Nonviolenza. Femminile plurale. 38



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 38 del 17 novembre 2005

In questo numero:
1. Luisa Morgantini: Per il diritto allo studio dei bambini di Gerusalemme
est
2. Ida Dominijanni: L'atto mancato di Sajida
3. Flavia Zucco: Essere scienziate oggi
4. Maria Russo: Donne in Rwanda
5. Erminia Emprin: "Proseguiamo il percorso". Un incontro a Roma
6. Anna Picciolini: "Donne, scienza e potere". Un convegno a Bari
7. Hannah Arendt: Ideologia e terrore

1. DIRITTI. LUISA MORGANTINI: PER IL DIRITTO ALLO STUDIO DEI BAMBINI DI
GERUSALEMME EST
[Da Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) riceviamo e
diffondiamo. Luisa Morgantini, parlamentare europea e presidente della
delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa
parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente
profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito
www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5
novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di
Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal
1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove
ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971
ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore
dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la
sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta
nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato
metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per
il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata
responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato
metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano
nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel
Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism).
Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in
Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo
alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di
Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora
esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione
non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa,
Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata
in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo
anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di
ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la
mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e
israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza
con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la
guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo
all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra.
Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in
Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si
occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del
conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di
relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare
con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino
del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia
continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la
pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma
2004]

Care tutte e tutti,
sono appena tornata dalla Palestina dove sono stata con una delegazione del
Parlamento Europeo. La questione di Gerusalemme e' cruciale, continua
inesorabile  la costruzione del muro e continua, cosi' come l'ha chiamata
Bet'selem, organizzazione israeliana per i diritti umani, "la deportazione
silenziosa" dei  palestinesi di Gerusalemme Est.
A tutto cio' si aggiunge, anche se parte dello stesso piano, questo appello
lanciato dalla  Fondazione Ir Amin, che da anni si occupa di stabilire e
migliorare le relazioni tra gli ebrei e i palestinesi di  Gerusalemme. La
Fondazione ha reso noto un  rapporto che afferma che 14.500 bambini di
Gerusalemme Est non sono riconosciuti dalle autorita' educative e in questo
momento e' loro interdetto l'accesso  all'istruzione presso le scuole
pubbliche per mancanza di aule e spazi.
Il rapporto spiega che a Gerusalemme Est sono registrati 79.000 bambini in
eta' scolare, ma soltanto 64.536 di questi sono registrati presso la
Municipalita' di Gerusalemme e il Ministero dell'Istruzione, sia che
frequentino le scuole pubbliche o private. Il rapporto rivela che durante
gli ultimi quattro anni la percentuale di bambini che frequentano le scuole
e' calata drasticamente dal 65 al 55%.
Il rapporto conclude che questo calo e' dovuto alla mancanza di spazi e di
aule, dal 1994 a migliaia di bambini e' stato  interdetto l'accesso
all'istruzione pubblica per via della mancanza di aule e delle difficolta'
nel costruirne di nuove.
Gli autori del rapporto richiamano la Municipalita' di Gerusalemme cosi'
come il Ministero dell'Istruzione affinche si  costruiscano immediatamente
mille nuove aule nelle scuole pubbliche di  Gerusalemme Est, cosi' come
richiedono che si provveda a conferire un'indennita' ai genitori palestinesi
dei bambini tagliati fuori dall'istruzione pubblica e che si sono visti
obbligati a pagare una scuola privata per permettere ai propri figli quello
che viene universalmente e indiscutibilmente riconosciuto come un  diritto
umano fondamentale.
Per saperne di piu' si puo' visitare il sito della Fondazione Ir Amir:
www.ir-amim.org.il

2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: L'ATTO MANCATO DI SAJIDA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 novembre 2005. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale
all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista]

La venerabile mancata parla con voce opaca e tono piatto. Lo sguardo e'
spento, il corpo antico e voluminoso stona col mezzo televisivo che di
solito usa le fattezze femminili per restituire solo immagini glamour della
modernita'. Sajida Mubarak Atrus Rishawi, nome in codice Um Umaira,
resoconta alla tv giordana il suo martirio fallito come se il pensiero di
essere una prima della storia, la prima donna sopravvissuta alla
destinazione di Al Quaeda all'aldila', neppure la sfiorasse.
Racconta l'attentato come si potrebbe raccontare una mattina al supermercato
o una qualsiasi storia di ordinaria quotidianita'. "Sono Sajida Mubarak
Atrous, nata nel 1970, di nazionalita' irachena, residente a Ramadi. Il 5
novembre ho accompagnato mio marito in Giordania usando passaporti falsi
iracheni. Abbiamo aspettato ed e' arrivata un'automobile bianca con due
persone a bordo. Ci siamo diretti con loro in Giordania. Mio marito ha
organizzato il nostro viaggio dall'Iraq, non so altro. In Giordania abbiamo
affittato un appartamento. Lui aveva due cinture esplosive. Ne ha indossata
una e l'altra l'ha data a me. Mi ha spiegato come usarla. Lui ha detto che
servivano per attaccare gli hotel in Giordania. Abbiamo affittato un'auto e
siamo andati all'hotel Radisson il 9 novembre. Mio marito e io siamo entrati
dentro, lui e' andato in un angolo e io nell'altro. C'era un matrimonio
nell'hotel con bambini, donne e uomini dentro. Mio marito ha fatto esplodere
la sua cintura, io ho provato a far esplodere la mia, ma non ci sono
riuscita. Sono scappata, la gente correva e anche io ho iniziato a correre".
Lui ha organizzato il viaggio, lui aveva due cinture, lui me ne ha dato una,
lui mi ha spiegato come usarla, lui sapeva quello che stavamo facendo. Lei
ha eseguito, al seguito nell'azione, al seguito nel reclutamento. Prescelta
perche' moglie di un kamikaze, quindi promessa vedova, quindi tanto valeva
sacrificare anche lei. Prescelta perche' sorella di un uomo di fiducia di al
Zarqawi rimasto ucciso a Falluja in uno scontro con gli americani, quindi lo
doveva vendicare. Zarqawi ha scelto, ha deciso, ha enfatizzato la presenza
di una donna nel commando di Amman: il vantaggio di coinvolgere anche le
donne nella pratica del santo martirio e' diventata evidentemente piu' forte
dell'ossequio alla tradizione che le voleva fuori dai piedi nelle cose di
uomini.
Si sa, o meglio ci e' parso di capire, che solo qualche volta la presenza
femminile nelle azioni suicide si puo' interpretare come un segno di
emancipazione perversa, accesso a uno spazio d'azione solitamente riservato
agli uomini. Piu' spesso, s'era gia' visto in Cecenia, il reclutamento
femminile e' viceversa un segno ultimo e ultimativo dell'oppressione, con
lui che sa, lui che decide, lui che organizza la missione, lui che allaccia
le cinture. Impossibile decifrare del tutto i rapporti di potere e le trame
parentali che sottostanno a queste vicende, ma la goffa performance
televisiva di Sajida, con quell'insistenza sul pronome "lui", ci trasmette
quanto basta: suo, di lui, e' il regno, sua la potenza, sua anche la gloria,
perche' lei, invece, a far scattare la cintura non c'e' riuscita. Non
sapremo mai, sembra non saperlo neanche lei e neppure domandarselo, se per
imperizia o per un atto estremo di sottrazione, un mancamento di
autoconservazione o di ribellione. Ma quel corpo cosi' intabarrato, quella
voce cosi' impersonale, quel velo in testa, quella goffaggine stonata in tv
ci hanno detto in pochi istanti di quale micidiale miscela di cinismo
politico moderno e cinismo patriarcale antico siano fatti i calcoli di Al
Quaeda e la "chiamata santa" dei kamikaze.

3. RIFLESSIONE. FLAVIA ZUCCO: ESSERE SCIENZIATE OGGI
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip) riprendiamo il
seguente articolo. Flavia Zucco, biologa, e' presidente dell'associazione
"Donne e scienza"]

Il passaggio di testimone alle nuove generazioni di donne scienziate, non ha
solo l'ovvio significato fisiologico, di svecchiamento, ma rappresenta la
possibilita' di partecipare ai mutamenti della scienza contemporanea con un
vissuto piu' autorevole della nostra generazione, perche' piu' coinvolte in
essi. Le loro soggettivita' e professionalita' sono destinate ad evolvere e
svilupparsi in contesti nuovi, su cui possono esercitare influenze positive
per esse ma anche per l'intera societa'.
Le nuove generazioni di scienziate, infatti, stanno assecondando lo
spostamento di senso della scienza, con la ricchezza di immaginazione e
partecipazione che e' propria delle donne.
Mi spiego: la nostra generazione ha guardato al contesto della scienza, per
denunciarne vincoli politici e di genere, dando pero' per scontata la
struttura della scienza, restie a criticarne l'essenza e gli statuti delle
varie discipline. I cambiamenti sopravvenuti hanno messo in luce come la
scienza stessa possa cambiare, se non addirittura finire (come e' accaduto
alla scienza ellenistica: cfr. il bel libro di Lucio Russo, La rivoluzione
dimenticata).
Questi cambiamenti hanno anche fatto capire alla societa' che il sapere
sposta le frontiere della conoscenza e non da' certezze, che il progresso
tecnologico non necessariamente coincide con il progresso sociale e
culturale della societa' civile, e che, se contribuisce alla ricchezza delle
nazioni, non necessariamente tiene conto dei dettami della democrazia e
della giustizia.
La societa' ha reagito, in forme piu' o meno coerenti e legittime, che
indicano che la scienza non e' piu' accettata acriticamente, che la si vuole
piu' trasparente e partecipata.
Questo e' il nuovo contesto di riferimento, molto piu' vasto del nostro e
meglio interiorizzato dalle nuove generazioni di scienziate. Da un lato
avvertono tutti i pericoli di una conoscenza che vuole spudoratamente
continuare a presentarsi come asettica e fornitrice di verita' assolute,
dall'altro pensano e lavorano per indirizzarla esplicitamente verso scelte
alternative. Queste nuove generazioni propongono un modo esplicito e nuovo
di rapportarsi al lavoro, mettendo in gioco tutte le loro capacita'
professionali ed al tempo stesso manifestando la necessita' di
riconoscimento di queste. Rifiutano quindi percorsi che sono apparsi,
quantomeno, come forme sorpassate di vecchio egualitarismo, se non
addirittura, di vittimismo, per forme di solidarieta' qualificata sul piano
professionale, per cui la presenza di altre donne viene sostenuta sulla base
di qualita' e ricchezza dei contributi e di senso di responsabilita' verso i
compiti assunti. Si e' come strutturata un'alleanza, che travalica
discipline e paesi, per cui si trova spesso una giovane donna che chiama in
causa la necessita' della presenza di altre donne in progetti, comitati,
sedi decisionali di vario tipo, cosa, peraltro, non difficile, visto che la
probabilita' di reperire donne molto qualificate sta diventando rilevante in
tutti i settori.
In questo, la Commissione Europea ha svolto un lavoro di non poco conto
impegnandosi a dare visibilita' alla presenza delle donne nella scienza ed a
metterle in rete tra di loro. Le giovani ricercatrici sono cresciute
all'ombra di questo percorso faticoso, ma produttivo, che risale al 1993, e
che ha avuto il suo pieno sviluppo, a partire dal 1998, con la commissaria
alla ricerca, Edith Cresson. Il richiamo all'impegno delle istituzioni
europee su donne e scienza, e' stata la leva che ha consentito a molte di
noi "anziane" di aprire un percorso innovativo all'interno delle istituzioni
e dei laboratori per le "giovani".
Non bisogna poi dimenticare che le giovani donne entrano piu' numerose nelle
facolta' scientifiche, ne escono meglio e, spesso, in maggior numero degli
uomini. Gia' i numeri segnalano che sono meno sole, nelle loro facolta', di
quanto non lo fossimo noi. Questo vuol dire anche misurarsi, rispecchiarsi
con altre da se', avere i modelli di confronto culturali ed esistenziali che
completano l'orizzonte dei riferimenti, necessari alla costruzione di un se'
piu' solido e completo. Non piu' pioniere, dunque, ma presenze attive ed
innovative, testimonianza di impegno e passione... che puo' far bene anche
ai maschi (per cui, invece, molto era scontato nel percorso di studi e
carriere).
Un altro aspetto del cambio di testimone va segnalato: lo spazio che le
nuove generazione di scienziate riescono a dare ad espressioni della loro
professionalita' e creativita' in forma di teatro, di scritti, di arte,
attraverso cui la scienza viene comunicata anche per le emozioni forti ed il
piacere che essa suscita. Forse finalmente le donne hanno imparato l'aspetto
ludico della scienza, che coniugato con quello della responsabilita', puo'
forse farla apparire di nuovo sensata ed amica.

4. INCONTRI. MARIA RUSSO: DONNE IN RWANDA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip) riprendiamo il
seguente articolo. Maria Russo fa parte della redazione de "Il paese delle
donne"]

La parlamentare rwandese Liberate Kaitesi ha presentato alla Casa
internazionale delle donne di Roma la situazione delle donne rwandesi in un
incontro organizzato da provincia di Roma e Affi nell'ambito del programma
"Adotta un popolo".
Il 12 luglio 2005 la delegazione ufficiale rwandese ha siglato il
gemellaggio tra la Provincia di Roma e la Provincia di Kibungo. Ma l'impegno
della Provincia di Roma era iniziato gia' nel 2004 con una missione in
Rwanda guidata dalla vicepresidente Rosa Rinaldi in occasione delle
celebrazioni per la commemorazione del decennale del genocidio. Nel suo
intervento introduttivo Rosa Rinaldi ha salutato questo incontro
sottolineandone l'enorme importanza per l'esempio che le donne rwandesi
hanno saputo dare partecipando come protagoniste alla ricostruzione sociale
del loro paese.
"Le donne sono protagoniste da diversi punti di vista: l'accoglienza, le
attivita' di microcredito e artigianali, ma anche nella vita politica e
amministrativa. Hanno previsto per legge una rappresentanza delle donne pari
almeno al 30%, e nella formazione delle liste le donne votano le donne.
Rispetto a noi le donne rwandesi stanno molto piu' avanti. Non si tratta
solo di quote. Le donne sono attive in tutti i luoghi di formazione e
costruzione della politica". La popolazione rwandese e' composta dal 52,3%
di donne.
Dopo il genocidio moltissime persone sono emigrate nei paesi vicini. "Il
primo sforzo che abbiamo dovuto affrontare - ha raccontato la Kaitesi - e'
stato far rientrare i rifugiati perche' la prima ricchezza di un paese e'
proprio la sua popolazione". Nel processo di ricostruzione il governo ha
coinvolto le donne ritenendole indispensabili per gestire al meglio la
riconciliazione e ristabilire la pace.
"L'Unesco ha recentemente premiato le donne rwandesi per il loro coraggio e
l'instancabile impegno. Il genocidio ha pesato in misura maggiore sulle
donne non solo per le violenze e gli stupri subiti ma anche per le pesanti
conseguenze che hanno dovuto affrontare successivamente: gravidanze e
contrazione del virus dell'aids. Le donne si fanno carico degli orfani e il
35% di loro sono capifamiglia perche' rimaste vedove. Hanno sofferto per
molte ragioni ma hanno dovuto subito darsi da fare per i loro figli e per la
ricostruzione. Hanno sviluppato la solidarieta' tra donne per promuovere il
miglioramento delle loro condizioni di vita. Hanno compreso di essere in
grado di fare tanto e lo hanno dimostrato con il loro lavoro di
ricostruzione, riconciliazione e solidarieta'. Il governo rwandese ha preso
atto del lavoro svolto dalle donne sostenendo l'uguaglianza di genere".
La costituzione prevede almeno il 30% di rappresentanza femminile per tutte
le cariche istituzionali con poteri decisionali. Attualmente le donne
ricoprono il 48,8% dei seggi in parlamento; il 35% del Consiglio dei
Ministri; il 50% dei giudici e' di sesso femminile, e la presidente della
Corte Suprema e' una donna. Nelle amministrazioni comunali il livello di
rappresentanza e' piu' basso. Solo due donne hanno la carica di sindaco su
un totale di 105 comuni. "Le donne che come me fanno parte di questa elite
di potere - aggiunge la parlamentare rwandese - vigilano sul rispetto della
norma costituzionale riguardante la rappresentanza politica". In Rwanda le
donne hanno raggiunto questi importanti traguardi perche' animate da una
volonta' politica di reciproco sostegno.
*
I progetti per migliorare le condizioni di vita di tutte sono tantissimi e
per realizzarli le rwandesi stanno studiando il modo per affrontare gli
ostacoli che si frappongono al loro raggiungimento. Il 60% della popolazione
vive sotto la soglia di poverta'. E percentualmente le donne patiscono
questa condizione piu' degli uomini.
La Kaitesi ha dichiarato che nella loro cultura le donne sono state sempre
considerate inferiori e non hanno mai avuto diritto all'eredita'. "Questa
legge pero' l'abbiamo cambiata e le donne ora godono di tutti i diritti
ereditari. Ora, la grossa sfida che ci aspetta e' rendere le donne
indipendenti dal punto di vista economico. L'indipendenza economica e'
indispensabile per emanciparsi dal padre e dal marito".
I problemi di poverta', analfabetismo, e mancanza di assistenza sanitaria
sono strettamente legati fra loro. Molte donne non hanno  riconosciuto il
diritto all'assistenza sanitaria perche' non possono pagare una tassa
annuale pari a 2 euro.
Questa situazione colpisce soprattutto le donne che vivono nelle comunita'
rurali dove il livello di poverta' e di analfabetismo aumenta sensibilmente.
La ragione che ha causato questa situazione e' imputabile alla cultura
dominante che considera la donna "non adatta allo studio". Solo il 50,65%
delle donne ha avuto una formazione primaria e solo un esiguo 0,7% ha avuto
accesso all'universita'. "Con il programma 'Istruzione per tutti' si sta
cercando di alzare il livello d'istruzione. La moglie del presidente e'
impegnata in prima persona in questa campagna". Nonostante la scuola
elementare sia gratuita, i costi per accedere alle medie e alle superiori
sono ancora troppo alti per i mezzi economici delle famiglie. "Il governo
sta cercando le soluzioni per affrontare il problema perche' e' necessario
rendere le donne piu' competitive. Poche ragazze hanno accesso alle nuove
tecnologie, all'informatica e quindi all'informazione. Sono convinta che le
condizioni di vita possono migliorare solo attraverso il lavoro. Le donne
sono molto coraggiose e hanno voglia di lavorare. Le case delle donne in
Rwanda hanno rappresentato una grande opportunita'. Faremo in modo di
costruire una casa in ogni provincia affinche' tutte possano beneficiare di
questa occasione".
*
La Casa internazionale delle donne di Roma si e' impegnata ad aiutare le
rwandesi in due specifici progetti: l'attivazione di corsi di formazione per
la rifinitura dei prodotti artigianali, per la commercializzazione e
l'esportazione; e a contribuire all'assegnazione di una capra ad ogni
famiglia della provincia di Kibungo. Solo il 6,7% (367.000 su 700.000) delle
donne di questa provincia sono andate a scuola, il resto lavora
nell'agricoltura. Basterebbe quindi dare ad ogni famiglia una capra per
garantirne il sostentamento. Le capre costano poco e si riproducono
rapidamente. In cinque anni 30.000 famiglie potrebbero essere coinvolte in
questo progetto.
La provincia di Roma - ha dichiarato la Rinaldi - ha invece finanziato il
progetto di un acquedotto per "aiutare a costruire spazi di liberta' ed
indipendenza economica". Con questo intervento si vuole favorire
l'approvvigionamento idrico in zone, come la regione di Kibungo, che
soffrono di una scarsita' di piogge durante tutto l'anno.

5. INCONTRI. ERMINIA EMPRIN: "PROSEGUIAMO IL PERCORSO". UN INCONTRO A ROMA
[Dal quotidiano "Liberazione" del 15 novembre 2005.
Erminia Emprin e' responsabile del dipartimento welfare del Prc.
Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974
lavora all'Universita' di  Siena, e attualmente vi insegna filosofia
politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei
movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla
famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre,
magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per
l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita,
la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo.
In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla
filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il
collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei
suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di
donne - "Memoria", "Orsaminore",  "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi,
dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove
iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo,
la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con
alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra
umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista,
oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la
riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed
ha  concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con
Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto
articoli, saggi, ed elaborato  moltissimi interventi, solo in parte
pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti:
Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando
l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie,
menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in
rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con
Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche,
fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in
"Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello
scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in
Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni
dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della
politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura
di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e
cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002.
Grazia Zuffa, psicologa, senatrice per due legislature, nel 1990 presento'
un disegno di legge sulle tecnologie della riproduzione artificiale; si
occupa da anni di teoria e politica femminista, con particolar riguardo ai
temi della sessualita' e della procreazione; direttrice del mensile
"Fuoriluogo", autrice di molti saggi, ha collaborato tra l'altro a: Il tempo
della maternita', 1993; Franca Pizzini, Lia Lombardi (a cura di), Madre
provetta, Angeli, Milano 1994; con Maria Luisa Boccia ha scritto L'eclissi
della madre, Pratiche, Milano 1998]

Le tecnologie della fecondazione e i processi di significazione e
risignificazione sociale delle problematiche del corpo, della sessualita',
della maternita' e paternita', della relazione donna-uomo, che intorno ad
esse muovono. Questioni, tutte, su cui si addensano le inquietudini e il
nuovo immaginario mossi dalla scienza e dalle tecnologie e che richiedono
una nuova produzione di senso dei soggetti sessuati, sulla base delle
esperienze e delle vite concrete e materiali, che rompa lo schema del
riduzionismo tecnico-scientifico o giuridico-economico prevalente sulla
scena politico mediatica.
Di queste questioni si e' discusso sabato 5 novembre alla Casa
internazionale delle donne di Roma nell'iniziativa "La morale, la legge e la
politica, proseguiamo il percorso", a partire da un documento con cui Maria
Luisa Boccia (che ha introdotto la discussione) e Grazia Zuffa, in
collaborazione con l'associazione "Generi e generazioni", hanno ripreso
l'itinerario avviato con l'assemblea "Non solo referendum" nell'ultima fase
della campagna referendaria sulla fecondazione assistita.
L'elemento piu' significativo del confronto plurale, che si e' dipanato in
una sala colma nonostante tempi "tirannici", e' la densita' e lo spessore
politico e culturale di un percorso che non si presta ad essere ignorato o
archiviato senza tanti complimenti. Non e' infatti solo questione di
ritagliarsi spazi di visibilita' sulla scena politico-mediatica, ma di
colmare uno scarto, di fare spazio a una diversa modalita' di confronto, a
una dimensione "altra" della politica, innervata dalla riflessione e dalla
pratica molteplice di donne e di femministe nei luoghi sociali.
Un primo nodo trasversale al confronto e' stato quello della valutazione
dell'esperienza referendaria e del suo esito, a partire dalla comune
difficolta' a misurarsi su un terreno non scelto (come e' stato ribadito) e
in un confronto astratto, oltre che con la semplificazione riduttiva dei
quesiti referendari. Se e' stata prevalente la valutazione di una diversa e
praticabile valenza politica del referendum di abrogazione totale della
legge, nella discussione si sono riproposti orientamenti diversi su quanto
e' in gioco nel femminismo e tra le donne. Alcune, che si sono sottratte al
confronto referendario, hanno ritenuto di riconoscere nell'astensione
femminile una sintonia con la critica - anche femminista - alle tecniche di
fecondazione e al potere medico-scientifico. Altre, che hanno votato si'
superando dubbi, incertezze e disagi per le strettoie e semplificazioni
imposte dai quesiti, hanno ricordato la distanza dei propri percorsi da ogni
affidamento acritico all'ideologia del progresso medico-scientifico ponendo
nello stesso tempo l'accento sulla difficolta' di far risultare, nel
confronto referendario, le ambiguita' di una natura sottratta all'egemonia
scientista. Inoltre, e' stata riaffermata, come punto politico non
rinunciabile, l'indisponibilita' alla coercizione di un'altra donna e al
controllo sul corpo femminile attraverso la regolazione statale
proibizionista. In particolare, e' stata messa in evidenza la necessita' di
rimettere in moto energie per sottrarre il terreno normativo alla doppia
stretta, da un lato la spinta repressiva e l'uso simbolico del diritto
penale, e d'altro lato quella del mercato.
La questione del diritto e della relazione tra religione, morale e legge e'
stata al centro di molti interventi, a partire dalla stigmatizzazione della
confusione tra dimensioni diverse che oggi tendono a sovrapporsi, in cui la
legge fa propria una posizione morale gia' data, dettata dalla religione. Su
questo asse, e' stata portata una critica radicale alla modalita' stessa di
formazione della legge su materie complesse e cruciali come quelle che
ruotano intorno alle tecniche di fecondazione, che interroga i limiti del
legislatore in uno stato democratico costituzionale. La ripresa
dell'iniziativa politica per la ricostruzione di un'etica pubblica laica, in
particolare, e' stata connessa con la necessita' di decostruire il nesso tra
il patriarcato e il ritorno del sacro, nelle forme in cui storicamente si
ripresentano. Temi, tutti, al centro di una riflessione circolare, che ha
attraversato un dibattito avviato prima della discussione parlamentare sulla
legge 40 e che va oltre i referendum: e' stato ricordato come in tempi
recenti sia stato ripreso, tra gli altri, negli incontri del Comitato Perla
di dicembre scorso a Firenze, del 21 maggio a Roma, del Forum delle donne a
fine luglio.
Altro nodo, quello di un processo di significazione della maternita' che,
come molti interventi hanno richiamato alla memoria, le storie e le culture
delle donne hanno cambiato prima delle tecniche e oltre l'antitesi
scienza/natura, ma che oggi si ripresenta in termini piu' complessi e
reinterroga i passaggi della pratica e della teorizzazione femminista. E
nello stesso tempo, interroga l'altra differenza, la questione della
paternita' e del padre.
Nel complesso, una discussione ricca e articolata, non semplice da
restituire nella sua interezza, che da' conto dello scarto tra la politica
istituzionale e le pratiche e le esperienze femminili e femministe. Ma anche
un'assemblea partecipata, che ha rimesso in circolazione energie, da non
mettere e che non intendono farsi mettere da parte. Al contrario, molte
hanno condiviso l'obiettivo di costruire un altro spazio e un'altra
modalita' di confronto su questioni come queste, mettendo in rete luoghi e
gruppi, le "istituzioni" della politica di tante donne e femministe che
sentono queste questioni come rilevanti per il loro agire politico. Un
percorso che proseguira' in una articolazione tematica sui diversi nodi, ma
anche decentrata nei diversi luoghi. Nello stesso tempo, l'impegno alla
ripresa dell'iniziativa politica per la cancellazione della legge 40
interroga le forze politiche e le donne dell'Unione che hanno lavorato nelle
istituzioni su questo. Per quanto ci riguarda, come compagne del Forum delle
donne presenti all'assemblea, tra le altre Imma Barbarossa ed Elettra
Deiana, proseguiremo il nostro impegno in questa direzione.

6. INCONTRI. ANNA PICCIOLINI: "DONNE, SCIENZA E POTERE". UN CONVEGNO A BARI
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip) riprendiamo il
seguente articolo. Anna Picciolini fa parte della redazione de "Il paese
delle donne", dell'Associazione Rosa Luxemburg, di varie altre esperienze
femministe; e' fortemente impegnata nelle iniziative delle donne per la pace
e i diritti]

Dal 15 al 17 settembre scorso si e' svolto presso l'Universita' di Lecce il
terzo convegno dell'associazione Donne e scienza. Il tema: "Donne, scienza e
potere: oseremo disturbare l'universo?". La sede "decentrata" (i primi due
incontri nazionali dell'associazione si erano tenuti a Roma) e la prevalenza
nel Comitato scientifico organizzatore di donne giovani fanno si' che
l'interesse del convegno vada oltre il pur rilevante contenuto delle
relazioni.
Il gruppo di studiose e scienziate di varie discipline, che hanno fondato
l'associazione nel dicembre 2003, dando uno sbocco all'impegno individuale e
collettivo per sostenere una presenza significativa delle donne nella
scienza e per condurre un'analisi di genere della scienza contemporanea, ha
in una certa misura passato il testimonio. La cifra intergenerazionale non
e' certamente l'unica utile per leggere il dibattito che si e' svolto a
Lecce, ma e' quella che e' stata piu' direttamente esplicitata. Accanto,
quasi altrettanto evidente, la caratteristica di un incontro
interdisciplinare.
Interessante in questo senso il fatto che lo statuto dell'associazione
"Donne e scienza" non dica quali sono le scienze l'esercizio delle quali da'
diritto ad associarsi: fra le socie, oltre alle fisiche, chimiche, biologhe,
che certamente costituirono il nucleo originario (negli anni di Chernobyl)
ci sono psicologhe, antropologhe, sociologhe. Díaltro canto, come ha
ricordato una delle relatrici, per l'Unesco, scienza e' "tutto cio' che
comporta attivita' di ricerca".
Il convegno si articolava in tre sessioni, che affrontavano il tema da tre
angolature differenti, con relazioni di rappresentanti di discipline
diverse. I temi delle sessioni scandivano un percorso dentro-fuori rispetto
al mondo della scienza e della ricerca scientifica, che non a caso e'
diventato da subito uno dei nodi da sciogliere.
*
"Scienza e societa'", la prima sessione, era aperta dalle relazioni di
Flavia Zucco, biologa (e prima presidente, riconfermata, dell'associazione),
Elisabetta Donini, fisica, Anna Garbesi, chimica.
Zucco ripercorre la storia della biologia nel '900 come storia di scoperte e
invenzioni che a poco a poco hanno mutato il significato stesso della
scienza: che oggi dipende dal mercato, cerca di produrre novita' piu' che
stimolare creativita', di costruire strumenti piu' che teorie vere. Occorre
consentire alla scienza di gettare un ponte fra la cultura scientifica in
senso stretto e quella umanistica, che si stanno gia' contaminando
reciprocamente. Le donne scienziate possono dare a questo processo, secondo
Zucco, un grande contributo, assecondando il "circolo virtuoso" delle
scienza contemporanea.
Al sostanziale ottimismo di Flavia Zucco, Elisabetta Donini ha risposto
dichiarando le sue "resistenze" a promuovere un accesso delle donne alla
scienza accettandone l'organizzazione attuale cosi' come essa e'. "Non
desidero affatto che ci siano piu' donne, ragazze, bambine, educate
all'entusiasmo della scienza, se simultaneamente non si riesce a cambiare
cosa significa conoscenza scientifica". Donini ripercorre le tappe della
critica femminista alla scienza dagli anni '70, critica inattuale perche'
oggi non c'e' un movimento femminista che esprima posizioni alternative.
Donini sottolinea il perdurante potenziale distruttivo della scienza, la
devastazione del pianeta, la "santificazione" del nostro stile di vita, la
responsabilita' che ci accompagna ogni giorno.
Anna Garbesi accoglie con attenzione e "turbamento" le sollecitazioni di
Donini, di cui teme un effetto paralizzante. Ripercorre poi le vicende della
politica governativa di finanziamento alla ricerca, che di fatto chiede ai
laboratori di "trovarsi i soldi" sul mercato. Il problema e' che la ricerca
scientifica porta frutti appetibili per un finanziatore privato soltanto in
tempi medio-lunghi e quindi queste scelte possono abbassare il livello della
produzione scientifica, senza nessun effetto positivo sull'economia. Questo
dovrebbe spingerci a chiarire meglio che cosa significa "scienza", che
sostanzialmente consiste nel "porre delle domande". Se alimentiamo l'idea
che dalla scienza vengono fuori tutte le risposte, quando poi questo non
accade, assistiamo a una rivolta, al precipitare di atteggiamenti
antiscientifici.
Riprendendo le sollecitazioni del dibattito Flavia Zucco ritiene che il
referendum sulla legge 40 sia stato perso anche per questo: una scienza che
promette, promette e poi omette di dire che gli strumenti scientifici vanno
integrati con altri. A Elisabetta Donini Vanna Galassi risponde che e'
importante tenere gli occhi aperti su quello che si sta facendo: "e' nel
percorso che nasce la consapevolezza di quanto il percorso e' condizionato".
La prima comunicazione porta l'esperienza di donne che, dopo un percorso
formativo tecnico-scientifico, hanno cercato di coniugare ricerca del
reddito e passione politica: Livia Aromatario e Stefania Grillo hanno
cercato di impegnarsi in un settore di "scienza applicata al fine di
perseguire il benessere delle persone", nel campo delle energie alternative
e del risparmio energetico, portando nel loro lavoro alcuni concetti chiave
della critica femminista.
Le comunicazioni di I. Fato e M. P. Azzardo Chiesa riferiscono di attivita'
di studio sulla presenza delle donne nelle strutture che fanno ricerca
scientifica e sulle difficolta' che si hanno per avere i dati sessuati (di
titolari di progetti, per esempio).
La comunicazione di Giovanna Spagnolo riporta i dati di una ricerca sui
bisogni e le aspettative di adulti, donne e uomini, rispetto all'alta
formazione e alla formazione permanente.
*
La seconda sessione portava lo sguardo sulle "Donne nel mondo della
scienza", cercando di rintracciarne comportamento e percorsi.
La relazione di Elisa Molinari, fisica, racconta come ci si puo' costruire
una propria strada nel mondo della ricerca, partendo dall'auspicio che le
donne possano avere piu' liberta' per decidere cosa e come studiare, se e
come accedere a quel mondo. Dal desiderio, che sta all'origine delle scelte,
si dipana un percorso che, per le donne, si caratterizza in primo luogo per
una diversa gerarchia dei riconoscimenti attesi: laddove gli uomini misurano
il loro successo su "avanzamento di carriera, rispetto dei pari, citazioni,
inviti a conferenze, premi, offerte di lavoro, finanziamenti, numero di
studenti", le donne puntano a "risultati rilevanti, divertimento/interesse,
incontro con persone interessanti, liberta'/indipendenza, tirar su buoni
studenti, essere amate da studenti e colleghi", come se cercassero prima di
tutto un equilibrio nella vita, fra sforzi e risultati.
Maria Cristina Bombelli, filosofa e consulente aziendale (sulla gestione
delle diversita' come risorse per l'azienda), ha sviluppato soprattutto il
tema degli ostacoli interiori che le donne incontrano nella carriera.
Ostacoli che stanno nel modo (non "femminile", ma prevalente fra le donne)
di vivere il lavoro, la famiglia, il potere. La mancanza di modelli
alternativi di leadership contribuisce a questo: il fatto che si tenda a
misurare i lavoro non sui risultati, ma sul tempo che uno sta fisicamente in
azienda, penalizza le donne. E, secondo Bombelli, penalizza le aziende il
mancato utilizzo del 50% del potenziale umano.
Ritorna sulla presenza delle donne nelle istituzioni scientifiche la
relazione di Maria Luigia Paciello. Dati, obiettivi e azioni positive:
colpisce, anche se i dati sono noti, che mentre le carriere universitarie
femminili costituiscono una piramide, tante ricercatrici e pochissime
ordinarie, per gli uomini la piramide e' rovesciata, pochi ricercatori (i
laureati delle facolta' scientifiche trovano piu' facilmente lavoro in
azienda rispetto alle loro colleghe?) e molti ordinari. Paciello allarga il
discorso all'impatto di genere della legge n. 30 (quella che ha stabilizzato
la precarizzazione del lavoro). Afferma poi che la partita non e' fra uomini
e donne, ma fra "donne nuove e uomini antichi", e non se ne esce se non
"superando l'esclusivo affidamento alle donne del lavoro di cura e degli
affetti".
Particolarmente ricco il dibattito di questa sessione. E' stato sottolineato
il carattere fondamentale della liberta' individuale: "solo ciascuna puo'
dire a se stessa come spendere quella liberta'" (Donini); la flessibilita'
delle donne scienziate nasce a volte "dal non conoscere le regole o dal
fatto che le si ritengono arbitrarie" (Franca Albertini); se una donna
scienziata "non puo' fare bene la madre, uno scienziato che dedica tutto il
suo tempo al lavoro, puo' fare il padre?" (Vanna Galassi); alcune ricerche
dicono che "la stabilita' del lavoro aumenta la produttivita' scientifica"
(Flaminia Sacca').
Le comunicazioni di Anita Calcatelli e Donatella Tognon hanno arricchito le
informazioni su come le donne stanno nel campo del lavoro scientifico e
tecnologico. Particolarmente interessante una ricerca condotta attraverso 66
interviste a fisiche, fatte da studenti, con l'obiettivo di portarle (erano
quasi tutte ragazze) a contatto diretto con scienziate, per proporre loro
modelli alternativi al "genio" per fare la fisica.
*
La terza sessione, la piu' lunga, affrontando il problema della "Percezione
e comunicazione della scienza", riportava il discorso sul rapporto fra
scienza e societa'.
La relazione di Milena Bandiera, biologa che da anni si dedica alla
formazione degli insegnanti, parte dalla connotazione "femminile" della
scuola, confermata dai dati su chi aspira oggi all'insegnamento. Procede
esaminando come e' cambiata la didattica della scienza, le metodologie di
approccio, i libri di testo, per affermare che saranno le donne a doversi
far carico dei futuri necessari cambiamenti. La pedagogia femminista degli
Usa fornisce in questo senso gli strumenti per passare "dall'educare le
persone a utilizzare la scienza, a utilizzare la scienza per far crescere le
persone".
Le comunicazioni offrono i risultati di esperienze specifiche: quella di
Adriana Valente, una ricerca sulla percezione e consapevolezza della scienza
da parte delle ragazze; quella di Francesca Vidotto, sull'uso del linguaggio
teatrale nella comunicazione scientifica; quella di Oretta Di Carlo, sul
ruolo dell'educazione nella trasmissione degli stereotipi di genere.
Altre comunicazioni: Sara Sesti, della Libera Universita' delle donne di
Milano, racconta l'uso delle biografie di scienziate a fini didattici e
illustra un ciclo di film disponibili a tale scopo; Giovanna Gabetta,
dell'Eni, raccontando l'esperienza di donne in un mondo di uomini (aziende
come "regimi totalitari") sottolinea come l'evoluzione dell'organizzazione
dal taylorismo a oggi porti con se' la valorizzazione di uno stile di
direzione piu' femminile (non per questo esclusivo delle donne).
Particolarmente interessante l'esperienza di F. Scotti, che lavora sulla
Assistive technology, cioe' sulla tecnologia che produce oggetti di ausilio
alla vita di ogni giorno.
Il titolo dell'ultima comunicazione, di Patrizia Colella (insegnante) e
Cristina Mangia (Cnr), era "Autorizziamole a osare", sottinteso "le
ragazze". Osare che cosa? Disturbare l'universo. Questo titolo riportava
direttamente al dibattito della prima sessione: di fronte alle domande su
come collocarsi rispetto alla scienza, Anita Calcatelli si era chiesta: ma
che cosa diciamo alle giovani? Colella e Mangia dicono: alle giovani diciamo
di osare. Ma prima, aggiungono, dobbiamo renderci conto che, in quella
scuola in cui si misurano i desideri con le aspettative e con i modelli,
stiamo mandando loro dei messaggi pesantemente dominati da stereotipi,
messaggi che non incoraggiano certo ad osare alcunche'. Hanno dato conto di
una ricerca che ha fatto emergere come insegnanti, prevalentemente donne, di
materie scientifiche, chiamate a descrivere studenti di cui avevano un buon
ricordo per la loro "eccellenza", usano per parlare di loro e delle loro
capacita' una gamma di aggettivi segnati pesantemente da pregiudizi di
genere. In estrema sintesi, i bravi studenti sono "geniali, creativi,
entusiasti", le brave studentesse sono "rigorose e metodiche". Una seconda
ricerca chiedeva a un gruppo di scienziate di definire l'importanza relativa
del "metodo" e della "comunita' di riferimento" nel loro lavoro: per le piu'
giovani prevarrebbe il metodo, via via che si sale nell'eta', acquista peso
la comunita'. Comunita' che, pero', piu' si sale nella carriera e piu' e'
maschile, anche se viene percepita come neutra. Gli stereotipi quindi non
toccano solo le persone, ma si trasformano in valori.
Nel breve dibattito finale sono tornati tutti i temi dei due giorni
precedenti: la scienza come "storia di gruppi al lavoro" e non come prodotto
del genio, e quindi l'esigenza di non contrapporre il genio come stereotipo
positivo, al rigore, negativo (Alessandra Lanotte); la necessita' di fare
attenzione a come nell'impresa post-taylorista vengono assunte le "nostre"
modalita' di organizzazione, e insieme, capire meglio cosa si intende per
qualita' "maschili" e "femminili" e quali aspetti dobbiamo incoraggiare
nelle donne, perche' sviluppino il coraggio necessario per fare ricerca
(Anna Garbesi). E ancora: attenzione alla lettura troppo ottimistica dei
nuovi trend organizzativi nell'industria, perche' ci sono tutti gli elementi
di un femminile tradizionale (Elisabetta Donini); le ragazze fanno bene a
non voler andare negli istituti tecnici cosi' come sono fatti ora (Vanna
Galassi). Infine: la strada giusta non e' educare le ragazze come i maschi,
ma "educare entrambi alla liberta' e al pensiero critico" (Patrizia
Colella).

7. MAESTRE. HANNAH ARENDT: IDEOLOGIA E TERRORE
[Da Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003, p. 121. Hannah
Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di
Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio,
dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime
pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

Le ideologie sono sistemi esplicativi della vita e del mondo che pretendono
di spiegare tutto, il passato e il futuro, prescindendo dall'esperienza
reale.
Quest'ultimo punto e' decisivo. Questa arrogante emancipazione dalla realta'
e dall'esperienza, piu' di ogni contenuto effettivo, prefigura il nesso tra
ideologia e terrore.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 38 del 17 novembre 2005

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