La domenica della nonviolenza. 47



==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 47 del 13 novembre 2005

In questo numero:
1. Riedizioni: Emily Dickinson, Tutte le poesie
2. Anissa Helie: La doppia oppressione contro le donne in Iraq
3. Giulio Vittorangeli: Il dovere di ricordare
4. Maria Rosa Cutrufelli: Una polemica pasoliniana
5. Lea Melandri: Il circolo degli uomini
6. Un libro di Arturo Paoli e Francesco Comina

1. RIEDIZIONI. EMILY DICKINSON: TUTTE LE POESIE
Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, pp. LXII +
1858, euro 12,90. La fondamentale edizione integrale dell'opera poetica
dickinsoniana curata da Marisa Bulgheroni nella collana dei Meridiani,
ripubblicata e diffusa in edicola in supplemento a vari settimanali del
gruppo editoriale Mondadori ad un prezzo vantaggiosissimo. Con testo
orginale a fronte, apparato critico, accurati indici, repertorio
iconografico, una sezione di versioni d'autore: un volume irrinunciabile.
L'opera di Emily Dickinson, come nessuno ignora, e' - come quella di Omero,
di Dante, di Shakespeare, di Kafka - una delle glorie dell'umanita', ed
all'umanita' uno dei fondamentali appelli.

2. RIFLESSIONE. ANISSA HELIE: LA DOPPIA OPPRESSIONE CONTRO LE DONNE IN IRAQ
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a  disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Anissa Helie. Anissa Helie, storica, femminista, attivista per i diritti
umani, fa parte del network "Women Living Under Muslim Laws" ("Donne che
vivono sotto le leggi islamiche") fin dalla fondazione nel 1984]

L'8 febbraio 2005, la rete femminista ed antimilitarista delle Donne in nero
lancio' un appello urgente per l'immediata liberazione di Giuliana Sgrena,
una giornalista italiana che era stata rapita in Iraq da un gruppo islamista
militante (e che venne poi ferita dalle truppe Usa mentre, rilasciata, era
sulla strada verso la sicurezza) (1). Tre giorni dopo l'appello, vari gruppi
di Donne in nero nel mondo si erano mobilitati, e si tennero 463 veglie
silenziose attraverso i continenti. Mentre questa fu senz'altro una
dimostrazione dell'efficienza e della forza della solidarieta' delle donne a
livello globale, la vicenda in se' e' solo una dei tante manifestazioni
della violenza montante contro le donne in Iraq.
Le truppe statunitensi ivi dislocate, 140.000 unita', contano un numero
sempre crescente di perdite (2), mentre l'occupazione solleva molti
problemi, dalle denunce di crimini di guerra al sostegno al nuovo governo
iracheno basato su affiliazioni tribali, etniche e religiose, un fatto
quest'ultimo che avra' implicazioni a lungo termine per la regione.
Tuttavia, il contesto iracheno non e' segnato solo dall'occupazione
statunitense, ma anche dal sorgere di una lotta armata estremista islamica
che ha fra i suoi bersagli le donne. La sinistra dovrebbe evitare i
romanticismi su forze che, nonostante dichiarino come primo impegno
l'opposizione all'imperialismo statunitense, stanno in effetti perseguendo
un'agenda fondamentalista in Iraq. La sinistra ha anche bisogno di porre
attenzione all'incursione della destra estremista musulmana in occidente, e
di opporvisi.
*
L'attuale tendenza alla violenza contro le donne in Iraq dovrebbe essere
vista nel piu' ampio contesto delle violazioni ai diritti umani, come quelle
perpetrate dalle truppe Usa ai danni di detenuti e civili, inclusi i
bambini. Invero, la disumanizzazione di chiunque venga identificato come
"arabo" o "musulmano" dopo l'11 settembre, ed una cultura di razzismo
istituzionalizzato all'interno dell'esercito americano (3), hanno condotto a
numerosi atti di brutalita'. Ci sono prove concrete, suffragate da Amnesty
International e Human Rights Watch, che donne irachene hanno sofferto abusi
e torture dalle mani dei militari Usa (4).
Il crollo della societa' irachena provocato dall'occupazione ha anche avuto
un effetto dannoso sulle donne. La situazione corrente, a livello di
sicurezza, e' tale che i genitori sono riluttanti a mandare a scuola le
figlie senza accompagnarle, e un gran numero di ragazze adolescenti hanno
abbandonato gli studi. Le minacce di violenza sessuale ed omicidio hanno
anche indotto le donne che avevano una professione a lasciare il lavoro.
Donne e ragazze irachene (alcune di solo nove anni) vengono rapite sia per
riscatto che per essere vendute (5). La violenza diffusa diminuisce anche la
partecipazione delle donne in politica: in seguito all'omicidio di Akila
al-Hashimi (una delle tre donne che partecipavano al governo provvisorio),
molte attiviste si sono ritirate dalla sfera pubblica. Eppure, una recente
inchiesta sul dopoguerra delle donne irachene mostra quanto esse continuino
a dare valore al proprio accesso ai diritti politici e legali. Questo
studio, effettuato nel gennaio 2005 da "Women for Women International", in
collaborazione con l'Iraq Center for Research and Strategic Studies, e' un
altro esempio della solidarieta' internazionale delle donne (6).
*
In aggiunta alla distruzione delle infrastrutture di base, ad una terribile
mancanza di sicurezza, ed alla violenza per mano delle forze di occupazione,
l'emergere e il crescere dell'estremismo religioso pone ulteriori minacce
alle vite delle donne irachene. In un progetto che va al di la' dell'imporre
una rigida ideologia di genere, i gruppi armati fondamentalisti colpiscono
specificatamente le donne per indurre paura e disperazione fra i comuni
cittadini. Cio' spesso prelude all'imposizione di uno stato islamico. Il
lavoro d'indagine di "Women Living Under Muslim Laws" (Wluml) mostra che
c'e' uno schema, all'opera in Iraq, che si e' piu' volte ripetuto in
numerosi altri contesti: la violenza contro le donne come forma di
intimidazione politica e' una delle strategie che le forze dell'estrema
destra religiosa impiegano sistematicamente (7).
Mentre tentano di assicurarsi il potere politico, i fondamentalisti di
svariati credi (hindu, musulmani, cristiani, eccetera) spesso iniziano con
l'intimidazione, la persecuzione, i rapimenti e gli omicidi di donne e
appartenenti a minoranze. Le minoranze religiose, etniche e sessuali sono
particolarmente a rischio. Dopo di che le forze fondamentaliste si muovono
verso il terrorizzare tutte gli altri cittadini che potrebbero opporsi al
loro progetto autoritario e teocratico.
Per esempio, un gruppo estremista iracheno chiamato Mujahidin Shura
(Consiglio dei combattenti) ha annunciato che uccidera' qualunque donna da
loro vista senza velo sulle strade. Il caso di Zeena Al Qushtaini ha
dimostrato che non si tratta di vuote minacce. Zeena, una femminista,
attivista per i diritti delle donne e donna d'affari, che vestiva
all'occidentale, e' stata rapita e uccisa dal gruppo armato islamico Jamaat
al Tawhid wa'l-Jihad. Il suo corpo e' stato trovato avvolto nell'abito
tradizionale detto "abaya", che Zeena aveva rifiutato di indossare per tutta
la sua vita. Pinzato alla stoffa c'era il messaggio: "Costei era una
collaborazionista contro l'Islam". Gli estremisti musulmani si sono gia'
spinti fino ad assassinare parrucchieri uomini e donne, accusati di
promuovere mode occidentali (8). Altri loro bersagli specifici sono i
dirigenti sindacali e uomini e donne omosessuali (9). Anche le minoranze
religiose sono sotto attacco, come i cristiani a Mosul: alla donne cristiane
delle comunita' e' stata data la caccia in quella che e' stata chiamata la
"campagna dello stupro" (10).
Stante il loro progetto politico, e le tattiche violente che usano, come
possono tali gruppi ricevere legittimazione in occidente? E' necessario
riflettere un attimo sulla natura del linguaggio che viene usato per
riferirsi a questi sempre piu' potenti attori politici.
*
I media piu' seguiti in occidente e le organizzazioni per i diritti umani
tendono a descrivere gli atti di violenza di questi militanti usando il
termine "insorgenza". C'e' anche la tendenza, all'interno della sinistra e
del femminismo, a mettere l'etichetta "resistenza" sugli estremisti
musulmani (che uccidono, stuprano, rapiscono donne e bambine, e hanno per
bersaglio i civili). Cio' che e' molto problematico in questa faccenda e'
che la parola "resistenza" ha una connotazione eroica e rivoluzionaria che
lascia inesplorata l'agenda politica delle fazioni fondamentaliste in Iraq.
In Gran Bretagna, voci autorevoli della sinistra hanno reso ancor piu'
romantica la "resistenza armata contro l'imperialismo", paragonandola alle
lotte di indipendenza in Vietnam ed Algeria (11). Vale la pena di ricordare
che ci sono un gran numero di civili disarmati, cosi' come gruppi delle piu'
svariate tendenze politiche, che si oppongono all'occupazione eppure non
commettono in atti di violenza o violazioni di diritti umani. I combattenti
islamisti non dovrebbero essere confusi con i movimenti di liberazione
nazionale. L'etichetta "resistenza" produce confusione politica nel contesto
iracheno, almeno fino a che si riferisce ai gruppi fondamentalisti islamici.
E' inadeguata, poiche' l'enfasi e' posta in modo ristretto sul rigetto
dell'occupazione americana. Nonostante le dichiarazioni antimperialiste dei
capi dei gruppi armati, sembra alquanto improbabile che al ritiro delle
truppe statunitensi la persecuzione delle donne o delle minoranze religiose
e sessuali si arrestera': perche' cio' che e' veramente in gioco e'
un'agenda che mira a instaurare un regime politico su base teocratica.
Riferirsi ai "combattenti della resistenza" e' pure pericoloso, perche'
valorizza e glorifica i militanti della destra estremista musulmana, e rende
invisibile la natura autoritaria dei movimenti di estrema destra che usano
religione, cultura ed etnia per imporre il loro progetto politico alla gente
comune.
*
Cio' che abbiamo oggi in Iraq si chiama violenza. Cio' che abbiamo e' una
lotta per il potere, con varie forze che usano mezzi estremamente violenti e
li motivano in modo diverso. Alcuni usano la retorica della "democrazia" e
della "esportazione della liberta'", altri usano la retorica della
"resistenza all'imperialismo". Alleanze progressiste in occidente adottano
un linguaggio che semplifica e mistifica realta' politiche complesse: peggio
ancora e' la tendenza crescente per gruppi ed individui che si identificano
come "sinistra" a sostenere la destra estremista musulmana sulla base della
loro (sedicente) lotta contro l'imperialismo. Sempre piu' attivisti
abbracciano strategie di breve respiro, insistendo per esempio sul fatto che
in occidente "il movimento contro la guerra non deve perdere di vista il
fatto che il nemico principale e' in casa propria, e che ogni resistenza a
questo nemico merita il nostro sostegno incondizionato" (12). Cio' che
allarma in questa dichiarazione e' l'immediato "sostegno incondizionato",
senza alcun riguardo per le ideologie, le pratiche e gli atti di violenza
commessi da tali gruppi.
Nel contesto musulmano, come ovunque, ci sono voci progressiste e voci
reazionarie. Talvolta, seguono la strategia summenzionata, ovvero "il nemico
del mio nemico e' mio amico", anche se l'Iran postrivoluzionario dovrebbe
averci insegnato a non confondere le voci di chi e' contro le donne, le
minoranze e le differenze, con le voci femministe e progressiste.
Questa confusione ideologica non va perduta, all'orecchio dei musulmani
fondamentalisti, che sono tutto tranne che politicamente ingenui. In
effetti, i loro leader si avvantaggiano del malriposto senso di colpa bianco
per espandere la loro presa. Le mani insanguinate minacciano, e gli
intellettuali istruiti incantano: questa e' la divisione del lavoro negli
estremisti.
Coscienti della realta' del razzismo, e nello sforzo di essere amici degli
oppressi, dagli scrittori agli accademici ai leader politici, gli
occidentali cercano un "punto di vista musulmano" praticamente su qualsiasi
cosa. Se il punto di vista e' conservatore o reazionario, lo considerano
piu' autentico. I progressisti o i liberali non hanno per loro il profumo
dell'esotico. In questo modo, punti di vista pericolosamente rigidi sono
offerti come la "vera" espressione di tutti i musulmani.
Lo spazio del dissenso viene monopolizzato dai fondamentalisti, alle spese
di laici, femministe e democratici.
*
Tre esempi possono far luce su quest'ultimo punto.
a) Il lavoro di pressione fatto in Ontario, Canada, dai cosiddetti
fondamentalisti "moderati" per introdurre la sharia (l'interpretazione della
giurisprudenza musulmana, che in alcuni paesi prevede pene quali la
fustigazione, l'amputazione di arti e la lapidazione) di modo che la
"comunita' musulmana" potesse risolvere i conflitti familiari senza
interferenze (13). Simili pressioni sono state esercitate anche in Europa ed
Australia. Tralasciando il fatto che le leggi modellate sulle religioni si
sono mostrate estremamente avverse ai diritti umani delle donne in numerosi
contesti, il problema e' che l'argomentazione "multiculturale" conduce
troppi, a sinistra, a sostenere ciecamente agende oppressive.
b) Il governo britannico, introducendo la nuova legge sull'eguaglianza
(Equality Bill) nel febbraio 2005, ha deciso di dare priorita' alla
discriminazione su base religiosa, e ha rigettato l'inclusione della
discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale, per paura che "i
musulmani potessero offendersi ad essere messi insieme agli omosessuali"
(14). Uno puo' solo chiedersi quanto i gay e le lesbiche della comunita'
musulmana abbiano apprezzato il sacrificio dei diritti alla non
discriminazione sessuale sull'altare della liberta' religiosa.
c) Infine, il Forum sociale europeo tenutosi a Londra nell'ottobre 2004,
avrebbe dovuto portare a dibattere insieme un gran numero di attivisti su
istanze quali: "globalizzazione imperialista, settarismo religioso,
identita' politiche e fondamentalismo". Tristemente, gli organizzatori si
sono vantati di aver invitato un bel po' di estremisti musulmani. Allo
stesso tempo, hanno scoraggiato attivamente iniziative piu' progressiste,
come la proposta di un seminario che includeva relatrici e relatori di vari
gruppi femministi e di network internazionali (Wluml, Women Against
Fundamentalism, Catholics For a Free Choice, Act Together, eccetera). Mentre
il Consiglio musulmano di Gran Bretagna e altri simili invitati avevano
accesso a tutte le facilitazioni disponibili nei numerosi seminari
organizzati, la richiesta dell'iniziativa femminista di avere il servizio di
traduzione e' stata respinta. Mi domando se questo sia accaduto perche' le
femministe intendevano parlare della "profana alleanza" tra la sinistra e le
forze estremiste di destra musulmane, e cio' e' stato ritenuto minaccioso.
*
Non si tratta di episodi isolati. Allarmi su a cosa tali alleanze potranno
portare su larga scala erano gia' stati messi in circolo da gruppi
femministi internazionali (15). I fondamentalisti cercano sostegno dalle
forze progressiste allettandole con gli stessi ideali a cui essi si dicono
fedeli, come l'eguaglianza, l'antirazzismo, la liberta' di espressione. In
questo momento storico, in cui vediamo le forze dell'estrema destra
guadagnare terreno (che sia negli Usa con la destra cristiana, in Iraq,
Bangladesh, o dovunque) la necessita' di solidarieta' internazionale diventa
ancora piu' urgente. Evitare di mescolare identita' culturali e religiose, e
riconoscere che non tutti coloro che sono nati in un contesto musulmano sono
credenti, o hanno scelto di definirsi principalmente in base alla loro fede,
sarebbe un buon primo passo. In effetti, con i fondamentalismi che si
coalizzano attraversando confini culturali e religiosi (16) dovremmo noi
stessi, progressisti e femministe di vari orizzonti, comporre insieme
strategie comuni di resistenza ai gruppi che praticano la violenza e
l'oppressione contro le donne e le persone in generale. Credo si tratti di
una priorita', e di un'opportunita' per rafforzare la nostra solidarieta' a
livello globale.
*
Note
1. Scahill, Jeremy, "No checkpoint, no self defense", AlterNet, 28 marzo
2005. www.alternet.org/story/21613
2. American Friends Service Committee, "Wage Peace" Movie (due minuti).
www.afsc.org/iraq//movie.html
3. Rockwell, Paul, "New Revelations about Racism in the Military - Army
Reservist Witnesses War Crimes", The Black Commentator, 7 aprile 2005, n.
133. www.blackcommentator.com/133/133_think_racism_military.html
4. Amnesty International, "Iraq: Decades of Suffering, Now Women Deserve
Better", 22 febbraio 2005. web.amnesty.org/library/Index/ENGMDE140012005 Ed
anche "U.S. Investigate Rumsfeld, Tenet for Torture", Human Rights Watch, 24
aprile 2005. www.hrw.org/english/docs/2005/04/24/usint10511.htm
6. Firmo-Fontan, Victoria, "Abducted, Beaten And Sold Into Prostitution: A
Tale From Iraq', The Independent, 26 luglio 2004.
www.countercurrents.org/iraq-fontan260704.htm
7. Women for Women International, "Windows of opportunity: The pursuit of
gender equality on post-war Iraq", gennaio 2005.
www.womenforwomen.org/Downloads/Iraq_Paper_0105.pdf
8. www.wluml.org
9. Osborn, Mark, "Iraqi Union leader murdered. 'Resistance' targets trade
unions, women,     lesbians and gay men", 12 gennaio 2005.
www.workersliberty.org/node/view/3532
10. Associated Press, "Iraqi Christians Keep Low Profile", 13 novembre 2004.
www.foxnews.com/story/0,2933,138375,00.html
11. Tariq Ali talks to Socialist Worker about empire and those who fight
against it, Socialist Worker, n. 239, marzo/aprile 2005.
www.swp.ie/socialistworker/2005/sw239/socialistworker-239-9.htm
12. Smith, Sharon, "The Right to Resist Occupation - The Anti-War Movement
and the Iraqi Resistance", CounterPunch, 21 gennaio 2005.
www.counterpunch.org/smith01212005.html
13. Per l'uso che i musulmani di destra fanno dell'Arbitration Act 1991,
vedasi Canadian Council of Muslim Women's website: www.ccmw.com ed anche:
"Canada: Support Canadian women's struggle against Shari'a courts", Wluml, 7
marzo 2005. www.wluml.org/english/actionsfulltxt.shtml?cmd[156]=i-156-180177
14. Cracknell, David, "Discrimination bill snubs gays to save Muslim vote",
The Sunday Times, 27 febbraio 2005. www.the-times.co.uk (nell'appendice).
15. "Dichiarazione del Wluml al World Social Forum  Appello contro i
fondamentalismi", 21 gennaio 2005.
www.wluml.org/english/newsfulltxt.shtml?cmd[157]=x-157-103376
16. Whitaker, Brian, "Fundamental union - When it comes to defining family
values, conservative Christians and Muslims are united against liberal
secularists", The Guardian, 25 gennaio 2005.
www.guardian.co.uk/elsewhere/journalist/story/0,,1398055,00.html

3. MEMORIA. GIULIO VITTORANGELI: IL DOVERE DI RICORDARE
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'".
Sula strage dell'Universita' centroamericana (in sigla: Uca) di San
Salvador, in cui furono trucidati Joaquin Lopez y Lopez, Ignacio Ellacuria,
Segundo Montes Mozo, Juan Ramon Moreno Pardo, Jose' Ignacio Martin-Baro',
Amando Lopez Quintana, Elba Julia Ramos, Celina Maricet Ramos, si veda il
libro di Jon Sobrino e i suoi compagni dell'Uca, Il martirio dei gesuiti
salvadoregni nelle parole dei sopravvissuti, La Piccola Editrice, Celleno
(Vt) 1990]

Tutti ricordiamo gli ultimi mesi del 1989, in Europa crollava il muro di
Berlino e l'attenzione internazionale veniva catturata da questo
importantissimo avvenimento (il crollo dell'Est e la fine del bipolarismo),
oscurando ogni altra vicenda.
Il 16 novembre, sempre del 1989, nella capitale salvadoregna venivano uccisi
sei gesuiti, mentre l'offensiva della guerriglia (Fmln) era al suo culmine.
Morti scomode, ma passate sotto silenzio ieri come oggi, perche' avvenute
nella parte sbagliata del mondo. Se fossero avvenute a Varsavia (per fare un
esempio), avrebbero avuto la commozione dei nostri telegiornali,
l'indignazione delle grandi firme giornalistiche, le messe e il lutto
pontificale.
Certo dei martiri, ma martiri solo per i popoli centroamericani.
Le foto dell'eccidio all'Universita' centroamericana (Uca), con la loro
atmosfera irreale, giunsero con imperdonabile ritardo, anche in Italia. La
visione dei quattro cadaveri nell'androne, vicino al muro lungo il quale
erano stati assassinati - solo piu' tardi si seppe che gli assassini avevano
spostato i corpi dopo l'omicidio con il proposito, non riuscito, di
riportarli nelle stanze dalle quali li avevano strappati all'alba - era
sconvolgente.
Il cadavere di Ellacuria era irriconoscibile. L'impatto dei colpi sparati da
una distanza ravvicinata ne aveva deformato il cranio; il cervello era
sparso sul muro contro il quale era stato fucilato. Quel cervello aveva
prodotto le idee piu' generose e brillanti che si fossero ascoltate nel
Salvador da molti anni.
Altri due religiosi erano stati trasportati nelle loro camere ed era
visibile la traccia del sangue lasciato a terra. Anche la donna che faceva i
lavori domestici nella residenza e sua figlia erano state uccise dai
criminali che non volevano testimoni.
L'assassinio di Ellacuria e dei suoi compagni era stato annunciato da tempo,
erano l'obiettivo designato dai militari e dagli squadroni della morte
salvadoregni. Nonostante questo, l'ambasciatore statunitense William Walker,
il dipartimento di Stato e il Pentagono incolparono del delitto la
guerriglia e fecero di tutto per ostacolare le indagini. Walker e' lo stesso
che poco tempo prima aveva occupato l'ambasciata statunitense in Nicaragua e
che nel 1999 ha presieduto la commissione Osce che ha visitato il Kossovo
prima della guerra e che ha portato al duro scontro con Milosevic.
Per un breve momento, l'allora presidente George Bush si trovo' in
difficolta'. Una commissione investigativa del Congresso si impegno' per
svelare la verita' e ammise la responsabilita' diretta, nella pianificazione
dell'assassinio, del capo di stato maggiore dell'esercito, il colonnello
Rene' Emilio Ponce, che sarebbe poi diventato ministro della difesa. Per il
massacro venne condannato solo un ufficiale: il colonnello Guillermo
Benavides, direttore della Scuola militare. Il processo, che si e' poi
svolto in Salvador, ha stabilito la complicita' di un solo altro membro
dell'esercito, ma i risultati hanno lasciato insoddisfatti i compagni dei re
ligiosi assassinati e tutti quelli che conoscevano la verita' dei fatti.
Ellacuria era un vero intellettuale; mentre altri sacerdoti si dedicavano al
lavoro quotidiano nella comunita' povera, lui era piu' degli altri
l'ispiratore, colui che elaborava la riflessione, fonte costante di
rinnovamento per la Chiesa e di preoccupazione per la curia romana. Dal
Vaticano parti' una vera e propria aggressione alle espressioni pastorali
della teologia della liberazione in tutta l'America Latina.
Comunque, l'assassinio di Ellacuria e degli altri cinque sacerdoti
certamente diede la spinta per una conclusione piu' rapida della guerra.
Solamente che la loro memoria e' oggi sfortunatamente scarsa. Il loro
messaggio, a giudicare dalla violenza, questa volta sotto forma di
delinquenza comune, che continua a insanguinare il Salvador, non si e'
diffuso a sufficienza tra coloro per i quali donarono la vita. Nella
cappella nella quale e' stato celebrato il loro funerale sono incise alcune
parole di un altro uomo della Chiesa caduto nello stesso paese, il vescovo
Oscar Romero: "Se mi uccidono, resuscitero' nel popolo salvadoregno".
Certo anche la nostra memoria e' scarsa, del resto a quindici anni dal
crollo del Muro il mondo e' profondamente cambiato; i conflitti attuali non
consentono piu' la divisione in due campi netti, di qua gli oppressi di la'
gli oppressori, mentre impazza la regressione identitaria e fondamentalista.
Ma resta ineludibile la necessita' di cambiare il mondo, questo mondo;
credenti e no, abbiamo il diritto di progettare, sognare una societa' nuova,
abbiamo il dovere di costruirla, anche in questi tempi bui, anche nella
notte.

4. RIFLESSIONE. MARIA ROSA CUTRUFELLI: UNA POLEMICA PASOLINIANA
[Dal quotidiano "Liberazione" del 30 ottobre 2005.
Maria Rosa Cutrufelli e' nata a Messina e vive a Roma, intellettuale
impegnata nel movimento delle donne, ricercatrice, saggista, narratrice,
giornalista, direttrice di "Tuttestorie", rivista di narrativa di donne.
Opere di Maria Rosa Cutrufelli: L'invenzione della donna, Mazzotta, Milano
1974; L'unita' d'Italia: guerra contadina e nascita del sottosviluppo del
Sud, Bertani, 1974; Disoccupata con onore. Lavoro e condizione della donna,
Mazzotta, Milano 1975; Donna perche' piangi, Mazzotta, Milano 1976; Economia
e politica dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980; Il cliente. Inchiesta
sulla domanda di prostituzione, 1981; Mama Africa. Storia di donne e di
utopie, Feltrinelli, Milano 1989; La Briganta, La Luna, Palermo 1990; Il
denaro in corpo, Marco Tropea Editore, Milano 1996; (a cura di), Nella
citta' proibita, Marco Tropea Editore, Milano 1997, Net, Milano 2003;
Lontano da casa, Rai, 1997; Canto al deserto. Storia di Tina, soldato di
mafia, Longanesi, Milano 1994, Tea, Milano 1997; Il paese dei figli perduti,
Marco Tropea Editore, Milano 1999; Giorni d'acqua corrente. Quando la vita
delle donne diventa racconto, Pratiche Editrice, Milano 2002; Terrona,
Citta' Aperta, Troina (En) 2004; La donna che visse per un sogno,
Frassinelli, Milano 2004.
Pier Paolo Pasolini, scrittore, regista cinematografico, operatore
culturale, polemista, artista e intellettuale di straordinario impegno
civile, nato a Bologna nel 1922, ed ucciso ad Ostia nel 1975. Opere di Pier
Paolo Pasolini: a noi interessano particolarmente qui alcune raccolte di
saggi e di interventi giornalistici: Passione e ideologia, Empirismo
eretico, e soprattutto Scritti corsari e Lettere luterane. Ma tanta parte
del suo contributo di artista-critico e di pensatore e' nei suoi lavori in
versi, in prosa e cinematografici (ed in particolare anche in alcuni lavori
apparentemente marginali o extravaganti come la parte da lui realizzata per
il film di montaggio La rabbia, gli Appunti per un film sull'India, gli
Appunti per un'Orestiade africana, Le mura di Sana'a). Della sua opera
cinematografica, di grande valore e bellezza (ed in alcuni casi di
straordinaria limpidezza e suggestione morale), solo il film Salo' ci sembra
assolutamente ripugnante, un film di un tale orrore che averlo realizzato ci
pare un atto inammissibile. Opere su Pier Paolo Pasolini: ovviamente va
letto innanzitutto il volume di Franco Fortini, Attraverso Pasolini,
Einaudi. E l'antologia a cura di Franco Brevini, Per conoscere Pasolini,
Mondadori. Inoltre: sullo scrittore cfr. Tommaso Anzoino, Pasolini, La Nuova
Italia; sul cineasta cfr. Serafino Murri, Pasolini, Il Castoro Cinema;
Adelio Ferrero, Il cinema di Pier Paolo Pasolini, Mondadori. Un interessante
volume sul difficile rapporto di Pasolini con l'omosessualita' e' quello a
cura di Stefano Casi, Desiderio di Pasolini, Sonda, Torino-Milano 1990 (che
segnaliamo in particolare per il notevolissimo saggio di Giovanni Dall'Orto,
Contro Pasolini).
Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze
nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo
di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di
Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi
parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978;
Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla
Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla
Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990]

"Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perche' la considero,
come molti, una legalizzazione dell'omicidio". Con queste parole Pasolini
comincio', il 19 gennaio del 1975, la sua polemica contro l'aborto, che
duro' a lungo fra prese di posizioni, repliche e controrepliche, ospitate
per lo piu' sul "Corriere della sera".
Io ricordavo bene queste parole, ma non gli argomenti con cui Pasolini le
motivava, percio' sono andata a rileggermi tutti gli articoli dedicati al
tema e raccolti negli Scritti corsari. Confesso che mi sono accinta alla
rilettura con una punta di fastidio (presumevo di conoscere gia' tutte le
obiezioni), ma poi, man mano che leggevo, i miei pensieri hanno preso una
strana deriva...
Dunque: cosa significa liberalizzare l'aborto? Significa (ed e' una delle
critiche principali, da parte di Pasolini) rendere facile il coito.
Significa un'esaltazione oggettiva "dell'accoppiamento eterosessuale", che
"non ha piu' ostacoli". La liberta' sessuale, in quest'ottica, si trasforma
in "un obbligo, un dovere sociale, una caratteristica irrinunciabile della
qualita' di vita del consumatore".
La liberta', insomma, si degrada in consumo. Consumo di sesso "etero",
beninteso, perche' il trionfo della coppia uomo-donna rende ancora piu'
marginale, e anzi intollerabile, ogni altro tipo di sessualita'. "Il coito -
dice Pasolini - e' politico. Dunque non si puo' parlare politicamente in
concreto dell'aborto, senza considerare come politico il coito".
Sacrosante parole! Ma... non l'aveva gia' detto qualcuno? Carla Lonzi, per
esempio: "Contraccettivi, aborto, sterilizzazione, rivelano un'incongruenza
del mondo patriarcale che, invece di porre in discussione il modello
sessuale procreativo come modello 'naturale', lo riconferma mobilitando una
serie di misure che rendono l'atto procreativo non-procreativo". Parole del
1971.
E poi, scrive Pasolini, invece di lottare per la legalizzazione dell'aborto,
non sarebbe forse meglio lottare per "una serie di liberalizzazioni reali
riguardanti appunto il coito (e dunque i suoi effetti): anticoncezionali,
pillole, tecniche amatorie diverse, una moderna moralita' dell'onore
sessuale?". Be', mi dico, questo senz'altro suona un po' riduttivo. In fondo
(scusate la pedanteria, ma ognuno, se non altro, ha diritto ai suoi
ricordi), in fondo il femminismo aveva gia' detto cose ben piu' radicali.
Per esempio: "Perche' l'aborto non sia un nuovo strumento di oppressione
(sic), esso deve rientrare in un programma di mutamento radicale delle
nostre condizioni... e il nostro movimento sara' il solo garante che
l'aborto non sia la cinica scelta di uno Stato che comincia a considerare
piu' economico prevenire la nascita di milioni di bambini, scaricandone la
responsabilita' sulla donna, piuttosto che ammazzarli dopo, in guerra, sul
lavoro, in ospedali che fanno schifo". Firmato: movimento femminista
padovano. Eravamo a maggio del 1973.
Dunque, quel che deduco dalla mia rilettura e' che fino a questo punto le
riflessioni di Pasolini non erano poi cosi' inconciliabili con le
riflessioni che andava facendo (o che aveva gia' fatto) il femminismo
dell'epoca.
Pero' c'e' quella dichiarazione iniziale: perentoria, senza sfumature. E in
nessuno dei cinque lunghi articoli dedicati all'argomento si fa cenno, mai,
a quell'articolo di legge che il femminismo allora considerava
irrinunciabile: l'autodeterminazione delle donne. Cioe' il riconoscimento
che il corpo femminile non e' "un luogo pubblico" da controllare, normare,
espropriare a piacere. Il corpo della donna non puo' essere ridotto a "un
ambiente uterino per l'approvvigionamento di un feto" (come denuncia Barbara
Duden).
Eppure e' proprio Pasolini - che si dice contrario alla legalizzazione
dell'aborto "per una serie caotica, tumultuosa ed emozionante di ragioni" -
a rivendicare l'esperienza del corpo come fondamento di ogni relazione e di
ogni possibilita' di pensiero. E' dal contatto con la gente, scrive, "e' da
questa esperienza esistenziale, diretta, concreta, drammatica, corporea, che
nascono in conclusione tutti i miei discorsi ideologici".
Ma, viene da chiedersi, su quale esperienza Pasolini fonda la sua opinione
in merito all'aborto? Da quale esperienza di vita trae alimento la sua
"ideologia"? Intanto sono uomini, e uomini soltanto, quelli a cui spiega la
sua posizione: e' loro che ascolta, a loro si rivolge, con loro discute e
s'infuria. Giornalisti, scrittori, politici, una lunga, lunghissima teoria
d'intellettuali, i piu' importanti del tempo.
Non e' colpa di Pasolini questa unidirezionalita' del discorso: all'epoca
erano soltanto gli uomini a "fare opinione", come si suol dire. E' logico
percio' che siano uomini i suoi interlocutori, anche se qualche donna qua e
la' viene nominata, benche' incidentalmente, di sfuggita: Laura Betti, che
lo ha rimproverato perche' nel suo articolo "manca fisiologicamente la
donna", Adriana Seroni, con cui lo scrittore si dichiara d'accordo, Natalia
Ginzburg che giustamente e' accusata di volgarita' per aver definito
"squallido" l'amore omosessuale.
Pero', pero'... anche Pasolini a dire il vero si macchia di una qualche
volgarita', e precisamente quando nomina - incidentalmente, di sfuggita - le
"oltranziste dell'aborto", cioe' le femministe che lamentano la solitudine
della donna in questo dramma, e lui dice: "Capisco". Ma poi aggiunge: "Pero'
quando era a letto non era sola". Gia'.
E allora, per concludere, citero' proprio la frase provocatoria con cui
Pasolini chiudeva il suo primo articolo: "Molti accuseranno questo mio
intervento di essere personale, particolare, minoritario. Ebbene?".
Ebbene: a volte anche un grande poeta, un poeta del corpo e delle sue
emozioni, puo' non accorgersi d'avere un occhio ciclopico. Un occhio
"unico", cieco all'esperienza altrui.

5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL CIRCOLO DEGLI UOMINI
[Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 novembre 2005. Lea Melandri, nata nel
1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista
"L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata
nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di
Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba
voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il
sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli
1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

Nel libro L'ultimo paradosso (Einaudi 1986), presentato come "un quaderno di
appunti, note, osservazioni, pensieri sui problemi fondamentali
dell'esistenza", Alberto Asor Rosa scrive: "Uomini. Sediamo da secoli in
gruppo intorno ad una tavola - non importa se rotonda o quadrata -
impartendo il comando cui la nostra funzione ci abilita, distribuendo il
potere che il nostro ruolo ci assegna. Anche fra amici indossiamo corazze: i
momenti piu' intimi della nostra conversazione passano tra celate
accuratamente abbassate. Le nostre mani sono chele in riposo. Gli orgogliosi
sanno fare tutto questo con dignita' e fierezza, i vili lo ostentano
codardamente per incutere timore: ma gli uni e gli altri stanno diritti
solamente perche' c'e' una corazza a sostenere il filo della schiena o una
spada a cui appoggiare il fianco stanco. Il nostro volto, il nostro corpo
sono pur la', dietro quelle biancheggianti, livide spoglie. Ma non oseremmo
pensare di rinunciare al nostro circolo e alle sue leggi neanche se ci fosse
promessa in cambio una liberta' sconfinata, una gioia senza pari. Sediamo,
intenti a noi stessi, alla nostra forma, al nostro decoro, al nostro
eroismo, alla nostra dignita': al nostro essere-per-se', custodito da un
simulacro d'acciaio e da una maschera di ferro. Intorno a noi ci sono
soltanto o subalterni o buffoni: e tra essi mettiamo le donne, alle quali
per giunta presumiamo di piacere e di dar piacere ostentando le virtu'
cavalleresche, ossia tutto cio' che piu' ci allontana da loro. A forza di
tenere il corpo in armatura, ne risultiamo un poco rattrappiti, le giunture
scricchiolano e nel muovere ci procurano dolore. Talvolta ci sorge il
sospetto che il nostro sacrificio, offerto a divinita' tanto astratte quanto
crudeli come quelle che compongono la religione dell'ascetismo guerriero,
sia scontato ed inutile, e persino oggi un poco patetico: ed aspiriamo ad
uscire da qualche crepa della vecchia armatura, a scivolare furtivi sotto
quel tavolo, per guadagnare la porta della riunione a uscire a respirare
aria pura.
Ma appena fissiamo lo sguardo nello sguardo dei nostri compagni, attraverso
la fessura della celata... e vi scorgiamo la nostra stessa disperazione, la
nostra prigionia, il nostro dolore, il nostro stesso smisurato orgoglio, il
nostro disprezzo per tutti gli estranei alla cerchia - non appena sguardo
con sguardo di nuovo s'incatena, subito il desiderio di liberta', l'ansia di
gioia ci abbandonano -, e scopriamo che non potremo mai lasciarli... L'unico
passo in avanti nella cultura degli uomini da due millenni a questa parte e'
stato la soppressione del re: ma questa soppressione non ha cancellato il
circolo, se mai lo ha rafforzato, liberandolo della maglia piu' debole. Sono
secoli che gli esseri umani maschili vivono cosi'; e con questo modo di vita
affonderanno".
*
Ho ripensato a questo frammento e al destino del libro che lo contiene -
giudicato dagli intellettuali piu' vicini all'autore come meritevole di
restare in solaio, dove sembra effettivamente rimasto -, dopo aver letto su
"Liberazione" (6 novembre 2005) il punto di vista di dieci uomini sul tema
"Maschi, perche' uccidete le donne?". Mi soffermo su due aspetti, che non
finiscono di sorprendermi: la potenza - o prepotenza - che conserva tutt'ora
la "neutralita'", l'abitudine dell'uomo di pensarsi e di parlare come
prototipo unico della specie umana; e, per un altro verso, la repentinita'
con cui essa puo' eclissarsi, come se avesse in effetti la leggerezza di una
maschera che si puo' mettere e togliere a volonta'. Negli scritti pubblicati
dal giornale, l'idea di un dominio maschile che attraversa da sempre la
sfera privata e pubblica, la consapevolezza delle forme piu' o meno violente
con cui si e' imposto il patriarcato, appaiono come verita' incontestabili,
dati della propria esperienza e della propria formazione culturale, analisi
che sembrano essere state presenti da sempre, sia pure in modo diverso,
nell'impegno politico di ognuno.
*
Se le donne hanno dovuto faticosamente, tra mille inganni e ostacoli,
"prendere coscienza" di un'oppressione, peraltro evidente, e sopportare che
questa lucidita' si rivelasse estremamente fragile, pronta a scomparire dopo
ogni piccola conquista, gli uomini, ragionando su una rappresentazione del
mondo prodotta dalla storia dei loro simili hanno evidentemente una via di
accesso piu' facile alla messa a nudo del sessismo, delle logiche d'amore e
di violenza che lo sostengono, nonostante i progressi della civilta'.
Perche' allora quella difesa estrema, sempre meno convinta eppure ostinata,
della neutralita', che si esprime non solo nel cancellare dalle analisi
politiche il rapporto tra i sessi, ma anche in quella copertura che e' la
sua distorta collocazione tra le questioni sociali: emarginazione,
cittadinanza incompleta, sfruttamento economico, beni comuni, ecc.?
Le donne sembra che stentino a "sapere" quanto e' profonda l'espropriazione
che hanno subito, quanto siano ancora lontane dalla percezione di se' come
individualita' intere, corpo e pensiero, quanto siano propense ad
accontentarsi di una emancipazione che le porta sulla scena del mondo con le
stesse attribuzioni per cui ne sono state allontanate: corpo, sessualita',
maternita'. Anche sulla violenza che subiscono quotidianamente, e che
risulta essere ancora la causa prima della loro morte, cala spesso
l'invisibilita', frutto di paure, intimidazioni, cosi' come di desideri e
fantasie amorose mal riposte. Per quanto riguarda gli uomini, viene invece
il sospetto che "sappiano" e che sia proprio l'evidenza del privilegio
toccato loro storicamente e diventato "destino", copione di comportamenti
obbligati, a dover essere in qualche modo aggirata, perche' colpevolizzante
e quindi innominabile.
La comunita' storica maschile ha visto cadere imperi, muraglie, confini, odi
che sembravano irriducibili, eppure esita a far cadere le fragili pareti che
separano la sua civilta' dalla porta di casa, l'immagine della sua
"virilita'" pubblica dalla posizione di figlio, fratello, padre, marito,
amante.
Ma tutto cio' che scorre innominato sotto la storia rischia di diventare col
tempo la galassia che la conduce a sua insaputa, che la ricopre via via di
macerie e la tiene con lo sguardo rivolto all'indietro, cosicche' la
speranza finisce per confondersi con la nostalgia, e il corpo femminile, su
cui ancora si pretende di esercitare un possesso indiscusso, diventa,
immaginariamente, la terra feconda, incontaminata, di rinascite a venire.
*
Lo spazio che si e' aperto su "Liberazione", interrogando uomini e donne sul
destino che li ha confusi e contrapposti, si spera che da piccolo rigagnolo
di riflessioni inedite diventi un fiume capace di dare nuova linfa alla
politica e di allargarne gli argini, prima che lo facciano distruttivamente
il mercato, le guerre o il fanatismo religioso.

6. LIBRI. UN LIBRO DI ARTURO PAOLI E FRANCESCO COMINA
[Dagli amici delle Edizioni la meridiana (per contatti: info at lameridiana.it)
riceviamo e volentieri diffondiamo la seguente notizia editoriale.
Arturo Paoli, religioso, costruttore di pace, saggista, e' una delle figure
piu' vive della solidarieta' operosa e della nonviolenza in cammino; su di
lui dal sito www.giovaniemissione.it riprendiamo la seguente scheda: "Arturo
Paoli e' nato a Lucca nel 1912. Si laurea in lettere classiche a Pisa ed e'
ordinato sacerdote nel 1940. Tra il '43 e il '44 partecipa alla Resistenza.
Nel 1949 viene nominato assistente nazionale della Giac (Gioventu'
Cattolica) mentre era alla presidenza Carlo Carretto. Assistente nazionale
dell'Azione Cattolica negli anni '50, fu costretto alle dimissioni per le
sue posizioni in contrasto con la gerarchia. Autore di numerose opere che
potrebbero andare sotto il titolo di "spiritualita' della relazione", ha
scritto fra gli anni '80 e i '90 la sua puntuale "Lettera dall'America
Latina" ai lettori di "Nigrizia" (www.nigrizia.it). Nel 1954 riceve l'ordine
di imbarcarsi come cappellano su una nave argentina destinata agli
emigranti. Durante questi viaggi conosce i Piccoli Fratelli di Charles de
Foucauld ed entra nella loro congregazione. Terminato il noviziato svolge il
lavoro di magazziniere nel porto di Orano (Algeria) e poi nelle miniere di
Monterangiu in Sardegna. Nel 1960 si reca in America Latina per avviare una
nuova fondazione: qui vive con i boscaioli della foresta argentina. Quando
il clima politico peronista si fa pesante, subisce una campagna
denigratoria: il suo nome e' nell'elenco di quelli che devono essere
soppressi. Nel 1974 si trasferisce in Venezuela; anche qui il suo lavoro e'
di impegno pastorale e di promozione sociale. Nel 1983 comincia a
soggiornare in Brasile, dove, dopo la dittatura militare, prende vita una
chiesa che e' tra le piu' vive dell'America Latina. In Brasile ha fondato
"Afa" (Associazione fraternita' alleanza), che e' una comunita' di laici
impegnati in alcuni progetti di aiuto alle famiglie delle favelas: progetto
Latte, Educazione, Salute, Donna, Informatizzazione. Nel 1999 lo Stato
d'Israele gli conferisce la nomina a "Giusto tra le Nazioni" per aver
aiutato e salvato alcuni ebrei nel 1944 all'epoca delle persecuzioni
naziste. Il suo nome sara' scritto per sempre nel muro d'onore del Giardino
dei Giusti dello Yad Vashem a Gerusalemme. Attualmente vive a Foz de Iguacu,
nel barrio di Boa Esperanza. Da quarant'anni Arturo Paoli condivide la sua
vita con i poveri, senza per questo rinunciare all'attivita' di
conferenziere e animatore: collabora con diverse riviste ("Rocca",
"Nigrizia", "Il Regno", "Jesus") e ha scritto una trentina di opere". Tra le
opere di Arturo Paoli: Gesu' amore, 1960, Borla 1970; Dialogo della
liberazione, 1969; La costruzione del Regno, Cittadella, Assisi 1971;
Conversione, Cittadella, Assisi 1974; Il grido della terra,1976; Camminando
si apre cammino, Gribaudi, Torino 1977; Cercando liberta', Gribaudi, Torino
1980; Tentando fraternita', Gribaudi, Torino 1981; Facendo verita',
Gribaudi, Torino 1984; Le palme cantano speranza, Morcelliana, Brescia 1984;
Testimoni della speranza, Morcelliana, Brescia 1989; Il silenzio, pienezza
della parola, Cittadella, Assisi 1991, 1994, 2002; La radice dell'uomo,
Morcelliana, Brescia; Camminando s'apre cammino, Cittadella, Assisi 1994; Il
sacerdote e la donna, Marsilio, Venezia 1996; Progetto Gesu': una societa'
fraterna, Cittadella, Assisi 1997; Quel che muore, quel che nasce, Sperling
& Kupfer, Milano 2001; Un incontro difficile, Cittadella, Assisi 2001; con
Remo Cacitti e Bruno Maggioni, La poverta', In dialogo, 2001; La gioia di
essere liberi, Edizioni Messaggero di Padova, Padova 2002; Della mistica
discorde, La meridiana, Molfetta (Ba) 2002; (con Francesco Comina), Qui la
meta e' partire, La meridiana, Molfetta (Ba) 2005.
Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) e' stato uno dei
principali punti di riferimento in Italia della campagna di sostegno al si'
al referendum brasiliano per proibire il commercio delle armi. Giornalista e
saggista, pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi;
nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo)
Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a
Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo
Barros), Il sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; (con
Arturo Paoli), Qui la meta e' partire, La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha
contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia -
Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e ad AA. VV., Giubileo purificato,
Emi, Bologna]

Fra pochi giorni sara' nelle librerie il libro di Arturo Paoli, Francesco
Comina, Qui la meta e' partire, La meridiana, Molfetta 2005, pp. 112, euro
12.
"Questo lungo dialogo nasce al mattino presto, verso le cinque, quando la
luce comincia a svelare le cose del mondo. Arturo Paoli si alza e inizia a
cantare".
Quasi un secolo di vita e di storia in sole 112 pagine dove "la strada -
come scrive Ettore Masina nella prefazione - sui cui Arturo cammina e'
fiancheggiata dai ruderi di molte ideologie, speranze, illusioni, civilta',
filosofie, piccoli Mozart (per dirla con Saint-Exupery) assassinati dalla
miseria. Sulla stessa strada ha camminato la Chiesa, la 'sua' Chiesa: quella
che egli enormemente ama ma della quale conosce il dramma di essere semper
casta et meretrix".
Un libro dove con limpidezza Arturo, incalzato dalle domande e dalle
riflessioni di Francesco Comina, ricorda e mette insieme tasselli del suo
impegno durante il fascismo (significativa e attuale la lettura del
confronto tra De Gasperi e il vaticano), l'eco del Concilio, le speranze,
l'affermarsi e le ragioni della teologia della liberazione, il cammino delle
Chiese dell'America latina e soprattutto il suo cruccio e la sua ragion
d'essere: l'altro. Meglio: il volto dell'altro. Che puo' farsi anche volto
dell'Altro. Un libro in cui la saggezza senile apre al futuro, non declina,
nemmeno a 93 anni, dalla responsabilita' dell'esserci "ora e qui", non si
spoglia del "vizio della curiosita'" e dell'interesse per tutto cio' che di
nuovo ogni alba offre.
Un libro nel quale il lettore, pagina dopo pagina, assapora l'intimita' di
una esperienza forte e leggera, lieve e radicale, fino a desiderare di
rubarne il segreto.
Per acquisti: e-mail: info at lameridiana.it Sconto del 20% per chi ordina il
volume entro il 25 novembre.
Di Arturo Paoli La meridiana ha pubblicato anche Della mistica discorde e
Prendete e mangiate. Di Francesco Comina  ha pubblciato anche Il sapore
della liberta', dialogo con Marcelo Barros. Anche su questi volumi sconto
del 20%.

==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 47 del 13 novembre 2005

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it