La nonviolenza e' in cammino. 1064



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1064 del 25 settembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Pupa Garribba: Si', un buon inizio
2. Angelo Cavagna: Si', proibire il commercio delle armi
3. Ermanno Allegri: Due buone notizie
4. Un incontro interreligioso per la pace a Fortaleza
5. Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile: Dite si' alla vita
6. Alberto Castagnola e Riccardo Troisi: Le armi impediscono lo sviluppo
umano
7. Ileana Montini: Laicita' e diritti umani delle donne
8. Lidia Menapace: Un dibattito
9. Riletture: Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa
10. Riletture: Fatema Mernissi, Islam e democrazia
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PUPA GARRIBBA: SI, UN BUON INIZIO
[Ringraziamo Pupa Garribba (per contatti: garribba at tin.it) per questo
intervento. Pupa Garribba, prestigiosa intellettuale di grande impegno
civile, per molti anni redattrice della rivista "Confronti", e'
corrispondente del mensile "Cahiers Bernard Lazare" di Parigi e
intervistatrice della Shoah Foundation di Steven Spielberg; da molti anni
testimonia, soprattutto nelle scuole, la necessita' di curare la memoria
della persecuzione antiebraica, delle leggi razziali, della Shoah, fuori
dalla ritualita' e dalla retorica, attingendo a quel patrimonio irripetibile
che e' il racconto dell'esperienza vissuta, nella convinzione che "se
valutiamo e studiamo bene il meccanismo di questo immane sterminio, forse
possiamo essere pronti ad accorgerci degli altri". Tra le opere di Pupa
Garribba: Ebrei sul confine; Donne ebree; Le feste ebraiche; I simboli
ebraici; tutte pubblicate nelle edizioni di "Com - Nuovi tempi", Roma]

Nessuna mia considerazione originale sulla primaria necessita' di proibire
il commercio delle armi da fuoco avrebbe l'impatto delle parole di Isaia
2:4: "Spezzeranno le loro spade per farne vanghe e le loro lance per ridurle
a falci; nessun popolo levera' la spada contro l'altro e non impareranno
piu' la guerra".
Solo cosi' donne e uomini "di temperamento diverso e di diverse opinioni
potranno lavorare insieme per il bene comune", riprendendo quanto ha scritto
nel XV secolo il filosofo Joseph Albo nel suo "Sefer HaIkkarim".
Da ebrea quale sono, non posso che condividere una riflessioni di un grande
Maestro italiano, il Rabbino Dante Lattes il quale, poco piu' di mezzo
secolo fa ha scritto nel suo "Commento al Pirke' Avot": "... Se il paradosso
e' lecito, si potrebbe dire che il messia riuscira' ad arrivare e a dimorare
sulla terra quando ogni singolo individuo sara' diventato il messia di se
stesso".
La strada e' lunga, ma intanto sarebbe gia' un buon inizio proibire il
commercio delle armi, ovunque esso avvenga.

2. EDITORIALE. ANGELO CAVAGNA: SI', PROIBIRE IL COMMERCIO DELLE ARMI
[Ringraziamo padre Angelo Cavagna (per contatti: gavci at iperbole.bologna.it)
per questo intervento. Padre Angelo Cavagna e' religioso dehoniano, prete
operaio, presidente del Gavci (gruppo di volontariato con obiettori di
coscienza), obiettore alle spese militari, infaticabile promotore di
inizative di pace e per la nonviolenza. Opere di Angelo Cavagna: Per una
prassi di pace, Edb, Bologna 1985; (a cura di, con G. Mattai), Il disarmo e
la pace, Edb, Bologna 1982; (a cura di), I cristiani e l'obiezione di
coscienza al servizio militare, Edb, Bologna 1992; I malintesi della
missione, Emi, Bologna; (a cura di), I cristiani e la pace, Edb, Bologna
1996]

L'immenso Brasile, in questo momento, e' un segno di barbarie e di civilta'.
La barbarie e' documentata dalle cifre impressionanti di morti uccisi con
armi da fuoco, legali e illegali, in mano ai cittadini: nel 1980 il 30%
delle morti di giovani sono state uccisioni; la percentuale e' salita al
54,5% nel 2002. E' un'assurdita'.
La civilta' e' invece testimoniata dalla lunga lotta sociale contro tale
flagello; lotta che ha gia' raggiunto risultati concreti non piccoli:
approvazione dello Statuto per il disarmo (anno 2003); una campagna per il
disarmo volontario (nel 2004 piu' di 400.000 armi sono gia' state
consegnate, con il risultato di un 7% di uccisi in meno nell'anno).
Ora l'approvazione del referendum per eliminare il commercio delle armi da
fuoco.
Non resta che incoraggiare in tutti i modi la campagna referendaria per il
si'.
*
E naturalmente se si vuole davvero costruire un mondo di pace e fraternita',
occorre percorrere, insieme a questa, tutte le molte vie alla pace; in
particolare quella istituzionale. Bisogna far crescere e sostenere un
movimento mondiale di riforma radicale dell'Onu e di abolizione pura e
semplice del sistema militare. Finche' ci sara' un esercito, ci saranno
scienziati che faranno a gara per inventare armi sempre piu' micidiali, che
poi bisognera' costruire e poi vendere; e per far questo occorreranno le
guerre, come spiegava il personaggio del trafficante d'armi interpretato da
Alberto Sordi nel film "Finche' c'e' guerra, c'e' speranza".
Invece e' possibile e doveroso abolire tutti gli eserciti, come e' avvenuto
storicamente che al formarsi degli stati nazionali furono abolite le milizie
di fazione al loro interno.
Oggi i problemi sono mondiali: occorrono un vero Parlamento e un vero
Governo essi pure mondiali, con un vero corpo di polizia internazionale
(cioe' uso non omicida della forza armata). Anzi, "la polizia dovrebbe
essere dotata di armi intrinsecamente non letali" (parole del generale Bruno
Loi).
*
Soprattutto occorre convincersi che l'alternativa agli eserciti esiste: e'
la Difesa popolare nonviolenta, che non e' passivita' ne' utopia, come hanno
dimostrato tante magnifiche lotte nonviolente.
Questo dovrebbe capirlo soprattutto chi si fregia del nome di cristiano, dal
momento che Gesu' ha detto: "Non uccidere... Amate i vostri nemici; pregate
per i vostri persecutori... Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi... Metti
via la spada... Amatevi come io vi ho amato e do' la vita per voi...
Perdonate non fino a sette volte, ma settanta volte sette... Padre perdona
loro (i suoi crocifissori) perche' non sanno quello che fanno". Piu' di
cosi'...

3. LETTERE DAL BRASILE. ERMANNO ALLEGRI: DUE BUONE NOTIZIE
[Ringraziamo Ermanno Allegri (per contatti: ermanno at adital.com.br) per
questo intervento. Ermanno Allegri e' direttore di "Adital", Agenzia
d'informazione "Frei Tito" per l'America Latina, tel. 8532579804, fax:
8534725434, cellulare: 8599692314, sito: www.adital.com.br ; "sacerdote
bolzanino da trent'anni in Brasile, gia' segretario nazionale della
Commissione Pastorale della Terra e ora direttore di un'agenzia continentale
(Adital, sito: www.adital.com.br), nata come strumento per portare
all'attenzone della grande informazione latinoamericana i temi delle
comunita' di base e l'impegno contro la poverta'. Allegri e' stato chiamato
a contribuire al coordinamento delle azioni di sensibilizzazione in vista
del referendum che si terra' in Brasile alla fine di ottobre che ha come
tema la messa al bando del commercio delle armi da fuoco che in tutta
l'America Latina costituisce un rilevante fattore di violenza (omicidi,
rapine, ecc.). E' una battaglia civile e di diritto importantissima per
tutto il Brasile, ma anche per il movimento per la pace di tutto il mondo.
La posta in gioco e' grande ma i poteri che contano (le multinazionali delle
armi) sono gia' all'opera per vincere, mettendo in campo enormi fondi.
Allegri chiede che questo tema venga messo nell'agenda anche del movimento
per la pace italiano e chiede anche un aiuto finanziario per coordinare da
qui a ottobre l'attivita' di sensibilizzazione di Adital" (Francesco
Comina)]

Cari amici,
vi comunico due notizie sulle attivita' per il disarmo qui in Brasile.
Un incontro interreligioso con la consegna di armi da fuoco, e il documento
della Conferenza dei vescovi brasiliani sul referendum.
Stanno anche arrivando le adesioni alle lettere per i ministeri brasiliani a
sostegno della campagna per il disarmo: ottimo.
Un carissimo saluto,
Ermanno Allegri

4. DAL BRASILE. UN INCONTRO INTERRELIGIOSO PER LA PACE A FORTALEZA
[Da Ermanno Allegri riceviamo e diffondiamo il seguente comunicato]

Circa venti strutture che fanno parte del Comitato cearense per il disarmo
si sono riunite in piazza Ferreira, a Fortaleza, Ceara', per celebrare la
pace il 21 settembre. La piazza e' tradizionalmente utilizzata per le
manifestazioni sociali di massa.
Come parte delle iniziative per il Giorno internazionale della pace indetto
dall'Onu per il 21 settembre, e' stato celebrato in piazza Ferreira un
incontro interreligioso per la pace, organizzato da entita' religiose che
partecipano del Comitato cearense per il disarmo.
Erano presenti all'evento rappresentanti della Sheicho-No-Ie, della Chiesa
di Cristo, del Buddismo Tibetano, del Santo Daime, del Centro di Raja Yoga
Brama Kumaris, della Chiesa Evangelica di Confessione Luterana in Brasile,
della Rosa Cruz-Amorc, del Centro Spirita Grao de Mostarda, del Movimento
dei Focolarini, dell'Istituzione religiosa Perfect Liberty, della Conferenza
dei Religiosi del Brasile, delle Comunita' Ecclesiali di Base (Cebs), dell'
Archidiocesi di Fortaleza, della Chiesa Messianica del Brasile, della Chiesa
Betesda, dell'Istituto di Yoga Vivekananda, della Diaconia, del Forum
Trasformacao e del Gruppo Geracao e Acao.
L'incontro ha avuto inizio con i bambini del gruppo di capoeira Arte e
Libertacao, della Pastorale del Minore del Quartiere Tancredo Neves,
dell'Associazione Santo Dias, e con i rappresentanti delle entita'
religiose, portando incenso e bandiere con la parola "pace" fino al Giardino
della pace; successivamente i ragazzi si sono esibiti in una
rappresentazione artistica.
Rappresentanti di ogni chiesa e religione hanno versato dell'acqua per
irrigare il Giardino della pace, per mettere in risalto l'importanza di
tutta la societa' nella costruzione di un mondo piu' giusto e umano, e sono
saliti sul palco per trasmettere alla societa' attraverso la musica, la
poesia, preghiere e versetti biblici, messaggi di amore e di vita. La
rappresentante della Chiesa  di Cristo ha letto 1 Corinzi 13,13: "Rimangano
la fede, la speranza e l'amore", perche' solo il rispetto per l'altro potra'
portare al riscatto dell'umanita'.
Durante l'incontro e' stato letto un messaggio del Parlamento delle
Religioni che considera l'estrema poverta' nel mondo, la corsa agli
armamenti e la contaminazione dell'ambiente i maggiori ostacoli per una
societa' di pace. La rappresentante del buddismo tibetano ha letto un
messaggio del Dalai Lama che ricorda a tutti quanto sia indispensabile un
movimento mondiale per raggiungere la completa pace. Le Comunita' ecclesiali
di base hanno intonato il canto "Quando rinascera' il giorno della pace,
quando brllera' il sole della speranza...".
Tutti i presenti hanno potuto lasciare il segno della loro partecipazione
sulla bandiera della pace che, oltre al logotipo delle entita' partecipanti
all'evento, portava l'impronta delle mani delle persone.
*
La consegna delle armi nel Giorno internazionale per la pace.
Nella stessa giornata, durante circa sei ore, un posto della Polizia
Federale ha ricevuto armi da fuoco nella stessa piazza, nel centro di
Fortaleza. I cittadini interessati alla consegna di un'arma ricevevano una
guida per trasportarla dalla propria residenza fino alla piazza.
Oltre all'indennizzo in denaro, le persone che hanno consegnato le armi
hanno ricevuto anche delle piantine, distribuite dalle entita' religiose
presenti. Secondo Agilmario Menezes, agente della Polizia Federale, il buon
numero di armi consegnate (piu' di 50) e' un altro indizio che la campagna
ha ricevuto una grande approvazione anche dalla popolazione del Ceara'.
Jose' Carneiro, uno dei presenti in piazza, ha detto che era venuto a
consegnare la sua arma perche' aveva preso coscienza del vero pericolo che
questa rappresentava. "L'arma in una casa non serve a niente. Qualcuno della
mia famiglia potrebbe ferirsi accidentalmente". Era in possesso di
quest'arma da piu' di dieci anni e ringraziava Dio per non averla mai usata.
La studentessa Andreia Campos, invece, ha portato le armi del padre persuasa
dalla Campagna per il disarmo, i cui argomenti l'hanno convinta che non c'e'
bisogno di tenerle in casa.
Le armi, che saranno raccolte dalla Campagna per il disarmo fino al prossimo
23 ottobre, per essere consegnate non e' necessario che siano in regola. La
Polizia Federale non investiga ne' la provenienza dell'arma ne' il cittadino
che la consegna. Non si chiede se l'arma e' legale o illegale, se e' stata
trovata, rubata o comprata. L'importante e' consegnare l'arma da fuoco.

5. DAL BRASILE. CONFERENZA NAZIONALE DEI VESCOVI DEL BRASILE: DITE SI' ALLA
VITA
[Da Ermanno Allegri riceviamo e diffondiamo la "Nota relativa al referendum
sulla proibizione del commercio di armi da fuoco e munizioni" diffusa dalla
Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile in occasione dell'assemblea
annuale]

Notizie di violenza e morte invadono tutti i giorni le nostre case
attraverso i mass media. Il porto e l'uso indiscriminato di armi da fuoco
trasformano, molte volte, conflitti banali in tragedie. Secondo i dati
disponibili, in un anno (2002), hanno perso la vita circa 38.000 persone, in
media 104 al giorno. Ogni 14 minuti viene tolta una vita. Il Brasile e' il
paese con l'indice piu' alto di persone uccise da armi da fuoco.
Molte persone pensano che il possesso di un'arma sia garanzia di sicurezza e
protezione. Le statistiche, pero', mostrano che, in un'aggressione, le
persone che usano armi da fuoco hanno una possibilita' maggiore di essere
assassinate.
Gesu' dice: "Felici tutti coloro che promuovono la pace, perche' saranno
chiamati filgi di Dio" (Matteo 5, 9). Lui non si difese quando fu catturato
e condannato a morte, ma disse a Pietro: "Metti la spada nel fodero. Chi usa
la spada, morira' di spada" (Matteo 26, 52). I cristiani, imitando il
Signore, cercano la pace disarmando la mente, il cuore e le mani.
La Campagna della fraternita' ecumenica del 2005, con il tema "Solidarieta'
e pace', ha incentivato le chiese del Brasile ad unirsi nella preghiera e
nella promozione della cultura di pace.
Un gesto concreto suggerito dalla campagna e' la partecipazione al prossimo
referendum del 23 ottobre, quando la popolazione sara' convocata ad
esprimere il proprio parere riguardo alla proibizione del commercio di armi
da fuoco e di munizioni in tutto il territorio nazionale.
Con questo referendum, siamo chiamati a contribuire attivamente al
consolidamento delle istituzioni democratiche. Sara' un'occasione storica
per l'esercizio della sovranita' popolare attraverso il voto.
Come vescovi della chiesa cattolica e come cittadini prendiamo posizione a
favore della proibizione del commercio di armi da fuoco e munizioni.
Facciamo un appello a tutti i cristiani e a tutte le persone di buona
volonta' a votare si' in questo referendum.
Proibire il commercio e l'uso di armi e' un passo decisivo, ma non
sufficente. Siamo contrari a qualunque tipo di violenza. Oltre a migliorare
la sicurezza pubblica, e' indispensabile educare alla pace e alla difesa
della vita, attraverso pratiche di nonviolenza attiva.
Itaici, Sao Paulo, 15 agosto 2005

6. RIFLESSIONE. ALBERTO CASTAGNOLA E RICCARDO TROISI: LE ARMI IMPEDISCONO LO
SVILUPPO UMANO
[Da "Azione nonviolenta" n. 8-9 di agosto-settembre 2005 (sito:
www.nonviolenti.org).
Alberto Castagnola e' nato a Roma nel 1936, economista, ricercatore presso
l'Ispe, presidente di Ired-Nord, impegnato nel Tavolo intercampagne e nella
Rete di Lilliput, collabora con l'Archivio Disarmo, Idoc, Greenpeace Italia,
l'Associazione per la pace. Opere di Alberto Castagnola: Multinazionali ed
imprese estere in Italia (1982); Alle radici della fame (1984);
Biotecnologie, una nuova industria (1986); La riconversione dell'industria
militare (con Mario Pianta, 1990); L'economia dell'auto (1999); Cancellare
il debito (2000).
Riccardo Troisi (per contatti: riccardotroisi at tin.it) e' impegnato nella
campagna "Control Arms", nella rete Lilliput e in molte iniziative di pace,
solidarieta', nonviolenza]

Quali rapporti tra armi e sviluppo
Sono molte le aree di attivita' economica di un paese acquirente di
armamenti nelle quali questi trasferimenti possono avere un impatto negativo
sulle potenzialita' di sviluppo economico e piu' in generale sulle
possibilita' di autonoma evoluzione sociale di tutta la popolazione.
Il primo, il piu' ovvio e immediato di questi aspetti, e' costituito dal
costo monetario dello stesso trasferimento. In genere tutti i costi legati
alle importazioni di armi devono essere sostenuti dal bilancio dello Stato
acquirente. In genere i paesi poveri spendono per le armi una quota dei loro
redditi nazionali maggiore di quella spesa dai paesi ricchi. Inoltre quasi
la meta' dei paesi che sostengono i maggiori oneri per la difesa hanno bassi
indicatori di sviluppo umano. Altri paesi, ad esempio l'Indonesia, spendono
per le loro forze armate quasi la stessa cifra che hanno ricevuto come
aiuti. Nel caso del Pakistan la spesa complessivamente destinata alla difesa
rappresenta quasi un terzo del suo reddito nazionale lordo. Se a questa si
aggiungono le spese per il servizio del debito (interessi e spese
amministrative) sui prestiti ottenuti per acquistare armi dall'estero, si
arriva quasi al 50% del reddito. In molti casi, infine, gli acquisti di armi
danno luogo a tagli nella spesa pubblica per la sanita', l'istruzione e per
altri servizi essenziali. E' piuttosto facile reperire situazioni in cui un
governo, pur dovendo affrontare una grave situazione sanitaria, ha in
realta' attribuito la massima priorita' all'acquisto di armamenti, e i
motivi che possono aver influito su una decisione cosi' sfavorevole per la
popolazione sono intuibili, specie quando un paese e' in situazione di
conflitto con paesi vicini o quando al suo interno si moltiplicano gli
scontri tra gruppi etnici o politici diversi.
Esistono poi dei costi finanziari "nascosti", ad esempio quando un governo
acquista delle navi da guerra con la scusa di voler proteggere i suoi
pescatori, mentre poi i costi per il mantenimento e l'operativita' dei
sistemi d'arma sono molto piu' elevati dei vantaggi derivati alle
popolazioni costiere.
Un'altra serie di costi di piu' difficile valutazione e' rappresentata dalla
utilizzazione nel settore militare di risorse e personale qualificato che
avrebbero potuto essere impiegati in progetti volti ad aumentare i servizi,
specie sanitari, destinati alle fasce piu' povere della popolazione.
Altri effetti negativi di piu' lungo periodo causati da acquisti di armi
all'estero sono invece collegabili agli usi impropri delle armi, sia da
parte di forze militari e paramilitari governative, sia da parte di gruppi
ribelli che riescono ad impossessarsene. Trasferimenti irresponsabili di
armi possono infatti incoraggiare forze militari inaffidabili e poco
addestrate a non rispettare i diritti umani e a sopprimere i tentativi di
sviluppo democratico (ad esempio opponendosi alla realizzazione di libere
elezioni). Sono ampiamente documentate in molti paesi l'uso illegittimo
delle armi, specie di quelle leggere, contro attivisti politici,
giornalisti, sindacalisti e persone che si impegnano in favore della pace o
di uno stato piu' democratico.
In termini economici, sono rilevanti i danni arrecati agli essere umani,
alle infrastrutture e alle opportunita' economiche, in quanto hanno un
impatto sullo sviluppo sostenibile. Cio' e' vero in particolare se si
tengono presenti i rapporti esistenti tra sicurezza e tranquillita' di un
paese e l'attrattiva esercitata sui potenziali investitori.
Infine, piu' noti ed evidenti sono gli effetti esercitati dalle armi sulla
utilizzazione delle risorse naturali, dal petrolio ai minerali. Le armi
permettono di usare le ricchezze di un paese per il beneficio di pochi
invece che nell'interesse di tutta la popolazione, mentre la sicurezza degli
esseri umani e il benessere di chi vive in aree ricche di risorse sono
gravemente limitati. Gli esempi dell'estrazione di diamanti in Angola e in
Sierra Leone, dell'oro e del coltan in Congo, del petrolio in Sudan e in
Nigeria sono ben noti, anche se molto poco e' stato fatto a livello
internazionale per evitare milioni di vittime e drammatici disastri
ambientali.
*
Istruzione e sanita', indicatori sufficienti?
Di fronte a effetti cosi' complessi e a conseguenze anche di lungo periodo,
gli indicatori e le analisi che evidenziano i rapporti esistenti tra spese
militari e spese sociali in termini puramente quantitativi hanno un valore
abbastanza limitato, anche se possono evidenziare con poche cifre dei
fenomeni in genere molto dannosi per le popolazioni e le loro fasce piu'
deboli, come i bambini e le donne.
E' anche evidente che nella maggior parte dei paesi sottosviluppati molti
dei bisogni primari sono ampiamente scoperti e quindi tutte le risorse
disponibili dovrebbero essere destinate alle spese sanitarie,
all'istruzione, ad infrastrutture come le fogne, e ai servizi essenziali
come l'accesso all'acqua potabile. Pertanto, qualunque spesa di rilevanza
militare e in particolare l'acquisto di armi sofisticate all'estero si
presenta come fortemente inumana se confrontata con i bisogni minimi non
garantiti a causa della scarsita' di risorse.
Non si puo' neppure dimenticare che molte delle spese militari sono il
risultato di guerre e conflitti interni fomentati da altri paesi (e spesso
sostenute o tollerate da paesi di ben altro livello di reddito) e comunque
sono spesso indotte o spinte dall'interesse economico delle industrie
belliche dei paesi piu' ricchi. Non casualmente, intorno ai contratti per
l'esportazione di armi e alle operazioni finanziarie e creditizie che ne
permettono l'attuazione sono fiorite negli ultimi decenni le maggiori
operazioni di corruzione, che trovano facile alimento nelle condizioni di
sottomissione e bisogno dei paesi del sud del mondo e nell'avidita' e nel
disprezzo dei limiti delle grandi multinazionali.
Deve anche essere ricordato che circa un terzo dei debiti esteri che oggi
appesantiscono e bloccano i tentativi di sviluppo di piu' della meta' della
popolazione mondiale sono derivati da prestiti concessi ai paesi del
cosiddetto Terzo Mondo affinche' acquistassero armi dai paesi donatori.
Questi prestiti, quindi, non sarebbero stati concessi se non fossero stati
"legati", cioe' vincolati, ad acquisti ben determinati nei paesi oggi
creditori, e nel tempo hanno fornito loro interessi cospicui. Gli oltre
2.500 miliardi di debiti accumulati non sono certo stati intaccati dalle
ridottissime cancellazioni concesse nel luglio di questo anno ad un
ristretto gruppo di paesi poverissimi, mentre in pratica molte delle
politiche economiche dei paesi del Sud sono tramite questo meccanismo
finanziario sottoposti alle misure liberiste del Fondo monetario
internazionale.
Le armi quindi esercitano anche effetti di lunghissimo periodo non
facilmente percepibili ad occhi non esercitati o poco interessati a cogliere
realta' spiacevoli.
*
Dati recenti sulla spesa militare e le esportazioni di armi
Le correlazioni esistenti tra esportazioni di armi ed alcuni meccanismi che
favoriscono l'aggravarsi delle condizioni di sottosviluppo avrebbero dovuto,
ormai da molti anni, costringere i governi dei paesi industrializzati a
ridurre la spinta da loro esercitata alla esportazione di armamenti verso i
paesi del sottosviluppo, in particolare verso quelli in via di rapido,
ulteriore impoverimento. La realta' purtroppo e' che gli interessi economici
dei settori industriali di rilievo militare sono aumentati a seguito dei
recenti conflitti nell'area mediorientale, e la loro capacita' di pressione
sugli ambienti politici e' diventata ben maggiore negli ultimi anni,
caratterizzati da una fase di crisi economica generale e di stasi
produttiva.
In chiave piu' politica, la strategia della guerra preventiva e le minacce
di intervento rivolte ad almeno 60 paesi considerati pericolosi, da un lato,
e il moltiplicarsi delle azioni terroristiche dall'altro, hanno creato delle
condizioni molto favorevoli ad una ripresa delle produzioni di armamenti e
ad rapido aumento delle esportazioni anche verso aree a rischio.
I dati piu' recenti sulle produzioni belliche, diffusi nel luglio 2005 dal
Sipri, l'istituto per la pace di Stoccolma, delineano un quadro molto
negativo per i paesi piu' poveri. La spesa militare raggiunta nel 2004
supera largamente i mille miliardi di dollari (pari a 840 miliardi di euro),
rappresenta il 2,6% del prodotto interno lordo mondiale, e comporta una
spesa pari a 162 dollari per ogni abitante del pianeta.
Di questa cifra il 47% e' speso dagli Stati Uniti, pari a 455 miliardi di
dollari; segue l'Inghilterra con 47,4 miliardi di dollari, poi la Francia,
il Giappone, la Cina, la Germania e l'Italia, settima in questa classifica
con quasi 28 miliardi di dollari.
Ma un'altra cifra deve essere ricordata, l'incremento degli utili fatti
registrare nel 2003 dalle 100 maggiori imprese del settore; e quella del
loro fatturato: superiore al prodotto interno lordo dei 61 paesi piu' poveri
del mondo.
Nelle esportazioni e' invece la Russia al primo posto, con 27 miliardi di
dollari di armi vendute nel periodo 2000-2004, mentre gli Stati Uniti hanno
raggiunto la cifra di 26 miliardi. L'Italia e' ormai il nono esportatore,
con 1,5 miliardi di dollari di esportazioni autorizzate nel 2004 e destinate
sia a paesi sotto embargo come la Cina, in zone di tensione come l'India, il
Pakistan, e il Medio Oriente, sia a paesi fortemente indebitati come il
Cile, il Peru' e il Brasile, o dove comunque si verificano continuamente
violazioni dei diritti umani come l'Arabia Saudita e la Siria.
Quindi, pur in presenza di una poverta' crescente, produzione e vendita di
armi senza alcuna precauzione o limitazione continuano a diffondersi in un
gran numero di paesi, in forte contraddizione con gli obiettivi di sviluppo
e di lotta alla poverta' tanto propagandati. Purtroppo, le voci che si
levano per denunciare le menzogne delle politiche attuali non riescono a
superare la barriera degli interessi economici, e soprattutto non riescono
nemmeno a far emergere gli stretti collegamenti esistenti tra disponibilita'
di armi e munizioni e diffondersi del terrorismo.
*
Qualche conclusione per costruire un'azione comune
Tutte le considerazioni fin qui svolte spiegano le ragioni che sostengono la
richiesta internazionale di un Trattato sul disarmo e di una
regolamentazione delle esportazioni di armi, quasi una premessa essenziale
ad una effettiva lotta alla poverta' mondiale. Priorita' assoluta dovrebbe
inoltre essere attribuita alla drastica riduzione dei 600 milioni di armi
leggere che tante vittime continuano a distruggere nei conflitti interni e
nelle guerre piu' o meno conosciute.
Sono poi da proporre numerose altre misure, forse di minore portata ma
altrettanto essenziali se realmente si intende pervenire ad un drastico
ridimensionamento del numero di persone costrette a sopravvivere al di sotto
delle soglie di poverta'. In primo luogo deve aumentare la pressione per la
riduzione della produzione di armi, in particolare le mine e gli strumenti
di guerra nucleare, batteriologica e chimica, ancora diffusi in maniera
preoccupante in un gran numero di paesi.
Devono poi essere interrotti i meccanismi di acquisto delle armi che
incidono sulla spesa sociale realizzabile e cio' in misura molto consistente
nei paesi che meno sono in grado di sopperire ai bisogni fondamentali delle
rispettive popolazioni. Le spese sociali devono essere libere da
interferenze estere, cioe' non devono essere effettuate perseguendo
standards analoghi a quelli dei paesi industrializzati, devono poter
comprendere la produzione di farmaci senza affrontare oneri eccessivi dovuti
alla detenzione dei brevetti da parte delle multinazionali farmaceutiche,
non devono affidare servizi essenziali a imprese straniere.
Le spese per istruzione e sanita', ma anche per acqua e alimentazione,
devono diventare prioritarie e raggiungere le fasce piu' povere della
popolazione, in base a sostegni consistenti da parte delle organizzazioni
internazionali. Ancora, gli interventi esteri, per aiuti e investimenti
pubblici e privati, devono essere concessi purche' aumentino effettivamente
le spese sociali piu' urgenti.
Infine, il credito, pubblico e privato, deve essere concesso
indipendentemente dagli acquisti di armi e tenendo conto delle corrette
modalita' di sviluppo sostenibile adottate dai paesi riceventi, mentre
soprattutto le strategie di lotta alla poverta' devono assolutamente tenere
conto delle esportazioni di armi dei paesi donatori, evitando cioe' quelle
importazioni che possono incidere sulle potenzialita' di sviluppo
sostenibile espresse da ogni paese ricevente.
Si tratta evidentemente di perseguire un cambiamento piuttosto radicale
delle logiche attuali e quindi le proposte, anche prese isolatamente,
sembrano appartenere ad una utopia molto lontana dalla realta' attuale. Non
possiamo pero' ignorare il fatto che le guerre si svolgono sempre piu'
vicine ai paesi industrializzati, e che il terrorismo internazionale ha
ormai assunto caratteristiche insostenibili. Solo un deciso avvio di una
strategia alternativa a quelle oggi dominanti puo' modificare i rapporti con
le popolazioni immerse nella poverta' estrema: sarebbe urgente iniziare
subito, se veramente si vogliono evitare ulteriori massacri e distruzioni.

7. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: LAICITA' E DIRITTI UMANI DELLE DONNE
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Ha recentemente pubblicato, con altri coautori, Il desiderio e l'identita'
maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004. Su
Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]

Il presidente Ciampi, in occasione del ricordo della presa di Porta Pia, ha
ribadito l'importanza della laicita' dello Stato, ovvero della separazione
tra Stato e  Chiesa.
Un inutile richiamo? O, piuttosto, un intenzionale richiamo in un tempo che
registra il ritorno a pesanti interferenze da parte della chiesa cattolica,
destinate ad aumentare sotto il pontificato attuale? O, anche, un invito a
riflettere in un tempo in cui  la rivendicazione del "rispetto"
dell'identita' religiosa da parte dello Stato riguarda altri monoteismi?
*
Puo' essere utile ripassare, a memoria, quanto si e' letto sui giornali o
visto e ascoltato alla tv. A proposito della faccenda della scuola islamica
di via Quaranta a Milano chiusa dal Comune "per motivi igienici" o perche'
non in regola con la legge italiana, molte sono state le dichiarazioni e le
prese di posizioni.
Sgomberiamo prima di tutto il terreno da eventuali equivoci. Lo Stato
italiano prevede la parificazione delle scuole istituite da privati. E' la
legge applicativa che gli ordini religiosi cattolici hanno utilizzato per
aprire e far riconoscere tante scuole. Ricordo che, negli anni settanta,
soprattutto Comunione e Liberazione voleva riconosciuto il diritto, per le
famiglie, all'educativa ideologica. A sinistra molti non erano d'accordo.
Poi c'e' stata, appunto, la legge sulla parificazione. Se i cattolici, o gli
ebrei, organizzano scuole e universita'  dove fondamentale e' l'educazione
teologica, altrettanto devono poter fare i musulmani. Stop.
Fatta questa affermazione di principio, come si suol dire, nella realta' le
cose si complicano. In questi giorni abbiamo letto, o sentito, affermazioni
del genere: "vogliamo scuole islamiche perche' altrimenti i nostri figli
rischiano di perdere la loro identita'". E altri, per cosi' dire, piu'
inclini al compromesso: "la scuola pubblica dovrebbe garantire
l'apprendimento dell'arabo ai nostri figli". Una ragazza pachistana velata,
il primo giorno di scuola (nella scuola pubblica superiore) ha dichiarato di
fare fatica a imparare l'arabo perche' non e' la sua lingua madre. Ma
l'arabo e' la lingua del Profeta e, quindi, di tutti i fedeli musulmani.
A Mazara del Vallo, si legge sul quotidiano "La Repubblica" del 21 settembre
2005, gli insegnanti della scuola tunisina sono stati cambiati di recente:
"Quelli di prima erano troppo integrati, qualcuno aveva anche una moglie
siciliana; i nuovi professori, invece, non parlano neanche l'italiano. E
cosi', naturalmente, anche i loro alunni. Bambini di origine tunisina, ma
con documenti italiani, che a 11-12 anni, quando finiscono le sei classi del
primo ciclo del loro paese, si iscrivono alla scuola media italiana senza
sapere ne' scrivere ne' leggere la lingua del paese in cui vivono e nel
quale, con tutta probabilita', costruiranno il loro futuro". Ma anche se ci
fossero bambini, come a Milano, di altri paesi, dovrebbero comunque studiare
l'arabo.
*
Come dire che l'identita' di un musulmano e', prima di tutto, quella
religiosa, e non tanto l'identita' che rinvia all'origine  marocchina,
pachistana, egiziana, etiope, ecc. Lo Stato dovrebbe  garantire eventuali
altre legittime rivendicazioni rispetto al desiderio di mantenere la propria
identita', attivando insegnamenti delle altre lingue...
E' chiaro quindi  che la componente religiosa degli immigrati dei paesi
musulmani formula richieste molto simili a quelle della Chiesa Cattolica  e
di movimenti come Comunione e Liberazione. Appunto, l'identita' "vera" non
sarebbe quella di essere italiani o egiziani, per esempio, bensi' di essere
cattolici o musulmani.
Se il presidente della Conferenza episcopale cattolica italiana puo' porre
dei veti ai politici legislatori italiani, in nome della "legge di natura",
contro il riconoscimento dell'unione tra gay, non si capisce perche' gli
islamici non possano, in futuro, chiedere di dirimere secondo la Sharia le
controversie "che dovessero sorgere a proposito di questioni familiari, di
eredita', d'affari, e di divorzio, rivolgendosi a tribunali che includeranno
imam, anziani musulmani e avvocati musulmani". La citazione si riferisce a
quanto ha scritto Monica Lanfranco nell'introduzione al libro di recente
pubblicato con il titolo Senza Velo (Maria G. Di Rienzo, Monica Lanfranco,
Senza velo, Intra Moenia, Napoli 2005), riferendosi alla legge che da
ottobre entrera' in vigore nell'Ontario, in Canada, per legittimare i
tribunali islamici per giudicare secondo il Corano la componente musulmana.
Preceduta da una analoga per gli ebrei.
*
Sempre in questi giorni abbiamo potuto vedere in tv le bambine della scuola
islamica  di via Quaranta a Milano, avvolte in abiti che mostravano soltanto
il loro visino. Naturalmente, da una parte le femmine, dall'altra i maschi,
perche' non sono ammissibili le classi miste. Una giovane intervistata il
primo giorno di scuola (pubblica) ha dichiarato che vorrebbe non mettere il
velo, ma disobbedirebbe al padre; e inoltre, per stare in una classe mista
(alle superiori), non deve rivolgere la parola ai ragazzi.
Souad Sbaii, presidente dell'Associazione delle donne marocchine in Italia,
ha dichiarato: "Gli integralisti islamici oggi vogliono il velo, domani
chiederanno la scuola separata come e' gia' stato chiesto in realta'
francesi. E allora, che facciamo? Separiamo tutto, cosi' non c'e' piu'
comunicazione e dialogo fra l'uomo e la donna? Il velo e' solo la punta
dell'iceberg... Sembra strano, ma siamo noi che non portiamo il velo a
essere discriminate. Succede anche qui in Italia fra le donne musulmane: chi
non porta il velo viene considerata una donna di facili costumi" (da
"Confronti', marzo 2004, disponibile anche nel web).
A proposito dell'abbigliamento femminile, scrive ancora Monica Lanfranco:
"solo nel caso delle donne ha un inequivocabile valore simbolico di
sottomissione non gia' a Dio, ma alla legge patriarcale".
Si legge in un sito di "Giovani musulmani" che una donna non e' obbligata a
portare il velo, ma se non lo mette disobbedirebbe al Corano.
Cosi' recita la Sura della Luce (31): "Di' alle Credenti che abbassino il
loro sguardo, custodiscano la loro castita' e mostrino della loro bellezza
solo quanto appare all'esterno. Si coprano con un velo e mostrino la loro
bellezza solo al marito, al padre del marito, ai loro figli, ai figli del
marito, ai fratelli, ai figli dei fratelli e delle sorelle, alle compagne,
alle schiave, agli eunuchi ed ai fanciulli che non hanno ancora desideri
verso le donne. Non battano poi i loro piedi, affinche' gli estranei non si
accorgano degli ornamenti celati sotto il velo".
*
Nella chiesa cattolica, soprattutto dopo il Concilio, c'e' stata una forte
discussione sulla necessita' di storicizzare le fonti storiche a partire
dalla Bibbia. Si sa che anche nel  mondo islamico ci sono state e ci sono
riflessioni nella stessa direzione. Ma la gerarchia cattolica, lo vediamo
ora in Italia, sia pure con notevoli evoluzioni, continua a richiamarsi alla
fedelta' ai sacri testi. Nelle tre religioni monoteiste le cose stanno
cosi'...
*
Resta di fatto che, nell'emigrazione, vengono imposti, soprattutto alle
donne, divieti e ruoli in nome della fede per marcare la propria differenza
nella direzione della superiorita'.
Quanto a dire che il problema del genere e' di primaria importanza, come
scrive Susan Moller Okin in un saggio, "Multiculturalismo e femminismo. Il
multiculturalismo danneggia le donne?", pubblicato tempo fa anche su questo
foglio.
La Okin chiede: "Che fare quando le pretese di culture o religioni
minoritarie collidono col principio dell'uguaglianza di genere che e'
perlomeno formalmente sottoscritta dagli stati liberal-democratici (per
quanto continuino a violarla nella pratica)?".
Si fa avanti un pensiero che cosi' si esprime: le culture minoritarie devono
essere protette per mezzo di speciali diritti o privilegi. Come il poter
contrarre matrimoni poligamici (che e' quanto accaduto nel passato in
Francia).
Susan Moller Okin ci invita a tenere conto che nella maggior parte delle
culture uno degli scopi di determinate norme ed usi "e' il controllo delle
donne da parte degli uomini". E si chiede: "Quando una donna appartenente ad
una cultura piu' patriarcale giunge negli Usa o in qualche  altro stato
occidentale fondamentalmente liberale, perche' ella dovrebbe essere meno
protetta dalla violenza maschile rispetto ad altre donne?".
*
Comunque, in Italia ci sono anche esempi interessanti di incontro delle
culture (che non si devono considerare come monoliti statici).
Nel territorio bresciano del  Garda-Valsabbia, grazie a un accordo fra il
Regno del Marocco e la Repubblica Italiana, si e' attivato un corso di
lingua araba e marocchina a cui partecipano anche bambini italiani.

8. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UN DIBATTITO
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo scritto per il quotidiano
"Liberazione". Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il
futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Con grande opportunita' alla festa nazionale di "Liberazione" si e' tenuto -
la sera del 16 settembre - un dibattito molto seguito su "Il potere del
sacro in Occidente" promosso dal Forum delle donne, introdotto da Imma
Barbarossa che lo aveva preparato, e svolto da Lisa Clark, Scipione
Semeraro, Lea Melandri, Aldo Tortorella e me. Enzo Mazzi che aveva aderito
ha dovuto rinunciare per un impegno in America latina. E oggi dopo Chavez
alle Nazioni Unite, Castro che manda aiuti a New Orleans, un 11 settembre
che dovrebbe ricordare anche il Cile, e il referendum brasiliano contro il
commercio delle armi da fuoco, non si puo' se non andare a imparare
dall'America latina.
Diro' prima di tutto che e' praticamente il primo dibattito nella sede di un
partito politico che cerca di capire le conseguenze del referendum sulla
procreazione medicalmente assistita, sepolto da un greve e acritico silenzio
dalle forze politiche e invece usato abilmente e conseguentemente dalla
gerarchia della chiesa cattolica per la quale il referendum e' stato la
prova generale di una azione di lunga lena volta a deprimere la democrazia
italiana: anche il "consiglio" di disinteressarsi e lasciar fare a chi se ne
intende o ha l'autorita' serve a questo fine malvagio. Ma che cosa
aspettarsi da una monarchia assoluta, se non che cerchi sudditi? Il tragico
e' che li trova.
Perche' il silenzio? non si capisce, se non per una subalternita' di gran
parte della sinistra a moderazione riformismo cattolici ecc.: davvero un
miscuglio "sacro", nella sua accezione di "esecrando".
*
Ma veniamo a noi.
Imma Barbarossa ha introdotto con le ragioni che nel movimento delle donne
sono diffuse (anche se persino li' l'azione della gerarchia della chiesa
cattolica sembra aver fatto qualche breccia, ma per il momento molto
marginale).
Quanto a me ho esaminato la parola "sacro", appunto una forma arcaica di
religiosita', tra sacra ed esecrabile, i suoi ricaschi culturali (la
produzione letteraria neogotica e il film horror tecnologico) e il suo esito
politico in un tentativo neotemporalista - nella forma di Retinazione di
Ruini -, una edizione aggiornata del patto Gentiloni di buona memoria, che
scatta subito, dopo il referendum. Basta vedere come Prodi viene attaccato
da Rutelli per i Pacs, che in tutto il resto d'Europa non hanno suscitato
prese di posizione confessionali efficaci. Ma appunto il disegno
neotemporalista vige solo in Italia.
Lisa Clark ha dato una testimonianza molto vera e forte della difficolta' di
essere persone di fede libere in un contesto "sacralizzato" e oppressivo:
li' e' il punto vero e giusto dei confronti, non l'istituzione.
Aldo Tortorella, del quale va sottolineata l'intatta passione e intelligenza
politica e la ferma fedelta' a se stesso e alla sua storia, ha esaminato la
reazione della gerarchia ecclesiastica dopo il referendum non come un segno
della sua forza, bensi' di una debolezza della quale la sinistra non coglie
motivi e limiti anche per propri limiti, e ha sottolineato la meschinita' di
una sinistra solo economicistica, che si fa scavalcare e soprendere nelle
lotte di civilta' e ideali. Mi piace riconoscergli una precisa conoscenza
attenzione e rispetto per il femminismo, cosa addirittura rara. Ma accanto
all'iniziativa del forum, in materia di referendum perso, si puo' citare
quasi solo quella dell'associazione presieduta da Tortorella alla quale era
stata invitata come relatrice Maria Luisa Boccia.
Semeraro ha letto gli aspetti culturali generali e si e' soffermato a
denunciare la dolorosa e dannosa separazione tra accoglimento formale delle
posizioni teoriche e di ricerca (sempre applaudite e apprezzate) e la
pratica politica molto spesso divaricata.
Ora non e' chi non veda, dico facendo mia una osservazione di Tortorella,
che siamo in momenti difficili e occorre essere prudenti, mediare, ecc.:
pero' la prudenza e' una virtu', cioe' una posizione forte convinta e
motivata, non una resa; e la mediazione si fa a partire da posizioni proprie
ben definite a sostegno delle quali si dovrebbe mettere appunto quella
cultura che era stata lodata, e non un pasticcio predigerito.
Ha chiuso Lea Melandri, come sempre forte, efficace, intelligente e
partecipe. Si puo' non essere d'accordo col riconoscimento dato al forum per
esserci ed essere vivo? Lea ha puntato il suo ricco, molteplice intervento
soprattutto sulla denuncia del "separatismo" non relazionabile del
patriarcato oggi. In effetti avere una risposta sembra impossibile e
addirittura una qualche attenzione a cio' che il femminismo nelle sue varie
forme e "scuole" ha detto e fatto, dice e fa: eppure sarebbe il minimo: la
citazione delle fonti e' la base dell'etica nella ricerca.
Che sia la volta buona? noi lo speriamo, in ogni caso resistiamo, intignamo,
prima o poi qualche risposta verra': vi sembra una conclusione "sacra", nel
senso di un po' superstiziosa o oroscopica? puo' darsi, ma nessuno e'
perfetto.

9. RILETTURE. DIETRICH BONHOEFFER: RESISTENZA E RESA
Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere,
Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988, pp. 576, lire 28.000. Dal
teologo assassinato dai nazisti una delle piu' grandi testimonianze della
dignita' umana nel Novecento.

10. RILETTURE. FATEMA MERNISSI: ISLAM E DEMOCRAZIA
Fatema Mernissi, Islam e democrazia. La paura della modernita', Giunti,
Firenze 2002, pp. 222, euro 12. Un'opera lucidissima e appassionante di una
delle piu' grandi intellettuali viventi, femminista e musulmana.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1064 del 25 settembre 2005

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