e nella gioia dell'agire comune; le tragedie del
comunismo dell'Est europeo sono lenite dal distacco del partito italiano
dalla stretta sovietica; le tristezze della vita romana d'apparato - le
meschinita' di un partito sempre piu' pachidermico, sordo e maschilista - si
allontanano con la frequentazione dei giovani intellettuali e sindacalisti
che nel Partito comunista italiano cercano di portare le innovazioni della
trasformazione sociale; la sconfitta dell'XI congresso e gli esili cui viene
costretta la sinistra ingraiana si anestetizzano con il guardare ad altre
realta', ai movimenti del terzo mondo e alla freschezza intellettuale e
politica delle nuove generazioni studentesche e operaie. Per ogni male c'e'
un rimedio, che rende accettabile il costo da pagare, finche' il "movimento"
rimane "uno". Poi non piu'. Ma da la' l'hanno dovuta cacciare, anche se oggi
Rossana si dice convinta che, a quel punto, se ne sarebbe comunque andata
lei.
Ma a far che cosa? Questo e' il punto. Per una militante che confessa di
avere sempre paura (di fronte a un comizio o a dover intervenire in un
convegno), ma poi "di andare sempre", per un'intellettuale che prima di
"essere conquistata" dalla politica pensava di fare la storica dell'arte,
per una donna che considera la ferocia del decidere una caratteristica
maschile, qual e' lo sbocco altro, fuori dal "movimento unico"? Rimane
l'imperativo kantiano, il dover essere e la ricerca di un luogo in cui
esercitarlo. "E' una scelta di ragione - spiega -. Puo' darsi che l'aver
patito sulla mia propria infanzia quell'essere travolti dei miei genitori
dal terremoto (economico, ndr) del 1929, abbia determinato una intolleranza
per l'eterodirezione delle esistenze che non ho mai dismesso. Non e' una
teoria, e' una parte di me. Come sopportare che i piu' fra coloro che
nascono non abbiano neanche la possibilita' di pensare a chi sono, che
faranno di se', l'avventura umana bruciata in partenza? O c'e' un Dio
tremendo che ti mette alla prova e compensa nell'aldila', o non si puo'
accettare. Non ho fede e non posso che cercare di cambiare uno stato delle
cose al quale non posso stare. Non e' una scelta, e' una condizione". Cosi'
la bambina nata borghese si ritrova adulta al fianco di quelli che mai
avrebbe incontrato e che non si ponevano nemmeno il problema di scegliere,
tanto netta era la loro condizione. E per questo - in questo libro che aiuta
a capire il Novecento e il comunismo italiano anche a chi non ne porta i
segni - Rossanda non separa le ragioni che l'hanno spinta alla politica
dagli errori delle risposte date a quelle ragioni. Non e' la nostalgia a
spingerla a considerare quel passato almeno un tentativo di fronte alle
dismissioni dell'oggi. E' un lucido bilancio che lascia aperte le
conclusioni su una storia tutta da analizzare.
*
E' un bilancio personale, narrazione scritta di uno sforzo intellettuale
durato quattro anni: "Non e' un libro di storia - dice - e' la mia memoria
di quella storia", che non bada troppo alle date o alla precisione dei
documenti. Ma che punta alla sostanza di una vita passata in comune per
ripensarne il senso. E sbatte in faccia al revisionismo politico il suo
convincimento che il Pci - con tutti i suoi limiti ed errori - era meno
peggio di cio' che si vorrebbe far credere; che se non si affrontano i nodi
strutturali del capitalismo ogni scelta politica diventa inutile; che la
testimonianza intellettuale se non comunicata in un agire collettivo si
riduce a improduttivo sforzo individuale. E sono proprio le confessioni
degli errori fatti (la rottura troppo tardiva con l'Unione sovietica,
l'ingoiare fin troppo il conservatorismo degli apparati di partito, il
distogliere lo sguardo dalle trasformazioni sociali sacrificate al
rassicurante primato dell'autonomia del politico) a fare de La ragazza del
secolo scorso un libro d'attualita' che, attraverso una storia militante,
mette a nudo l'impossibilita' delle "comunita' politiche" (piccole o grandi)
di bastare a se stesse, le invita a uscire in campo aperto e - ammettendo
l'avvenuta cesura - non si chiude nella sconfitta (con il relativo
consolatorio oblio) del comunismo novecentesco. Non e' l'ammissione di una
sconfitta definitiva, ma quella ricerca che ha dato vita anche a questo
giornale. Di cui Rossanda non parla nel suo libro, "perche' e' un'altra
storia" che ha ancora bisogno di capire le lezioni di quella precedente.
Magari non in solitudine.

6. MAESTRE. SIMONE WEIL: PROPAGANDA E FANATISMO
[Da Simone Weil, La prima radice, Leonardo, Milano 1996, p. 165. Simone
Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante
sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di
fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice
agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la
Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze,
muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella
che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in
particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]

La propaganda non mira a suscitare un'ispirazione; essa chiude invece,
condanna ogni fessura attraverso la quale possa penetrare un'ispirazione:
gonfia tutta l'anima col fanatismo.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 40 del primo dicembre 2005

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